• Non ci sono risultati.

EVOLUZIONE DEL TEMA DI GIUDITTA NEL XIX SECOLO

EVOLUZIONE DEL TEMA DI GIUDITTA NEL XIX SECOLO

___________________________________________________________________________

La selezione di opere eseguite nel XIX secolo comprende trenta lavori realizzati tra il 1821 e il 1892.

Rispetto al secolo precedente, gli artisti che si cimentano con questo tema, provengono da uno spettro geografico più diversificato.

In questa campionatura solamente due pittori sono italiani, Tommaso de Vivo e Giovanni Marghinotti, mentre nel XVIII secolo abbiamo potuto constatare come la maggior parte di loro provenisse dall’Italia.

Siamo sempre in un ambito territoriale europeo ma questo confine comincia lievemente ad allargarsi. Due artisti, José Teófilo de Jesus e Pedro Américo, sono nati e hanno operato in Brasile nonostante la loro formazione si sia perfezionata in Europa.

Nel capitolo precedente ho evidenziato come ci fossero degli elementi iconografici che contribuivano all’identificazione di Giuditta: la scimitarra, un guerriero, Oloferne, o la sua testa decapitata e la fedele ancella. Progressivamente osserviamo una, talvolta completa, scomparsa di suddetti attributi. Ciò avviene perché gli artisti tendono a focalizzarsi sempre più su Giuditta che diviene protagonista indiscussa della scena.

Si prenda come esempio l’opera Giuditta eseguita nel 1887 da Charles Landelle [Figura 55]. La scena è dominata dalla giovane, unico soggetto raffigurato, e, nonostante in mano regga la spada, essa è seminascosta.

Inoltre, si tende a far emergere una caratteristica della donna che nel corso del XVIII secolo era stata tralasciata: il suo lato seduttivo.

Giuditta è riuscita a portare a termine la sua missione ammaliando Oloferne. Egli la desiderava a tal punto da non comprendere come la donna utilizzasse la sua bellezza per ingannarlo. Questo lato provocatorio viene accentuato vestendo la giovane con abiti esotici che fanno emergere la forte carica sessuale da lei posseduta.

126

Fernand Lamette, infatti, nel lavoro eseguito nel 1886 [Figura 54], colloca Giuditta semisdraiata nello stesso giaciglio dove Oloferne si è addormentato. Un leggero drappo cinto ai fianchi copre la parte inferiore del corpo mentre la parte superiore, completamente nuda, è rivolta verso lo spettatore.

In questo modo, Giuditta, da casta vedova timorata di Dio, si trasforma in una pericolosa femme

fatale che non necessita di un supporto divino per portare a termine il suo compito.

Infatti, possiamo notare come ella non preghi più per trovare la forza di compiere un atto terribile come la decapitazione.

Ovviamente ci sono delle eccezioni come l’olio su tela di Pedro Américo del 1880 [Figura 53] in cui Giuditta, con un gesto teatrale, alza le braccia al cielo per ringraziare Dio. Nonostante la componente spirituale, Américo non ha tralasciato il lato erotico della giovane vestendola con un leggero abito dalla profonda scollatura.

Tommaso de Vivo, al contrario, rappresenta ancora la giovane di Betulia come la casta vedova che seduce Oloferne per liberare il suo popolo. Nel dipinto Giuditta realizzato tra il 1841 e il 1845 [Figura 36] ella, bellissima ma completamente vestita, rivolge lo sguardo al cielo per pregare il Signore di darle la forza di uccidere il condottiero nemico; non appare come la fatale eroina che dominerà la scena nel XIX secolo.

Nonostante questi rari esemplari, i riferimenti alla cristianità progressivamente si fanno sempre più vaghi fino a scomparire completamente.

In questo secolo non è più così immediato comprendere che momento della storia venga rappresentato. Quegli elementi che contribuivano ad esemplificare l’identificazione, come già sottolineato, non sono più presenti.

Agli artisti non interessa più l’atto in sé ma catalizzano l’attenzione sul personaggio di Giuditta che, talvolta, diviene l’unico elemento significativo della scena come nei lavori di Alfred Stevens [Figura 40] e Jean-Baptiste Camille Corot [Figura 47].

Assistiamo a una mutazione del ruolo della donna, trasformazione che, parallelamente, possiamo osservare nella società a partire dal tardo XVIII secolo.

