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Ruolo dell'Assistente Sociale nella programmazione sociale. Il contesto agrigentino

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Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Sociologia e Management dei Servizi Sociali

Ruolo dell’Assistente Sociale nella programmazione sociale.

Il contesto agrigentino

Laureanda

Relatore

Krizia Calogera Cutaia

Prof. Gabriele Tomei

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1

INDICE

Introduzione... 3

Capitolo I – Progettazione sociale: lo scenario attuale e gli sviluppi futuri ... 6

Il concetto di progettazione ... 6

Excursus storico sulla progettazione sociale ... 12

Pianificazione, programmazione e progettazione a confronto ... 17

Sfide e criticità di progettazione e di attuazione degli interventi ... 20

Continuous e-learing ... 23

Capitolo II – Dai sistemi di programmazione top–down ai cosidetti botton–up.. 29

Il modello di razionalità assoluta o sinottico... 29

I modelli incrementali ... 31

La programmazione a più livelli ... 35

Gli attori e gli atti di intesa nella programmazione plurale ... 39

L’Outcome Mapping ... 49

L’Outcome Harvesting ... 52

Roma: Rapid Outcome Mapping Approach ... 55

Capitolo III – L’evoluzione della professione: da operatore assistenziale a manager 60 Excursus storico sull’evoluzione della professione ... 60

La professione di assistente sociale oggi. I direttori di Servizio Sociale ... 66

Dalla direzione al management dei servizi sociali ... 70

Il leader figura carismatica dell’organizzazione ... 73

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2

Nuove metodologie di lavoro improntate sulle risorse umane... 80

Capitolo IV – Metodologia della ricerca ... 83

Disegno dell’indagine ... 83

Target della ricerca ... 85

Capitolo V – Ricerca sulla realtà nel territorio di Agrigento... 87

Operatori e progettazione sociale ... 87

Conclusioni e prospettive di implementazione ... 98

Allegato – Scheda d’indagine ... 100

Bibliografia ... 104

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3

Introduzione

La presente tesi si propone di esplorare il tema della progettazione sociale, le cui responsabilità sono demandate all’assistente sociale e sono finalizzate a soddisfare le esigenze manifeste o latenti dell’intera comunità locale.

Essa intende dunque individuare nuovi modelli di lavoro in un costruttivo scenario operativo presenziato da una pluralità di soggetti, nonché caratterizzato da una continua e repentina evoluzione delle politiche sociali.

Il primo capitolo costituisce un’introduzione alla progettazione sociale; esso vuole offrire un confronto nel tempo, un’analisi della nascita, sviluppo e diffusione di tale pratica nel contesto italiano, nonché una valutazione delle peculiarità tangibili che la caratterizzano. Si cerca infatti di analizzare da un punto di vista teorico l’effettivo significato dei concetti di pianificazione, programmazione e progettazione, in quanto talvolta questi risultano utilizzati in modo intercambiabile.

Il processo di progettazione è un’attività armonica, orientata alla realizzazione di azioni molto complesse attraverso l’impiego di diversi attori sociali (individui, gruppi e organizzazioni), risorse e strategie; è indispensabile verificare molti elementi, prevedere progressi e risultati, scomporre, standardizzare e rendere effettive le attività.

La progettazione nel sociale presenta alcune particolarità: genera servizi alle persone, interventi di aiuto finalizzati al cambiamento personale e sociale; è orientata verso la realizzazione di servizi e politiche innovative; coinvolge specifiche professioni; richiede un lavoro di rete tra una pluralità di organizzazioni sia pubbliche che private; dipende infine vigorosamente da finanziamenti pubblici per le politiche sociali.

Con il passare del tempo, si è avuta l’esigenza di apportare delle modifiche alle metodologie utilizzate per la realizzazione dei servizi; il cambiamento ha pertanto apportato una serie di pensieri, interrogativi ma anche speranze.

La progettazione implica una riorganizzazione dei sistemi organizzativi e sociali, in quanto interessa direttamente gli individui, i quali vengono coinvolti personalmente dal cambiamento. Pertanto, essa contiene alcuni nodi critici, giacché si tratta di idee spesso contrastanti e poco compatibili con cui gli operatori sociali devono confrontarsi: il progettista sociale si trova ad affrontare delle sfide quotidiane che riguardano sia l’analisi

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delle politiche vigenti nel territorio che il reperimento delle risorse economiche, umane e materiali.

Al fine di realizzare un’efficace attività di progettazione e valutazione è necessario armonizzare le risorse a disposizione con il tempo ed i fattori immateriali coinvolgendo i diversi stakeholder. Poiché si realizzi effettivo cambiamento organizzativo occorre investire nelle metodologie utilizzate dagli attori e dalle organizzazioni competenti: la direzione di un intervento per il cambiamento organizzativo richiede capacità generative, ideative e di cura dello stesso problema.

Uno de tanti strumenti fondamentali per poter realizzare un cambiamento organizzativo significativo è il case-management, un processo collaborativo di valutazione, pianificazione, facilitazione e advocacy per le scelte e le prestazioni, al fine di soddisfare i bisogni individuali delle persone attraverso la comunicazione e le risorse disponibili, per promuovere outcome di qualità, con un buon rapporto costo-efficacia.

Il secondo capitolo rappresenta una panoramica completa dei diversi approcci utilizzati durante l’attività di progettazione; l’operatore sociale ogni qual volta deve creare un nuovo intervento sociale, coordinare o risolvere un problema, modificare o trasformare una situazione si commisura con la complessità della progettazione.

Sovente il progettista mette in campo una metodologia non appropriata al raggiungimento dell’obiettivo prefissato; pertanto, occorre sviluppare delle competenze progettuali che permettano al professionista di analizzare le origini teoriche e le categorie concettuali che attribuiscono senso e importanza a ciascuna fase della progettazione.

Nel terzo capitolo viene illustrata l’evoluzione della professione che da un’accezione puramente burocratica ed amministrativa volge il proprio sguardo verso nuove funzioni manageriali e di leadership. Quella che era infatti nel passato una figura di responsabilità piuttosto inquadrata e limitativa si trasforma dunque in un attore proattivo, impegnato non solo nella quotidiana governance del servizio, ma nella gestione economica e logistica della stessa, nonché nel perseguimento della vision prefissata. A tali competenze si accompagna una spiccata indole carismatica volta ad alimentare energicamente la motivazione dei propri dipendenti ed a guadagnarne il consenso e la fiducia.

Tale trasformazione ha comportato una valorizzazione del capitale umano, in quanto le nuove metodologie operative sono improntate su un orientamento relazionale di tipo bidirezionale nei confronti del proprio team collaborativo.

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5

Nel quarto capitolo viene presentato un sondaggio a maggiore supporto dello studio effettuato, consistente nella somministrazione di un questionario ad assistenti sociali operanti nel territorio agrigentino.

Nel quinto capitolo i dati verranno elaborati e inseriti nel testo, evidenziando i tratti distintivi dell’effettivo stato attuale della pratica della progettazione sociale.

In definitiva, le motivazioni che mi hanno spinta ad occuparmi di questa tematica nascono da uno spiccato interesse nei confronti della progettazione sociale, nonché dal desiderio di poter fornire un valido supporto all’assistente sociale dirigente che volesse perfezionare la propria competenza in tale ambito, al fine di acquisire quella maturità professionale fondamentale per potere lavorare a stretto contatto con gli altri professionisti e realizzare interventi idonei a soddisfare le esigenze della comunità.

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6

Capitolo I – Progettazione sociale: lo scenario attuale e gli sviluppi futuri

1.1. Il concetto di progettazione

Questo primo capitolo intende porre le basi per una migliore comprensione dell’argomento oggetto della tesi, cercando di esporre i concetti salienti inerenti la progettazione sociale in senso ampio.

La progettazione viene utilizzata in diversi ambiti: ingegneristico, economico, politico etc.

