EVOLUZIONE DEL TEMA DI GIUDITTA NEL XVIII SECOLO
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Tra le opere eseguite nel XVIII secolo ne ho selezionate ventisei. La prima è L’angelo ispira
Giuditta [Figura 1] realizzata da Giovanni Giuseppe dal Sole tra il 1697 e il 1716 mentre
l’ultima è un lavoro di Joseph Bernat Flaugier intitolato Giuditta e Oloferne [Figura 26] che l’artista terminò tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.
L’opera di dal Sole, oltre a essere la prima, è anche una delle più singolari di tutta la campionatura. Solitamente, nelle rappresentazioni narranti la storia di Giuditta, tra i personaggi, ritroviamo, oltre alla giovane ebrea e a Oloferne, di cui può essere presente solamente il capo mozzato, l’anziana serva che aiuta la sua signora a uccidere il possente condottiero. Nel caso in cui si tratti del momento in cui la giovane mostra la testa decapitata, sulla scena compare anche il popolo di Betulia.
In L’angelo ispira Giuditta, oltre ai personaggi tipici, viene inserito, nel contesto, un angelo che suggerisce a Giuditta ciò che deve fare per liberare il suo popolo. Questo è l’unico caso, nella selezione che segue, in cui troviamo un personaggio diverso da quelli tradizionali. Tra le ventisei opere otto rappresentano il momento precedente alla decapitazione di Oloferne mentre in diciotto di esse l’omicidio è già stato eseguito. In nessun caso viene mostrato l’atto in sé, nessun dipinto mostra l’esecuzione della decapitazione.
Rispetto alla narrazione biblica diversi sono i frangenti che sono stati scelti dagli artisti nel XVIII secolo.
La maggior parte di loro ha prediletto il momento immediatamente successivo all’omicidio105 durante il quale Giuditta porge la testa recisa alla sua serva che si accinge a porla nella bisaccia106 o la innalza come fosse un trofeo, la testimonianza della propria vittoria.
105 Le opere raffiguranti il momento immediatamente successivo alla decapitazione sono undici.
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Artisti come Francesco Lorenzi [Figura19] o Giuseppe Marchesi [Figura 14], nel raffigurare tale momento, hanno voluto mostrare una Giuditta riconoscente a Dio per la forza datale per compiere un così terribile gesto volgendo gli occhi al cielo.
La gratitudine e la necessità del supporto divino si manifestano anche quando la situazione raffigurata è il frangente precedente al compimento dell’atto. L’esempio più esemplificativo è il dipinto di Giulia Lama Giuditta e Oloferne [Figura 16] delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. La giovane, a mani giunte, prega il Signore di supportarla nel portare a termine una missione tanto ardua ma necessaria.
Il terzo espediente dipinto dagli artisti in questo secolo è il momento in cui Giuditta mostra ai suoi concittadini la testa decapitata di Oloferne; è il simbolo della vittoria del bene sul male. In questi esempi l’atteggiamento della donna, fiera e sicura di sé, è sempre in contrasto con quello degli abitanti di Betulia che appaiono stupefatti, si erano oramai rassegnati alla sconfitta. Credendo di essere stati abbandonati da Dio rimangono meravigliati nel constatare come la volontà del Signore si sia manifestata in un individuo all’apparenza tanto inadatto come una donna.
Solamente due opere si discostano da suddetti momenti classici da me esposti. Si tratta del dipinto, già menzionato, L’angelo ispira Giuditta di Giovanni Giuseppe dal Sole e Giuditta nel
padiglione di Oloferne [Figura 13] di Giuseppe Marchesi. Essi mostrano il frangente in cui
Giuditta si presenta a Oloferne convincendolo della sua resa in modo da poter risiedere all’interno dell’accampamento assiro.
La maggior parte degli artisti che si sono cimentati con questo soggetto nel XVIII secolo sono italiani. Solamente tre non lo sono: Philip van Dijk, olandese, Matthaeus Günther, nato in Baviera, e il pittore francese Joseph Bernat Flaugier.
Tradizionalmente, ci sono due elementi iconografici che permettono di ricondurre il dipinto alla storia di Giuditta: la scimitarra, l’arma materiale con cui viene eseguito l’omicidio, e l’anziana serva.
I pittori che trattano la storia in questo secolo rispettano l’iconologia di Giuditta ma è necessario notare come, progressivamente, suddetti elementi diventino sempre più marginali fino a scomparire.
