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EVOLUZIONE DEL TEMA DI GIUDITTA NEL XX SECOLO

EVOLUZIONE DEL TEMA DI GIUDITTA NEL XX SECOLO

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Delle opere eseguite nel XX secolo ritraenti il tema di Giuditta ho selezionato esclusivamente cinque dipinti realizzati da Gustav Klimt e Franz von Stuck tra il 1901 e il 1927.

Esse rappresentano il culmine della parabola evolutiva del personaggio biblico che in questo secolo subisce un’ulteriore evoluzione in una donna bellissima ma vendicativa e spregiudicata. Ad influenzare questa nuova visione di Giuditta sono i lavori di due importanti personalità come Friedrich Hebbel e Sigmund Freud.

Il primo scrisse, nel 1840, la tragedia Giuditta. Tragedia in cinque atti basandosi sul racconto dell’Antico Testamento e apportando una notevole modifica sessualizzando la vicenda narrata. Sfruttando gli scritti di Hebbel, nei quali Giuditta decapita Oloferne spinta dal desiderio di vendicare lo stupro subito e non per sentimenti patriottici, Freud utilizza il personaggio per spiegare il tabù della verginità e l’odio che può generarsi nella donna verso l’uomo con cui intraprende il primo rapporto sessuale.

Le Giuditte di Klimt e von Stuck non sono più le eroine viste nei secoli precedenti; donne che agiscono sotto la guida del Signore per la salvezza del proprio popolo. Siamo in presenza di figure femminili ferite, abusate, che non hanno solo sedotto Oloferne, come nel XIX secolo, ma che con lui hanno avuto un rapporto fisico.

La componente sessuale, nelle opere del XX, secolo è predominante molto più di quanto lo sia stata nei secoli precedenti.

Franz von Stuck realizza tre versioni della storia tratta dal Libro di Giuditta. Le tre rappresentazioni [Figura 59,60,61] sono molto simili tra loro e la protagonista è completamente svestita come se tra i due il rapporto carnale si fosse appena concluso.

Gustav Klimt, al contempo, si dedica in due occasioni alla storia di Giuditta concentrandosi sulla componente erotica della protagonista. Nella prima versione del 1901 [Figura 57] la bella giudea, il cui corpo viene lievemente velato da un tessuto semitrasparente, socchiude le labbra

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in maniera seducente mentre nell’opera successiva del 1909 [Figura 58] l’artista ha preferito lasciare scoperta la parte superiore del corpo; dalla pelle pallida del busto, che risalta in quanto circondata da elementi decorativi stilizzati, emerge il seno sul quale Klimt ha prestato particolare attenzione.

4.1 Giuditta: tragedia in cinque atti di Friedrich Hebbel

Friedrich Hebbel nasce a Wesselburen, un piccolo centro vicino al Mare del Nord, il 18 marzo 1813.

Il padre vorrebbe che sia Friedrich che il fratello minore cominciassero a lavorare fin da bambini ma la madre incoraggia la possibilità che i figli abbiano l’opportunità di frequentare la scuola nonostante la situazione d’indigenza in cui la famiglia si trova.

Nel 1827 il padre muore e Hebbel entra al servizio di Johann Jakob Mohr che ricopre il ruolo di Kirchspielvogt, un funzionario nominato dal governo il cui ruolo consiste nell’amministrare la giustizia di primo livello e riscuotere le tasse.

Mohr possiede una ricca biblioteca che Hebbel può consultare liberamente ed è qui che entra in contatto con la lettura di scrittori come Goethe, Schiller, Shakespeare e molti altri.

Nel 1835 si trasferisce ad Amburgo e, l’anno successivo, a Heidelberg per iniziare gli studi di giurisprudenza che, però, abbandonerà ben presto164.

Tra il 2 ottobre 1839 e il 28 gennaio 1840 Friedrich Hebbel scrisse la sua prima tragedia in cinque atti, Giuditta.

La prima si svolse a Berlino il 6 luglio dello stesso anno mentre il testo fu pubblicato nel 1841. Oloferne, generale al servizio del re assiro Nabucodonosor, è in procinto di concludere, vittoriosamente, la campagna di conquista ordinatagli dal suo sovrano; tutti i popoli, pur di ottenere la grazia, si sottomettono a lui.