In campo sociale lo strumento della progettazione viene utilizzato per apportare delle soluzioni efficaci ed efficienti ai molteplici bisogni espressi sia dai singoli individui che dalla collettività.

“Il termine progettare ha origine latina, deriva da proiectare (esporre) e da proicere (gettare avanti)”1

.

Secondo la definizione data nel 2004 dall’European Commission si intende per progetto: “una serie di attività finalizzate a produrre obiettivi chiaramente specificati, entro un periodo definito e con un budget specifico”.2 Solitamente, i ricercatori sviluppano un progetto poiché vi è la necessità di apportare un cambiamento nei diversi contesti sociali; di conseguenza la progettazione viene prefigurata come una tecnica in grado di apportare il cambiamento desiderato mediante la partecipazione attiva dei diversi attori primari e secondari.

Gli attori primari svolgono un ruolo fondamentale nella progettazione; attraverso il loro coinvolgimento diretto lavorano in maniera coordinata e complementare definendo gli obiettivi da raggiungere. Viceversa, gli attori secondari sono coloro che sostengono e coadiuvano gli attori primari nelle fasi della progettazione.

Il progetto nel sociale è un metodo messo in atto da attori sociali i quali individuano strategie ed azioni finalizzate al conseguimento, in un dato tempo e in un dato luogo, di obiettivi al fine di generare una trasformazione e una soluzione ai problemi ed ai disagi

1

A. Orsenigo, Progettare: alcuni nodi critici, in F. D’Angella, A. Orsenigo (a cura di), La progettazione

sociale, Gruppo Abele, Torino 1999, p.25. 2

European Commission (2004), “Project cycle management guidelines”, Aid delivery methods, vol. 1, March.

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socialmente rilevanti. “Con il termine progetti nel sociale facciamo riferimento a tutte quelle esperienze di progettazione, che nascono nell’ambito delle politiche sociali, e sono realizzate dai servizi pubblici, privati e del privato sociale nelle seguenti aree: sociale, psicologica, sanitaria, educativa e culturale, del tempo libero, dell’occupazione e dello sviluppo di comunità”.3

In ambito sociale è fondamentale parlare di progettazione; la qualità dei servizi dipende dalla capacità degli Assistenti Sociali dirigenti di gestire gli articolati processi di progettazione e valutazione.

Ulteriore elemento da tenere in considerazione riguarda l’influenza che il processo di progettazione sociale riceve dai fattori ambientali, culturali, strutturali e valoriali.

Progettare è un’attività che può essere attuata in diversi ambiti e in diverse organizzazioni. Nel settore sociale, attraverso la progettazione, si cerca di realizzare servizi a favore della comunità mediante un lavoro di squadra multi - professionale e con dei momenti in cui è prevista la partecipazione attiva dei soggetti portatori di bisogno,

Lia Sanicola, docente di Metodi e Tecniche del Servizio Sociale, parlando di progettazione introduce la nozione di “progetto di azione sociale” asserendo che grazie ad un efficace ed efficiente lavoro congiunto da parte dei professionisti del sociale, il progetto favorisce il raggiungimento di obiettivi e pertanto la risoluzione o la riduzione dei disagi manifestati dalla società. “Un dispositivo metodologico posto in atto da attori sociali i quali sulla base di una previsione, identificano strategie ed azioni adeguate al raggiungimento – in un dato tempo e in un dato luogo – di obiettivi per i quali esistono o sono ottenibili risorse specificamente dedicate, al fine di produrre un cambiamento in ordine alla soluzione di problemi o alla riduzione di disagi umanamente e socialmente rilevanti”.4

Come asserisce Carmelo Bruni, ricercatore dell’Università La Sapienza, è possibile considerare la progettazione come uno strumento che concretizza la programmazione sociale in una serie di obiettivi al fine di soddisfare la richiesta di aiuto proveniente da un gruppo di stakeholder; “un progetto è definito dal contribuire a realizzare una finalità, da un obiettivo concreto e misurabile, si suddivide a sua volta in fasi e tempi, si esplica in un complesso di attori, risorse e azioni. La progettazione, quindi, traduce il percorso delineato

3

L.Leone, M. Prezza, Costruire e valutare i progetti nel sociale. Manuale operativo per chi lavora su

progetti in campo sanitario, sociale, educativo e culturale, FrancoAngeli, Milano 2009, p. 9. 4

L. Sanicola, Il ciclo di progetto: aspetti metodologici, in L. Sanicola, G. Trevesi (a cura di), Il progetto:

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nella programmazione sociale in una serie di obiettivi concreti che consentono di soddisfare le finalità della pianificazione sociale”.5

Sovente, si pensa che i termini programma e progetto siano i medesimi ma è necessario fare una distinzione. Il progetto è differente dal programma per la sua dimensione temporale giacché il primo ha una dimensione più limitata con una esplicitazione del suo inizio e della sua fine, viceversa il secondo ha una durata più ampliata tendente a protrarsi nel tempo.

Per tale motivo è possibile asserire che la progettazione, caratterizzata da un obiettivo specifico da realizzare per mezzo di attività ad hoc e con tempi ben definiti, è un’attività consequenziale alla pianificazione ed alla programmazione che “in linea generale programmare significa definire la grammatica, le regole in base alle quali i diversi attori che operano nel sistema governano il loro processo”.6

Normalmente il progetto riveste tre funzioni basilari che, come sostengono i due ricercatori Sicora e Pignatti7, possono essere enunciate per mezzo di tre metafore: il disegno, il contratto ed infine la piazza intesa come spazio di dialogo intraorganizzativo. Il progetto può essere raffigurato come una sorta di disegno che serve a rappresentare il futuro. L’immagine che viene dipinta dal programmatore si presenta diversa dalla reale fotografia del presente; in tale metafora si nasconde il problema reale che sta alla base, poiché possiamo fare parecchie e differenti fotografie che descrivono una situazione ma verosimilmente nessuna rappresenta realmente la reale situazione.

Così si richiede all’equipe professionale di individuare inizialmente gli obiettivi strategici e successivamente descrivere le strategie da attuare attraverso le quali sia possibile raggiungere il cambiamento desiderato ed introdurre una novità.

“Nell’ambito del sociale l’immaginazione viene per così dire piegata e, in tal modo, diventa generatrice di uno spicchio di mondo nuovo. L’abilità del bravo progettista sta

5

U.Ferraro, C. Bruni, Pianificazione e gestione dei servizi sociali. L’approccio sociologico e la prassi

operativa, Franco Angeli, Milano 2000, p.22. 6

G. Bertin, Programmazione, in M. Dal Pra Ponticelli, Dizionario di Servizio Sociale, Carocci Faber, Roma 2005.

7

A. Sicora, A. Pignatti, Progettare sociale. Progettazione e finanziamenti europei per i servizi sociali ed

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proprio nel <<far di necessità virtù>>, ovvero nel sapersi destreggiare tra i vincoli in modo da usarli creativamente per realizzare quanto desiderato”.8

La progettazione, intesa come attività volta alla produzione di servizi rivolti a rispondere adeguatamente alle esigenze degli stakeholder, interrompe la normale routine al fine di realizzare delle prestazioni innovative più efficaci.

Pertanto la progettazione, preannunciando la realizzazione di nuove prestazioni, si lega alla tematica dell’innovazione sociale, ossia un intervento rivolto ad introdurre o ad amplificare uno sviluppo nell’ambito dell’economia, della tecnologia e delle pratiche sociali; tutto ciò, al fine di produrre una risposta idonea alle domande di bisogno presentate dalla comunità. “Un’innovazione sociale è quindi una nuova configurazione di pratiche sociali posta in essere da una serie di attori che intendono fornire a un determinato bisogno – problema una risposta migliore rispetto a quella disponibile in precedenza. La novità introdotta in questo modo deve essere <<socialmente desiderabile>>”.9

Al fine di spiegare questa innovazione, Murray, Caulier – Grice e Mulgan10 hanno elaborato un modello, all’interno del quale è possibile trovare sei step che ci permettono di descrivere la sequenza in cui è possibile elaborare un’innovazione sociale. Le fasi che generano un’innovazione sono:

1. Impulso, ispirazione e diagnosi: questa è la fase in cui bisogna raccogliere tutti i feedback che condurranno alla luce il bisogno di innovazione. Dopo di ciò, il problema emerso verrà valutato dall’equipe di lavoro, la quale condurrà una riflessione diligente sulle strategie e sulle risorse da attuare per ottenere un cambiamento.