Ad esempio, Giacomo Zoboli, nella sua versione [Figura 3] realizzata tra il 1708 e il 1713, pone la spada in mano alla giovane ebrea ma nell’inquadratura scelta è possibile vedere solamente l’elsa.
Giovanni Battista Piazzetta esegue quattro dipinti raffiguranti il tema di Giuditta ma solamente in uno di essi [Figura 8], dipinto tra il 1735 e il 1738, inserisce la figura della fidata serva.
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Questa progressiva emarginazione dei fattori secondari della narrazione è dovuta al voler far risaltare la figura di Giuditta rendendola l’elemento catalizzante dell’intera opera. Per questo, sovente, quando la storia si svolge all’interno della tenda di Oloferne, lo sfondo risulta essere neutro o poco dettagliato come accade nelle opere di Giulia Lama [Figura 16] e Jacopo Amigoni [Figura 15] ad esempio.
2.1 Destinazione Sacra e Profana
Tra le ventisei opere selezionate del XVIII secolo quattro vennero destinate a luoghi di culto cristiani. Suddetti lavori sono: l’affresco di Luca Giordano Trionfo di Giuditta [Figura 2] sito presso la Certosa di San Martino, Giuditta [Figura 17] di Giuseppe Tresca per la Chiesa Madre di Capaci, Giuditta e Oloferne [Figura 18] di Marco Benefial per la Basilica Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio e Giuditta con la testa di Oloferne [Figura 24], affresco di Matthaeus Günther per la Basilica di Wilten.
Si tratta di quattro affreschi raffiguranti il momento successivo alla morte del generale Oloferne. Tranne che nell’opera di Tresca, la scena si svolge alle porte di Betulia quando Giuditta mostra al suo popolo la testa decapitata del condottiero assiro, simbolo della fine delle angherie degli invasori. Nell’affresco per la Chiesa Madre di Capaci troviamo Giuditta, sola, affiancata esclusivamente da un cherubino, seduta su una nuvola mentre alza al cielo la testa recisa di Oloferne.
Tra i lavori sopracitati due sono affreschi a soffitto, il Trionfo di Giuditta di Luca Giordano e
Giuditta con la testa di Oloferne di Matthaeus Günther mentre le opere di Marco Benefial e di
Giuseppe Tresca vengono poste lateralmente rispetto ad altri affreschi principali non rappresentanti la storia di Giuditta.
In tutte le opere destinate ad ambienti sacri la giovane di Betulia ci viene presentata come un’eroina dall’animo incorruttibile, fiera di quello che ha dovuto fare in quanto era l’unica soluzione possibile per liberare il suo popolo.
Si può vedere il trionfo della giovane che, tra lo stupore dei suoi concittadini, si innalza sopra loro poiché non ha mai dubitato che il Signore stesse vegliando su di lei dandole la forza necessaria a compiere un così terribile gesto. Il popolo la osserva incredulo e ciò è in contrapposizione con il suo atteggiamento sempre ordinato. Gli abitanti di Betulia si erano oramai rassegnati a un’inevitabile sconfitta finché non è apparsa Giuditta.
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Negli affreschi a destinazione religiosa viene sempre utilizzata la storia biblica come allegoria della vittoria del bene sul maligno facendo emergere una donna forte che, grazie alla fede, è riuscita a sconfiggere il male.
È possibile riscontrare questa visione anche in diverse versioni laiche del tema come nell’opera di Francesco Solimena Giuditta mostra al popolo la testa di Oloferne [Figura 11] ma altri artisti hanno preferito porre in risalto diverse caratteristiche di Giuditta.
Un esempio è l’olio su tela Giuditta con la testa di Oloferne [Figura 10] di Philip van Dijk del 1726. Il pittore olandese pone l’accento soprattutto sul lato seduttivo della vedova facendole scivolare la veste esponendo un seno. Nonostante i pittori settecenteschi tendano a tralasciare l’aspetto erotico di Giuditta, nella Bibbia viene sottolineata in diverse occasioni la procace bellezza della giovane.
Qui si tolse il sacco di cui era rivestita, depose le vesti di vedova, poi lavò con acqua il corpo e lo unse con profumo denso; spartì i capelli del capo e vi impose il diadema. Poi si mise gli abiti da festa, che aveva usati quando era vivo suo marito Manasse. Si mise i sandali ai piedi, cinse le collane e infilò i braccialetti, gli anelli e gli orecchini e ogni altro ornamento che aveva e si rese molto affascinante agli sguardi di qualunque uomo che l’avesse vista.
