Corso di Laurea Magistrale
in Storia delle arti e
conservazione dei beni artistici
ordinamento ex. D. M. 270/2004Tesi di Laurea
Evoluzione dell’immagine
biblica di Giuditta tra il XVIII e il XX
secolo
Relatore
Ch. Prof. Sergio Marinelli
Correlatore
Ch. Prof. Maria Chiara Piva
Laureando
Alessandra Campalto Matricola 840911
Anno Accademico
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INDICE
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INTRODUZIONE………. 4
CAPITOLO 1 CAMPIONATURA………. 8
CAPITOLO 2 EVOLUZIONE DEL TEMA DI GIUDITTA NEL XVIII SECOLO……. 113
2.1 Destinazione Sacra e Profana……… 115
2.2 L’oratorio vivaldiano Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie………. 117
CAPITOLO 3 EVOLUZIONE DEL TEMA DI GIUDITTA NEL XIX SECOLO……… 125
3.1 La nuova donna ottocentesca tra emancipazione e discriminazione……… 127
3.2 Orientalismo: Giuditta da vedova cristiana a figura esotica e seducente………. 136
3.3 Giuditta come femme fatale………. 140
CAPITOLO 4 EVOLUZIONE DEL TEMA DI GIUDITTA NEL XX SECOLO………. 146
4.1 Giuditta: tragedia in cinque atti di Friedrich Hebbel……… 147
4.2 Il tabù della verginità……… 154
4.3 Confusione ed equivalenza tematica Giuditta Salomè……… 160
CONCLUSIONE………. 184
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI……… 188
BIBLIOGRAFIA………...194
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INTRODUZIONE
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Fin dal Medioevo i pittori, specialmente europei, sono rimasti affascinati da un’ambigua figura femminile presente nell’Antico Testamento: Giuditta.
Sono innumerevoli le opere, a partire dai codici miniati del XIII e XIV secolo, dedicate alla giovane e bella vedova ebrea che sola, ma con l’aiuto divino, è riuscita a liberare la città di Betulia assediata dall’esercito assiro condotto dal generale Oloferne. Grazie alla sua bellezza e alla sua astuzia è riuscita a insidiarsi nella tenda del comandante nemico decapitandolo. Nei secoli è stata incarnazione di virtù diverse trasformandosi da esemplare donna cristiana, timorata di Dio, a incarnazione di sentimenti patriottici per poi tramutarsi in una pericolosa
femme fatale.
Nel Rinascimento Giuditta viene rappresentata da artisti quali, ad esempio, Mantegna, Botticelli e Michelangelo come esempio di virtù cristiana che fa prevalere il bene sul male per volere divino.
Al termine del XVI secolo, però, a partire dalla raffigurazione che ne dà Caravaggio nel dipinto eseguito tra il 1598 e il 1599, gli artisti sceglieranno un’interpretazione più realistica della scena non temendo di dipingere la crudeltà legata a un atto così terribile come la decapitazione1. Le mutazioni date alla lettura di suddetta storia biblica non terminano con Caravaggio ma proseguono fino ai giorni nostri perché, tutt’ora, la figura di Giuditta continua ad attrarre artisti diversi che vogliono donarci la propria visione di quest’eroina ebrea.
La sua storia viene narrata nel Libro di Giuditta contenuto all’interno della Bibbia cristiana cattolica.
Suddetto venne redatto, presumibilmente, attorno al III secolo a. C., poi tradotto da San Girolamo a partire da un testo in greco e aramaico poiché la versione originale in lingua ebraica era andata perduta.
1 Attorno a Klimt. Eroismo e seduzione, catalogo della mostra (Mestre, Centro Culturale Candiani, 14 dicembre – 5 marzo 2017), a cura di Gabriella Belli, Venezia, lineadaacqua, 2016, pp. 9-10
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Entrò a far parte della Bibbia cristiana cattolica e in quella ortodossa dopo molte perplessità dato il suo carattere novellistico che non permette di distinguere gli episodi immaginari da quelli realmente accaduti2. Fu durante il concilio di Trento, nel XVI secolo, per quanto riguarda i cattolici, che si decise il canone accettando i libri deuterocanonici3 come canonici mentre i cristiani ortodossi stabilirono il loro canone nel XVII secolo.
Tutt’ora non fa parte del canone ebraico ma viene utilizzato come midrash4 durante la festa di Hanukkah mentre i cristiani protestanti lo considerano un libro apocrifo5.
Secondo la narrazione, Nabucodonosor, re degli assiri, ordinò a Oloferne, generale supremo del suo esercito, di compiere una campagna di conquista contro tutti i paesi occidentali che non si erano voluti sottomettere al suo potere.
La spedizione bellica si rivelò vittoriosa finché l’esercito non giunse nei pressi della comunità di Betulia.
Qui Oloferne decise di assediare la città; il piano prevedeva di accamparsi nei pressi della pianura che circondava Betulia impedendo a qualsiasi mezzo di sopravvivenza di entrarvici. Vedendosi perire di stenti, gli Israeliti, sarebbero stati costretti alla resa.
Il panico cominciò a diffondersi tra il popolo assediato il quale, provato dalla fame e dalla sete, si oppose agli anziani che avevano stabilito di non acconsentire alla pace con Oloferne. Si concordò di aspettare ancora cinque giorni e se Dio, in questo lasso di tempo, non fosse intervenuto in loro aiuto si sarebbero arresi.
Giuditta era una giovane e ricca abitante di Betulia oramai vedova da tre anni al momento della narrazione. Da quando suo marito Manasse era deceduto portava gli abiti della vedovanza nonostante fosse molto bella e avvenente.
Giunta a conoscenza delle sorti del suo popolo, ella si recò da uno dei capi della città, Ozia, e lo informò che, tramite l’aiuto di Dio, aveva progettato un piano per salvare il suo popolo dalla
2 Rabano Mauro, Commentario al libro di Giuditta, edizione critica a cura di Adele Simonetti, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2008, p. XI
3 I Libri di Tobia, Giuditta, Sapienza, Siracide, Baruch, 1 e 2 Maccabei e le aggiunte greche a Ester e a Daniele sono stati considerati deuterocanonici dai cristiani cattolici fino al Concilio di Trento (1545-63) e dai cristiani ortodossi fino ai Concili di Jassi (1642) e di Gerusalemme (1672).
Piccolo dizionario del dialogo ebraico-cristiano, a cura di Leon Klenicki e Geoffrey Wigoder, Genova, Marietti,
1988, p. 29
4 Il termine midrash si riferisce alla ricerca approfondita svolta dai maestri ebraici all’interno del testo biblico. Il vocabolo può riferirsi sia all’indagine stessa all’interno dei testi sacri che ai risultati ottenuti che ai libri contenenti suddetti esiti ma, ed è l’utilizzo del termine che più si addice al nostro caso, midrash comprende anche l’insegnamento di tale ricerca. Ciò significa che, durante la festa di Hanukkah, i rabbini espongono ai fedeli ciò che hanno appreso dal Libro di Giuditta, nonostante si tratti di un testo non canonico.
Zegdun Jehuda, Il mondo del midrash, Roma, Carucci editore Roma, 1980, pp. 13-14
5 Juditha Triumphans. Devicta Holofernis barbarie. Giuditta trionfante sulle barbarie di Oloferne, libretto d’opera di Giacomo Cassetti su musica di Antonio Vivaldi, Venezia, Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, Stagione Lirica-Balletto 2014-2015
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furia assira. Per portare a termine il disegno divino, era necessario lasciarla uscire dalle mura assieme a una fidata ancella. Ozia acconsentì e Giuditta si tolse gli abiti da vedova indossando quelli da festa il che la rese molto affascinante agli occhi di qualunque uomo.
Affidò alla sua serva un otre di vino e una bisaccia colma di viveri e si diresse verso l’accampamento nemico.
Giunta nel campo assiro fu subito avvistata dalle sentinelle a cui riferì di voler fuggire dagli ebrei in quanto stavano per essere consegnati e chiese di essere accompagnata alla presenza di Oloferne.
Grazie alla bellezza posseduta e alle doti diplomatiche, Giuditta riuscì a persuadere il comandante della propria resa ottenendo il permesso di rifugiarsi nell’accampamento.
Rimase per tre giorni nel campo assiro. Il quarto, Oloferne organizzò un banchetto riservato ai suoi servi al quale invitò anche la giovane vedova ebrea che cercava di sedurre dal primo giorno. Il generale si deliziò della presenza della donna e bevve tanto vino quanto non ne aveva mai bevuto in un solo giorno.
Quando si fece buio i servi si ritirarono e nella tenda rimasero solamente Giuditta e Oloferne il quale, però, a causa della quantità di vino bevuta, si accasciò ebbro sul divano. In quel momento la donna si avvicinò al letto ed estrasse la scimitarra del nemico, lo afferrò per la chioma e lo colpì due volte al collo decapitandolo.