2. Proposte e idee: questo è lo step in cui chi svolge la mansione di leadership procura idee, suggerimenti e strumenti per crescere l’idea di un programma. 3. Costruzione del prototipo o dell’esperienza pilota: a questo punto, i pensieri affioranti nello step anteriore vengono messi in campo per verificare la loro capacità di innovazione. È in questa fase che, grazie a tale processo di

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A. Sicora, A. Pignatti, Progettare sociale. Progettazione e finanziamenti europei per i servizi sociali ed

educativi. Programmazione comunitaria 2014-2020, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2015, p.

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A. Sicora, A. Pignatti, Progettare sociale. Progettazione e finanziamenti europei per i servizi sociali ed

educativi. Programmazione comunitaria 2014-2020, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2015, p.

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perfezionamento delle idee, le relazioni tra utenti e professionisti coinvolti si fortificano ottenendo una soluzione ai possibili conflitti emersi.

4. Sostegno: tale fase comprende l’identificazione delle fonti di finanziamento doverose per tutelare la sostenibilità dell’azione progettata. L’argomento risulta centrale, poiché senza alcun cenno a tale elemento sorge piuttosto complicato avviare un processo.

5. Realizzazione e diffusione su larga scala: questa è la fase in cui dopo aver realizzato l’innovazione, mediante l’utilizzo di strategie appropriate, questa viene diffusa su larga scala. Per quanto concerne le strategie “queste possono comprendere, tra le altre opzioni: l’aumento delle dimensioni dell’organizzazione che ha sviluppato l’idea innovativa, il coinvolgimento di altre entità attraverso il licensing e il franchising, la creazione di

federazioni tra organizzazioni oppure la libera diffusione

dell’innovazione”.11

Un concetto utilizzato per riassumere tale processo è <<produzione in scala>>, dal momento che il cambiamento ottiene spazi continuamente più vasti all’interno dell’organizzazione. Però bisogna specificare che il concetto di <<produzione in scala>> è stato diffuso nel periodo della produzione di massa, a differenza del concetto di innovazione che lo si può ritrovare nell’economia sociale mediante la diffusione di sostegno e di know –how nell’ambito di progresso organico e flessibile. 6. Cambiamento sistemico: questo è l’obiettivo finale che l’innovazione

sociale si prefigge. Grazie a quest’ultimo step si andranno a costituire tante e piccole strutture arricchite all’interno da innovazioni (nuove tecnologie, forme istituzionali, quadri normativi e fiscali etc), le quali si andranno a scontrare con le vecchie abitudini e norme. L’innovazione normalmente produce degli effetti all’interno del settore pubblico, privato e del terzo settore per un periodo di tempo medio – lungo.

Ulteriore funzione assegnata al progetto è quella di contratto. In ambito prettamente giuridico un contratto è “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”12

ed è costituito da requisiti essenziali come

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A. Sicora, A. Pignatti, Progettare sociale. Progettazione e finanziamenti europei per i servizi sociali ed

educativi. Programmazione comunitaria 2014-2020, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2015, p.

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l’accordo delle parti, la causa nonché la funzione che sin intende raggiungere, l’oggetto e la forma.

Il progetto viene rappresentato con la metafora del contratto poiché mediante la negoziazione tra più attori o parti interessate, si riesce a cogliere il reale problema, trovare un obiettivo comune ed espletare una risposta adeguata per fronteggiare la problematicità precedentemente rilevata. “Il progetto non solo prefigura la destinazione, il relativo tragitto e i mezzi adoperati in tale percorso, ma indica anche <<chi fa che cosa>> (le grandi realizzazioni umane richiedono l’azione coordinata di una pluralità di soggetti) e, in un qualche modo, incorpora l’impegno degli agenti a procedere come concordato”.13

Per quanto riguarda la forma del contratto, occorre asserire che progressivamente la forma scritta è stata sostituita dalla forma verbale; quest’ultima però può essere applicata e risulta efficiente, qualora il gruppo sia costituito da un numero ristretto di componenti. Nel momento in cui nella progettazione vi è la partecipazione di diversi attori, le decisioni e le comunicazioni vanno inevitabilmente affidate alla scrittura per evitare incomprensioni ed equivoci.

Achille Orsenigo, formatore in organizzazioni private e pubbliche, sostiene che “l’atto magico nella Pubblica Amministrazione agisce abbastanza raramente per il tramite di sole parole. Piuttosto il tramite principale dell’accadere magico è ritenuto lo scritto”.14

Infine, il progetto può essere visto come la piazza in cui si combinano le idee di diversi attori chiave che collaborano per uno stesso fine. Dunque, può essere ritratta come una piazza in cui ci si incontra, si negoziano le idee, si prendono decisioni per raggiungere una meta comune.

Pertanto, vi è la necessità di un moderatore in grado di coordinare il gruppo di lavoro ed evitare la nascita di conflitti e di burnout dell’equipe. “La paura, spesso inconfessata, che gli operatori talvolta devono affrontare nell’entrare nella progettazione assume una duplice connotazione: da un lato, l’angoscia provocata dal confronto con una realtà in cui la loro

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A. Sicora, A. Pignatti, Progettare sociale. Progettazione e finanziamenti europei per i servizi sociali ed

educativi. Programmazione comunitaria 2014-2020, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2015, p.

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A. Orsenigo, Il cambiamento nei servizi pubblici tra mito e realtà, in quaderni di animazione e formazione,

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visione del mondo può risultare soccombente; dall’altro, il timore del conflitto che nasce dall’emersione di posizioni dissonanti”.15

Pertanto per garantire un’ottima progettualità dialogica bisogna tenere in mente quattro parametri metodologici:

1. Comunicazione – conversazione che deve essere in grado di produrre conoscenze reali sui problemi che l’equipe multi professionale intende risolvere;

2. Mobilitazione e investimento di tutti i componenti del gruppo di lavoro. È necessario un confronto ed ascolto attivo al fine di comprendere le diverse opinioni ed idee presentate;

3. Il terzo parametro richiede la costruzione di significati comuni al fine di condividere con tutti i partecipanti una comune visione degli obiettivi che il programma intende raggiungere;

4. Infine, per poter giungere all’obiettivo prefissato, è necessario che le strategie e le azioni da attuare siano chiare a tutti i partecipanti.

Per concludere possiamo affermare che conversazione, partecipazione e costruzione di significati comuni appaiono come elementi indispensabili per una progettazione efficace ed efficiente.

1.2. Excursus storico sulla progettazione sociale

Come asserisce Javier Schunk16 per tracciare un excursus storico sulla progettazione sociale è necessario specificare il significato di due termini completamente differenti che molte delle volte vengono utilizzati come sinonimi, ovvero tattica e strategia. Sono concetti prettamente militari, utilizzati anche in diversi ambiti quali il marketing, lo sport e la politica.

Con il termine tattica si intende “un complesso di azioni, accorgimenti, manovre e criteri di impiego delle forze diretti al conseguimento di uno scopo”17

, per strategia si

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A. Sicora, A. Pignatti, Progettare sociale. Progettazione e finanziamenti europei per i servizi sociali ed

educativi. Programmazione comunitaria 2014-2020, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2015, p.

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J. Schunk, Il progetto prima del progetto. Tattiche e strategie applicate all’aiuto allo sviluppo, L’Harmattan Italia, Torino 2009, p. 3

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indica “l’arte di combinare il raggiungimento e il coordinamento logico degli scopi per raggiungere il fine”18

.