L’unica comunità che rifiuta l’asservimento al dominio assiro è quella degli ebrei. La città più vicina all’accampamento di Oloferne è Betulia, un piccolo centro fra i monti i cui abitanti hanno già provveduto a fortificare le mura.

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Lì vive Giuditta, una giovane vedova che rispetta rigorosamente la morale indicatale da Dio. Sposò su marito Manasse quando aveva quattordici anni e il matrimonio durò sei mesi finché la morte non sopraggiunse per l’uomo.

Durante la prima notte di nozze qualcosa di strano e misterioso avvenne nei loro appartamenti, un sortilegio che impedì a Manasse di toccare Giuditta preservandone la verginità.

Giunto Oloferne alle porte di Betulia, Giuditta s’inginocchia per tre giorni aspettando che il Signore le dia il coraggio di alzarsi e compiere una missione che altri uomini, suoi concittadini, non avevano avuto il coraggio d’intraprendere. Deve trovare il modo e la forza di sconfiggere il valoroso condottiero nemico.

Nel frattempo, l’esercito assiro ha assediato la città e, tagliando le condutture dell’acqua, impone agli ebrei una scelta: morire di sete o arrendersi.

Al terzo giorno Giuditta chiama Mirza, la fidata ancella, comandandole di adornarla.

Tra il popolo regna lo sconforto, molti piangono disperati scongiurando la resa della città ma tra loro si erge Giuditta che chiede agli anziani di poter uscire da Betulia. Non rivela il suo piano ma chiede alla sua serva di accompagnarla portando con sé una bisaccia piena di vino e cibo.

Giunta in prossimità dell’accampamento assiro viene notata da alcuni soldati che, colpiti dalla sua bellezza, acconsentono ad accompagnarla al cospetto di Oloferne.

Egli, come i suoi sottoposti, rimane stupefatto dall’aspetto della giovane la quale, in ginocchio, rinnega il suo popolo e gli chiede di accettare la propria resa.

Grazie alle dolci parole pronunciate e alla bellezza che la contraddistingue, Oloferne accorda a Giuditta la possibilità di restare nell’accampamento. I discorsi da lei proferiti sono talmente convincenti che anche Mirza crede che Giuditta si stia rivoltando contro il suo popolo ma questa è unicamente una strategia per liberare Betulia in soli cinque giorni.

La sera del quarto giorno Oloferne, che fin da principio era rimasto colpito dall’avvenenza della giovane e cercava di sedurla, invita Giuditta a banchettare presso la sua tenda. Le intenzioni del condottiero nemico sono chiare fin da subito e si manifestano nel finale quando la giovane si dimostra meno accondiscendente di quanto l’uomo pensasse ad accettare di giacere con lui. Oloferne reagisce spingendola con forza nella sua alcova e abusando di lei.

Al termine della violenza il valoroso condottiero cade in un sonno profondo causato dall’eccessivo vino bevuto durante la serata. Giuditta, allora, chiama la fida Mirza che attendeva all’esterno della tenda e, spinta dal desiderio di vendicare l’onta subita, afferra la spada del generale decapitandolo con un solo colpo.

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La testa recisa viene posta dalla serva, con riluttanza, nella bisaccia e le due escono dalla tenda dirigendosi verso Betulia (nessuno le disturba perché Giuditta aveva ottenuto la possibilità di allontanarsi dall’accampamento per pregare).

Giunte alle porte della città la giovane viene acclamata da tutti come la salvatrice del suo popolo mentre l’esercito assiro, dopo aver ritrovato il corpo senza vita del generale, scappa terrorizzato165.

Rispetto al testo Biblico la tragedia di Hebbel, nonostante segua le vicende descritte nell’Antico Testamento, presenta delle notevoli discrepanze che contribuiscono a diversificare notevolmente la personalità di Giuditta.

In entrambe le narrazioni ella viene presentata come una donna timorata di Dio. Da quando è divenuta vedova la sua vita è dedicata agli altri, alla sua città. Per questa benevolenza è ben vista dai suoi concittadini che la ascoltano nonostante sia una donna.

Viene così descritta dagli abitanti di Betulia:

Un terzo. È la donna più devota della città! Finché ci andava bene, sedeva silenziosa nella sua cameretta; chi l’ha veduta in pubblico, se non per pregare o sacrificare? Ma ora che vogliamo darci alla disperazione, ella abbandona la sua casa e vive con noi e ci infonde conforto!