C’è un’opera, però, che necessita di essere citata in quanto è l’unica tra tutte quelle selezionate per la campionatura a mostrare l’esatto momento dell’esecuzione della decapitazione. Si tratta del lavoro che Francisco Goya eseguì tra il 1824 e il 1825 per la Quinta del Sordo [Figura 28]. È un prodotto anomalo poiché, oltre a mostrare un momento inusuale della narrazione, trasforma Giuditta in una mera esecutrice. Ella rivolge le spalle allo spettatore impedendogli di comprendere quali siano i sentimenti che muovono il suo gesto. Questo è in contrasto con lo spirito che pervade i pittori del XIX secolo che si concentrano primariamente sulla giovane e

127

sul suo contegno che sulla tela, talvolta, si trasforma in un atteggiamento distaccato rispetto al gesto compiuto o che si accinge a eseguire.

3.1 La nuova donna ottocentesca tra emancipazione e discriminazione

Il XIX secolo rappresenta un momento storicamente fondamentale per le donne la cui vita comincia, progressivamente, a cambiare facendole diventare un soggetto attivo della società, delle possibili cittadine126.

Già a partire dagli ultimi decenni del XVIII secolo, con il sorgere delle moderne dottrine rivoluzionarie borghesi, si comincia a riflettere sul ruolo che la donna deve avere all’interno della collettività in relazione allo stato di cittadino127.

Con la Rivoluzione Francese viene concettualizzato il principio di uguaglianza e le donne, in una società in cui venivano viste dagli uomini come mero mezzo riproduttivo, hanno la possibilità di far sentire la propria voce.

Sarà proprio durante il decennio rivoluzionario in Francia (1789-1799) che si manifesta una prima mobilitazione di stampo femminista. Viene rivendicata una maggiore partecipazione delle donne alla cittadinanza128.

Il loro contributo alla rivoluzione non è mai stato celato ma nel contesto della complementarità dei sessi le donne vengono viste come appartenenti alla sfera sociale, privata e famigliare, in quanto più adatte all’amministrazione, ma inadeguate allo svolgere funzioni politiche a causa della loro eccessiva emotività e sensibilità129.

Gli uomini, al contrario, devono essere membri attivi della comunità poiché a loro spettava lo spazio pubblico della cittadinanza.

In sostanza, c’è una distinzione in base al sesso della sfera pubblica e privata della collettività civica.

126 Storia delle donne in Occidente. L’ottocento, a cura di Geneviève Fraisse e Michelle Perrot, vol. 4, Roma-Bari, Editori Laterza, 1991, p. 3

127 Rossi-Doria Anna, Il primo femminismo. (1791-1834), Milano, Edizioni Unicopli, 1997

128 Hufton Olwen, Destini femminili. Storia delle donne in Europa 1500-1800, Milano, Mondadori, 1996, p. 424 129 A partire dal 1787 cominciarono a diffondersi alcuni pamphlet in cui le donne richiedevano un’uguaglianza a livello d’istruzione, economica e di diritti sia civili che politici. Alla base di queste idee si riteneva che, per natura, gli esseri umani dovessero essere considerati uguali e quindi una discriminazione sessuale fosse innaturale.

128

Non potendo partecipare alle assemblee politiche e alle organizzazioni rivoluzionarie, le donne non sono considerate parte attiva della società. Cominciano, allora, a riunirsi in club femminili dov’è possibile dare lettura di leggi o giornali discutendo di problemi politici locali e nazionali. A Parigi i due club principali sono la Société Patriotique et de Bienfaisance des Amies de la

Vérité (1791-1792) fondata da Etta Palm d’Aelders130 e il Club des Citoyennes Républicaines

Révolutionnaires (10 maggio-30 ottobre 1793) composto da militanti popolari.

Uno dei diritti più rivendicato dalle donne durante la Rivoluzione era la possibilità di essere armate in modo da potersi difendere da sole131.

In questo contesto si inserisce perfettamente il personaggio di Giuditta che dimostra, non solo di essere in grado di utilizzare un’arma, ma che tramite essa riesce a salvare un’intera popolazione.

Tale consapevolezza e naturalezza nell’uso della spada la si percepisce anche nelle opere pittoriche di quegli anni. Ad esempio, Benjamin Constant, che tratta il tema di Giuditta in due occasioni differenti, in entrambe fa tenere la grande scimitarra in mano alla giovane con molta disinvoltura.