Negli anni sessanta e settanta i leadership, promotori dei progetti di aiuto, operavano in termini di attività, cercavano dunque di creare delle azioni al fine di soddisfare i bisogni.

Pertanto viene diffusa la metodologia Goal Oriented Project Planning (GOPP), nei quali è possibile identificare un progetto ben strutturato in cui si garantisce la partecipazione attiva dei principali attori chiave alle fasi di progettazione e anche di valutazione, tutelando così un management partecipativo durante tutto il progetto.

Questo è possibile grazie al Project Cycle Management (PCM), in italiano Gestione del Ciclo del Progetto; si tratta di un insieme di nozioni e di strumenti finalizzato a rendere più efficace, fattibile e trasparente il lavoro per progetti integrati e in partenariato. Esso è stato adottato come standard per la progettazione e la gestione da numerose organizzazioni, soprattutto a livello internazionale.

“La sua peculiarità è quella di ribaltare la logica dei più comuni approcci di project management, che ragionano generalmente su attività e risorse, costruendo i progetti a partire da una chiara identificazione dei beneficiari e degli obiettivi di cambiamento che si intendono raggiungere. Si comincia con l’analisi degli attori coinvolti, per poi passare all’analisi dei problemi e dei possibili obiettivi di cambiamento, per poi definire in concreto, il Quadro logico (Logical Framework Approach)”.19

Una volta definito il sistema in cui progettare, gli attori coinvolti, la tipologia di beneficiari e la problematica da affrontare, occorre definire gli obiettivi da raggiungere e le attività da mettere in capo per realizzarli. Pertanto viene sviluppato negli anni Ottanta e perfezionato negli anni Novanta il metodo ZOOP (Ziel Orientierte Projektplanung).

Lo strumento ZOPP è stato strutturato in maniera organica, prevedendo la figura di un mediatore in grado si coadiuvare gli stakeholders ed individuare la proposta progettuale; ci permette di definire i livelli tattici e strategici di un progetto.

Tale procedimento, fondato sul legame causa-effetto, ha due passaggi basilari, l’elaborazione dell’albero dei problemi e dell’albero degli obiettivi:

 L’albero dei problemi: i problemi emersi nel colloquio con gli

stakeholders vengono trascritti in foglietti di carta mediante parole chiave

18 Ibidem, p. 3.

19

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che sintetizzano il fenomeno. In un secondo momento i problemi vengono collegati tra di loro seguendo uno schema di causa ed effetto. Infine, collegando tutti questi problemi si costituisce uno schema a forma di un albero che raffigura la mappa completa della problematica.

 L’albero degli obiettivi: una volta definito l’albero dei problemi, si elabora l’albero degli obiettivi traducendo in positivo il contenuto di ciascun problema emerso nell’albero dei problemi.

Sin dagli inizi del 1993, la Direzione Generale della Commissione Europea garante degli aiuti per lo sviluppo e quella responsabile per i rapporti con i Paesi terzi hanno adottato il Project Cycle Management come standard, pubblicando il Manuale Project

Cycle Management, An Integrated Approach; lo scopo di tale manuale è quello di fornire

Bassi redditi familiari

Donne escluse dal mondo del lavoro

Le donne non posseggono adeguate competenze professionali Le imprese non effettuano nuove assunzioni Le donne non riescono a costituire imprese individuali Redditi familiari aumentati

Donne inserite dal mondo del lavoro

Le donne in possesso di adeguate competenze professionali Le donne assistite nella creazione di impresa Nuove assunzioni facilitate

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un supporto ai diversi operatori sulle informazioni minime necessarie per comprendere i principali concetti e strumenti di lavoro, diventando uno dei principali strumenti di progettazione.

Il progetto è divenuto un meccanismo metodologico tipico anche dell’ambito sociale solamente negli ultimi anni.

A partire dagli anni novanta la maggior parte delle sperimentazioni di programmazione in ambito sociale sono guidate da istruzioni utili alla stesura ed alla valutazione dei progetti.

Ѐ nella seconda metà del Novecento che si assiste allo sviluppo di una cultura della valutazione delle politiche pubbliche; in ambito sociale, vengono approvate leggi rilevanti che spingono verso una progettazione sostenuta da una valutazione sistematica dei progetti sperimentali e promozionali, legandoli a specifici piani di intervento (locali o provinciali), che sono soggetti a finanziamento. Per tale motivo, il lavoro per progetti viene valorizzato ed inserito nell’ambito della programmazione delle politiche sociali.

La logica innovativa si innesca sul territorio italiano a partire dalla normativa n.285 del 1997 concernente le disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza.

Tale legislazione apporta un cambiamento culturale nei servizi alla persona giacché si ha l’introduzione di nuove metodologie di lavoro, quali il lavoro per progetti, utile ad affrontare le problematiche a livello locale. Si sviluppa il lavoro di rete tra diversi professionisti operanti nei servizi presenti sul territorio e la diffusione di logiche di case

management o di presa condivisa del caso. Questo modo di operare fa si che la

responsabilità non ricada solamente su un unico operatore ma su tutti quelli che sono coinvolti nel processo di aiuto.

L’organizzazione a rete permette ai diversi operatori di convenire su obiettivi comuni, mettendo al centro di ogni intervento l’utente che necessita di aiuto; un ruolo fondamentale viene svolto dall’assistente sociale dirigente, in quanto egli deve organizzare, programmare, attivare e valutare i vari interventi messi in atto per far fronte alle situazioni di bisogno.

Nonostante la legge n. 285 del 1997 anticipi per certi versi le metodologie di lavoro sancite con la legge n. 328 del 2000, è attraverso quest’ultima che si realizza il sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Le caratteristiche principali sancite nella legge 328 del 2000 riguardano, principalmente, la partecipazione attiva del cittadino. Pertanto, si introduce il concetto di

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sussidiarietà orizzontale, favorendo il decentramento amministrativo e la partecipazione attiva del cittadino all’interno dei tavoli di progettazione.

Al fine di favorire tale integrazione la legge n. 328 del 2000 stabilisce che ogni tre anni a livello nazionale, regionale e locale devono essere predisposti dei piani, rispettivamente nazionali, regionali e di zona, che designino le caratteristiche delle prestazioni, l’individuazione dei progetti obiettivo e i rispettivi finanziamenti.

Si istituisce un sistema di governo a più livelli, detto modello a cascata, dallo Stato quale Ente regolatore assoluto a livello nazionale si guarda alla Regione come il principale attore a cui è affidato il compito di legiferare e programmare. Alla base del suddetto modello si trovano i comuni, con compiti di progettazione e gestione a livello locale.

Oggi non basta operare attraverso modalità lineari (legame causa – effetto) ma è necessario ragionare in termini strategici, tenendo presente del legame che si viene a creare tra politica e tecnica. “La programmazione nasce da una visione politica che indica orientamenti e obiettivi, dimensionandola come atto conseguentemente ed eminentemente tecnico. Da punto di vista teorico, concettuale e normativo è un approccio che rimanda al principio di separazione tra sfera politica e sfera gestionale e, in particolar modo, tra attività di indirizzo e controllo e attività di gestione”.20

È necessario operare in termini strategici, infatti, se da un lato la programmazione è subordinata alle scelte politiche del Governo e, dunque, alle linee guida emanate a livello nazionale, dall’altro la programmazione coadiuva la politica, attraverso la mappatura del territorio, ad aggiornare ed indirizzare le medesime linee guida.

Concludendo è possibile asserire che i nuovi bisogni non possono essere fronteggiati facendo riferimento a logiche tradizionalistiche di tipo esclusivamente statale ma è necessario sviluppare un sistema di lavoro improntato sulla programmazione.

La progettazione innesca un processo di concertazione che vede impegnati il settore pubblico, quello privato ed il cittadino, al fine di favorire l’attuazione di maggiori interventi di tipo qualitativo e, al contempo, ottenere un notevole risparmio delle risorse finanziarie.