Il precedente. Ella è ricca ed ha molti beni. Ma sapete ciò che disse un giorno? «Io amministro soltanto questi beni; essi appartengono ai poveri». Ed ella non lo dice solamente, lo fa anche. Io credo che non si rimariti, soltanto perché dovrebbe cessare di essere la madre dei bisognosi! Se il Signore ci aiuta, è solo per lei.

(Friedrich Hebbel, Giuditta. Tragedia in cinque atti, atto terzo)166

Ne emerge la figura di una giovane che, dopo la vedovanza, ha deciso di sacrificare la sua stessa vita al Signore e ai più bisognosi. È proprio a Dio che si rivolge per cercare la forza di intraprendere una missione talmente rischiosa da mettere in pericolo la sua stessa vita.

Giuditta (si getta in ginocchio). Dio, Dio! Quasi mi sembra di doverti afferrare per il lembo, come uno che mi minacci di lasciarmi per sempre! Non volevo pregare, ma devo pregare, come devo prendere fiato per non soffocare! Dio! Dio! Perché non ti chini giù… su di me? Io son troppo debole per sollevarmi fino a te! Vedi, sono qui, come fuori dal mondo e dal tempo; aspetto con ansia un tuo cenno che mi comandi di alzarmi e di agire! (Friedrich Hebbel, Giuditta. Tragedia in cinque atti, atto terzo)167

165 Hebbel Friedrich, Giuditta. Tragedia in 5 atti, Firenze, G. C. Sansoni Editore, 1943 166 Ivi, p. 45

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Ciò che muove Giuditta ad agire è un sentimento patriottico, vede la liberazione degli abitanti della sua città come un obiettivo più importante rispetto alla salvezza di una singola persona ma per riuscire a compiere un atto così coraggioso ha bisogno di un sostegno divino.

Sul finale della tragedia, però, qualcosa cambia e il sentimento che persuade Giuditta si trasforma drasticamente.

Oloferne invita la giovane nella sua tenda per banchettare con lui; il generale lusinga la donna la cui bellezza lo aveva impressionato fin dal primo giorno. Inizialmente, Giuditta acconsente al corteggiamento facendo credere all’uomo che al termine della serata giaceranno assieme. Egli beve molto e Giuditta gli concede diversi baci ma quando la serata sta per concludersi e l’uomo ha palesato il suo interesse nel giacere con lei, ella tenta di resistergli ma il bruto generale la prende con la forza.

Giuditta si trasforma in una donna ferita il cui unico obiettivo non è più salvare il suo popolo ma vendicare l’onta subita.

(rivolgendosi a Mirza) Giuditta: Che? Sei forse al suo soldo? Che m’abbia tratto a forza con sé, che m’abbia condotto con violenza sul suo giaciglio svergognato, che abbia soffocato la mia anima, sopporteresti tutto questo? E ora che mi voglio pagare per l’annientamento che provai nelle sue braccia, ora che mi voglio vendicare per il rude strappo fatto alla mia umanità, ora che voglio lavare col sangue del suo cuore i baci disonorati che ancora ardono sulle mie labbra, ora non arrossisci di condurmi via? (Friedrich Hebbel, Giuditta. Tragedia in cinque atti, atto quinto)168

Qui risiede il cambiamento maggiore apportato da Hebbel rispetto al testo biblico.

Giuditta, che per un sortilegio non era stata deflorata nemmeno da suo marito, si ritrova oltraggiata da un uomo abbietto come Oloferne.

Dimentica le circostanze che l’hanno condotta lì, le sofferenze che Betulia sta vivendo e l’unica cosa che brama è la vendetta. Uccidere Oloferne vendicherebbe la grande offesa subita. Ella si trasforma nella femme fatale che l’uomo di fine secolo teme. La decapitazione diviene un atto personale, l’uccisione di chi ha osato violare il suo corpo.

Esclusivamente dopo aver perpetrato l’omicidio Giuditta si calma e ricorda il motivo che l’ha indotta a recarsi nell’accampamento nemico.

L’atto della decapitazione in sé, confessa la giovane, è stato mosso puramente dal desiderio di rivalsa nei confronti del suo stupratore, nonostante questo fosse l’obiettivo che si era prefissata fin dall’inizio.

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Ammette di aver operato il lecito ma per ragioni illecite come una vendetta puramente personale.

