• Non ci sono risultati.

L’evoluzione della professione: da operatore assistenziale a manager

manager

In questo capitolo viene evidenziata la funzione dell’assistente sociale all’interno del processo di programmazione. Partendo da un excursus sul processo storico, attraverso il quale il mutamento delle politiche sociali ed i cambiamenti normativi hanno ridefinito il ruolo del professionista, si intende comprendere il reale ruolo svolto oggi dall’operatore sociale e le difficoltà con cui ogni giorno si imbatte.

3.1.

Excursus storico sull’evoluzione della professione

Con il termine servizio sociale si fa riferimento “ad una professione basata sulla pratica e una disciplina accademica che promuove il cambiamento sociale e lo sviluppo, la coesione e l’emancipazione sociale, nonché la liberazione delle persone. Principi di giustizia sociale, diritti umani, responsabilità collettiva e rispetto delle diversità sono fondamentali per il servizio sociale”.98

La professione si sviluppa alla fine dell’Ottocento nei Paesi Anglosassoni, quando nel 1869 a Londra si istituiscono le Charity Organisations Societies99 o Cos in cui gli

Friendly visitors, visitatori amichevoli e predecessori degli assistenti sociali, ponevano al

centro del proprio intervento il singolo individuo poiché vi era la convinzione che le cause della povertà e del disagio familiare fossero legate ad una deformazione dell’individuo stesso e della sua famiglia.

Di conseguenza l’obiettivo dei Friendly visitors è quello di rieducare il soggetto per apportare un cambiamento positivo nella società e contrastare le povertà mediante il metodo del casework o studio del caso individuale, in cui si seguiva lo schema studio – diagnosi – trattamento.

Ulteriore movimento che contribuisce allo sviluppo del social work sono i

Settlements, i quali, a differenza dei Cos, pongono l’attenzione ai problemi sociali che

98

Definizione internazionale di Servizio Sociale. Ttraduzione in italiano dall'inglese “Global definition of

Social Work” anno 2014 a cura di A. Sicora v1 dd. 30.04.14.

61

affliggono la popolazione inglese. Questo nuovo movimento di religiosi intellettuali sposta le cause della povertà dall’individuo alla società, sostenendo che la povertà non è provocata dalla deformazione del singolo soggetto ma dalle disuguaglianze sociali che caratterizzano il territorio inglese. Pertanto, lo scopo dei Settlements è quello di ridurre le disuguaglianze mediante l’insediamento abitativo da parte dei ceti benestanti nelle aree più povere.

È la sociologa statunitense Mary Richmond, considerata una delle pioniere nella storia dell’assistenza sociale, ad istituire i primi corsi di formazione sia negli Stati Uniti che nel nord Europa. Ancora grazie alla realizzazione dei suoi due testi “Social Diagnosis” del 1917 e “What is Social Workers?” del 1922, vengono introdotti alcuni fondamenti della deontologia professionale dell’Assistente Sociale.

Per quanto concerne l’Italia l’assistenza sociale ha inizio nel 1600, quando la Chiesa e successivamente insieme alle Opere Pie, ovvero un’istituzione di beneficienza istituita con la legge Rattazzi 753/1862, svolgono attività di beneficienza a favore delle persone disagiate.

Occorre rendere noto che, a differenza dei Paesi Anglosassoni, in Italia il percorso del servizio sociale e della relativa professione di assistente sociale è stato caratterizzato da numerose difficoltà; a differenza di altri Paesi, in cui la necessità di specializzare i propri operatori sociali viene mossa dagli enti stessi, in Italia la funzione dell’Assistente Sociale viene promossa dalle prime scuole di formazione del servizio sociale.

Tuttavia, nonostante l’assistenza sociale è già diffusa nel 1600 attraverso azioni di beneficienza, è con la nascita dello Stato democratico e della Carta Costituzionale, del secondo dopo guerra, che si cerca di comprendere i gravi problemi sociali che caratterizzavano la popolazione italiana alla fine della guerra e di fornire delle risposte adeguate per risolvere questi disagi.

Un elemento fondamentale che permette lo sviluppo del servizio sociale professionale in Italia è il Convegno di Tremezzo che si è tenuto tra il 16 settembre e il 6 ottobre del 1946; numerosi esperti nazionali e internazionali evidenziano la necessità di una riforma dell’assistenza a favore delle popolazioni.