Per una migliore qualità dei servizi è dunque necessario che il pubblico e il privato del settore sociale e sanitario sviluppino in sé la cultura del progettare insieme e che incrementino una rete di aiuti formali ed informali che sappiano offrire le adeguate risposte alla cittadinanza.

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1.3. Pianificazione, programmazione e progettazione a confronto

Introducendo la tematica della progettazione è necessario fare riferimento a due termini, pianificazione e programmazione, che molto spesso vengono utilizzati come sinonimi per indicare l’attività di progettazione. “Nell’uso quotidiano i termini programmazione e pianificazione vengono utilizzati nel senso di prevedere qualche cosa, e in conseguenza preparare un intervento, preordinare una strategia”.21

Occorre asserire che da sempre l’uomo ha sentito l’esigenza di pianificare razionalmente le proprie azioni per fronteggiare e risolvere le difficoltà che si presentano quotidianamente. Se in passato pianificava azioni volte al fronteggiamento dei problemi di tipo personale,successivamente si sviluppa la pianificazione sociale, intesa come la pratica scelta appositamente per correggere e perfezionare sia il sistema sociale che la condizione dei cittadini.

Le attività di pianificazione e di programmazione sono state ideate per favorire una corretta attività di organizzazione urbanistica della città; quest’ultima attività, che deriva dall’inglese planning, “indica comunemente l’attività processuale, di tipo concettuale ed empirico, che si conclude con la redazione di un piano contenente indicazioni a carattere tecnico-amministrativo”.22

Col passare del tempo e con l’emergere di criticità sempre più evidenti come la mancata realizzazione di una legge quadro si è avuta la necessità dell’intervento attivo da parte dello Stato nell’economia e negli altri campi della vita sociale. Pertanto, gli strumenti di pianificazione e programmazione entrarono a far parte anche di altre sfere non legate meramente all’urbanistica.

La pianificazione del management sociale è un’attività organizzativa dove i diversi operatori del sociale collaborano per sviluppare un’azione futura in grado di raggiungere gli scopi prefissati al fine di riuscire a migliorare o risolvere una determinata criticità. Facendo riferimento alla definizione elaborata da Michela Frezza e Carlo Cenedese si può sostenere che la pianificazione “è un meccanismo di ideazione, elaborazione, attuazione, controllo e verifica degli interventi espressione della discrezionalità amministrativa”.23

21 Ibidem, p. 20. 22 Ibidem 23

M.Frezza, C. Cenedese, La prevenzione delle dipendenze nella comunità locale. Il progetto Sibilla:

(19)

18

Per quanto riguarda l’assimilazione dei termini pianificazione e programmazione va ribadito che tra gli operatori del sociale emerge la tendenza a preferire il termine programmazione anziché pianificazione. “Il favore per il termine programmazione è da attribuire soprattutto alla connotazione ideologica del termine pianificazione sociale, soprattutto se riferito all’attività di pianificazione attuata nei paesi dell’ex Unione Sovietica a partire dagli anni Venti”.24

La programmazione è uno strumento operativo utilizzato dai decision makers, ovvero da coloro che detengono il potere e la responsabilità sulle decisioni politiche e sulla redistribuzione delle risorse materiali ed immateriali, al fine di favorire l’evoluzione ed il miglioramento di una data situazione.

È opportuno spiegare la distinzione che intercorre tra pianificazione, programmazione e progettazione, molte volte utilizzati in modo interscambiabile, poiché in tutti e tre i casi si fa riferimento ad un processo in cui la politica, per raggiungere un fine pubblico, prende delle decisioni, stabilisce degli obiettivi ed infine definisce le strategie e le risorse da impiegare per raggiungerli.

Alla base di questi tre termini, precedentemente citati, vi è una distinzione di tempi e livelli di azione; la pianificazione normalmente viene definita come un processo strutturato con tempi medio – lunghi, con una strategia ricorrente e con continui feedback con l’ambiente esterno e con le politiche generali. Viceversa, la programmazione ha tempi ed obiettivi più brevi rispetto la pianificazione ed espone la metodologia e gli strumenti da utilizzare. Infine, si impiega lo strumento della progettazione poiché si vuole apportare un’innovazione o un cambiamento in tempi limitati evitando inadeguatezze e sprechi, sviluppando collaborazioni e partnership con altre organizzazioni sulla base di accordi e obiettivi comuni. “Pur nella diversità dei campi di applicazione, la progettazione è tuttavia un’attività fondamentalmente unitaria, orientata all’invenzione e realizzazione di artefatti anche molto complessi.(…) L’urgenza di progettare e governare in modo deliberato ambiti sempre più vasti e complessi del nostro mondo sociale stimola un interesse teorico e pratico per gli aspetti progettuali dell’azione umana”.25

24

L. Bruni, L’impresa civile. Una vita italiana all’economia di mercato, Università Bocconi editore, Milano 2009, p.20.

25

C. Ciborra, Progettazione delle nuove tecnologie e qualità di lavoro, C.Ciborra, G. Lanzara (a cura di), Franco Angeli, Milano 1984.

(20)

19

Inoltre in base al campo di intervento, ai metodi ed alle risorse è necessario fare riferimento al piano, al programma ed al progetto nonché quello che viene prodotto dai tre strumenti operativi per la promozione del welfare nazionale e locale.

I piani definiscono gli obiettivi in una dimensione temporale di medio-lungo periodo (cinque anni), i programmi attuano gli obiettivi del piano in un periodo medio-breve (da uno a tre anni) ed infine il progetto il quale ha una dimensione più circoscritta ed operativa con una chiara data di inizio e di fine.

Rifacendoci al modello della pianificazione strategica, in cui si evince una cooperazione multilivello tra i diversi ambiti istituzionali, la normativa affida allo Stato, alle Regioni e ai Comuni determinate competenze, rispettando il cosiddetto principio di sussidiarietà verticale, “un criterio di distribuzione delle competenze tra i diversi livelli di governo, secondo relazioni cooperative. In sostanza, l’ente gerarchicamente inferiore (nel nostro ordinamento i Comuni) svolge tutte le funzioni e i compiti di cui è investito dalle leggi; laddove vengano meno risorse e capacità nella gestione delle materie di sua competenza, sono gli enti sovraordinati a dover prestare intervento sotto forma di sussidio o aiuto”.26

Spetta allo Stato svolgere i compiti di indirizzo, di coordinamento e di controllo del sistema, definendo, mediante lo strumento del Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, obiettivi e principi. Pertanto si cerca di garantire ai cittadini per un determinato periodo di tempo i Livelli essenziali e uniformi delle prestazioni ed i Livelli essenziali di assistenza sociale.

Per quanto riguarda le Regioni, attraverso l’utilizzo del Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali, si esercitano funzioni di programmazione stabilendo obiettivi, strategie ed azioni di medio – breve periodo. “Le Regioni esercitano le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali nonché di verifica della rispettiva attuazione a livello territoriale e disciplinano l’integrazione degli interventi stessi, con particolare riferimento all’attività sanitaria e socio – sanitaria”.27

La normativa attribuisce ai Comuni importanti compiti di progettazione, da realizzare attraverso lo strumento del Piano di Zona.

In modo particolare l’art. 19 della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, predispone che “ i Comuni, associati nell’ambito

26

A. Di Prinzio, Management del servizio sociale. Modelli e strumenti, Carocci Faber, Roma 2015, p.31.

27

(21)

20

territoriale, d’intesa con le Aziende sanitarie locali e con i diversi attori pubblici e del Terzo settore, definiscano il Piano di zona attraverso un accordo di programma, al fine di creare una rete di servizi e interventi flessibili, stimolando le risorse locali di solidarietà e di auto – aiuto e responsabilizzando i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi”.28

Nel modello della pianificazione strategica, è utile comprendere ed identificare i soggetti chiave che andranno a partecipare attivamente nel policy making; tra i soggetti realmente interessati nel processo di costruzione del Piano di Zona collaborano il settore pubblico, le organizzazioni di Terzo settore e le altre organizzazioni presenti sul territorio.

