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9.1 Tematiche di base, tematiche emergenti, research question

I lavori proposti in European Journal of Innovation Management, che hanno trattato il tema dell’innovazione e della competizione fra imprese, hanno confermato l’interesse degli studiosi per i processi innovativi, per le modalità di attuazione e per le conseguenze sulle performance aziendali.

Tra gli scritti dell’ultimo decennio, appare innanzitutto quello svolto da Cumming (1998) il quale, prendendo spunto dal contributo di diversi autori (tra cui Twiss, 1992), sottolinea il valore dei processi innovativi in una prospettiva evolutiva: alla tradizionale innovazione di prodotto e di processo si affianca l’innovazione intesa come capacità dell’impresa di commercializzare con successo i propri prodotti, generando profitto e sostenendo la customer satisfaction.

L’accresciuto livello di competizione tra le imprese e l’evoluzione nei gusti dei consumatori a livello mondiale hanno modificato e arricchito il significato di innovazione, che finisce per riguardare tutte le attività aziendali, consentendo all’impresa di risolvere le scelte problematiche relative ai nuovi prodotti (qualità, costi sostenuti e tempo necessario per la progettazione, la produzione e l’immissione nel mercato).

Secondo l’autore, l’innovazione, definita come “the first successful application

of a product or process”, può attuarsi con successo se vengono considerati alcuni

aspetti principali.

In primo luogo, risultano rilevanti la componente manageriale e le condizioni ambientali nelle varie fasi dell’innovazione (generazione dell’idea, sviluppo

dell’idea e del concetto di prodotto e applicazione di quel concetto). Il processo innovativo può attuarsi se i manager garantiscono le condizioni adeguate a facilitare la realizzazione di un ambiente creativo e verificano che il nuovo prodotto vada a soddisfare pienamente i bisogni del consumatore o utilizzatore.

Un secondo aspetto riguarda i “controlling factor”, ovvero i parametri che influenzano e consentono di monitorare il processo innovativo del prodotto: aspetti finanziari, competenze e abilità del personale coinvolto, attrezzature, elementi interni e condizioni dell’ambiente esterno.

Un’altra fonte di sviluppo viene individuata nel livello tecnologico e nei materiali: quando la tecnologia evolve, nascono nuove opportunità e le idee, prima in forma embrionale, diventano poi realizzabili; inoltre, la scoperta di nuovi materiali permette alle imprese di creare nuovi prodotti, più sofisticati e rispondenti alle esigenze dei consumatori. L’autore sottolinea che esistono numerosi esempi di idee, che hanno impiegato molto tempo prima di essere trasformate in nuovi prodotti o che sono state soltanto parzialmente applicate, in conseguenza della mancanza di un supporto di adeguate conoscenze tecnologiche (come è avvenuto nel settore della microelettronica per i telefoni cellulari e nel settore automobilistico per i sistemi elettrici dei motori).

Pur riconoscendo che il progresso tecnologico consente di rendere più efficienti i processi produttivi e di ottenere prodotti migliori, non tutte le imprese sono in grado di rispondere tempestivamente ai cambiamenti imposti dall’innovazione. Secondo Cumming (1998), il processo innovativo incontra talora fenomeni di “conservatorismo” da parte dell’azienda, la quale preferisce mantenere le proprie conoscenze tecnologiche, piuttosto che svilupparne di nuove, al fine di non compromettere l’efficienza del sistema produttivo: «The designer moves away from

the familiar, into the unfamiliar, so the risk increases, and it does so rapidly».

Una problematica rilevante riguarda quindi il fatto che l’innovazione non sempre rappresenta un’opportunità per l’impresa. L’innovazione può incrementare i rischi e il grado di incertezza nel breve periodo, diminuendo l’efficienza e la produttività, soprattutto se non vengono considerati i fenomeni evolutivi del mercato.

La considerazione del mercato come fattore determinante dell’innovazione e della competitività aziendale è al centro della ricerca di Gandolfo e Padelletti (1999) sul settore dell’information technology. Esaminando il caso della IBM, la quale ha dovuto trasformare l’organizzazione e la struttura di vendita in conseguenza ai cambiamenti avvenuti nel settore, gli autori giungono a sostenere che il processo dell’innovazione tecnologica determina importanti cambiamenti, non soltanto a livello di singola impresa, ma anche a livello di settore industriale, modificando il rapporto di potere economico tra le imprese.

La forte immagine del marchio e la credibilità a livello internazionale dell’IBM hanno inizialmente consentito all’impresa di mantenere un elevato “grado di loyalty” da parte degli intermediari commerciali, i quali, commercializzando prodotti elettronici ed informatici di marche diverse, tendevano a privilegiare quelle che potevano garantire margini di contribuzione più elevati.

alla ricerca di prodotti sempre più sofisticati e la maggiore difficoltà delle imprese di differenziare i prodotti offerti - a fronte della diffusione delle conoscenze tecnologiche tra le imprese del settore - hanno costretto l’IBM a rivedere la politica distributiva.