(Libro di Giuditta, Gdt. 10,3-4)107
Le parole di lei piacquero a Oloferne e ai suoi servi, i quali tutti ammirarono la sua sapienza e dissero: «Da un capo all’altro della terra non esiste donna simile per la bellezza dell’aspetto e il senno della parola».
(Gdt. 11,20-21)108
A parte l’opera di van Dijk, i pittori vestono castamente Giuditta. I ricchi abiti esaltano la bellezza della giovane ma in maniera elegante e mai provocante.
Gli artisti nel XVIII secolo prediligo ancora rappresentare la bella abitante di Betulia come una donna pia timorata di Dio.
Nonostante le opere siano destinate ad ambienti laici, la presenza divina è spesso centrale e il caso in cui ciò è maggiormente evidente è, come è già stato sottolineato, il dipinto di Giulia Lama Giuditta e Oloferne [Figura 16]. La donna, a mani giunte, prega il signore di sostenerla in quest’ardua missione. Sebbene Giuditta sia la protagonista, ella non può trasformarsi nell’eroina di cui ha bisogno Betulia senza l’aiuto divino.
Altri pittori, piuttosto che il lato seduttivo, hanno privilegiato evidenziare la forza della giovane.
107 La Sacra Bibbia, cit., p. 436 108 Ivi., p. 437
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Si veda, ad esempio, il lavoro di Giambattista Piazzetta del 1720 circa [Figura 7] in cui la possente muscolatura della bella vedova viene sottolineata da giochi chiaroscurali. È evidente, in questo caso, l’influenza seicentesca per la resa del corpo ma il punto centrale dell’opera è il far emergere il vigore di Giuditta nei confronti di un uomo che, all’apparenza, era un valoroso condottiero ma, nella realtà, si è rivelato un ingenuo.
La forza si ricollega, in ogni caso, a valori cristiani in quanto non si tratta esclusivamente di una potenza fisica ma di un’incorruttibilità morale ed è per questo che, nella maggior parte dei casi, ella non veste abiti succinti.
In conclusione, la composizione dei lavori laici è più diversificata mentre le opere a destinazione sacra sfruttano sempre il medesimo schema compositivo prendendo a modello il
Trionfo di Giuditta di Luca Giordano [Figura 2].
La storia di Giuditta, come narrata nella Bibbia, mostra molte sfaccettature della giovane ebrea di Betulia. Da fedele vedova che dopo anni di lutto tuttora digiuna e veste abiti neri a seducente bellezza a cui nessun uomo potrebbe dire di no. In seguito, si trasforma ulteriormente in feroce assassina senza timore e, infine, in un’eroina patriottica agli occhi del suo popolo. È su quest’ultima versione che tutti gli affreschi sacri si concentrano in quanto risulta più immediata da comprendere l’allegoria insita nella vicenda. Giuditta rappresenta la vittoria del bene sul male che è possibile ottenere esclusivamente se si continua a credere in Dio e a pregare. La sua storia deve essere una lezione per tutti i fedeli, un incitamento a non smettere mai di credere nel potere e nella bontà del Signore in quanto Egli verrà sempre in soccorso di coloro che osserveranno la sua legge.
Le opere profane si sono rivelate più variegate. Gli artisti possedevano una libertà maggiore nello scegliere che lato della donna far emergere nonostante la maggior parte di loro abbia privilegiato una Giuditta che si trasforma in salvatrice ma esclusivamente grazie al sostegno divino.
2.2 L’oratorio vivaldiano Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie
Il 4 marzo 1678 nacque, a Venezia, il compositore Antonio Vivaldi. Si avvicinò alla musica tramite il padre Giovanni Battista, direttore della cappella di San Marco.
Accostò alla carriera musicale il sacerdozio, cosa alquanto usuale tra il XVII e il XVIII secolo, ricevendo la tonsura nel 1693 dal patriarca di Venezia.
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Nel 1704 compare, per la prima volta, il nome di Vivaldi nel registro contabile dell’Ospedale della Pietà come maestro di violino. Suddetta struttura era un ente tipicamente veneziano. Considerando la frequenza con cui la Serenissima si trovava coinvolta in azioni belliche ne consegue un alto numero di orfani bisognosi d’aiuto in città. Per questo motivo, a partire dal XIV secolo, si fondarono degli orfanotrofi in genere annessi agli ospedali e mantenuti sia tramite denaro pubblico che privato. Queste organizzazioni venivano chiamate “Ospedali” e, alcune di esse, si distinsero per la notevole qualità dei concerti che venivano dati regolarmente. Il canto corale divenne un elemento fondamentale nell’istruzione data agli orfani sia dal punto di vista religioso che pedagogico.