Si realizza il passaggio dal modello della government, in cui la programmazione e la gestione dei servizi sono esclusiva di un unico soggetto nonché lo Stato, ad un modello di tipo governance, in cui la programmazione viene negoziata attraverso una collaborazione tra i diversi soggetti. “Forme di coinvolgimento e partecipazione sia sul versante delle relazionni di tipo concertativo e collaborativo sia relativamente al coinvolgimento del settore privato (cooperative, imprese, soggetti privati ecc) nel finanziamento di politiche e progetti di interesse collettivo attraverso forme negoziali, partenariato sociale, attivazione di forme di consultazione e coinvolgimento, ma anche vera e propria partecipazione”.29

1.4. Sfide e criticità di progettazione e di attuazione degli interventi

La progettazione trova particolare attenzione nella Pubblica Amministrazione poiché le ragioni di ordine economico, politico e tecnico impongono gli organi a lavorare per progetti; a livello centrale vi sono determinati fondi finalizzati alla realizzazione di attività o servizi in grado di rispondere alle esigenze della popolazione.

La presenza di queste risorse finanziarie rappresenta un incentivo sia per gli Enti pubblici che per le organizzazioni del privato sociale; vengono utilizzati per raggiungere obiettivi prestabiliti, per ampliare e creare delle strutture specifiche.

Il finanziamento, spesso, rappresenta un ostacolo per programmi innovativi; molti operatori, che si occupano della progettazione, sostengono che la quantità limitata dei finanziamenti e delle risorse rappresentano i fattori di riuscita del progetto. La motivazione

28

A. Di Prinzio, Management del servizio sociale. Modelli e strumenti, Carocci Faber, Roma 2015, pp.31,32.

29

G. Pasqui, Progetto, governo, società. Ripensare le politiche territoriali, Franco Angeli, Milano 2005, p.157.

(22)

21

risiede nel fatto che, “abbassando il livello di competizione sulle risorse economiche aumenta la garanzia che coloro che collaborano al progetto non abbiano come interesse immediato e primario quello del ritorno economico ma abbiano una motivazione intrinseca al progetto”.30

Oggi l’azione progettuale delle scelte politiche è sempre più orientata alla ricerca del consenso da parte degli amministratori politici e degli operatori del sociale; agli inizi del nuovo millennio sono state attivate delle azioni in grado di risolvere e fronteggiare l’enorme pessimismo diffuso nei Paesi industrializzati. Sono stati finanziati programmi al fine di contrastare la disoccupazione, la povertà ed il sottosviluppo ma senza ottenere alcun risultato.

Verso la fine degli anni Novanta il movimento della Evidence Based Politics ha promosso delle revisioni sistematiche delle valutazioni al fine di comprendere la funzionalità effettiva dei programmi. A tal proposito il metodo systematic reviews (rassegne sistematiche), organismo nato per analizzare e valutare le politiche sociali ed economiche, ha asserito che bisogna “usare metodi robusti di valutazione per poter avere maggiore voce in capitolo nelle decisioni politiche. Esso si caratterizza per voler correggere la tendenza alla frammentazione delle ricerche e allo spreco delle risorse nell’ambito della valutazione”.31

La progettazione, dal punto di vista tecnico, tende a perfezionare gli interventi da attuare mediante una migliore individuazione degli obiettivi specifici, delle priorità sociali e attraverso la definizione delle risorse.

La progettazione, oltre a favorire un cambiamento e ridurre gli sprechi, è uno strumento che permette lo sviluppo di partnership nell’ambito sociale. Partnership ed “organizzazione temporanea”32

sono due concetti che possono essere accostati; quest’ultimo indica la realizzazione di una struttura temporanea e flessibile in cui diverse organizzazioni si uniscono per raggiungere un medesimo obiettivo. “Nei funzionamenti

30

L.Leone, M.Prezza, Costruire e valutare i progetti nel sociale. Manuale operativo per chi lavora su

progetti in campo sanitario, sociale, educativo e culturale, Franco Angeli, Milano 2009, p.27. 31

N. Stame, Valutazione pluralista, FrancoAngeli, Milano 2016, p.67.

32

A. Sicora, A. Pignatti, Progettare sociale. Progettazione e finanziamenti europei per i servizi sociali ed

educativi. Programmazione comunitaria 2014-2020, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2015,

(23)

22

consolidati (serve che) si apra un’articolazione organizzativa che sostenga e tuteli la progettazione per il tempo che è necessario, tempo limitato e previsto”.33

Al fine di rispondere efficacemente ai bisogni della collettività, negli anni Ottanta, si sviluppa il terzo settore e la collaborazione di quest’ultimo con l’Ente pubblico.

Questa cooperazione facilita l’introduzione di nuovi modelli di intervento, costruiti sia sul potenziamento delle risorse presenti sul territorio che sul lavoro sinergico delle diverse istituzioni.

Queste innovazioni portano alla creazione di un nuovo welfare mix/ community; l’Assistente Sociale dirigente assume delle funzioni gestionali, istituzionali ed operativi “il Servizio Sociale Professionale è chiamato sempre di più a svolgere la funzione di generatore di processi di welfare locale e l’Assistente Sociale, all’interno di esso, si configura come attore organizzativo capace di coagulare energie, idee e processi”.34

Queste innovative modalità operative creano le basi per la realizzazione di strutture flessibili e libere da modelli gerarchici; si sperimentano nuovi modi di lavorare che si discostano sia dalla routine che dal cambiamento improvvisato.

Ulteriore elemento che rende produttivo lavorare per progetti è connesso all’impossibilità di seguire una routine e dei procedimenti standardizzati; “nel progettare si possono avere linee di massima entro cui muoversi, orientamenti, visioni, obiettivi da raggiungere, ma non si hanno prescrizioni dettagliate”.35

Pertanto, la mancanza di prescrizioni dettagliate impone di attuare sul campo una metodologia sperimentale collegata alla cosiddetta “ricerca per l’intervento” o alla “ricerca-azione” che mira ad attuare un cambiamento nel contesto sociale.

Durante la ricerca dei fattori da analizzare, assumono fondamentale importanza la valutazione ed il monitoraggio dei progetti giacché si cerca di raccogliere le modifiche delle condizioni ambientali e dei cambiamenti improvvisi in modo da reindirizzare l’azione verso l’obiettivo predeterminato.

Spesso i progettisti indicano il Servizio come la sommatoria di diverse prestazioni; si può asserire che negli operatori è ancora molto debole l’idea di prodotto inteso come

33

F. Olivetti Manoukian, La connessione tra livelli della progettazione, in F. D’Angella, A. Orsenigo (a cura di), La progettazione sociale, Gruppo Abele, Torino 1999, p.120.

34

A. Di Prinzio, Management del servizio sociale. Modelli e strumenti, Carocci Faber, Roma 2015, p.25.

35

A. Orsenigo, Progettare: alcuni nodi critici, in F. D’angella, A. Orsenigo (a cura di), La progettazione

(24)

23

“l’insieme delle prestazioni erogate in una data sequenza temporale per (trasformare) far fronte a uno specifico problema”.36

Per riuscire a descrivere, rappresentare e dare una chiara definizione del servizio realizzato, occorre soffermarsi sulle prestazioni, sul tempo e sul problema; con l’avvento dei nuovi bisogni materiali e relazionali, il singolo operatore non è più in grado di farvi fronte.

Risulta necessario che si sviluppi una collaborazione tra diversi professionisti finalizzata alla risoluzione della problematica attraverso il reperimento ed il coinvolgimento delle risorse presenti sul territorio.

Si sviluppa, pertanto, il concetto di organizzazione a rete; questa permette ai diversi soggetti, che hanno già sviluppato una cultura progettuale, di convenire su obiettivi comuni mettendo al centro di ogni intervento le reali problematiche della popolazione.