Senza indugio uscì dalla tenda consegnando la testa alla sua ancella che la mise nella bisaccia dov’erano contenuti i viveri. Entrambe si allontanarono dall’accampamento indisturbate poiché erano solite farlo per recarsi a pregare.
Giunsero alle porte della città di Betulia; entrate, Giuditta estrasse il capo reciso e lo mostrò al suo popolo che rimase stupefatto dall’impresa compiuta dalla donna e ringraziò Dio per la salvezza così ottenuta.
La testa di Oloferne fu appesa sulle mura della città e quando gli assiri, il giorno dopo, scoprirono il corpo decapitato del loro comandante, fuggirono in preda alla disperazione6. L’elaborato che segue analizzerà com’è cambiato il modo di rappresentare Giuditta nelle opere d’arte pittoriche ma, a causa della vastità di lavori contenenti tale soggetto, è stato necessario imporre un limite temporale.
Difatti la tesi esaminerà una selezione di opere eseguite tra il XVIII e XX secolo. Si tratta di un arco di tempo che, pur non vedendo scomparire opere con suddetto tema, ha riscontrato un calo quantitativo di lavori eseguiti.
6 La Sacra Bibbia. Versione ufficiale CEI, edizione a cura della Unione Editori e Librai Cattolici Italiani, 18 ed., Roma, Cooperativa Promozione Culturale S.r.l., 2005, pp. 428-441
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Nonostante tale diminuzione, non è stato sufficiente porre delle barriere temporali ma all’interno di esse ho dovuto selezionare un gruppo di opere da analizzare in quanto non sarebbe stato possibile, in un progetto come una tesi di laurea, catalogare tutte quelle eseguite.
Ho valutato esattamente sessantuno lavori che mi hanno permesso di vedere come, in soli tre secoli, si sia modificato il modo di considerare questa donna e la relativa immagine.
I dipinti che osserveremo sono significativi per capire come le raffigurazioni di Giuditta si adattino a rappresentare valori universali che si manifestano, parallelamente, nell’intera società. Tali lavori sono legati, principalmente, alla crescente consapevolezza di uguaglianza tra genere maschile e femminile e alla paura che ne consegue per gli uomini.
I capitoli che seguiranno saranno quattro. Nel primo verrà esposta la campionatura dei lavori selezionati e per ognuno sarà fatta una descrizione sintetica dell’opera.
Le successive tre sezioni saranno dedicate all’evoluzione del tema di Giuditta nei tre secoli citati, ogni capitolo verterà su come viene rappresentata la giovane in quel preciso arco temporale.
Tradizionalmente, del Libro di Giuditta, vengono raffigurati gli attimi a ridosso della decapitazione di Oloferne. A volte si tratta degli istanti precedenti all’omicidio, altre delle situazioni che nascono in seguito all’atto già compiuto o, infine, viene dipinto il momento esatto del taglio della testa.
I personaggi ritratti sono sempre gli stessi: Giuditta, Oloferne, o la sua testa già decapitata, l’anziana serva e, più raramente, i soldati assiri al seguito del possente condottiero. Solamente quando viene riprodotto il momento in cui la giovane mostra la testa al popolo di Betulia vengono posti, nella scena, anche i concittadini della bella ebrea.
Nell’elaborato che segue osserverò, inoltre, quale momento è stato privilegiato per essere rappresentato e come cambia il ruolo dei soggetti coinvolti a seconda di cosa deve comunicare la figura di Giuditta.
Per quanto riguarda il XX secolo ho deciso di giungere fino al 1927 con le opere di Franz von Stuck che hanno visto il pieno completamento della trasformazione di Giuditta da serva di Dio a pericolosa femme fatale sotto l’influenza degli scritti di personaggi come Friedrich Hebbel e Sigmund Freud.
Se nelle prime opere vedremo come la giovane è il mezzo tramite cui si manifesta la volontà divina di far prevalere il bene sul male che vessa i fedeli, nel Novecento Giuditta è diventata una spietata vendicatrice che, consapevole del potere che può avere sugli uomini, lo utilizza per sopraffare Oloferne come rappresentante di tutto il genere maschile.
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CAPITOLO 1
CAMPIONATURA
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Giovanni Giuseppe dal Sole (1654-1719)
Giovanni Giuseppe dal Sole nasce a Bologna il 10 dicembre 1654. Il padre era il pittore Antonio Maria dal Sole, il quale lo spinse alla pratica del disegno oltre che allo studio dei classici. Lo affidò al suo amico e pittore Domenico Maria Canuti, direttore di una rinomata scuola di pittura a Bologna.
Dal Sole visitò spesso, in quegli anni, la casa del conte Alessandro Fava dove poté ammirare i lavori dei fratelli Carracci finché, su consiglio dello stesso, non cominciò a frequentare la scuola del Pasinelli per poi abbandonarla negli anni Novanta del XVII secolo per aprire una bottega propria.
Il suo stile si è distinto per una commistione di suggestioni neovenete con elementi tratti dai grandi classici bolognesi del XVII secolo.
Morì il 22 luglio 17197.
L’angelo ispira Giuditta
L’opera [Figura 1], realizzata da Giovanni Giuseppe dal Sole durante un soggiorno presso la città di Verona nel 1697, rappresenta il momento in cui Giuditta si presenta al generale assiro Oloferne mentre un angelo le suggerisce all’orecchio il comportamento che avrebbe dovuto tenere8.
La giovane, riccamente vestita, ascolta attentamente le parole dell’angelo mentre il generale, fieramente rappresentato, guarda nella sua direzione.
7 Vodret Adamo Rossella, Giovan Gioseffo dal Sole, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 32, Catanzaro, La Terza, 2004, pp. 253-258
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Nell’accampamento, inoltre, è presente l’anziana serva, soggetto che, tradizionalmente, viene inserito nelle rappresentazioni di questo racconto.
Si tratta di una nuova interpretazione dell’episodio biblico in cui l’artista non rappresenta l’uccisione di Oloferne ma il momento in cui ciò viene suggerito a Giuditta9.
L’artista inserisce nell’opera un personaggio che, solitamente, non viene accostato all’iconografia classica di questo tema, l’angelo, simbolo del supporto e del consenso divino nell’ultimare l’atto che la giovane donna si sta accingendo a compiere.
9 Thiem Christel, Giovan Gioseffo Dal Sole. Dipinti affreschi disegni, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1990, p. 102
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Luca Giordano (1634-1705)
Luca Giordano nasce a Napoli il 18 ottobre 1634. Si forma presso la bottega di Jusepe de Ribera del quale rimane allievo fino al 1649-50. Successivamente viaggia tra Parma, Venezia, Firenze e Roma dove, in tre anni di soggiorno, si dedica alla copia dei lavori di Raffaello e di Giulio Romano.
È nella città capitolina che entra in contatto con Pietro da Cortona del quale studia gli schemi compositivi e i valori coloristici10. Dal 1692 al 1702 lavora presso la corte di Madrid.
Giordano muore a Napoli nel 170511.
Trionfo di Giuditta
Il Trionfo di Giuditta [Figura 2], affresco per la Cappella del Tesoro della Certosa di San Martino a Napoli12, è un lavoro realizzato da Luca Giordano nel 1704 circa. L’affresco a soffitto mostra una Giuditta vittoriosa la quale, esibendo la testa decapitata dell’assiro Oloferne, incita gli Israeliti alla battaglia.
La composizione, ultimo lavoro dell’artista prima della morte, rappresenta il momento successivo all’assassinio di Oloferne. È una composizione alquanto affollata e, tra i numerosi personaggi, possiamo distinguere, negli angoli, quattro donne del Vecchio Testamento.
I soggetti ai margini dell’affresco, tra cui Giuditta che si alza sugli altri, vengono dipinti con tonalità delicate che divengono luce dorata e intensa al centro dello spazio13.
Se da un lato dell’affresco troviamo la giovane vedova ebrea che mostra la testa mozzata come fosse un trofeo, dal lato opposto si intravede la tenda dove è stato compiuto il terribile delitto. Per dilatare lo spazio della modesta cappella, Giordano sceglie la soluzione di un racconto continuo tramite la posizione dei personaggi che creano una circolarità ininterrotta14.
L’opera è uno dei primi esempi in cui Giuditta viene rappresentata come un’eroina patriottica; la decapitazione si è rivelata un atto necessario per ottenere un bene superiore, la liberazione del suo popolo. È un esempio di donna pronta a sacrificare la sua stessa vita pur di salvare i suoi concittadini. La determinazione e la sua forza vengono espresse dalla posizione trionfale con cui viene raffigurata.