Da questo convegno emergono due bisogni fondamentali che si completano a vicenda; se da un lato vi è la necessità di una riforma assistenziale che permette di fornire delle risposte efficaci ed efficienti alle molteplici richieste provenienti dalla comunità, dall’altro si ha la necessità di identificare una figura professionale specializzata che sia in grado di espletare il ruolo politico e tecnico richiesto dalla riforma assistenziale.

62

Pertanto, negli anni cinquanta e sessanta diversi enti ed organizzazioni introducono la figura dell’assistente sociale nel proprio organico. “Sulla base della crescente consapevolezza delle insufficienze formali e sostanziali delle strutture assistenziali, il servizio sociale è passato, nell’arco del suo percorso evolutivo, dal volontariato al professionalismo routinizzante, impegnandosi sempre più nell’individuazione e nella circoscrizione del proprio campo di operatività, nell’elaborazione di un complesso di conoscenze teoriche e tecniche specifiche, nella definizione scientifica della loro applicazione, nell’analisi della società in cui agisce e dei processi di interazione con la stessa”.100

Inoltre, grazie al Convegno di Tremezzo tra il 1945 ed il 1947 vengono istituite a Milano ed a Roma cinque scuole private di servizio sociale; l’obiettivo è quello di formare operatori del sociale capaci di analizzare e comprendere le richieste di aiuto provenienti dalla comunità.

Queste prime istituzioni scolastiche del servizio sociale, completamente ignorate dallo Stato italiano e prive di un riconoscimento giuridico, beneficiano delle borse di studio messe a disposizione dall’Amministrazione per gli aiuti internazionali e recepiscono le tecniche del servizio sociale utilizzate fino a quel momento dagli Stati Uniti. “Essendo nate fuori dal sistema pubblico della formazione, le scuole erano prive di inquadramento giuridico, cosicché il titolo che esse rilasciavano non era legalmente riconosciuto e non ci poteva essere una uniforme indicazione rispetto ai programmi, alla durata dei corsi e ai criteri formativi, con una grave squalifica del percorso formativo e della professione”.101

Fino agli anni cinquanta gli operatori del sociale non hanno mai messo in discussione i principi su cui si fondano le scuole di servizio sociale e la stessa professione, rimangono, perciò, legati ad un’idea di azione sociale di tipo assistenziale. Questo ha cagionato degli effetti negativi alla professione, poiché “rispetto alle altre professioni sociali, stentava a trovare una collocazione precisa in campo politico, e che si presentava fragile culturalmente anche per una formazione legata a una preparazione settoriale

100

A. Mari, I. Mastropasqua, R. Romano, L’assistente sociale dirigente. Funzioni, responsabilità,

prospettive, Carocci Faber, Roma 2012, pp. 23 - 24. 101

G. Pieroni, M. Dal Pra Ponticelli, Introduzione al servizio sociale. Storia, principi, deontologia, Carocci Faber, Roma 2005, p.66.

63

rispondente alle esigenze di una politica assistenziale di settore incapace di un’analisi strutturale della realtà”.102

Il periodo che va dagli anni sessanta fino agli anni ottanta è caratterizzato da numerosi disordini da parte di studenti, docenti e esperti del servizio sociale finalizzati a modificare l’indirizzo assistenziale che fino a quel momento ha caratterizzato la professione. Vengono messe in discussione non solo le tecniche ed i metodi di lavoro adottati dagli operatori del sociale ma si intendeva mettere in crisi le istituzioni centrali al fine di apportare un cambiamento alla società.

Nel marzo del 1970 a Rimini, con lo scopo di ottenere il riconoscimento a livello nazionale del titolo di Assistente Sociale, viene organizzato dall’Associazione Nazionale Assistenti Sociali (AssNas) il Congresso inerente “Funzioni e compiti degli assistenti sociali e relativa formazione a livello universitario”; questo raduno, come affermano le autrici Pieroni e Dal Pra Ponticelli in un loro celebre testo, ha arrecato un mutamento improvviso ai principi ispiratori su cui si fonda la professione “e, soprattutto, del ruolo che il servizio sociale aveva fino a quel momento svolto, ritenuto funzionale solamente al potere e a chi, nelle istituzioni, lo gestiva e rappresentava l’autorità”.103

La sperimentazione di nuovi strumenti e metodi di lavoro professionale, una maggiore formazione universitaria e la necessità di apportare un’azione sociale all’interno del sistema assistenziale nazionale per realizzare un sistema socio-assistenziale, determinano un progressivo riconoscimento della professione sia sul piano giuridico che operativo.