Il risultato del lavoro congiunto tra più professionisti è rappresentato da un progetto costruito ad hoc sul problema che si intende risolvere. “I progetti sono costruiti grazie a relazioni con altre persone e gruppi, a relazioni tra esperienze e idee, che possono fertilizzarsi o restare sterili: belle magari in sé, ma incapaci di mettere al mondo qualcosa di nuovo”.37

1.5. Continuous e-learing

L’indirizzo di innovazione sociale che sta investendo l’intera Europa presuppone dei cambiamenti che riguardano sia la qualità dei prodotti offerti dai servizi che la preparazione degli operatori che operano all’interno delle strutture organizzate.

La formazione professionale negli ultimi anni ha acquistato un valore fondamentale nella carriera dei professionisti; attraverso lo strumento della supervisione professionale si realizza la formazione continua e l’integrazione dei saperi.

La formazione professionale diventa indispensabile per due ragioni, da un lato si ha la necessità di conoscenza e aggiornamento professionale, dall’altro si sviluppa la cultura

36

A. Sicora, A. Pignatti, Progettare sociale. Progettazione e finanziamenti europei per i servizi sociali ed

educativi. Programmazione comunitaria 2014-2020, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2015,

p.35.

37

A. Orsenigo, Progettare: alcuni nodi critici, in F. D’angella, A. Orsenigo (a cura di), La progettazione

(25)

24

della consulenza di secondo livello; il formatore aiuta il gruppo di lavoro ad esaminare le difficoltà che quotidianamente non trovano soluzioni.

L’Unione Europea nell’ultimo decennio ha investito sulla formazione degli operatori durante tutto il ciclo della vita; l’obiettivo consiste nel migliorare le competenze dei tecnici e la qualità delle prestazioni da questi offerte. È attraverso il Processo di Lisbona del 2000 che ha preso avvio il percorso di istruzione e formazione continua a livello Europeo.

Uno dei riferimenti normativi comunitari sull’orientamento è il Doc. 9286/04, sul rafforzamento delle politiche dei sistemi e delle prassi in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita in Europa.

La formazione continua è orientata “a migliorare il livello di qualificazione e di sviluppo professionale delle persone che lavorano, assicurando alle imprese e agli operatori economici sia pubblici che privati, capacità competitiva e dunque adattabilità, ai cambiamenti tecnologici e organizzativi”.38

In Italia la formazione professionale è disciplinata dall’art. 9 della legge n. 236/93 “Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione” e dagli artt. 5 e 6 della legge n. 53/00 "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città".

La formazione è diretta a incrementare la capacità di creare competenze per affrontare i problemi inerenti i contesti organizzativi - professionali. Il regolamento sulla formazione continua degli assistenti sociali è stato approvato solo di recente con la seduta del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali del 10 gennaio 2014.

La formazione viene esplicitata attraverso la figura di un formatore che favorisce i processi di apprendimento di nuovi modi di operare e gestire le diverse situazioni; “si tratta di una prospettiva che intende alimentare la curiosità, il piacere per l’esplorazione e la ricerca”.39

Oggi gli operatori si ritrovano da un lato all’interno di contesti che sono caratterizzati da un costante progresso, dall’altro spesso vengono assaliti da ansie riguardo all’attuazione delle nuove pratiche; questi sfondi oppositori fanno sorgere un senso di disorientamento negli operatori poiché da un lato questi hanno la possibilità di venire a contatto con aspetti innovativi dall’altro il cambiamento suscita in questi sofferenza.

38

http://europalavoro.lavoro.gov.it

(26)

25

Come sostiene il formatore Achille Orsenigo “più che una capacità accumulativa, una notevole memoria (intesa come biblioteca, magazzino), un saper immagazzinare e conservare saperi, serve la capacità di conoscere, di riflettere, di dialogare col mondo esterno e con quello interno. Invece di focalizzare l’attenzione alla ricerca di verità, ci si orienta qui sulla ricerca di plausibilità”.40

Uno dei metodi tradizionali della formazione consiste nel trasferimento di saperi da un soggetto ad un altro, si parla in tal senso del concetto di tabula rasa, o di formazione passiva; questa metodologia non valorizza le competenze dei professionisti e non tiene conto dei diversi punti di vista.

Diversamente un efficace ed efficiente processo di formazione dovrebbe prevedere la co-costruzione dei processi di conoscenza; il formatore si propone di stimolare l’accrescimento di tali sviluppi. “Un’attività formativa che voglia essere efficace deve presentare un mix ideale di queste tre componenti, generalmente definite di sapere (informazione), saper essere (sensibilizzazione) e saper fare (addestramento)”.41

Il professionista dovrà mettersi in gioco, favorendo altresì il dialogo con gli altri professionisti; in questo contesto la figura del formatore coincide con quella del ricercatore poiché attraverso l’integrazione dei saperi e delle competenze, riesce ad avere una visione più dettagliata e nitida della situazione che intende affrontare. “Gli strumenti della formazione permettono dunque di rendere più fattivo un percorso di formazione, offrendo supporti ai processi di apprendimento entro un’ipotesi di formazione come processo di ricerca. In particolare si potrebbe dire in modo ancor più esplicito che aiutano a rendere fruibile l’esperienza delle persone per farne poi oggetto di rielaborazione ed apprendimento”.42

Tra i diversi strumenti della formazione si annovera il lavoro sul caso, questo può essere disposto dal formatore o diversamente viene predisposto dagli operatori coinvolti nel processo. Il caso rappresenta una minima dimensione di una più vasta e complessa situazione; attraverso questo genere di lavoro si entra in relazione con il gruppo, grazie alla rielaborazione della situazione che permette un continuo interscambio tra i partecipanti si verifica l’apprendimento continuo.

40

Ibidem, p. 13.

41

E.R. Martini, R. Sequi, Il lavoro nella comunità. Manuale per la formazione e l’aggiornamento

dell’operatore sociale, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1989, p. 108. 42

(27)

26

Tra i diversi strumenti della formazione si distinguono le esercitazioni; questi presuppongono che gli operatori sviluppino una certa abilità operativa essenziale per la qualità del lavoro. L’esercitazione e l’esperienza rappresentano due elementi essenziali per l’acquisizione delle competenze.

Infine uno degli elementi fondamentali per l’apprendimento è caratterizzato dal role

playing, questo permette agli operatori di assumere un ruolo al fine di imparare attraverso

l’esperienza. Anche gli osservatori svolgono un ruolo fondamentale poiché riconoscono ed elaborano propri modelli per affrontare le situazioni e raggiungere gli obiettivi.

Un aspetto essenziale del processo formativo riguarda la credibilità del formatore; è necessaria una certa coerenza tra ciò che egli esprime e ciò che fa, diversamente l’efficacia del processo formativo viene ridotta.

La società odierna richiede agli operatori di possedere delle capacità innovative e di essere al tempo stesso creativi, si cerca in qualche modo anticipare il futuro; la globalizzazione porta gli individui ad omologarsi al sistema. Talvolta però l’innovazione provoca dei risultati negativi, in quanto gli operatori si sentono smarriti e senza dei punti di riferimento. Come asserisce Eugène Enriquez “Emerge cioè l’idea che i vecchi valori paradossalmente sono necessari per affrontare un mondo nuovo”.43

Nel corso degli anni si è avuto il passaggio dai vecchi modelli organizzativi, caratterizzati da un apprendimento esistente a prescindere dai soggetti che la compongono, ai nuovi modelli, contraddistinti da una forte dinamicità e da un senso di apprendimento che deriva dai soggetti che fanno parte dell’organizzazione; gli operatori con le proprie competenze e con la formazione continua concorrono a formare l’organizzazione. “La formazione deve diventare funzionale agli obiettivi aziendali e non una mera episodica attività, tollerata solo se passata indenne dalle periodiche revisioni”.44

Si ha il passaggio dallo studio delle strutture organizzative ai processi cognitivi; fondamentale importanza viene attribuito alle esperienze interne dei soggetti. Weick introduce il concetto del sensemaking45(costruzione del significato); i soggetti attribuiscono un determinato significato alla realtà ed alle proprie esperienze.