10 Ferrari Oreste, Scavizzi Giuseppe, Luca Giordano. L’opera completa, Napoli, Electa Napoli, 1992, p.26 11 Vitzthum Walter, Luca Giordano, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1966 (I maestri del colore, 172)
12 La forma del soffitto della Cappella del Tesoro nella Certosa di San Martino è un quadrato leggermente convesso, per questo viene spesso chiamata “scodella”.
Scavizzi Giuseppe, Luca Giordano. La vita e le opere, Napoli, Prismi Editrice, 2008, p. 257 13 Ibidem.
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Giacomo Zoboli (1681-1767)
Giacomo Zoboli nasce a Modena il 23 maggio 1681 dove diviene allievo di Francesco Stringa con il quale eseguirà dei lavori per il Palazzo Ducale di Modena. In seguito alla morte del maestro, nel 1709, si trasferisce a Bologna per seguire un corso tenuto da Giovanni Giuseppe dal Sole.
Nel 1715 Zoboli si sposta a Roma dove, nel 1718, diventerà membro dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon e, nel 1725, dell’Accademia di San Luca15.
Morirà a Roma il 23 febbraio 176716.
Giuditta con la testa di Oloferne
Tra il 1708 e il 1713 Giacomo Zoboli realizza l’opera Giuditta con la testa di Oloferne [Figura 3] conservata presso la Galleria Estense di Modena.
La scena rappresenta il momento successivo alla decapitazione di Oloferne per opera della giovane vedova ebrea.
Centralmente troviamo Giuditta, in una mano tiene la scimitarra, l’arma del delitto, e nell’altra afferra per i capelli, sollevandola, la testa mozzata del comandante assiro.
Lo sguardo è rivolto verso l’alto in segno di gratitudine verso Dio che le ha permesso di compiere un atto così terribile come l’omicidio ma necessario per liberare il suo popolo. Il capo di Oloferne, così elevato, diviene il simbolo della vittoria del bene sul male.
La scena si svolge all’interno della tenda del generale e, oltre a Giuditta, alle sue spalle, possiamo individuare l’anziana serva a sinistra mentre il corpo oramai senza vita di Oloferne si trova a destra.
Questi elementi risultano rimanere nella penombra mentre una luce proveniente dall’alto illumina Giuditta esaltandone la bellezza e la ricchezza delle vesti. La giovane, in questo modo, risulta essere la protagonista indiscussa della scena, difatti, attorno a lei, è tutto dominato dall’oscurità. Ella, invece, pare emanare luce in quanto testimone della volontà divina sulla terra.
15 Negro Emilio, Giacomo Zoboli, in The Dictionary of Art, vol. 33, New York, Grove Press, 1996, p. 690 16 Guerrieri Borsoi Maria Barbara, Disegni di Giacomo Zoboli, Roma, De Luca Editore, 1984, pp. 14-15
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Giovanni Antonio Pellegrini (1675-1741)
Giovanni Antonio Pellegrini, nato a Venezia il 29 aprile 1675, fu allievo di Paolo Pagani e con il maestro lavorò in Boemia per sei anni.
Assieme alla moglie Angela Carriera, sorella della nota pittrice Rosalba, viaggiò in Europa tra l’Inghilterra e la Germania dove ricevette diverse commissioni; in Italia operò a Venezia, Roma, Padova e Trento.
Nel 1719 Pellegrini giunse a Parigi dove, tramite il banchiere Pierre Crozat, conobbe il principe reggente di Francia, Filippo d’Orléans.
Morì nella sua città natale il 2 novembre 174117.
Giuditta con la testa di Oloferne
L’opera [Figura 4] di Giovanni Antonio Pellegrini rappresenta una scena successiva alla decapitazione di Oloferne; si tratta del momento in cui Giuditta porge la testa del defunto alla serva.
La rappresentazione si svolge all’interno della tenda del condottiero assiro ma l’artista si focalizza sulla giovane ebrea che guarda direttamente verso lo spettatore nascondendo, nella penombra, il corpo del generale18.
La luce sottolinea le forme della donna, in particolare le braccia e le mani, le quali tengono, da una parte, la testa mozzata e dall’altra la spada con cui è stato compiuto il delitto.
A differenza di altri dipinti contemporanei, Giuditta non porge lo sguardo verso l’alto alla ricerca di una legittimazione divina ma guarda direttamente verso lo spettatore terreno evidenziando, in questo modo, l’umanità universalizzante della donna. La Giuditta rappresentata da Pellegrini non necessita del consenso divino per fare quello che è necessario per salvare il suo popolo.
La scena si svolge in un’apparente tranquillità, l’evento drammatico è oramai terminato e dal volto della giovane, vestita di ricchi ornamenti, non traspare alcun pentimento.
17 Lucchese Enrico, Giovanni Antonio Pellegrini, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 82, Catanzaro, La Terza, 2004, pp. 133-138
18 Judith and her maidservant with the head of Holofernes, http://barber.org.uk/giovanni-antonio-pellegrini-1675-1741/, in data 14/06/2018
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Giuseppe Bartolomeo Chiari (1654-1727)
Giuseppe Bartolomeo Chiari nasce nel 1654 a Roma dove passò la giovinezza studiando presso la scuola di Carlo Maratta e ottenendo un’educazione di stampo classicista e accademico. Alternò commissioni di affreschi per chiese romane ad altre per collezioni private sempre a soggetto religioso o storico.
Significativa fu la protezione che ricevette da papa Clemente XI che gli richiese dodici cartoni per la decorazione della cupola della Presentazione in S. Pietro. Ciò gli fece ottenere, in seguito, ulteriori lavori.
Nel 1697 Chiari venne ammesso all’Accademia di S. Luca della quale divenne, per tre volte, principe.
Morì a Roma l’8 settembre 172719.
Giuditta con la testa di Oloferne
Il dipinto Giuditta con la testa di Oloferne [Figura 5] di Giuseppe Bartolomeo Chiari, attualmente sito presso Palazzo Braschi a Roma, rappresenta il momento nel quale Giuditta, dopo aver decapitato il nemico Oloferne, mostra la testa dell’uomo al popolo di Betulia fuori le mura della città (è possibile intravedere la fortificazione alle spalle della donna).
La giovane, in una posizione sopraelevata rispetto agli altri personaggi, esibisce la testa come fosse un trofeo; è il simbolo della vittoria del bene sul male. Grazie al suo gesto la sua città è stata liberata.
Il porre Giuditta in un punto simile non è una scelta casuale. Ella si eleva rispetto ai suoi concittadini, si è distinta da loro poiché, spesso, la divina provvidenza, per compiere grandi opere come la liberazione del popolo di Betulia, si affida a strumenti inaspettati. Giuditta è una donna che sola è riuscita a sconfiggere un potente condottiero come Oloferne.
L’atteggiamento e la posa fiera della giovane ebrea ricordano l’affresco di Luca Giordano
Trionfo di Giuditta realizzato per la Certosa di San Martino a Napoli tra il 1703 e il 1704.
Dai gesti degli uomini si percepisce lo stupore generato dall’impresa della giovane donna mentre il volto di lei esprime fierezza e nessun pentimento; diviene, così, una figura patriottica. Come da tradizione, al fianco della bella vedova, possiamo vedere la fidata serva che tra le mani ancora porta la bisaccia con cui è stata trasportata la testa del comandante assiro.
19 Scavizzi Giuseppe, Giuseppe Bartolomeo Chiari, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 24, Catanzaro, la Terza, 2004, pp. 562-654
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Giovanni Battista Piazzetta (1682-1754)
Figlio di uno scultore e intagliatore, Giovanni Battista Piazzetta nasce a Venezia il 13 febbraio 1682.
Studiò presso la scuola di Antonio Molinari ricevendo un insegnamento che lo portò verso una pittura chiaroscurale, in linea con la tradizione seicentesca.
Successivamente intraprese un viaggio a Bologna per studiare i lavori dei fratelli Carracci e di Guercino.
Durante il soggiorno bolognese Piazzetta conoscerà l’artista Giuseppe Maria Crespi che influenzerà i suoi lavori seguenti20.
La fama dell’artista crebbe costantemente fino alla vittoria, entro il 1723, del concorso indetto per la decorazione della cappella di San Domenico sita nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia a cui parteciparono, inoltre, Giambattista Tiepolo e Mattia Bortoloni.
Nonostante la nomina a direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 1750, Piazzetta trascorse gli ultimi anni della sua vita in uno stato di indigenza fino alla morte sopraggiunta il 29 aprile 175421.
Giuditta e Oloferne
La scena dell’opera Giuditta e Oloferne [Figura 6] di Piazzetta, realizzata tra il 1715 e il 1720 e attualmente sita presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica a Roma, rappresenta l’attimo precedente all’assassinio del generale Oloferne.
L’artista tornerà più volte negli anni su questo tema raffigurando sempre lo stesso momento della storia ma con scelte stilistiche differenti.
Nel primo esemplare la luce illumina la centrale figura di Giuditta mentre l’inerme generale assiro viene posto nella penombra.