Nel primo dipinto del Metropolitan Museum of Art di New York [Figura 50] l’arma è in primo piano, mentre con una mano la giovane afferra la spada, l’altra è appoggiata ad un fianco facendole assume una posizione fiera.

Nel secondo lavoro, eseguito nel 1886 [Figura 51], invece, la scimitarra è collocata dietro Giuditta poiché l’artista vuole evidenziare la bellezza della giovane ma ella, nel tenere l’arma, non trasmette alcun disagio.

In entrambi i lavori si evince come Giuditta sia in grado di maneggiare un’arma e non abbia alcun timore nel farlo.

Nel 1789 viene pubblicata la Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen con cui si reclamava l’uguaglianza universale degli uomini ma in questo contesto le donne non sono considerate.

A ciò risponde Olympe de Gouges con la pubblicazione, nel 1791, della Déclaration des Droits

de la Femme et de la Citoyenne. Con tale documento viene contestata la restrizione maschile

del concetto di uguaglianza ricalcando, polemicamente, il testo del 1789 comprendendo anche il sesso femminile.

130 La Société Patriotique et de Bienfaisance des Amies de la Vérité discusse dell’educazione delle bambine povere e si batté per il diritto al divorzio e la concessione dei diritti politici.

129

Le prime donne che cominciano a parlare pubblicamente dei propri diritti rivendicano una società basata sulla distinzione naturale tra i sessi ma in maniere ugualitaria. Tramite queste iniziali teorie si pone l’accento sui diritti delle donne legati alle loro precise capacità che si distinguono da quelle maschili132.

Nei dibatti sulla querelle des femmes cominciano a essere formulate ipotesi su come la presunta inferiorità della donna non sia dovuta a una componente biologica ma al contesto culturale in cui vive133.

A tal proposito è necessario ricordare la figura di Mary Wollstonecraft. Ella, scrittrice inglese di umili origini, nel 1792 pubblica il libro A Vindication of the Rights of Woman con cui rivendicava i diritti delle donne sottolineandone il loro ruolo e le loro responsabilità in quanto madri. Sosteneva che la distinzione fra i sessi fosse un fatto puramente fisico, rilevante solamente sotto l’aspetto della riproduzione, tutte le altre attività umane dovevano essere gestite dalla ragione che è la medesima sia in un uomo che in una donna.

Ella non nega che le donne, talvolta, non siano state in grado di utilizzare la ragione ma ciò è dovuto all’educazione differente che viene impartita ai sessi134. Se ad una figlia fosse stata data la stessa istruzione che veniva data a un figlio maschio, ella sarebbe stata in grado di agire razionalmente comprendendo come l’essere madre e il prendersi cura della sfera privata fossero per lei un dovere civico.

Per quanto le idee di Mary Wollstonecraft appaiano arretrate sul piano dell’emancipazione rispetto a quelle di altre idealiste come Olympe de Gouges, esse hanno il merito di aprire la strada a una possibile razionalità femminile. Se alle donne fosse concesso il diritto di giudicare autonomamente quale deve essere il loro ruolo all’interno della società sarebbero in grado di comprendere, tramite l’utilizzo della ragione, che il loro posto è in famiglia in un contesto privato135.

Nel corso del XIX secolo si comincia a vedere un’iniziale forma di femminismo tramite cui una minoranza di donne comincia a organizzarsi rivendicando un’identità pubblica. Fanno propria

132 Nel contesto francese la lotta all’emancipazione femminile non portò ad alcun miglioramento di diritti a livello pubblico (si consideri che Olympe de Gouges venne condannata a morte, ufficialmente a causa della sua fede monarchica e per l’opposizione a Robespierre, ma nella realtà si trattava di un monito contro il movimento femminista) ma nella sfera privata alcune leggi cambiarono a favore delle donne. Ad esempio, le normative sull’eredità vennero modificate permettendo ai figli, sia maschi che femmine, di aver ugual diritto al lascito paterno, fu riconosciuto il valore del parere materno nelle decisioni riguardanti i figli minori e per le donne venne riconosciuta la maggiore età a ventun anni. Ciò nonostante, il Codice Napoleonico annullò quasi tutti i miglioramenti ottenuti riportando la situazione allo status precedente la Rivoluzione.