Pertanto occorre ricordare l’innovazione attuata dalla riforma del Tribunale per i Minorenni (legge 16 luglio 1962, n.1085) con cui si realizza la nascita dell’Ufficio di servizio sociale e l’avvio delle prime carriere direttive per gli assistenti sociali. Questa riforma fa comprendere il ruolo fondamentale dell’assistente sociale all’interno dei servizi e contribuisce alla realizzazione delle successive riforme, ovvero quella ospedaliera (legge 12 febbraio 1968, n.132), psichiatrica (legge 18 marzo 1968, n.431) e penitenziaria con la nascita dei centri di servizio sociale per adulti (legge 26 luglio del 1975, n.354).

Si realizza il decentramento territoriale e viene attribuito un ruolo primario alle comunità locali, si inizia a parlare di servizi aperti e di partecipazione attiva del cittadino.

102

A. Mari, I. Mastropasqua, R. Romano, L’assistente sociale dirigente. Funzioni, responsabilità,

prospettive, Carocci Faber, Roma 2012, p. 24 103

G. Pieroni, M. Dal Pra Ponticelli, Introduzione al servizio sociale. Storia, principi, deontologia, Carocci Faber, Roma 2005, p. 69.

64

Con questo cambiamento si avvia il passaggio da un sistema di tipo welfare state, dove le prestazioni vengono erogate senza la partecipazione attiva del soggetto fruitore, ad un sistema di tipo welfare mix che vede la moltiplicazione degli attori sociali.

Questo passaggio favorisce ulteriormente la professione poiché “il centro di interesse professionale si sposta decisamente dall’uso e dell’affinamento delle tecniche alla dimensione politico – istituzionale e organizzativa delle risposte posizionandosi in una dimensione di “critico esperto” rispetto alle scelte di politica sociale e di organizzazione dei servizi”.104

L’avvio del processo di decentramento territoriale e la conseguente nascita di nuovi servizi sul territorio, permettono all’assistente sociale di sperimentare il proprio sapere in nuove aree lavorative; la necessità di rispondere in maniera efficace ed efficiente alle molteplici richieste emergenti provenienti dalla comunità, spinge il servizio sociale ad interagire con le risorse già presenti a livello locale, realizzando i cosiddetti “servizi di seconda generazione”. Quest’ultimi sono prestazioni a favore della comunità che poggiano su tre pilastri: si rifanno ad un’idea proposta dai cittadini, predispongono scambi con relativo feedback ed infine prevedono gruppi di auto – aiuto.

Questo processo, avviatosi già negli anni settanta, viene consolidato dal Decreto del Presidente della repubblica 24 luglio 1977 n.616, il quale non solo ha previsto il trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali ma ha valorizzato le autonomie locali permettendo ai cittadini di influire sulle scelte e di poter controllare l’operato.

Per quanto concerne il servizio sociale, il D.P.R. n.616/77 ordina alle Regioni di aggregare i Comuni in ambiti territoriali idonei alla gestione dei servizi e di cambiare la loro denominazione in “servizi alla persona e alla comunità”. È in questa realtà che i servizi sociali diventano uno specifico settore, con proprie funzioni da adempiere, ponendo al centro dei propri interventi il soggetto portatore di bisogno.

Pertanto, è possibile asserire che dagli anni ottanta in poi si sono susseguite numerose riforme a favore della professione; in modo particolare con il D.P.R. 15 gennaio 1987 n.14 viene riconosciuto giuridicamente il titolo professionale di assistente sociale, in cui all’art. 1 del suddetto D.P.R. si enuncia che “il diploma rilasciato dalle scuole dirette ai

104

A. Mari, I. Mastropasqua, R. Romano, L’assistente sociale dirigente. Funzioni, responsabilità,

65

fini speciali universitarie costituisce l’unico titolo abilitante per l’esercizio della professione di assistente sociale”.105

Ulteriore importante tassello è dato dalla legge 23 marzo 1993 n.84 in cui viene istituito l’Ordine degli assistenti sociali, sancendo l’iscrizione obbligatoria all’albo professionale per poter svolgere la professione di assistente sociale sia come libero professionista che come lavoratore dipendente.

Ancora, dopo uno studio approfondito da parte di esperti del servizio sociale, viene predisposto il Codice deontologico della professione, “costituito dai principi e dalle regole che gli assistenti sociali devono osservare e far osservare nell’esercizio della professione e che orientano le scelte di comportamento nei diversi livelli di responsabilità in cui operano”.106

Queste principali innovazioni a favore della professione vengono completate dalla recente emanazione della legge 8 novembre 2000 n.328, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali che ridefinisce il profilo delle politiche sociali apportando diverse novità.