A causa della violenza subita si era scordata di tutto, del suo popolo e di Dio. Se inizialmente cerca nel Signore l’appoggio e la forza per recarsi da Oloferne, durante il quinto atto la presenza divina scompare. Non prega prima della decapitazione, non ne ha bisogno, l’oltraggio subito le dà la forza sufficiente a fare ciò che è necessario per vendicarsi.

Giuditta si tramuta, così, in un’eroina, compie un atto straordinario che oltre a non essere riuscito prima agli uomini suoi concittadini, paralizza la sua serva che sviene durante la decapitazione e fatica a comprendere il suo gesto.

La stessa giovane si giudica un’eroina. Se nella Bibbia sono i suoi concittadini che, vedendola tornare a Betulia con il capo di Oloferne la acclamano come tale, nella tragedia la bella vedova riconosce che quello che ha fatto è un gesto che, nonostante le sia costato caro, spetta a una persona che può definirsi eroe.

Un’altra notevole differenza rispetto al testo biblico è la castità della vedova. Nel Libro di

Giuditta, non essendoci elementi a confutarlo, il matrimonio deve essere stato consumato

mentre nella tragedia di Hebbel, per uno strano sortilegio, Manasse, il marito di Giuditta, non poteva toccarla.

Ciò la rende una donna pura nonostante la vedovanza ma dopo essere stata violata da Oloferne qualcosa in lei cambia, ha perso l’innocenza che la distingueva e si trasforma in una donna che deve essere temuta da tutti gli uomini. Chi ha osato toccarla, rubandole la verginità, subirà un destino che mai si sarebbe aspettato.

La trasformazione di Giuditta in una femme fatale impulsiva e imprevedibile si è completata. È una donna bellissima che utilizza la propria appariscenza per sedurre Oloferne ma una volta che egli si unisce a lei diviene una pericolosa assassina. È una donna che fin da principio sfrutta l’inganno e la seduzione per fini personali ma allo scopo di portare sollievo in una collettività più ampia. Tuttavia, una volta che non riesce più a controllare le sue stesse armi, ritrovandosi più debole rispetto al possente Oloferne, diviene un mostro vendicativo a cui interessa esclusivamente riprendersi la dignità rubatale. Dimentica la comunità a cui appartiene e agisce per fini puramente personali.

La tragedia di Hebbel rispecchia il nascente sentimento che, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, cresce negli animi degli uomini.

Si tratta della paura generata dal lento processo d’emancipazione che il genere femminile sta vivendo nel corso del secolo. Esso trasformerebbe le donne in esseri ingannatori che, grazie alla consapevolezza della forza della seduzione, utilizzano la propria avvenenza femminile per un

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fine meramente personale capovolgendo l’ordine patriarcale della società che vedeva il potere sotto l’unico controllo del genere maschile.

Lo scrittore fa emergere, tra le righe della sua tragedia, un’idea di femminilità che è in contrapposizione con i nascenti ideali femministi.

Le donne devono essere considerate esseri inferiori rispetto agli uomini e il loro ruolo, nella società, è legato esclusivamente all’assetto famigliare.

Una donna è un nulla; solo per mezzo dell’uomo può divenire qualcosa; per mezzo di lui può divenir madre. Il figlio che ella genera è l’unico grazie ch’ella possa offrire alla natura per la propria vita

(Friedrich Hebbel, Giuditta. Tragedia in cinque atti, atto secondo)169

Nella tragedia, quindi, viene sostenuta l’idea che l’unica utilità sociale della donna sia generare figli ed è una cosa che non può fare senza il contributo maschile. Senza l’uomo la donna non è nulla perché non può diventare madre.

Quest’idea non dovrebbe stupire il lettore in quanto per secoli si era ritenuta la donna un mero mezzo riproduttivo.

È da notare, però, che Hebbel potrebbe aver fatto pronunziare a Giuditta queste parole solamente per rafforzare la paura che cresce in lei alla fine del quinto atto: generare un figlio di Oloferne.

Se inizialmente si dispiace per le donne sterili che in una società simile non hanno alcuna utilità poiché non possono procreare, alla fine si augura di essere una di loro in quanto l’attanaglia il timore che la nascita di un figlio, il cui padre è l’uomo che lei stessa ha assassinato, possa portarla alla morte. Se il bambino, divenuto uomo, scoprisse quale è stato il destino di suo padre potrebbe commettere un matricidio per vendicarne l’onore.

