up
I modelli di programmazione, dagli anni settanta ad oggi, hanno subito dei mutamenti e si sono sviluppati seguendo le tendenze della società istituzionale, economica, politica e sociale.
Solitamente un progetto di intervento viene redatto seguendo cinque tappe basilari: l’ideazione, l’attivazione, la progettazione, l’implementazione ed infine la valutazione. Se fino alla fine degli anni settanta queste fasi seguono una logica di tipo sequenziale, successivamente le tappe di un progetto diventano concatenate fra di loro e si richiamano una con l’altra.
Durante l’esecuzione delle diverse fasi del progetto vengono eseguite le attività di monitoraggio e di valutazione in itinere al fine di verificare che la progettazione stia producendo gli effetti desiderati.
2.1. Il modello di razionalità assoluta o sinottico
Il primo modello di progettazione che ha caratterizzato gli anni Settanta è denominato modello di razionalità assoluta o sinottico. Si tratta di un approccio top–down o a cascata connesso ad una causalità di tipo lineare, in cui il ruolo centrale è occupato dallo Stato; attraverso una conoscenza assoluta dei fenomeni, si identificano gli obiettivi generali da raggiungere e gli enti attraverso i quali raggiungerli. “Questa concezione parte essenzialmente da due assunti: vi è un’unica entità di programmazione che definisce gli obiettivi, assicura la piena coincidenza dell’interessa collettivo con quello individuale e quindi anche i criteri valutativi; tale entità possiede una conoscenza completa, complessiva, sintesi dei differenti punti di vista (appunto sinottica) del problema che la programmazione intende risolvere e che, pertanto, può prendere decisioni razionali in base agli obiettivi specificati”.50
Il modello di razionalità assoluta segue uno schema logico - lineare ben definito, in cui ogni tappa è stabilita da scelte di tipo razionale ed è conseguentemente connessa alla successiva.
50
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Questo modello viene utilizzato per individuare e analizzare i fattori che provocano problematiche sia individualmente che collettivamente; attraverso la realizzazione e progetti ad hoc è possibile prevenire e modificare la situazione di disagio.
I pianificatori lavorano all’interno di uno spazio che per la maggior parte del potere è affidato allo Stato, il quale prende le decisioni e le delega agli enti locali.
Pertanto è possibile asserire che il modello sinottico – razionale non segue la logica secondo cui la tappa ideativa è il risultato della collaborazione tra diversi soggetti giacché i progetti vengono realizzati da un unico soggetto “Le prime tappe sono profondamente radicate nell’esperienza, nella storia e nella cultura delle persone e della comunità locale in cui si colloca il progetto; i progetti sono radicati nella rete di relazioni precedentemente attivata a livello di singoli e di organizzazioni”.51
Attraverso l’approccio della razionalità assoluta si conosce il problema, si posseggono le soluzioni e gli strumenti da eseguire per risolvere il disagio, si ha il potere per intervenire e di conseguenza si realizza la programmazione.
La programmazione sinottica non ha avuto molti successi nel corso del tempo, tuttavia ci sono alcune situazioni in cui appare abbastanza efficiente, poiché risulta un modello poco costoso in termini sia di tempo che di risorse.
Diverse linee di pensiero hanno sfidato tale modello, criticando il principio della “conoscibilità assoluta dei fenomeni”. Il Professore Dott. Gabriele Tomei, ricercatore di sociologia generale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, rielaborando il pensiero del Biologo Herbert Simon sostiene che “di fronte ad alternative di scelta potenzialmente infinite, la decisione di un individuo possa contare solamente su informazioni finite e limitate dal tempo necessario a procurarsele o dall’ordine di priorità con il quale esse si presentano alla sua attenzione”.52
A tal proposito, il Biologo Simon, elabora il concetto di razionalità limitata secondo il quale il pianificatore può continuare ad identificare gli obiettivi ma dovrà tenere conto perfino sia dei limiti con cui le informazioni vengono trasmesse che delle difficoltà del processo decisionale.
Un’altra critica viene mossa nell’ambito della ricerca sociale; il sociologo francese Raymond Boudon sostiene che “Nel campo del mutamento organizzativo, invece, ogni
51
L.Leone, M.Prezza, Costruire e valutare i progetti nel sociale. Manuale operativo per chi lavora su
progetti in campo sanitario, sociale, educativo e culturale, Franco Angeli, Milano 2009, p.58. 52
G.Tomei, Valutare gli outcome dei programmi complessi. Approcci, metodologie, tecniche, FrancoAngeli, Milano 2016, p.20.