Karl Weick afferma “non esiste alcun processo metodologico attraverso il quale si possa confermare l’esistenza di un oggetto indipendentemente dal processo di conferma

43

B. Tommaso, W. Tarchini, Gli strumenti della formazione, in “Rivista Spunti”, Anno IV n.8/2005, p.41.

44

A. Angioni, L’Human age, in Leadership & Management, 2013, p. 86.

45

K.E. Weick, Senso e significato nell’organizzazione. Alla ricerca delle ambiguità e delle contraddizioni

(28)

27

che riguarda se stessi: l’eterno è vuoto, esiste solo l’interno. Tutto ciò che si può conoscere è l’interno di una persona, il dentro o la vista interna. Tuttavia gli agenti, immersi in flussi di esperienza organizzano e scandiscono questi ultimi presupponendo organizzazioni e ambienti”.46

L’apprendimento professionale è dunque strettamente collegato con la cultura organizzativa, poiché quest’ultima è il risultato delle risorse presenti nei singoli professionisti che circolano all’interno della struttura producendo un rinnovamento della stessa.

Inoltre è fondamentale riconoscere che l’apprendimento non può essere circoscritto ad una struttura organizzativa bensì all’interazione di questa con il network sociale; “gli attori e i network si formano a vicenda e contestualmente, i network sono dinamici e sono disegnati dal corso di azione degli attori, gli intermediari fra attori, azioni e situazioni contribuiscono alla forma del network stesso e la modalità di distribuzione e combinazione del sapere generato nel network può essere seguita nel suo divenire”.47

L’apprendimento può divenire non solo da un soggetto esperto in materia bensì da una ricerca, dalla pratica, o ancora dal lavoro di rete con altri operatori; quest’ultimo è basilare nel lavoro sociale poiché si ha un interscambio continuo di diverse prospettive e di continue innovazioni. “Tale approccio di lavoro ha senso se considerato entro un quadro di

policy aperta, che attribuisce valore sia alla libera iniziativa sia alla guida professionale per

conto di istituzioni di welfare dialoganti, razionali e responsabilizzate”.48

L’acquisizione della conoscenza oscilla tra la dimensione dell’esperienza e quella della riflessione; l’apprendimento può essere considerato anche un processo riflessivo, a proposito Howard Goldstein sostiene che “Il pensiero riflessivo è l’attributo del vero apprendimento. Si tratta di un approccio alla realtà che è insieme fiducioso e aperto negli esiti. È fiducioso nel senso che una conoscenza, in un dato momento, viene considerata autentica, benché non assoluta.

46

K. Weick, Processi di attivazione nelle organizzazioni, in S. Zan, Logiche di Azione Organizzativa, Il Mulino, Bologna 1988, p. 274.

47

S. Gherardi, D. Nicolini, Apprendimento e conoscenza nelle organizzazioni, Carocci, Roma 2005, p. 106.

48

F. Folgheraiter, La cura delle reti. Nel Welfare delle relazioni (oltre i piani di zona), Erickson, Trento 2006, p. 71.

(29)

28

È aperto negli esiti nel senso che si è disponibili a modificarlo alla luce di dati nuovi o contraddittori rispetto alla nostra precedente interpretazione”.49

49

H. Goldstein, Experiental learning: a foundation for social work education and practice, CSWE, Alexandria Virginia 2001, p. 7.

(30)

29

Capitolo II – Dai sistemi di programmazione top-down ai cosidetti

botton-up

I modelli di programmazione, dagli anni settanta ad oggi, hanno subito dei mutamenti e si sono sviluppati seguendo le tendenze della società istituzionale, economica, politica e sociale.

Solitamente un progetto di intervento viene redatto seguendo cinque tappe basilari: l’ideazione, l’attivazione, la progettazione, l’implementazione ed infine la valutazione. Se fino alla fine degli anni settanta queste fasi seguono una logica di tipo sequenziale, successivamente le tappe di un progetto diventano concatenate fra di loro e si richiamano una con l’altra.

Durante l’esecuzione delle diverse fasi del progetto vengono eseguite le attività di monitoraggio e di valutazione in itinere al fine di verificare che la progettazione stia producendo gli effetti desiderati.

2.1. Il modello di razionalità assoluta o sinottico

Il primo modello di progettazione che ha caratterizzato gli anni Settanta è denominato modello di razionalità assoluta o sinottico. Si tratta di un approccio top–down o a cascata connesso ad una causalità di tipo lineare, in cui il ruolo centrale è occupato dallo Stato; attraverso una conoscenza assoluta dei fenomeni, si identificano gli obiettivi generali da raggiungere e gli enti attraverso i quali raggiungerli. “Questa concezione parte essenzialmente da due assunti: vi è un’unica entità di programmazione che definisce gli obiettivi, assicura la piena coincidenza dell’interessa collettivo con quello individuale e quindi anche i criteri valutativi; tale entità possiede una conoscenza completa, complessiva, sintesi dei differenti punti di vista (appunto sinottica) del problema che la programmazione intende risolvere e che, pertanto, può prendere decisioni razionali in base agli obiettivi specificati”.50

Il modello di razionalità assoluta segue uno schema logico - lineare ben definito, in cui ogni tappa è stabilita da scelte di tipo razionale ed è conseguentemente connessa alla successiva.

50

(31)

30

Questo modello viene utilizzato per individuare e analizzare i fattori che provocano problematiche sia individualmente che collettivamente; attraverso la realizzazione e progetti ad hoc è possibile prevenire e modificare la situazione di disagio.

I pianificatori lavorano all’interno di uno spazio che per la maggior parte del potere è affidato allo Stato, il quale prende le decisioni e le delega agli enti locali.

Pertanto è possibile asserire che il modello sinottico – razionale non segue la logica secondo cui la tappa ideativa è il risultato della collaborazione tra diversi soggetti giacché i progetti vengono realizzati da un unico soggetto “Le prime tappe sono profondamente radicate nell’esperienza, nella storia e nella cultura delle persone e della comunità locale in cui si colloca il progetto; i progetti sono radicati nella rete di relazioni precedentemente attivata a livello di singoli e di organizzazioni”.51

Attraverso l’approccio della razionalità assoluta si conosce il problema, si posseggono le soluzioni e gli strumenti da eseguire per risolvere il disagio, si ha il potere per intervenire e di conseguenza si realizza la programmazione.

La programmazione sinottica non ha avuto molti successi nel corso del tempo, tuttavia ci sono alcune situazioni in cui appare abbastanza efficiente, poiché risulta un modello poco costoso in termini sia di tempo che di risorse.

Diverse linee di pensiero hanno sfidato tale modello, criticando il principio della “conoscibilità assoluta dei fenomeni”. Il Professore Dott. Gabriele Tomei, ricercatore di sociologia generale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, rielaborando il pensiero del Biologo Herbert Simon sostiene che “di fronte ad alternative di scelta potenzialmente infinite, la decisione di un individuo possa contare solamente su informazioni finite e limitate dal tempo necessario a procurarsele o dall’ordine di priorità con il quale esse si presentano alla sua attenzione”.52

A tal proposito, il Biologo Simon, elabora il concetto di razionalità limitata secondo il quale il pianificatore può continuare ad identificare gli obiettivi ma dovrà tenere conto perfino sia dei limiti con cui le informazioni vengono trasmesse che delle difficoltà del processo decisionale.

Un’altra critica viene mossa nell’ambito della ricerca sociale; il sociologo francese Raymond Boudon sostiene che “Nel campo del mutamento organizzativo, invece, ogni

51

L.Leone, M.Prezza, Costruire e valutare i progetti nel sociale. Manuale operativo per chi lavora su

progetti in campo sanitario, sociale, educativo e culturale, Franco Angeli, Milano 2009, p.58. 52

G.Tomei, Valutare gli outcome dei programmi complessi. Approcci, metodologie, tecniche, FrancoAngeli, Milano 2016, p.20.

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