In questo caso, l’innovazione è consistita nell’inserimento del direct marketing nella propria politica commerciale. Ciò ha portato profondi cambiamenti nel sistema di marketing e ha consentito all’impresa di conoscere e soddisfare le preferenze dei consumatori, instaurando con questi un rapporto interattivo, e di controllare il “grado di loyalty” e performance degli operatori nei canali distributivi.

L’innovazione realizzata ha quindi modificato le relazioni della casa madre IBM con le sussidiarie e i vari partner: pur riconoscendo l’autonomia e l’importanza del contributo di questi, l’azienda ha acquisito il ruolo di “solution provider”, con l’obiettivo di integrare e coordinare le varie parti dell’intero sistema commerciale. Ciò ha consentito di ridurre i rischi di una “concorrenza verticale”, ma anche quelli relativi ad una “concorrenza orizzontale”, come i conflitti tra imprese nei canali distributivi.

La ricerca di una nuova soluzione organizzativa ha dato vita a un “modello ibrido”, definito “go-to-market”, dove marketing, direct marketing, agenti rappresentanti, partner vari nell’attività commerciale e organizzazioni tecniche di supporto interagiscono simultaneamente per realizzare la commercializzazione dei prodotti. Le innovazioni possono quindi riguardare attività differenti da quelle semplicemente produttive, come le strategie di marketing e la politica distributiva, a fronte di nuove esigenze e a mutate condizioni di mercato.

In questo filone di ricerca si inserisce l’articolo di Shepherd e Ahmed (2000). Essi interpretano il fenomeno dell’innovazione come capacità dell’impresa di cercare e trovare soluzioni a problemi aziendali complessi, dando luogo ad un nuovo “paradigma di competitività” definito “solution innovation”. Ciò è stato verificato nel settore dell’informatica e dell’elettronica, nel quale le richieste sempre più sofisticate dei consumatori hanno spinto le imprese a realizzare continuamente innovazioni di prodotto, che però non sempre hanno garantito i risultati economici attesi.

Anche in questa ricerca vengono messe in luce le dinamiche evolutive che hanno caratterizzato il settore dell’elettronica e dell’informatica, spingendo le imprese a modificare il proprio modus operandi. Le imprese, che adottavano strategie “technology pushed”, tipiche degli anni Settanta e Ottanta, dove la qualità nei processi rappresentava il fattore determinante per conseguire una maggiore efficienza produttiva e organizzativa (si pensi all’adozione dei sistemi di Total

Quality Management), sono passate negli anni Novanta ad una prospettiva “market pulled”, in cui la ricerca della qualità si concentrava nel prodotto per renderlo il più

rispondente possibile alle esigenze del mercato.

Sebbene l’attività di sviluppo di nuovi prodotti sia considerata come una delle più importanti fonti del vantaggio competitivo (Wheelwright, Clark, 1992; Brown, Eisenhardt, 1995), alcuni studiosi (Cooper, 1993; Madique, Zirger, 1994) hanno posto in rilievo che le imprese non sempre riescono a cogliere gli input provenienti

dai consumatori e dai propri concorrenti e non conducono analisi approfondite sulle caratteristiche del mercato in cui operano, o in cui intendono inserirsi.

Rifacendosi a questo filone di ricerca, Shepherd e Ahmed (2000) evidenziano che oggi i processi di internazionalizzazione, la globalizzazione dei mercati, la compressione del ciclo di vita dei prodotti ed i mutevoli bisogni dei consumatori inducono le imprese a riposizionarsi come “solution provider”, piuttosto che come “product manufacturer”. Adottare la prospettiva “solution innovation” significa stabilire esattamente quale soluzione l’impresa vuole fornire, arricchendo le proprie competenze, con l’obiettivo di meglio identificare le esigenze dei consumatori, ed essere in grado di proporre soluzioni efficaci.

In questo contesto, gli autori sostengono che la leadership tecnologica non rappresenta più la fonte principale del vantaggio competitivo per le imprese operanti nel settore dell’elettronica e dell’informatica: l’elemento di differenziazione tra le imprese si baserà sempre più sulla continua acquisizione di nuove conoscenze e sulla efficacia delle relazioni che verranno instaurate con i consumatori.

Un altro fondamentale filone di ricerca è il processo di diffusione dell’innovazione, in cui si colloca lo studio di Hivner, Hopkins e Hopkins (2003). Essi giungono a sostenere che, sebbene le imprese impieghino tempo ed energie nella generazione di nuove idee, sottovalutano spesso la necessità di diffonderle nelle organizzazioni e non ripongono attenzione ai fattori che ne influenzano le divulgazione.