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sistema sociale è per sua natura aperto ed esposto all’azione dell’ambiente circostante, con il quale i suoi membri singoli ed organizzati interagiscono trasmettendo stimoli e ricevendo feedback”.53
Pertanto, i processi sociali dipendano sia da fattori di tipo casuale ma anche dall’ambiente circostante.
Attraverso il contributo del Sociologo inglese Anthony Giddens è possibile individuare il concetto della riflessività; una delle caratteristiche della società moderna è quella secondo il quale i singoli attori sociali hanno la capacità di controllare le pratiche sociali in cui loro stessi sono inseriti ed proiettarle nelle future pratiche sociali. Pertanto il concetto di riflessività può essere inteso come l’attività di apprendimento dall’esperienza passata.
2.2. I modelli incrementali
L’approccio incrementale nasce da una critica dell’approccio sinottico – razionale in quanto quest’ultimo ha tralasciato alcuni aspetti fondamentali come l’interazione sociale tra più professionisti nel momento decisionale. “Considerare la dimensione dell’interazione sociale ci rimanda alle questioni del <<punto di vista>> e a quella del <<potere>>”. 54
Nel modello incrementale l’interazione tra più soggetti nella programmazione favorisce l’esposizione di più visioni e linee di pensiero utili ad affrontare una problematica ed apportare una soluzione nella comunità. Il termine visione non fa esclusivamente riferimento all’osservazione ma viene inteso come insieme di culture, obiettivi, storie dei diversi attori sociali che interagiscono per un fine comune.
Nell’approccio incrementale il processo di progettazione è il risultato di una negoziazione tra i diversi attori che ricoprono delle funzioni particolari all’interno di un’organizzazione.
Pertanto, si può notare come i due assunti di base della programmazione sinottica, nonché unicità dell’ente di programmazione e conoscenza completa del problema da sfidare, entrano repentinamente in crisi. Secondo la prospettiva incrementalista “la realtà non sarebbe scoperta ma inventata”.55
53
Ibidem p.20
54
L.Leone, M.Prezza, Costruire e valutare i progetti nel sociale. Manuale operativo per chi lavora su
progetti in campo sanitario, sociale, educativo e culturale, Franco Angeli, Milano 2009, p. 42. 55
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La progettazione incrementale parte dal presupposto che è necessario attivare un cambiamento in una data realtà; è il risultato di un lavoro di adeguamento, negoziazione e organizzazione tra i diversi attori partecipanti a tale processo. Esistono delle conseguenze che derivano dall’applicazione del modello incrementale:
La difficoltà da risolvere e l’ambiente in cui bisogna operare ed attivare un progetto non sono definiti a priori;
La partecipazione attiva e l’interazione tra gli stessi avviene in tutte le tappe del progetto;
Nonostante si condivida un obiettivo comune, ogni soggetto continua ad essere portatore di aspettative proprie;
I problemi sociali non sono caratterizzati da una combinazione lineare; Esistono diverse letture ed interpretazioni dei bisogni;
La mansione dei servizi e degli operatori non è quello di fornire delle soluzioni preconfezionate ma promuovere e sviluppare l’empowerment dei singoli individui e della comunità;
Infine, in ogni comunità ci sono persone in cui i comportamenti e strategie li aiutano ad affrontare il problema ed a trovare una soluzione più adeguata; questo vuol dire che le comunità posseggono al loro interno risorse per affrontare le problematiche.
Nell’approccio incrementale viene data maggiore rilevanza alla fase dell’attivazione; inoltre non segue necessariamente una logica consequenziale – lineare ma le fasi si richiamano tra di loro e molte volte si sovrappongono.
Negli anni sessanta il professore Charles Edward Lindlom, delle Facoltà di Scienze politiche e di Economia presso l’Università di Yale, ha elaborato la prospettiva incrementalista. Nell’approccio incrementale l’attività di pianificazione viene concepita come un lavoro realizzato poco alla volta in cui entrano in gioco le variabili dell’incertezza e del conflitto connesse alla non totale conoscenza del fenomeno da analizzare. “In questo senso si parla di incrementalismo: lo stato del sistema cambia passo dopo passo attraverso
Ideazione Attivazione Progettazione Realizzazione e
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continui aggiustamenti e adattamenti agli esiti imprevisti che l’interazione con l’ambiente di riferimento produce”.56
La prospettiva incrementalista ha dato vita a molteplici modelli fondati su una programmazione negoziata in cui, proprio in base ai principi dello schema incrementale, si verifica una sintonia fra diverse informazioni, strategie e decisioni emersi tra più soggetti.