133 Motta Giovanna, Archivi di famiglia e storia di genere tra età moderna e contemporanea, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2010, pp. 13-14

134 Rossi-Doria Anna, Il primo femminismo. (1791-1834), Milano, Edizioni Unicopli, 1997 135 Storia delle donne in Occidente, cit. pp. 47-48

130

la Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen e agiscono in difesa delle proprie richieste in quanto donne. Ad esse spetta il merito di aver rivalorizzato la sfera famigliare, superandone le barriere hanno portato sulla scena pubblica i cosiddetti problemi privati.

Cominciano a formarsi delle vere e proprie associazioni nate con lo scopo di lottare per i diritti sociali delle donne. Nella seconda metà del XIX secolo sarà la stampa il mezzo tramite cui le femministe potranno parlare pubblicamente di emancipazione, libertà, uguaglianza e valori democratici in antitesi con l’immagine comune che poneva la donna in una condizione d’inferiorità e asservimento sessuale.

Le battaglie femministe hanno lo scopo di trasformare radicalmente le condizioni legali e politiche arrivando fino a rivendicare, sul finire del secolo, il diritto al voto136.

Osservando l’evoluzione del ruolo della donna tra il XVIII e il XIX secolo è necessario ricordare come, in Europa, si assiste a una fondamentale rivalutazione della loro posizione al potere.

In questo lasso di tempo si assiste alla reggenza di diverse figure femminili che si sono dimostrate lungimiranti e capaci forse più di come lo sono stati gli uomini a cui sono succedute. Per quanto bisognerà attendere il XX secolo per assistere a una vera e propria conquista di diritti politici da parte delle donne, alcune di esse si sono rivelate delle sovrane sagaci e attente sfatando i pregiudizi sul loro sesso.

Il terreno che si dimostra più bendisposto a una ridefinizione delle leggi di successione a favore di una linea dinastica femminile è l’Impero Russo.

Alla morte di Pietro il Grande, zar di Russia, nel 1725, gli successe la moglie Caterina I. Fu lo stesso Pietro a designare la moglie, due anni prima, come sua legittima erede lodandone il carattere forte e coraggioso dimostrato sui campi di battaglia, un’inclinazione di spirito lontana, secondo lo zar, dalle debolezze femminili.

Con quest’atto rivoluzionario Pietro mise fine alla lunga serie di zar maschi e il popolo si dimostrò favorevole al cambiamento nonostante la nuova zarina provenisse da un’estrazione sociale bassa e non facesse parte della famiglia Romanov137.

Dopo Caterina I altre tre donne divennero Imperatrici di Russia nel corso del XVIII e XIX secolo: Anna I, Elisabetta e Caterina II.

Anna successe a Pietro II nel 1730, prescelta dal Consiglio di Stato che credeva di porre sul trono una donna facilmente influenzabile. Al contrario, l’Imperatrice si rivelò una vera

136 Ivi., pp. 483-519

137 Casanova Caterina, Regine per caso. Donne al governo in età moderna, Roma-Bari, Editori Laterza, 2014, p. 175

131

autocrate grazie all’appoggio della Guardia Imperiale e della piccola nobiltà che le permise di governare per dieci anni fino al 1740.

In seguito alla morte di Anna Ivanovna divenne zar di Russia il neonato Ivan VI il cui potere venne esercitato dalla madre Anna Leopoldovna ma a causa di una politica inadeguata la reggenza suscitò notevoli opposizioni fino ad arrivare ad un colpo di stato che, grazie al sostegno del popolo, mise sul trono Elisabetta, figlia di Pietro il Grande.

Come il padre si rivelò una governante illuminata rilanciando la politica di riforme economiche da lui cominciata.

La sua popolarità si dimostrò grande sia ai vertici della società che tra i ceti popolari fino alla sua morte nel 1762.

A lei successe Pietro III ma durante il primo anno di reggenza ci fu un colpo di stato che mise sul trono la di lui moglie Caterina II mentre lo zar moriva in circostanze sospette.

È necessario notare come il popolo in Russia accettò e spesso favorì la presa di potere da parte di alcune ammirevoli donne che si distinsero per una politica illuminata che favorì la crescita del paese138.

Contemporaneamente a ciò che accadeva in Russia, sul trono austriaco si distinse una figura la cui immagine celebrativa, per secoli, esaltò la forza e l’unità austriaca: l’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo.