Vivaldi, nonostante fosse entrato all’Ospedale della Pietà come insegnante di violino, in seguito sicuramente contribuì anche come compositore, talvolta dirigendo il coro, e fu proprio in questi anni che cominciò a distinguersi come giovane musicista consolidando la sua fama a Venezia. Nel 1716109 compose un’opera inconsueta per il suo repertorio: l’oratorio Juditha Triumphans
devicta Holofernis barbarie110.
Il libretto, realizzato da Giacomo Cassetti, indica come luogo dell’esecuzione la chiesa della Pietà111 [Figura 62].
Per oratorio si intende un genere drammatico, nato in Italia a partire dal XVII secolo, il cui libretto prevedeva argomenti religiosi quali, ad esempio, episodi biblici, agiografie di santi o poteva presentare un contrasto tra entità soprannaturali112.
La riduzione librettistica operata da Cassetti per Vivaldi, in latino, è tratta dal Libro di Giuditta e comprende esclusivamente i capitoli dal decimo al quattordicesimo.
Comincia nel momento in cui Giuditta chiede di essere presentata al cospetto del generale assiro Oloferne il cui esercito si stava preparando a conquistare la città di Betulia e termina con il ritorno in città della giovane dopo aver decapitato il nemico invasore.
Nonostante gli Ospedali non ponessero delle restrizioni nella scelta delle protagoniste femminili presenti negli oratori, è naturale che la prescelta dovesse offrire un modello alle figlie del coro ma per quanto riguarda quest’opera l’intento principale era un altro.
È necessario ricordare che, nel 1716, la Repubblica di Venezia stava affrontando, da due anni, una guerra contro l’Impero Ottomano e fino a questo momento la Serenissima si trovava in
109 Nel tradizionale calendario more veneto questa data può comprendere un giorno tra il 1 marzo 1716 e il 28 febbraio 1717.
110 Kolneder Walter, Vivaldi, Milano, Rusconi, 1978, pp. 19-28
111 Juditha Triumphans. Devicta Holofernis barbarie. Giuditta trionfante sulle barbarie di Oloferne, libretto d’opera di Giacomo Cassetti su musica di Antonio Vivaldi, Venezia, Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, Stagione Lirica-Balletto 2014-2015, p.21
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difficoltà essendo già stata sconfitta nel Peloponneso, nell’Egeo e assediata presso l’isola di Corfù. Nell’anno in cui verrà composto l’oratorio, però, c’è una svolta, riesce a trovare l’appoggio dell’Impero Asburgico dispiegando, così, un numero maggiore di forze militari.
Juditha Triumphans è un’opera nata con intenti propagandistici per promuovere lo sforzo della
città lagunare contro i turchi invasori. Vivaldi e Cassetti dovevano trovare una storia che riflettesse il messaggio patriottico che volevano comunicare. La scelta ricadde su un soggetto già noto nell’ambito degli oratori: Giuditta.
Il testo biblico diventò un’allegoria dello scontro che Venezia stava duramente affrontando; così Giuditta si trasforma nella stessa città, Oloferne nel sultano di Costantinopoli, Vagaus, l’eunuco che si occupa di tutti gli affari del condottiero assiro, nel Gran Visir, Abra, la fidata ancella, è un’allegoria della fede mentre Ozias equivale al papa. Si può aggiungere che Betulia rappresenta la chiesa e il coro delle vergini la cristianità. Cassetti, come se ciò non fosse già stato chiaro durante la lettura del libretto, ci tiene a puntualizzarlo con un poemetto allegorico che inserisce nel finale dell’oratorio.
Alcuni espliciti riferimenti a Venezia sono:
Gaude, felix Bethulia, lætare, consolare,
urbs nimis afflicta. Cælo amata, es fortunata,
inter hostes semper invicta. Ita decreto æterno
VENETI MARIS urbem inviolatam discerno, sic in Asia Holoferni impio tyranno
urbs virgo gratia Dei semper munita
erit nova JUDITHA
Godi, felice Betulia, rallegrati, consolati,
città sin troppo afflitta. Amata dal cielo,
baciata dalla sorte amica,
sarai sempre invincibile presso i nemici. Così come discerno
La città del VENETO MARE Inviolata per decreto eterno, così in Asia la città vergine, sempre protetta dalla grazia di Dio, sarà per l’empio tiranno Oloferne una nuova GIUDITTA
È con queste parole che Ozias accoglie Giuditta, trionfante, in ritorno a Betulia. Inoltre, il coro delle vergini, immediatamente successivo, esulta con questi versi:
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Salve, invicta Juditha formosa, patriæ splendor, spes nostræ salutis.