Con la legge del 2000 si è giunti alla creazione di un quadro normativo unitario valido per tutto il territorio nazionale; si è avuto il superamento del vecchio sistema assistenziale. “L’integrazione che, secondo i dettami della legge, si realizza sui differenti piani – normativo, economico e di coordinamento – tra gli interventi di servizio sociale e quelli sanitari, indica la strada dell’unitarietà del processo programmatorio e quindi di una necessaria concertazione tra enti territoriali e attori pubblici e privati che concorrono all’erogazione delle prestazioni”.107

In questo scenario la normativa ha previsto delle competenze specifiche svolte dal servizio sociale:

 Segretariato sociale108, un servizio gratuito che fornisce informazioni sui servizi sociali, assistenziali, educativi e sanitari, sia pubblici che privati, presenti sul territorio. L’obiettivo di questo servizio è assicurarsi che tutti i cittadini possano avere accesso alle risorse e agli aiuti che sono disponibili nel loro territorio. “Il

105

Art. 1 – D.P.R. 15 gennaio 1987, n.14 “Valore abilitante del diploma di assistente sociale in attuazione

dell’art. 9 del D.P.R. 10 marzo 1982, n.162. 106

Titolo I – Definizione e potestà disciplinare. Codice deontologico dell’assistente sociale

107

A. Mari, I. Mastropasqua, R. Romano, L’assistente sociale dirigente. Funzioni, responsabilità,

prospettive, Carocci Faber, Roma 2012, p.27 108 Art. 22 comma 4 della legge 328 del 2000.

66

segretariato sociale è la porta di accesso al mondo dei servizi sociali, il primo contatto tra il cittadino e le istituzioni deputate ad aiutarlo. La prima impressione è quindi fondamentale per dare un buon imprinting alla relazione che da li si svilupperà”.109

Management sociale del caso (case management)110, un processo che vede la cooperazione di più figure professionali per pianificare, progettare e valutare alcune scelte al fine di contrastare i bisogni di un individuo o di una collettività.

 Coordinamento111 e di direzione di unità operative, di responsabilità nei piani di zona e di progettazione concreta per la realizzazione di nuovi servizi. Per quanto riguarda il ruolo dirigenziale, a livello delle unità complesse, all’interno dell’area socio-sanitaria il servizio sociale si trova a dover affrontare diversi ostacoli poiché si ritrova sottomessa alla componente sanitaria.

Pertanto riprendendo una nota citazione di Walter Lorenz112 “le vecchie identità sono minacciate e le nuove identità sono solo un profilo vago all’orizzonte. Ma il servizio sociale possiede una storia di incertezze e di identità in continua trasformazione. Il contesto storico dell’ultimo decennio del ventesimo secolo rappresenta un momento propizio per meglio apprezzare il passato e per rivalutare le diverse maniere con cui la professione si presenta come strumento capace di affrontare in maniera ancora più competente i compiti futuri”.

3.2. La professione di assistente sociale oggi. I direttori di Servizio Sociale

In Italia la professione di assistente sociale, all’interno delle organizzazioni pubbliche e private, si sviluppa intorno agli anni cinquanta del secolo scorso; si tratta di un modello di lavoro di tipo verticistico e burocratico che non permette alla professione di adottare un modello di lavoro di tipo dinamico e progettuale.

109

https://www.google.it/amp/s/saperesociale.com/2017/05/15/il-segretariato-sociale/amp/

110

Art. 19 della legge 328 del 2000.

111

Art. 21 della legge 328 del 2000.

67

Con l’evoluzione del welfare, si ha il riconoscimento della professione e l’assistente sociale pone la sua attenzione “alla vita complessiva delle persone, all’appartenenza territoriale, a processi di decentramento e di democrazia nelle istituzioni”.113

I cambiamenti del welfare hanno investito non solo il settore privato dei servizi alla persona ma anche quello pubblico; le metodologie di lavoro adottate dai professionisti, che all’interno delle organizzazioni svolgono la carica dirigenziale, sono diventate inadeguate per la gestione delle strutture organizzative.