In una lettera datata 3 gennaio 1840 Hebbel scrive:

La Giuditta della Bibbia non mi serve. È essa una vedova che con inganno e malizia attira Oloferne nella sua rete, che è tutta contenta quando ne ha la testa nel sacco e canta e giubila davanti e insieme all’intero Israele per tre mesi interi. Questo è volgare; una tale natura non è degna del suo successo… La mia Giuditta vien paralizzata dalla sua azione medesima; è pietrificata dinanzi alla possibilità di partorire un figlio di Oloferne; si rende conto che ha ecceduto, che, almeno, ha operato il lecito per ragioni illecita170

169 Ivi, p. 22 170 Ivi, pp.88-89

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Egli non nega il gesto eroico della vedova di Betulia ma in una successiva lettera del 1843 lo sminuisce paragonando Giuditta a Charlotte Corday171 definita come un mostro di fanatismo e inganno172.

Indubbiamente, la protagonista della tragedia possiede delle caratteristiche tali da poterla definire eroina. Quanto meno nei primi quattro atti finché, a causa della violenza, scorda il motivo che l’aveva spinta, originariamente, ad addentrarsi nell’accampamento assiro e diviene una pericolosa assassina crudele che agisce per mera vendetta.

È consapevole del rischio che corre nell’affrontare Oloferne ma è pronta a sacrificare la sua stessa vita per la libertà del suo popolo, come nel testo biblico. Non considera, però, che qualcosa di peggiore della morte le possa accadere.

Hebbel giustifica la verginità di Giuditta sostenendo che solamente una donna pura potrebbe avere l’ardire di compiere un’azione così incredibile poiché la vergine è disposta a sacrificare tutto per la causa ma una volta persa l’innocenza decade anche la fonte della sua forza portandola ad agire per ragioni illecite.

Egli, deliberatamente, sessualizza il racconto patriottico che il Libro di Giuditta narra.

In nessuna opera da me analizzata e realizzata tra il XVIII e il XIX secolo si evince che tra Giuditta e Oloferne ci sia stato alcun rapporto sessuale173.

Soprattutto nel corso del XIX secolo la giovane vedova diventa sempre più seducente e le sue caratteristiche erotiche vengono accentuate ma questo non fa presupporre che tra lei e il nemico ci sia stato alcun rapporto carnale.

Al contrario, se osserviamo i dipinti che Franz von Stuck esegue tra il 1926 e il 1927 [Figura 59,60,61], è ragionevole supporre che il gesto che Giuditta si accinge a compiere sia mosso da sentimenti legati all’aver giaciuto con lui.

Ella appare completamente nuda dinnanzi a Oloferne ma ciò non pare turbarla.

171 Marie-Anne-Charlotte Corday d’Armond è stata una rivoluzionaria francese nota principalmente per l’assassinio di Jean-Paul Marat. Corday proviene da una famiglia arcirealista e, durante la rivoluzione, si appassionò alle idee repubblicane girondine. Probabilmente non agì in solitaria ma fece parte di un complotto organizzato dai girondini che prevedeva, oltre all’uccisione di Marat, anche l’assassinio di Robespierre e Danton. Il 13 luglio 1793 riuscì a farsi accogliere in casa di Jean-Paul Marat il quale, a causa di una febbre che lo assaliva da due o tre mesi, si trovava sdraiato in una vasca coperta mentre correggeva le bozze del suo giornale. Corday estrasse il coltello che nascondeva sotto lo scialle e lo colpì al patto causandone la morte.

Kroptkin Pëtr, La Grande Rivoluzione. (1789-1793), Ginevra, Edizioni della Rivista «Anarchismo», 1911, pp. 196-297

172 Hebbel, Giuditta, cit., p. 89

173 Solamente dal dipinto realizzato da Fernand Lematte nel 1886 [Figura 54] si potrebbe desumere che tra Giuditta e Oloferne si sia ultimato un rapporto carnale in quanto ella, per quanto una veste le copra la parte inferiore del corpo, appare semisdraiata sul giaciglio del condottiero assiro.

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In particolare, nel dipinto realizzato nel 1927 e sito attualmente presso una collezione privata, Giuditta si mostra rilassata mentre, con la grande spada tra le mani, osserva l’oramai indifeso Oloferne. Prova piacere nel constatare la vulnerabilità del nemico e si prende del tempo per

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