La giovane vedova, mentre con una mano si fa strada tra i tendaggi, con l’altra scioglie il laccio che tiene legata la spada che pare levitare in aria, retta solamente dalle esili dita della donna. La completa attenzione di Giuditta è assorbita da qualcosa in alto a destra, nella stessa direzione della spada, arma che simboleggia ciò che sta per accadere.
Piazzetta ha deciso di eliminare il personaggio della serva, tradizionalmente rappresentata in questa storia biblica, evidenziando, in questo modo, la figura di Giuditta22.
20 Giambattista Piazzetta. Il suo tempo, la sua scuola, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Loredan Vendramin Calergi, 1983), a cura di Attila Dorigato e Rodolfo Pallucchini, Venezia, Marsilio Editori, 1983, pp. 45-47 21 Ton Denis, Giovanni Battista Piazzetta, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 83, Catanzaro, La Terza, 2004, pp. 110-116
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Il gesto con cui la donna scosta la cortina che circonda il letto fa assumere alla scena un aspetto teatrale come se i tendaggi fossero un sipario e aprendosi presentassero allo spettatore una scena drammatica segnata da forti contrasti di luce23.
Malgrado la drammaticità del momento, però, Giuditta non appare turbata ma sicura di sé. È una donna consapevole di quale sia la sua missione e, nonostante l’atrocità del gesto che deve compiere, sa che si tratterà di un’azione necessaria per l’ottenimento di un bene superiore: la liberazione del suo popolo dalle angherie del nemico. Nonostante ciò, la figura della giovane risulta essere aggraziata e delicata.
Giuditta e Oloferne
Nel 1720 circa Piazzetta realizza un’ulteriore versione della storia biblica [Figura 7]. Il quadro fu donato, nel 1935, alla Galleria dell’Accademia di San Luca dal barone Michele Lazzaroni. Come nell’opera precedente, Giuditta sta per compiere il terribile delitto ma l’artista ha voluto sottolineare un aspetto diverso della donna.
La posa assunta dalla giovane ebrea è inusuale nel Settecento; rivolgendo le spalle allo spettatore ne viene evidenziata la muscolatura possente grazie anche all’abile uso della luce. Per la postura Piazzetta potrebbe essersi ispirato all’opera di Johann Liss della National Gallery di Londra ritraente il medesimo soggetto.
La versione del 1720 è quella che risente maggiormente delle influenze seicentesche difatti, mentre nelle altre varianti dello stesso Piazzetta la donna appare elegante e aggraziata, in quest’esemplare viene rappresentata come un’eroina pericolosa. L’artista ha voluto evidenziare il suo essere letale mentre nelle altre opere si voleva dare una lettura psicologica più delicata e commossa.
Nonostante non abbia ancora estratto l’arma dal fodero, Giuditta sta già osservando il punto esatto dove assesterà il colpo mortale mentre Oloferne giace addormentato inconsapevole di ciò che sta per accadere.
La plasticità delle figure viene sottolineata grazie a dei forti contrasti chiaroscurali che contribuiscono a sottolineare la drammaticità del momento24.
La scena si svolge all’interno della tenda di Oloferne e, come da tradizione, Piazzetta veste Giuditta con abiti e gioielli che sottolineano il suo status sociale ma un cambiamento rispetto
23Giambattista Piazzetta (Venezia 1683 - Venezia 1754). Giuditta e Oloferne,
http://www.barberinicorsini.org/opera/giuditta-e-oloferne-giambattista-piazzetta/, in data 16/06/2018 24 Mariuz, L’opera completa del Piazzetta, cit., p. 91
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alla consuetudine del tempo sta nel non aver inserito nella composizione l’anziana serva che, solitamente, aiuta la giovane a portare a termine la sua missione.
Giuditta e Oloferne
In origine questa versione del tema di Giuditta [Figura 8], realizzata tra il 1735 e il 1738, si trovava a Venezia presso la collezione di Alvise Contarini.
Viene presentata, all’interno della tenda del generale Oloferne, Giuditta nell’atto di estrarre la spada che userà per decapitare il comandante nemico. La donna rivolge gli occhi al cielo nell’atto di chiedere il sostegno divino per portare a termine la sua missione. In questo caso Piazzetta rappresenta una donna che viene vista non come un’efferata assassina ma come una giovane incapace di compiere un così terribile atto senza un aiuto celeste.
Giuditta appare estremamente dolce e delicata nei gesti. La spada non è ancora stata estratta come se la donna stesse aspettando l’approvazione divina.
Oltre alla giovane vedova ebrea troviamo, semisdraiato sul letto, Oloferne il quale, rivolgendo le spalle allo spettatore, appare come un elemento secondario, scompare rispetto alla figura di Giuditta.
In quest’opera Oloferne si riduce a mero simbolo del potere nemico che deve essere sconfitto come lo sono, in ugual misura, il suo elmo e la sua arma posti sul letto al suo fianco.
Rispetto alle due versioni precedenti, Piazzetta introduce la tradizionale figura dell’anziana serva. Ella è nell’atto di scostare la tenda e nella composizione si trova molto vicina al personaggio di Giuditta sulla destra. In questo modo il vecchio volto tipizzato dell’ancella di profilo viene messo a confronto, per contrasto, con la procace bellezza di Giuditta che rispetto all’anziana donna è illuminata da una luce che la fa risaltare rispetto a ciò la che circonda. L’atmosfera melodrammatica in cui si sta svolgendo l’episodio biblico è dominata da un forte chiaroscuro utilizzato con lo scopo di sottolineare il momento di tensione che vive la protagonista25.
Giuditta e Oloferne
In quest’ultima interpretazione del tema biblico [Figura 9], realizzata nel 1748 per la Scuola Grande dei Carmini a Venezia, Piazzetta raffigura la scena sempre negli attimi precedenti all’assassinio.
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Con un gesto teatrale che pone in evidenza la forza che possiede nei confronti dell’indifeso Oloferne, Giuditta si appresta a compiere il terribile delitto. Il volto appare rilassato e consapevole delle proprie azioni.
L’artista decide di inserire nella composizione la serva ma collocandola in secondo piano mentre l’attenzione è sempre rivolta alla figura della giovane vedova ebrea che emerge dall’oscurità della tenda con la scimitarra in mano.
Piazzetta utilizza dei forti contrasti chiaroscurali per sottolineare, tramite la luce, Giuditta, simbolo di forza, e Oloferne, il male sconfitto.
Inoltre, la postura dei due personaggi contribuisce a sottolineare come la donna sovrasti l’uomo; ella risulta più grande rispetto al condottiero nemico del cui potere non è rimasta alcuna traccia.
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Philip van Dijk (1680-1753)
Philip van Dick nasce il 10 gennaio 1680 ad Amsterdam dove comincia il suo apprendistato nel 1696 presso la bottega di Arnold Boonen.
Prosegue la sua carriera come pittore a Middelburg dove riesce a raggiungere un discreto successo commerciale specializzandosi nella produzione ritrattistica.
Parallelamente alla carriera pittorica intraprese la professione di mercante d’arte, attività che gli consentì di instaurare numerosi contatti all’Aia dove si stabilì dopo dieci anni di lavoro a Middelburg.
Nel 1725, a Kassel, van Dijk fu nominato pittore di corte ricevendo molteplici commissioni ma non abbandonando mai il mestiere di mercante.
L’anno successivo tornò all’Aia continuando a ritrarre eminenti personaggi della società ma i rapporti con la corte di Kassel perdurarono.
Instancabile, van Dijk continuò a lavorare finché la morte non sopraggiunse il 2 febbraio 175326.
Giuditta con la testa di Oloferne
L’opera di Philip van Dijk [Figura 10] raffigura il momento successivo alla decapitazione del generale Oloferne compiuta dalla giovane vedova ebrea Giuditta.
La scena si svolge all’interno della tenda del comandante nemico e la donna sta porgendo la testa mozzata all’anziana serva.
L’artista pone l’attenzione sulle due donne concentrandosi sui colori delle vesti delle suddette. La vecchia è coperta interamente da un mantello blu mentre l’abito di Giuditta le lascia scoperto un seno facendone emergere il lato seduttivo che le ha permesso di ingannare il nemico. Oloferne è quasi completamente scomparso dalla scena, rimane solamente la testa che viene posta, però, in penombra; questo perché ciò che van Dijk vuole far risaltare è Giuditta, una giovane e bella donna che, per mezzo della seduzione, riesce a salvare il suo popolo diventando un’eroina moderna.
26 Ekkart Rudolf Erik Otto, Philip van Dijk, in The Dictionary of Art, vol. 8, New York, Grove Press, 1996, pp. 887-888
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Francesco Solimena (1657-1747)
Francesco Solimena nasce a Canale Borgata nel comune di Serino nel 1657.