È possibile individuare i seguenti modelli:
1. Il modello pluricentrico è un modello di puro mercato che agevola la relazione con lo Stato giacché emerge la capacità del mercato di allocare efficacemente le risorse raggiungendo così un pieno equilibrio. Questo tipo di programmazione prevede un forte decentramento decisionale; agli organi centrali è affidato il compito di circoscrivere le necessità e gli obiettivi, mentre ai livelli inferiori viene affidato l’incarico di formulare i progetti. 2. Il modello partecipativo presuppone la partecipazione attiva del cittadino e
della comunità al fine di individuare, con l’aiuto di un facilitatore, una problematica e reperire le risorse necessarie al fronteggia mento della medesima. “La programmazione assume un ruolo politico di azione collettiva, e il ruolo del pianificatore consiste nello stimolare la capacità dei cittadini o della società civile di scoprire i propri bisogni e i modi per soddisfarli”.57
3. Il modello relazionale si sofferma fra la connessione del sistema pubblico con quello privato. La programmazione non è affidata esclusivamente al mercato o all’autonoma attivazione del settore pubblico ma è il risultato di un lavoro d'intreccio e di reciproca responsabilità fra questi due sistemi. 4. La programmazione per progetti valuta quest’ultimi in base al contributo
che possono assicurare alla comunità perseguendo gli obiettivi prefissati.
5. La programmazione per prove ed errori risulta più astratta rispetto alle
altre programmazioni poiché i diversi soggetti avviano, congiuntamente, dei percorsi sperimentali definendo nello stesso momento i mezzi e gli obiettivi.
6. La pianificazione strategica permette che decisioni non siano individuate
esclusivamente dal pianificatore ma vengano determinate in base ad un lavoro di gruppo tra più decisori.
56
G. Merlo, La programmazione sociale. Principi, metodi e strumenti, Carocci, Roma 2014, p. 105.
57
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La pianificazione strategica si accosta al modello operativo della co-progettazione giacché tende a migliorare l’efficacia e l’efficienza delle azioni in campo del welfare comunitario. Questo modello operativo rappresenta una forma di collaborazione tra Pubblica Amministrazione e Privato Sociale, i quali, mediante il principio di sussidiarietà, riescono a realizzare attività e interventi ed a garantire trasparenza, partecipazione e corresponsabilità dell’impegno sociale. “Nel lavoro sociale e più specificamente nella relazione d’aiuto, il principio di sussidiarietà esprime concretamente l’idea dello stare accanto, del condividere, del non sostituirsi all’altro; progettare con l’utente e non sull’utente, evitando di manipolare direttamente o indirettamente la vita sociale o affettiva della persona o peggio ancora persuadere o consigliare in modo da indebolire la sua libertà di scelta o di decisione e comunque rimanendo accanto”.58
Alcune Regioni come il Friuli-Venezia Giulia e la Lombardia hanno emanato delle normative regionali ad hoc che disciplinano la co-progettazione favorendo l’esternalizzazione dei servizi. Altre Regioni, non avendo una normativa regionale di riferimento, applicano il D.P.C.M. 30 marzo del 2001 inerente gli atti di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell’art. 5 della L. 8 novembre del 2000, n.328. Attraverso questo D.P.C.M. è possibile attivare una procedura più elaborata, in cui l’ente pubblico identifica una tematica o un bisogno da affrontare, manifesta l’interesse di lavorare insieme e seleziona i soggetti del Privato Sociale che meglio possono svolgere questa funzione.
In modo particolare l’art. 4 del D.P.C.M. 30 marzo 2001 prevede: le disposizioni per la selezione dei soggetti del Terzo settore: “I comuni, ai fini della preselezione dei soggetti presso cui acquistare o ai quali affidare l’erogazione dei servizi di cui ai successivi articoli 5 e 6, fermo restando quando stabilito dall’art.11 della legge n.328 del 2000, valutano i seguenti elementi: la formazione, la qualificazione e l’esperienza professionale degli operatori coinvolti; l’esperienza maturata nei settori e nei servizi di riferimento.”59
Con la nascita del Terzo settore (ONLUS, Cooperative, Fondazioni, etc) e con lo sviluppo della pratica del contracting out, si è fatto ricorso all’esternalizzazione dei servizi sociali andando così a valorizzare il contesto territoriale e la comunità locale.