Summæ norma tu vere virtutis Eris semper in mundo gloriosa. Debellato sic barbaro trace, triumphatrix sit MARIS REGINA,
et placata sic ira divina ANDRIA vivat, et regnet in PACE
Salve, bella e invincibile Giuditta, splendore della patria e speranza della nostra salvezza.
Vero modello di somma virtù In eterno sarai sempre nel mondo. Sconfitto il barbaro trace,
trionfi la REGINA DEL MARE, e, placata l’ira divina,
ANDRIA viva e regni in PACE
Cassetti reclama il parallelismo tra Giuditta e Venezia113 e tra Oloferne e il sultano turco che viene definito come un trace. Nella Bibbia egli è un condottiero assiro mentre le vergini lo identificano come un abitante della parte sudorientale dei Balcani che, al tempo della composizione, era sotto il dominio ottomano114.
La scelta di una donna come rappresentante di Venezia non deve stupire in quanto, tradizionalmente, le città venivano impersonificate da soggetti femminili115.
Quello che Vivaldi e Cassetti sottolineano nell’opera è la forza di Giuditta, una vera patriota pronta a sacrificare la sua stessa vita pur di liberare la sua città.
Se per patriottismo s’intende un sentimento di vivo amore e devozione per la patria116, Giuditta incarna perfettamente quest’atteggiamento.
Patria è l’ambiente territoriale a cui si riferiscono le esperienze affettive e morali di Giuditta e con il cui popolo condivide tradizioni e cultura117. È per questo che ella è pronta a sacrificare la sua stessa vita per la possibilità di salvare gli abitanti di Betulia.
113 Nei versi pronunciati dal coro delle vergini Venezia viene identificata come Andria. Si tratta dell’antica città costiera che diede il nome al Mar Adriatico ma, molto spesso, è un termine che si sostituisce al vocabolo Venezia. Talbot Michael, The sacred vocal music of Antonio Vivaldi, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1995, p. 416 114 Juditha Triumphans. Devicta Holofernis barbarie. Giuditta trionfante sulle barbarie di Oloferne, libretto d’opera di Giacomo Cassetti su musica di Antonio Vivaldi, Venezia, Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, Stagione Lirica-Balletto 2014-2015
115 Si ricordi, a tal proposito, puramente come esempio, Venezia riceve da Nettuno i doni del mare, opera realizzata da Giambattista Tiepolo nel 1745 e sita presso Palazzo Ducale a Venezia e il trittico La Giustizia in trono tra gli
arcangeli Gabriele e Michele di Jacobello Del Fiore realizzato nel 1421 circa e anch’esso, originariamente,
destinato a una sala di Palazzo Ducale (si trovava presso la sede della corte civile e penale ma attualmente è conservato nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia).
116 Patriottismo, in Dizionario Enciclopedico di arti, scienze, tecniche, lettere, filosofia, storia, geografia, diritto,
economia, a cura di Edigeo, Bologna, Zanichelli, 1996, p. 1354
117 Patria, in Il Devoto-Oli. Vocabolario della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Maurizio Trifone, Firenze, Le Monnier, 2006, p. 1971
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Impii, indigni, tyranni Conopeo hic apensum Denudo ferrum, ictus tendo, infelicem
Ab Holofernis busto, Deus, in nomine tuo, scindo cervicem.
Salvate, o pia tentoria,
in vobis semper clara, et cælo et mundo sit alta victoria.
La spada dell’empio e indegno tiranno
Appesa ai piedi del letto, ecco la snudo, sferro un colpo, e dal corpo di Oloferne, nel tuo nome, o Dio, tronco la testa.
Addio, tenda provvidenziale, la grande vittoria che avvenne qui dentro
sarà sempre celebrata in cielo e in terra.
Nei versi pronunciati dalla giovane nel momento esatto della decapitazione non emerge alcun dubbio riguardo a ciò che deve fare in quanto la fede è sempre con lei. Sa che questo gesto è l’ultima possibilità per liberare la sua patria dagli invasori.
La Giuditta vivaldiana è un’eroina, donna perché la divina provvidenza spesso si affida agli