Inizialmente si avvicina alla pittura tramite l’influenza del padre Angelo ma nel 1674 viene mandato all’Accademia di Pittura di Napoli che Francesco de Maria aveva fondato.
Solimena fu influenzato dall’arte di quest’ultimo il quale, a sua volta, era un seguace della scuola bolognese.
Alla pittura il Solimena, chiamato anche l’Abate Ciccio, affiancò un’attività lavorativa architettonica che purtroppo si manifestò solamente tramite il disegno.
Operò quasi esclusivamente a Napoli dove morì nel 177427.
Giuditta mostra al popolo la testa di Oloferne
L’opera [Figura 11] realizzata da Francesco Solimena raffigura il momento in cui Giuditta, trionfante, mostra la testa decapitata di Oloferne al popolo di Betulia fuori le mura della città che è possibile intravedere alle sue spalle.
L’affollata composizione mostra l’eroina sopra una scalinata di tre gradini circondata da diversi personaggi i quali, stupefatti per il gesto compiuto, indicano verso la sua direzione.
Nella composizione è evidente l’impostazione spaziale che Solimena ha appreso tramite le numerose opere a soffitto realizzate per le chiese napoletane28.
Inoltre, la posizione e l’atteggiamento della giovane ricordano l’affresco di Luca Giordano
Trionfo di Giuditta, realizzato per la Certosa di San Martino a Napoli tra il 1703 e il 1704.
Il volto della giovane appare impassibile, nessun pentimento la pervade poiché il gesto da lei compiuto si è rivelato un atto inevitabile per salvare il suo popolo; così facendo si è trasformata da semplice credente a eroina patriottica devota a Dio e al suo popolo.
27 De Romanis Alfonso, Solimena, Francesco, detto l’Abate Ciccio, http://www.treccani.it/enciclopedia/solimena-francesco-detto-l-abate-ciccio_%28Enciclopedia-Italiana%29/, in data 14/06/2018
28 Il Kunsthistorisches Museum di Vienna, a cura di Giuliana Nannicini, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1983, p.91
20
Corrado Giaquinto (1703-1766)
Corrado Giaquinto nasce a Molfetta l’8 febbraio 1703. Le notizie relative alla sua formazione sono alquanto lacunose ma riportano alla frequentazione della bottega di Saverio Porta, un pittore locale amico di famiglia.
Nel 1721 si trasferì a Napoli dove entrò nella bottega di Nicolò Maria Rossi mentre, nel 1727, con lo scopo di migliorare nell’arte del disegno, soggiornò a Roma.
Nel 1740 venne ammesso all’Accademia di San Luca mentre nel 1753 decise di trasferirsi in Spagna dove divenne “pittore di camera” presso la corte madrilena e, successivamente, direttore della Reale Accademia di San Fernando. Il soggiorno spagnolo durerà fino al 1762 quando, di ritorno in Italia, decide di stabilirsi a Napoli dove morirà il 18 aprile 176629.
Giuditta e Oloferne
Il tema di Giuditta fu trattato diverse volte su tela da Corrado Giaquinto, o dal suo studio, ma solamente un’opera fu realizzata su rame.
La composizione dei diversi lavori è pressoché la medesima.
Prendendo in esame la versione su rame [Figura 12] la scena rappresentata si svolge all’interno della tenda del generale assiro Oloferne dopo la sua decapitazione.
Giuditta è la protagonista indiscussa della scena, viene posta centralmente mentre con una mano afferra l’arma del delitto e con l’altra la testa mozzata.
Alle sue spalle è possibile intravedere il corpo esanime del comandante nemico e la fedele ancella che, come da tradizione, ha aiutato Giuditta nel mettere in atto il suo piano. Essi, però, sono solamente degli elementi secondari come lo sono le armi di Oloferne, simbolo del potere del generale che, ad ogni modo, nulla ha potuto contro la giovane vedova ebrea.
La donna, illuminata da una lampada a olio, assume una posizione di fierezza mentre dal suo volto non si percepisce alcuna emozione, nessun rimorso per quello che ha dovuto fare. Giuditta è una donna risoluta che sa ciò che è necessario compiere per salvare il suo popolo nonostante l’azione necessaria sia un atto terribile come l’omicidio attuato tramite l’inganno. Infatti, ella viene raffigurata come una bella donna riccamente vestita, dote che le ha permesso d’irretire Oloferne conducendolo verso un fatale destino.
29 Corrado Giaquinto. Il cielo e la terra, catalogo della mostra (Cesena, Biblioteca Malatestiana, 9 dicembre 2005-15 marzo 2006), a cura di Michela Scolaro, Bologna, Minerva Edizioni, 2005, pp. 2005-159-163
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Nonostante la drammaticità del momento la scena si svolge in un’apparente calma dominata da una raffinata eleganza formale e da un forte cromatismo riscontrabile specialmente nelle vesti di Giuditta30.
30 Corrado Giaquinto. (Molfetta 1703-1766 Naples). Judith and Holofernes, https://www.robertsimon.com/giaquinto_judith/, in data 24/08/2018
22
Giuseppe Marchesi (1699-1771)
Giuseppe Marchesi, detto il Sansone per la sua massiccia corporatura, nacque a Bologna il 30 luglio 1699.
Cominciò lo studio delle arti presso il maestro Aureliano Milani per poi passare alla bottega di Marcantonio Franceschini il quale, però, lo licenziò a causa del suo indomito carattere.
La fama e la celebrazione pubblica giunsero grazie alla decorazione del catino absidale e della volta della chiesa della Madonna di Galliera in Bologna.
Nel 1752 Marchesi ricevette la nomina a principe dell’Accademia Clementina mentre le sue opere venivano inviate in città come Bergamo, Trento, Mantova ma soprattutto a Londra e in Olanda.
Morì nella sua città natale il 16 febbraio 177131.
Nel 1969 l’antiquario veneziano Ettore Viancini acquistò, per la Pinacoteca Nazionale di Bologna, una coppia di opere ritraenti la storia biblica di Giuditta e Oloferne eseguite da Giuseppe Marchesi che vanno considerate à pendant32.
Giuditta nel padiglione di Oloferne
Il dipinto [Figura 13], realizzato tra il 1740 e il 1742 da Giuseppe Marchesi, raffigura la giovane vedova ebrea Giuditta nell’atto di presentarsi al condottiero Oloferne che tiene la sua città sotto assedio.
Giuditta, vestita elegantemente e impreziosita da gioielli, tenta di sedurre il comandante nemico usando una delicata gestualità per spiegare la sua resa. Con la mano sinistra indica Betulia, il luogo da dove proviene, mentre con la destra addita un punto vicino all’osservatore. Giuditta intende spiegare che la vita nella sua vecchia città è finita e si vuole proporre al comandante assiro per poterne cominciare una nuova presso il campo nemico.
Seduto su un trono, riccamente adornato, troviamo Oloferne che, sedotto dalla giovane, acconsente alla sua resa.
31 Avanzi Giannetto, Giuseppe marchesi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 69, Catanzaro, la Terza, 2004, pp. 596-598
32 Pinacoteca Nazionale di Bologna. Catalogo generale. 4. Seicento e Settecento, a cura di Jadranka Bentini, Gian Piero Cammarota, Angelo Mazza, Daniela Scaglietti Kelescian e Anna Stanzati, vol. 4, Venezia, Marsilio Editori, 2011, p. 257
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Tra i due soggetti, in un ambiente esterno, circondati da una tenda attraverso la quale si scorge una città, si pone la serva al seguito di Giuditta; ella, tra le mani, tiene un sacco ricco di cibo e vino33.
Si tratta di un’inconsueta rappresentazione della storia biblica, nessun elemento fa percepire il fine ultimo della donna. In precedenza, era comune eseguire dipinti ritraenti o il momento immediatamente precedente il delitto o l’assassinio stesso o gli attimi successivi. Con quest’esemplare Marchesi è temporalmente più lontano dall’esecuzione della decapitazione compiuta da Giuditta.
Giuditta con la testa di Oloferne
Il secondo dipinto di Giuseppe Marchesi [Figura 14] rappresenta un momento successivo rispetto al quadro precedente. Giuditta, dopo aver sedotto e fatto ubriacare Oloferne, lo decapita.
La scena si svolge in un padiglione scuro in cui troviamo la giovane, illuminata da una luce proveniente dall’alto, mentre porge la testa del decapitato generale, di cui vediamo il corpo esanime a sinistra della composizione, alla serva. Il capo viene posto nello stesso sacco che nel quadro Giuditta nel padiglione di Oloferne conteneva cibo e vino.
Giuditta è situata centralmente e con un gesto teatrale allarga le braccia, mettendo in evidenza la spada che tiene in una mano e la testa che tiene nell’altra.
Lo sguardo della donna è rivolto verso l’alto come se stesse ringraziando Dio per la forza concessale, trasformandola nella salvatrice del suo popolo34.