L’importanza per l’impresa di facilitare il processo di diffusione è fortemente sostenuto da diversi autori, tra cui Mische (2001), il quale ha evidenziato come le organizzazioni, che sono innovation-oriented e riconoscono il valore della creatività, ripongono una particolare attenzione alla diffusione delle conoscenze tra i vari livelli della struttura organizzativa. E’ stato anche osservato come la diffusione del processo innovativo sia una condizione necessaria per la stessa sopravvivenza dell’impresa (Quinn, 2000).

In altri studi viene peraltro illustrato che il vantaggio competitivo (conseguibile mediante un processo innovativo) non è legato unicamente alla capacità dell’impresa di diffondere l’innovazione, ma anche alla velocità con cui questa viene trasferita agli individui nell’organizzazione (Kessler, Chakrabarti, 1996; Schilling, 1998).

A questo proposito, nell’analisi di Hivner, Hopkins e Hopkins (2003) il focus è posto sulla relazione tra il grado di diffusione dell’innovazione e la dimensione aziendale: è più probabile che nelle realtà economiche di piccole dimensioni, caratterizzate da una forte cultura d’impresa e con un limitato numero di dipendenti, l’innovazione venga trasmessa tempestivamente e in modo più efficace, anche se talvolta queste non possiedono le risorse umane e finanziarie richieste per implementarla.

Si ritiene invece che le grandi imprese, pur avendo mezzi e competenze per attuare le proprie strategie competitive, non siano sempre dotate di una cultura aziendale e di una struttura, adeguate a diffondere la conoscenza all’interno dell’organizzazione. Il riconoscimento della valenza competitiva dell’innovazione e la necessità di avere strutture più flessibili, dirette a garantire una maggiore

interazione tra le persone, ha spinto le imprese a modificare le proprie forme organizzative, creando piccole unità operative (sub-unit) all’interno della stessa struttura.

Nel framework concettuale, proposto da Hivner, Hopkins e Hopkins (2003), lo spazio, il tempo e il comportamento delle persone influiscono sul processo di diffusione dell’innovazione all’interno dell’organizzazione. Tale diffusione viene promossa dalle seguenti strategie:

- “facilitating strategies”, che sono relative alla frequenza e alla consistenza dei contatti tra i membri dell’organizzazione, al grado di formalizzazione delle relazioni e ad eventuali cambiamenti nella struttura, diretti a facilitare l’interazione tra le persone;

- “accelerating strategies”, che riguardano il grado di “personal feeling of

ownership” degli individui coinvolti nell’innovazione, i quali, sentendosi

maggiormente gratificati, contribuiscono ad accelerare il processo di diffusione della conoscenza;

- “sustaining strategies”, che attengono alle politiche remunerative, che possono incentivare le persone a manifestare comportamenti propositivi.

L’analisi dei contributi presentati in questa breve rassegna ha evidenziato che numerose sono le problematiche concernenti l’innovazione e differenti le modalità con cui questa influisce non soltanto sulle performance della singola impresa, ma anche sulle dinamiche competitive all’interno dei settori industriali. In particolare, un aspetto significativo che emerge è la forte relazione tra lo sviluppo dei processi innovativi e le modifiche che hanno caratterizzato i mercati, i gusti dei consumatori e il modus operandi delle imprese. Ciò consente di individuare un’ampia fenomenologia di situazioni, che possono costituire interessanti tematiche per ulteriori approfondimenti.

9.2 Call for research

I lavori qui esaminati mettono in luce alcune significative problematiche concernenti la relazione tra innovazione e competizione e rappresentano spunti di riflessione per future ricerche, che possono essere sintetizzati nel modo segue. - L’innovazione riguarda anche i cambiamenti che le imprese attuano nelle proprie

politiche di marketing, con l’obiettivo di sostenere la customer satisfaction. Avendo individuato alcuni fattori rilevanti che influenzano il processo innovativo, rimane ancora da investigare la relazione tra questi fattori e i fenomeni di “conservatorismo”, che le organizzazioni possono incontrare nell’implementazione del processo innovativo, con riferimento ai diversi settori industriali.

- Un’altra fonte del vantaggio competitivo (oltre alla leadership tecnologica) è costituita dalla capacità dell’impresa di acquisire conoscenze ed instaurare un

rapporto interattivo con i consumatori, assumendo il ruolo di “solution

provider”. Viene da chiedersi se questa prospettiva può essere applicata a tutti i

settori industriali e non soltanto a quelli caratterizzati da un elevato contenuto tecnologico.