Pertanto, si abbandona la vecchia visione dirigenziale di tipo rigido e burocratico per abbracciare un nuovo stile di indirizzo improntato ad una visione più dinamica e creativa; si fa strada la figura del manager e del leader che adottano nuove tecniche di lavoro fondate sulle risorse umane. “La professione oggi è l’insieme di un sapere proprio, di un sapere integrato e derivato da diverse discipline, e mixato con le politiche sociali in evoluzione, con la specificità del welfare italiano, con gli spazi di operatività diretta dell’assistente sociale, con le prospettive di sviluppo della professione nell’assetto dei servizi alla persona”.114

L’assistente sociale dirigente, che opera all’interno dell’area penitenziaria e sanitaria, è responsabile della governance di un sistema organizzativo pubblico o privato; grazie alla sua ampia esperienza è,infatti, in grado di costruire una proiezione visionaria dei progetti in cui l’organizzazione è implicata. È proattivo poiché guarda dritto all’orizzonte e conduce il team nel perseguimento della mission e della vision. “La visione va intesa allora come sviluppo di un principio che genera una struttura configurante e che appartiene come possibilità a tutti i domini umani: scienza, politica, lavoro, relazioni sociali, arte, gioco, linguaggio ecc. […] Quando si prosciuga una visione […], succede che il lavoro diventa solo sforzo e sacrificio e non si colloca più entro una cornice che può farne un processo sociale volto a uno scopo condiviso”.115

113

A. Mari, I. Mastropasqua, R. Romano, L’assistente sociale dirigente. Funzioni, responsabilità,

prospettive, Carocci Faber, Roma 2012, p.11. 114

Ibidem, p.11

115

68

Un direttore di servizio sociale deve agire considerando l’importanza degli operatori; egli oltre a valorizzare le competenze dei professionisti deve attivare azioni che siano condivise dal resto della “crew”.116

Il dirigente di servizio sociale possiede una preparazione relativa alla progettazione e alla ricerca sociale che gli permette di progettare interventi e programmi per il servizio in cui è al vertice.

L’assistente sociale dirigente ha una formazione differente dall’assistente sociale di base; egli consegue una laurea di secondo livello di tipo specialistico. La professione è oggi regolata dalla Legge 23 marzo 1993, n. 84 e dal Decreto Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328.

Spesso i direttori che si trovano a capo di un’organizzazione, lasciano ai propri dipendenti una minima capacità di scelta e di autonomia professionale poiché predispongono minuziosamente metodi e regole da seguire; i responsabili del servizio dispongono pienamente del potere decisorio. “La principale strategia di qualsiasi lotta per il potere consiste nello strutturare la posizione della controparte e destrutturare - ovvero deregolamentare - la propria”.117

Al fine di garantire il benessere psicosociale sia degli operatori del servizio che dell’intera comunità, quotidianamente, il dirigente intrattiene relazioni sia con gli operatori del proprio servizio, in quanto a questo è affidato il compito di coordinare e dirigere il servizio, che con gli amministratori ed i politici. “Una capacità quindi richiesta ad un dirigente è quella di essere autorevolmente convincente in base alla sua specifica preparazione teorico-operativa ma anche essere capace di mediare senza rinunciare al proprio obiettivo fondamentale che è quello del benessere dei cittadini-utenti della comunità in cui opera”.118

Un buon dirigente deve da un lato intrattenere i contatti con i rappresentanti delle istituzioni pubbliche e private al fine di attivare progetti rispondenti ai bisogni dei cittadini, dall’altro ha il compito di coordinare e coinvolgere attivamente il personale dell’ente nella

116

Il termine crew è inglese ed indica un equipaggio, ossia un gruppo di persone che collaborano ad un progetto comune. In tale contesto fa riferimento al gruppo di operatori che lavorano all’interno delle

organizzazioni sotto la guida di una direzione flessibile; infatti, il direttore tiene conto delle idee dei soggetti che compongono il servizio.

117

Z. Bauman, Danni collaterali. Diseguaglianze sociali nell’età globale, Editori Laterza, Roma 2013, p. 43

118

M. Dal Pra Ponticelli, L’assistente sociale oggi, in Rapporto sulla situazione del servizio sociale in Italia.

69

gestione delle attività. La funzione di coordinamento tipica del dirigente, richiede al medesimo la capacità di confrontarsi e negoziare azioni al fine di apportare possibili compromessi e soluzioni. “Al coordinatore è dunque richiesta una specifica competenza affettiva e culturale per tenere insieme un collettivo organizzativo, orientato a far sì che i diversi attori in gioco, individualmente o in gruppo, conoscano ed interagiscano sulla base dei loro punti di vista e progettino modi di essere e risposte adeguate ai problemi”.119

Ulteriore competenza del dirigente consiste nella consulenza svolta nei confronti degli operatori sociali che si ritrovano ad affrontare un momento di conflitto o

Documenti correlati