33 Ivi, p. 260 34 Ibidem.
24
Jacopo Amigoni (1682-1752)
Jacopo Amigoni nasce a Venezia nel 1682 in una famiglia proveniente da Napoli. La sua carriera si sviluppò principalmente a Venezia e nelle maggiori corti europee.
Oltre all’attività pittorica, Amigoni si rivelò un notevole incisore a bulino e all’acquaforte. A Londra fondò una scuola d’incisione tramite la quale cercò di diffondere una grafica sottile e nitida contrapposta alla mezzatinta già diffusa in Inghilterra.
Dal 1747 lavorò presso la corte di Ferdinando VI a Madrid dove morì nel 175235.
Giuditta con la testa di Oloferne
In un’ambientazione dominata dall’oscurità emerge la figura dell’eroina biblica Giuditta la quale, volgendosi verso la serva, pone la testa dell’oramai decapitato generale assiro Oloferne nel sacco che la vecchia tiene tra le mani [Figura 15].
Rispetto alla narrazione biblica la scena del dipinto di Jacopo Amigoni si colloca in un momento successivo all’uccisione del nemico assiro.
Amigoni non ci fornisce alcun dato riguardo al luogo in cui si sta svolgendo l’azione, lo sfondo è completamente nero, ma si sofferma esclusivamente sui personaggi rappresentati.
L’artista conferisce un’evidenza non convenzionale alla spada, mezzo tramite il quale è stato compiuto l’assassinio. Sebbene l’arma sia da sempre un simbolo iconografico della storia di Giuditta e Oloferne, in questo caso Amigoni la colloca nella mano della giovane ebrea che pare posarsela sulla spalla con un’inconsueta calma.
I colori tenui e delicati utilizzati e la tranquillità che emerge dal volto delle due donne sono in contrasto con la drammaticità della scena rappresentata36.
35 Pavan Taddei Maria Cristina, Iacopo Amigoni, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 2, Catanzaro, La Terza, 2004, pp. 794-796
25
Giulia Lama (1681-1747)
Giulia Elisabetta Lama nasce a Venezia il 1 ottobre 1681. Le prime testimonianze artistiche risalgono alla fine del secondo decennio del XVIII secolo, quando la Lama era ormai trentenne. In giovane età conobbe Giovanni Battista Piazzetta, dal quale fu influenzata, e, nonostante le numerose committenze ecclesiastiche nell’ambiente veneziano, pare si mantenesse ricamando. Muore a Venezia il 7 ottobre 174737.
Giuditta e Oloferne
L’opera [Figura 16] di Giulia Lama rappresenta una non convenzionale versione della storia biblica di Giuditta e Oloferne, racconta i momenti precedenti all’assassinio del generale assiro. La composizione è dominata diagonalmente dal corpo di Oloferne oramai privo di sensi. Viene illuminato da una luce che lo fa emergere dalla penombra che incombe nella tenda del guerriero dove si svolge la scena. Dall’oscurità appare anche la figura di Giuditta con le mani in segno di preghiera e il volto, leggermente inclinato all’indietro, che guarda verso l’alto.
La giovane vedova ebrea sta pregando, invoca un aiuto divino per compiere un gesto tanto atroce come un assassinio ma necessario per salvare il suo popolo.
In basso sulla destra si può intravedere la vecchia serva mentre in alto a sinistra emerge l’elsa della spada con cui verrà compiuto il delitto. Si tratta di elementi che tradizionalmente vengono utilizzati per raffigurare la storia di Giuditta.
Giulia Lama utilizza il chiaroscuro per costruire ed evocare i personaggi nella scena focalizzandosi, specialmente, sull’espressività degli stessi38.
La posizione dei corpi e la luce contribuiscono a dare un’impostazione drammatica, al limite, del melodramma, alla scena39.
37 Massimi Maria Elena, Lama Giulia, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 63, Catanzaro, La Terza, 2004, pp. 112-114
38 Giulia Lama, Giuditta e Oloferne, http://artbonus.gov.it/1137-giulia-lama,-giuditta-e-oloferne.html, in data 15/06/2018
26
Giuseppe Tresca (1710-1795)
Giuseppe Tresca nasce a Sciacca nel 1710, figlio del pittore Calogero Tresca.
Giuseppe svolgerà la maggior parte della sua attività a Palermo e in altri centri siciliani ma la sua formazione, dopo un iniziale avvio a Palermo presso la bottega del Serenario, proseguirà a Roma come allievo del pittore Sebastiano Conca.
Muore nel 1795 a Palermo40.
Giuditta
Nel 1744 Giuseppe Tresca realizzò gli affreschi per la navata centrale della Chiesa Madre di Capaci.
Attorno all’affresco principale raffigurante L’Assunzione e Incoronazione della Vergine da
parte della Santa Trinità alla presenza del collegio apostolico, troviamo otto riquadri minori
contenenti alcuni personaggi del vecchio testamento41.
In uno di essi viene presentata Giuditta [Figura 17] la quale, seduta su delle nuvole scure, regge in una mano la spada e nell’altra la testa del decapitato Oloferne.
L’assassinio è già avvenuto e, nonostante la tradizionale iconografia del tema, non è presente l’anziana serva.
Ai piedi della giovane troviamo un cherubino che tra le mani porta un cartiglio con su scritto, in latino, “è la gloria di Gerusalemme”42. La scritta si riferisce alla vittoria della giovane vedova che, uccidendo il nemico assiro, libera il popolo ebreo di Betulia.
Giuditta diviene, in questo modo, un esempio di eroismo cristiano, pone sé stessa al servizio di un bene superiore. È disposta a sacrificare la sua stessa vita pur di liberare il suo popolo. La donna appare fiera e priva di alcun pentimento mentre alza l’inespressiva testa di Oloferne. È il trofeo della vittoria del bene sul male, testimonianza di come la divina provvidenza possa affidarsi a chi meno ci si aspetta, una donna, capace, però, di riconoscere le proprie armi sfruttandole per sopraffare un nemico che sembrava essere insormontabile.
40 Siracusano Citti, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma, De Luca Editore, 1986 41 Storia, http://www.chiesamadrecapaci.it/storia/, in data 18/06/2018
27
Marco Benefial (1684-1764)
Marco Benefial nasce il 7 maggio 1684 a Roma, figlio di un tessitore di stoffe. Fu allievo, a partire dal 1698, di Bonaventura Lamberti43.
Nel 1718 diviene membro dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon mentre nel 1741 dell’Accademia di San Luca nonostante la sua partecipazione, nel 1720, alla ribellione nei confronti di un decreto emanato da papa Clemente XI con il quale si sanciva che nessun artista che non facesse parte dell’Accademia di San Luca avrebbe potuto insegnare le arti del disegno. In seguito alla pubblica protesta si ottenne la cessazione del decreto.
Tuttavia, nel 1755, a causa di alcuni violenti contrasti con altri pittori accademici e alla poca soddisfazione che traeva nel farvi parte, cosa che si rifletteva sul suo atteggiamento nei confronti dei colleghi, fu espulso dall’Accademia di San Luca.
Morirà nella sua città natale il 22 aprile 176444.
Giuditta e Oloferne
L’opera in esame [Figura 18] fa parte di un ciclo di affreschi realizzato da Marco Benefial tra il 1747 e il 1749 per il presbiterio della Basilica Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio presso Città di Castello in provincia di Perugia.
La scena prescelta si svolge all’esterno delle mura di Betulia che si possono scorgere dietro la folla accorsa per vedere Giuditta.
La donna, dopo aver decapitato il comandante assiro Oloferne, ha fatto ritorno nella sua città portando con sé la testa mozzata del nemico da mostrare ai suoi concittadini come simbolo della loro vittoria contro gli infedeli invasori. Non si tratta esclusivamente di un successo dal punto di vista bellico ma è il trionfo del bene sul male.
Rispetto ai suoi compaesani la giovane vedova è in una posizione sopraelevata e dal suo volto non traspare alcun sentimento di rimorso.45
La posizione che assume fa trasparire fierezza, sentimento in contrapposizione con l’atteggiamento della popolazione che appare stupefatta per ciò che ha fatto ma, al contempo, felice dal momento che ciò significa la loro liberazione.
43 Barroero Liliana, Benefial, Milano, Continents Edition, 2005, pp. 67-71
44 Borea Evelina, Marco Benefial, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 8, Catanzaro, La Terza, 2004, pp. 466-467
45 Nonostante l’affresco sia leggermente rovinato, all’altezza del volto di Giuditta traspare la sua espressione fiera e tranquilla.
28
Come da tradizione per le opere con questo soggetto, Giuditta in mano tiene la scimitarra, l’arma del delitto, mentre, subito dietro di lei, è possibile distinguere, anch’essa sopraelevata rispetto al resto del popolo, l’anziana serva che ha contribuito alla buona riuscita della missione.