Alla morte del padre, l’imperatore Carlo VI, nel 1740, ella divenne arciduchessa regnante d’Austria, re apostolico d’Ungheria e regina regnante di Boemia ma durante i primi otto anni del suo regno dovette affrontare una guerra di successione che vide in campo la maggior parte delle potenze europee ma da cui uscì vittoriosa rafforzando il suo prestigio.

Durante la guerra riuscì a creare un culto della sua persona che non aveva paragoni nel XVIII secolo. Tramite discorsi persuasivi incitava l’esercito alla guerra rimembrando le antiche virtù cavalleresche mentre con i sudditi, nel quotidiano, fu capace di creare un rapporto affettivo che contribuì a rafforzare la devozione che tutto il regno aveva nei suoi confronti.

Maria Teresa è un personaggio unico che riuscì a trasformare la sua appartenenza al sesso femminile da condizione sintomatica di debolezza a elemento di forza. Le sue capacità come regnante hanno saputo dissolvere i pregiudizi rispetto al suo essere donna e la sua prolificità biologica (partorì sedici figli) la fece apparire non solo come madre di famiglia ma come madre di tutto il popolo.

132

Maria Teresa si rivelò molto abile nell’intrecciare una forte rete diplomatica tramite strategici matrimoni politici sfruttando, soprattutto, le figlie femmine. Ad esempio, Maria Carolina fu destinata al re Ferdinando IV di Napoli mentre Maria Antonietta al delfino di Francia, il futuro re Luigi XVI.

La stessa Maria Carolina si dimostrò una regina riformatrice durante i primi anni di regno. Il consorte, dandole ampio spazio di governo, le permise di creare la colonia di San Leucio. In essa uomini e donne lavoravano assieme in una fabbrica di seta ricevendo la stessa educazione, gli stessi salari e i diritti all’eredità, alla proprietà, all’educazione dei figli e alla scelta del compagno.

Nonostante non fosse mai stata eletta imperatrice, il titolo d’imperatore spettò a suo marito Francesco I, fu sempre Maria Teresa a prendere le decisioni più importanti governando in vece del consorte139.

In seguito, il XIX secolo vedrà un’ulteriore figura femminile imporsi nel panorama politico europeo. A soli diciotto anni, nel 1837, a seguito di una serie di fortuite coincidenze, Vittoria salì al trono del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda.

Sebbene il di lei marito Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha fosse completamente ignorato dalla legislazione, era estraneo alle faccende riguardanti il governo del regno per stessa volontà della regina, ella decise di conferirgli il titolo di principe consorte. Malgrado questa subordinazione dell’uomo rispetto alla donna regina, esternamente Vittoria e Alberto rispecchiavano un amore famigliare che contribuiva al consolidamento della monarchia. L’immagine abilmente costruita dei reali li fece diventare un modello che rispecchiava i valori borghesi di famiglia e amore140. Il processo di rinnovamento culturale, iniziato alla fine del XVIII secolo, avrà bisogno di una lunga incubazione. Sarà solamente tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo che si avrà una reale riconsiderazione del ruolo femminile all’interno della società141.

Ciononostante, alcune figure femminili sono riuscite a distinguersi nel corso di questi due secoli dimostrando come le donne non dovessero essere recluse all’interno dello spazio privato famigliare ma come, poste in un contesto pubblico, potessero contribuire al benessere della cittadinanza come un uomo.

Parallelamente, analizzando come cambia il modo di rappresentare Giuditta nel corso del XIX secolo, appare evidente come queste nuove teorie incentrate sull’emancipazione delle donne si riflettano nei dipinti ritraenti la giovane di Betulia.

139 Ivi, pp. 177-193 140 Ivi, pp. 195-206

133

Giuditta, inizialmente, nel testo biblico ci viene presentata come una donna che rispetta il suo ruolo sociale di vedova. Non partecipa alla vita della cittadinanza rimanendo nei suoi alloggi vestita a lutto e digiunando. Con il proseguire della storia, però, diviene chiaro come ella, superando le rigide impostazioni sociali, riesca a trasformarsi un’arma preziosa per la sua comunità conseguendo un successo che gli uomini non erano riusciti a raggiungere.

Giuditta deve essere fiera di essere donna poiché, esclusivamente in quanto tale, è riuscita a

Documenti correlati