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Francesco Lorenzi (1723-1787)
Francesco Lorenzi nasce nel 1723 a Mazzurega nel veronese. La sua formazione, iniziata studiando con precettori privati per poi entrare nella scuola pubblica nel 1738, fu molto varia. Tuttavia, a partire dal 1742, anno in cui entrò nella bottega del pittore Matteo Brida, i suoi studi si orientarono verso le discipline artistiche rivelandosi un notevole disegnatore di nudi.
Nel 1745 si trasferisce a Venezia diventando allievo di Giambattista Tiepolo e dedicandosi alla copia di artisti come Tiziano, Veronese e Francesco Solimena.
Nel 1750, a seguito della partenza di Tiepolo per Würzburg, Lorenzi fa ritorno a Verona aprendo una propria bottega e, dal 1761, comincia a distinguersi come pittore di affreschi. L’artista morirà a Verona il 12 febbraio 178746.
Giuditta con la testa di Oloferne
Nel 1808 il conte Luigi Tadini acquista, a Verona, un’opera attribuita a Francesco Lorenzi il cui tema è tratto dal Libro di Giuditta [Figura 19].
La scena rappresenta un momento successivo alla decapitazione di Oloferne con Giuditta all’interno della tenda del nemico mentre consegna la testa mozzata alla fidata ancella.
Lo sguardo impassibile della giovane vedova ebrea, riccamente vestita, è rivolto verso l’alto ciò poiché, per compiere un atto terribile come l’omicidio, è stato necessario il sostegno divino. In una mano tiene la spada, l’arma del delitto, mentre nell’altra afferra, sollevandolo per i capelli, il capo di Oloferne. Così facendo, la testa decapitata diviene un trofeo, un simbolo della supremazia del bene sul male.
Nell’angolo in basso a destra della composizione è possibile riconoscere l’anziana serva la quale, diversamente da Giuditta, appare più agitata. Rivolgendosi verso la sua padrona apre una bisaccia destinata al trasporto della testa di Oloferne che verrà esposta alle porte di Betulia.
46 De Lillo Alessandro, Francesco Lorenzi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 66, Catanzaro, La Terza, 2004, pp. 10-12
30
Ludovico Stern (1709-1777)
Ludovico Stern nasce a Roma il 5 ottobre 1709, figlio del pittore Ignazio Stern che si distinse per una pittura storica e di natura morta realizzata con uno stile originale che univa la cultura del Roccocò austriaco al classicismo emiliano.
Ludovico comincia a lavorare presso la bottega del padre continuando la sua formazione, in seguito, all’Accademia di Parma e all’Accademia di San Luca a Roma.
Nel 1741 entrò a far parte dell’Accademia dei Virtuosi del Pantheon mentre nel 1756 diventò insegnante di Disegno dal Nudo all’Accademia di San Luca
Morì il 25 dicembre 1777 a Roma47.
Giuditta e Oloferne
L’opera Giuditta e Oloferne [Figura 20] realizzata da Ludovico Stern nel 1750 è un olio su rame di piccole dimensioni che si trova presso lo Staatliche Museen di Monaco di Baviera e propone il momento successivo alla decapitazione del generale Oloferne da parte della giovane Giuditta.
Rispetto alla variazione sul medesimo tema, eseguita nel 1753 dallo stesso Stern, il dipinto rappresenta Giuditta più prosperosa e mentre con una mano afferra ancora l’arma del delitto, con l’altra solleva la testa del nemico i cui occhi sono aperti con un’espressione di sgomento. Nella versione successiva gli occhi saranno chiusi.
Inoltre, da dietro una tenda, intravediamo l’ancella nella stessa posizione della trasposizione in grande formato ma decisamente più giovane48.
Giuditta, riccamente vestita, guarda il capo reciso del condottiero assiro con un’espressione che non fa trasparire alcuna emozione per ciò che ha fatto. È completamente impassibile rispetto al gesto compiuto in quanto consapevole della necessità di tale atto.
Il suo atteggiamento è in contrapposizione all’espressione di Oloferne che, al contrario, trasmette l’estrema drammaticità dell’evento.
Giuditta e Oloferne
Il dipinto [Figura 21] realizzato nel 1753 da Ludovico Stern raffigura il momento immediatamente successivo all’uccisione del generale assiro Oloferne compiuta dalla giovane
47 Petrucci Francesco, Ludovico Stern. Giuditta e Oloferne, in Quaderni del Barocco - Dipinti inediti del Barocco
Italiano da collezioni private, Roma, Arti Grafiche Ariccia, 2011, pp. 4-5
48 Marignoli Duccio K., Petrucci Francesco, Ludovico Stern (1709-1777). Pittura Rococò a Roma, Roma, Andreina & Valneo Budai Editori, 2012, p. 15
31
ebrea Giuditta che solleva la testa decapitata come fosse un trofeo mentre, da dietro una tenda, l’anziana serva assiste alla scena49.
Il dipinto ha un precedente di piccolo formato realizzato dallo stesso autore tre anni prima su rame e attualmente sito presso lo Staatliche Museen di Monaco di Baviera. Nonostante il tema sia il medesimo e la composizione simile, tra i due ci sono delle sostanziali differenze50. Nella versione in rame Giuditta afferra la spada che è completamente visibile allo spettatore mentre nel dipinto successivo si intravede solamente l’elsa che la giovane tiene ancora tra le mani.
Nella trasposizione del 1753 il corpo di Giuditta sembra scostarsi dalla testa del nemico da cui fuoriesce, copiosamente, del sangue sottolineando, in questo modo, la drammaticità del momento.
La luce laterale pone in evidenza la giovane donna facendone risaltare la preziosità degli abiti di cui è vestita mentre l’anziana ancella è posta in secondo piano nella penombra51.
Il volto della giovane, che fissa attentamente il capo mozzato, non pare turbato nonostante gli zampilli di sangue. Il sentimento che muove la giovane è il medesimo che abbiamo potuto riscontrare nella variante precedente di Monaco.
49 Il dipinto è ricomparso nel mercato antiquario nel 1998 venendo acquistato da un collezionista privato inglese. Petrucci, Ludovico Stern. Giuditta e Oloferne, cit., p.2
Nel 2011 il quadro è stato esposto, in anteprima, presso Palazzo Chigi di Ariccia nell’ambito del progetto Dipinti
inediti del Barocco italiano. In occasione di tale evento diversi studiosi e specialisti sui singoli artisti e sulle
rispettive scuole pittoriche vengono chiamati a presentare dipinti inediti provenienti da collezioni private estere. Le opere trattate rimangono esposte presso il museo, sito nel palazzo, nel biennio successivo.
http://www.palazzochigiariccia.com/pubblicazioni-online/dipinti-inediti-del-barocco-italiano-da-collezioni-private/, in data 1/09/2018
50 Marignoli, Petrucci, Ludovico Stern. Pittura Rococò a Roma, cit., p. 119 51 Petrucci, Giuditta e Oloferne, cit., pp. 2-4
32
Gaspare Traversi (1722-1770)
Gaspare Traversi nasce in una famiglia modesta e numerosa a Napoli nel 1722.
Per quanto riguarda il periodo giovanile sono giunte a noi poche informazioni certe. Probabilmente cominciò la sua formazione presso la bottega dell’anziano Francesco Solimena per poi trasferirsi a Roma dove lavorerà per i carmelitani di San Crisogono.
Nonostante la produzione dell’artista sembri destinata, prevalentemente, a una committenza romana, non verranno mai sciolti i legami con la sua città natale dove instaura sia rapporti d’amicizia che lavorativi grazie anche a qualche probabile viaggio a Napoli.
Gaspare Traversi muore, infine, a Roma nel 177052.
Giuditta con la testa di Oloferne
In quest’opera [Figura 22] di Gaspare Traversi, che si trova in una collezione privata a Milano, l’artista rappresenta la giovane Giuditta nell’atto di mostrare, scenograficamente, al popolo di Betulia, la testa decapitata del nemico Oloferne.
Alla scena il pittore ha dato un’impostazione teatrale concentrando l’attenzione sulla protagonista grazie ad un uso sapiente della luce e alla posizione assunta dai numerosi personaggi collocati attorno alla giovane donna.
Giuditta, adornata con abiti dai colori cangianti, volge lo sguardo al cielo, immobile nella sua posizione scultorea mentre tutto attorno a lei, al contrario, è in movimento53.
Il popolo che la circonda viene dipinto con colori dai toni molto più cupi rispetto a quelli degli abiti di colei che, da questo momento della storia, diverrà un’eroina.
Lo sguardo rivolto verso l’alto fa emergere come, nell’opera di Traversi, permane una legittimazione divina necessaria a compiere l’efferato crimine.
La testa di Oloferne è divenuta un trofeo, il simbolo della vittoria del bene sul male e la tramutazione di Giuditta da semplice bella vedova a eroina disposta a sacrificare la sua stessa vita per la liberazione del suo popolo.
Inoltre, contrariamente ad altre opere con il medesimo soggetto, non è presente la scimitarra usata per la decapitazione mentre, presumibilmente, la fidata ancella che ha contribuito alla riuscita della missione è l’anziana donna alle sue spalle.
52 Luce sul Settecento. Gaspare Traversi e l’arte del suo tempo in Emilia, catalogo della mostra (Parma, Galleria Nazionale, 4 aprile-4 luglio 2004), a cura di Lucia Fornari Schianchi e Nicola Spinosa, Napoli, Electa Napoli, 2004, p. 217
53 Gaspare Traversi. Napoletani del ‘700 tra miseria e nobiltà, catalogo della mostra (Napoli, Castel Sant’Elmo, 13 dicembre 2003-14 marzo 2004), a cura di Nicola Spinosa, Napoli, Electa Napoli, 2003, p. 96
33
Giuditta con la testa di Oloferne
L’opera di Gaspare Traversi del 1760 [Figura 23] presenta l’eroina biblica Giuditta a mezzo busto e di tre quarti mentre tra le mani tiene un piatto con la testa decapitata del generale Oloferne.
La donna viene rappresentata, riccamente vestita, mentre guarda intensamente verso la direzione dello spettatore emergendo da uno sfondo nero.
Alle sue spalle, nella penombra, intravediamo l’anziana ancella però Traversi decide di non inserire nella composizione la spada, simbolo che, tradizionalmente, viene posto nelle raffigurazioni di questo tema biblico54 creando una certa confusione identificativa. È necessario ricordare come il vassoio presente in quest’olio su tela non sia un attributo caratterizzante Giuditta bensì un elemento iconografico appartenente a un’altra narrazione evangelica in cui viene presentata la figura della danzatrice giudea Salomè.
Il fulcro dell’opera di Traversi è la giovane donna grazie a un’illuminazione che pone in risalto la sua bellezza mentre tutto attorno a lei è scuro; non è chiaro se la scena si stia svolgendo ancora all’interno della tenda di Oloferne o se la protagonista si trovi all’esterno in quanto, per l’artista, è la donna a ricoprire il ruolo centrale dell’opera e non viene data alcuna importanza all’ambientazione.
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Matthaeus Günther (1705-1788)
Matthaeus Günther nasce in Baviera il 7 settembre 1705, si forma presso la bottega di Simon Bernhardt a Murnau e, successivamente, lavora per Cosmas Damian Asam dal 1723 al 1728. Parallelamente all’attività di pittore svolge la professione di incisore ad Augusta dove si traferirà nel 1730 diventando il direttore dell’Accademia di Belle Arti della città nel 1762. Il suo lavoro, la cui produzione si distinse, in particolare, per gli affreschi a tema religioso, lo portò a viaggiare al di fuori della Baviera realizzando diverse commissioni in molteplici chiese tedesche.
Matthaeus Günther lavorò fino a tarda età, l’ultimo lavoro lo terminò un anno prima della morte che sopraggiunse il 30 settembre 178855.
Giuditta con la testa di Oloferne
Nel 1754, Matthaeus Günther realizzò l’affresco a soffitto per la volta della navata occidentale della Basilica di Wilten a Innsbruck.
La composizione presenta, nella parte più alta, la Vergine Maria circondata da diversi angeli mentre in basso viene proposta la storia di Giuditta [Figura 24]. Si tratta del momento successivo alla decapitazione del generale assiro Oloferne quando la giovane vedova ebrea mostra al popolo di Betulia la testa recisa del nemico. Ella, posta al di fuori della cinta muraria della città, mostra la testa decapitata come fosse un trofeo simbolo della supremazia del bene sul male.
L’opera appare alquanto affollata e movimentata, la moltitudine di persone osserva stupefatta la testimonianza del gesto di Giuditta mentre, in un angolo, troviamo la tenda di Oloferne all’interno della quale c’è il corpo ancora sanguinante del generale.
In quest’opera la Vergine viene presentata come la “Madonna dell’Apocalisse”, la vittoria del bene sul male56. Ne consegue che Giuditta diviene la personificazione della Madonna stessa che sconfigge Satana, qui identificato con Oloferne, quintessenza del male puro.
55 Holler Wolfgang, Matthaeus Günther, in The Dictionary of Art, vol. 13, New York, Grove Press, 1996, pp. 852-853
56 Wilten Basilica, file:///C:/Users/campa/Downloads/monument_BAR_at_Mon11_9_en.doc.pdf, in data 25/06/2018
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Sebastiano Ceccarini (1703-1783)
Sebastiano Ceccarini è nato a Fano il 17 maggio 1703. Dopo la morte del padre fu cresciuto dallo zio che lo indirizzò verso lo studio della pittura tramite il pittore Francesco Mancini. Intraprese un viaggio di studio che lo portò nelle principali città italiane tra cui Roma, Bologna, Venezia e Firenze.
I figli Giuseppe e Nicola seguirono la medesima carriera del padre aiutandolo nei suoi lavori eseguiti fino a tarda età.
Ceccarini morì a Fano il 26 agosto 178357.
Giuditta con la testa di Oloferne
Il dipinto Giuditta con la testa di Oloferne [Figura 25] fa parte della triade58 di opere a soggetto biblico che Sebastiano Ceccarini offrì, nel 1771, alla municipalità di Fano ottenendo in cambio l’iscrizione al patriziato dei suoi figli.
La scena presentata dal dipinto è l’apice del trionfo della giovane Giuditta. Ella, dopo aver mozzato la testa del nemico, guarda verso l’alto alzando la spada al cielo per ringraziare Dio della forza datale per compiere quel terribile gesto necessario59.
Contemporaneamente, l’altra mano afferra il capo reciso di Oloferne ponendovi le esili dita tra i capelli mentre un’ancella porge un sacco alla giovane per depositarvi la testa trofeo da mostrare al popolo così liberato.
Sulla destra si intravede il corpo del nemico sconfitto da cui zampilla ancora copiosamente del sangue. Ciò ci fa comprendere come il momento fissato da Ceccarini sia immediatamente successivo all’assassinio.
L’artista pone grande attenzione nella realizzazione delle decorazioni della tenda rossa e delle vesti di Giuditta la quale indossa abiti più vicini allo stile settecentesco che ai costumi ebraici del tempo in cui la sua storia si colloca.
57 Vinella Lucia, Sebastiano Ceccarini, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 23, Catanzaro, La Terza, 2004, pp. 212-214
58 Le opere realizzate da Sebastiano Ceccarini per essere donate al comune di Fano, oltre a Giuditta con la testa di
Oloferne, sono: Eliezer e Rebecca e Davide e Abigail
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Josep Bernat Flaugier (1757-1813)
Josep Bernat Flaugier nasce nel 1757 a Martigues, in Provenza, ma la sua formazione artistica comincia a Barcellona presso la Escuela de la Llotja.
La sua pittura è stata influenzata dall’arte di Jacques-Louis David che ha avuto la possibilità di conoscere nel 1797 durante un soggiorno in Francia.
Flaugier fu sedotto dalla classicità e, infatti, si deve a lui il merito d’aver introdotto il Neoclassicismo in Catalogna.
Nel 1809 fu nominato direttore della Scuola di Belle Arti di Barcellona, ruolo che ricoprì fino alla morte sopraggiunta nel 181360.
Giuditta e Oloferne
Anche Joseph Bernat Flaugier decise di rappresentare la propria versione della storia biblica di Giuditta [Figura 26].
Egli dipinse il momento immediatamente precedente all’uccisione del comandante assiro da parte della bella giovane ebrea.
La scena si svolge all’interno della tenda di Oloferne, un luogo dominato dalla penombra, ma una luce proveniente da sinistra illumina Giuditta mentre si accinge a compiere l’efferato delitto.
La donna è in movimento, la vediamo avvicinarsi al generale che, sopraffatto dai fumi dell’alcol, giace inerme. La spada impugnata dalla giovane è vicina al collo dell’uomo mentre egli nulla può fare per contrastare il suo destino. La posizione del corpo, infatti, con il braccio in un’innaturale posizione che pende su un lato del giaciglio, esprime l’impossibilità dell’uomo ad agire.
La luce, generata da una lampada retta dalla fidata ancella, fa risaltare le ricche vesti e la bellezza di Giuditta ma, allo stesso tempo, il suo volto. Il viso, di tre quarti, è impassibile, nessuna paura anima la giovane consapevole della necessità del suo gesto.
L’opera imprime su tela un esatto momento come se si trattasse di un’istantanea, immobilizza Giuditta la quale, come si può osservare dalla posizione del corpo proteso in avanti, è in movimento.
60 Judith et Holopherne,