58
I. Colozzi, Sussidiarietà, in M. Dal Pra Ponticelli (a cura di), Dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma 2005, p.672.
59
Art. 4 del D.P.C.M. 30 marzo 2001 – Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei
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Si ritiene che il trasferimento delle responsabilità, della gestione dal pubblico al privato, siano necessarie sia per contrastare i fallimenti dello Stato che per fornire una risposta adeguata ai bisogni delle persone in continuo mutamento. “L’utilizzo dei contratti, ovvero della pratica del contracting out, è collegato all’idea che attraverso l’esternalizzazione dei servizi sia possibile migliorare sensibilmente l’efficacia e l’efficienza dei processi di erogazione e produzione”.60
La co-progettazione favorisce la realizzazione di un welfare comunitario ed efficace giacché i servizi vengono progettati dalla partecipazione attiva del cittadino e da più professionisti.
2.3. La programmazione a più livelli
Con il superamento dell’approccio della razionalità assoluta inizia a delinearsi una programmazione basata su più livelli; si ha il superamento della concezione in cui la programmazione era affidata esclusivamente allo Stato in favore di una metodologia che è volta alla condivisione di responsabilità tra più operatori.
Tale modalità di programmazione inizia a diffondersi in un primo momento in Europa, con il Trattato di Maastricht del 1992, il quale enuncia un nuovo principio quello della sussidiarietà attraverso il quale vengono ripartite le funzioni proprie dell’Unione Europea e quelli degli Stati membri.
L’Unione Europea ha il diritto di intervenire in materie che non sono di sua competenza, solo qualora si verifichi che gli obiettivi dell’azione previsti, in precedenza, non possano essere soddisfatti efficacemente dagli Stati membri. “Il principio di sussidiarietà si configura dunque come un principio dinamico, che consente di ampliare le competenze dell’Unione Europea laddove necessario e, all’inverso, di restringerle quando non necessario, non potendo comportare in alcun caso l’attribuzione all’Unione Europea di competenze ulteriori”.61
In Italia il principio di sussidiarietà è divenuto un caposaldo della struttura istituzionale ed organizzativa, dapprima con la legge Bassanini n. 59 del 1997 la quale conferiva funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, e successivamente con
60
A. Di Patrizio, Management del servizio sociale. Modelli e strumenti, Carocci Faber, Roma 2015, p.45.
61
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l’emanazione della Legge Costituzionale 18 ottobre n.3 inerente le modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione Italiana.
La sussidiarietà può essere intesa sia in senso orizzontale, fa riferimento alle attività di interesse generale proposte autonomamente dai cittadini, “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”,62
sia in senso verticale, secondo le logiche di multilevel governance, si ha la ripartizione delle competenze, secondo relazioni cooperative, tra i diversi livelli di governo.
Secondo l’ordinamento italiano, spetta al Comune, quale Ente gerarchicamente inferiore, compiere tutte le funzioni che la legge gli attribuisce giacché nel momento in cui vengono meno le risorse e le capacità di attuazione delle proprie competenze, saranno gli Enti di grado superiore a dover prestare sostegno o cooperazione. “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.63
La funzione amministrativa, di cui parla l’articolo 118 della Costituzione, prevede la progettazione di azioni che consentano l’effettivo utilizzo del bene pubblico da parte di tutti i cittadini del territorio al fine di ridurre le differenze e garantire l’utilizzo del bene comune. Pertanto, spetta esclusivamente allo Stato la funzione di specificare gli standard minimi validi su tutto il territorio nazionale.
Le difficoltà che sorgono nel momento della progettazione a più livelli possono essere risolte attraverso l’utilizzo di alcuni metodi di lavoro:
Il modello assi – misure – azioni; è stato elaborato dall’Unione Europea e può essere facilmente utilizzato a livello di programmazione Nazionale, Regionale e Comunale. Gli assi descrivono gli indirizzi per realizzare gli obiettivi generali, le misure rappresentano le aree in cui bisogna attuare il programma ed infine le azioni vengono eseguite al fine di realizzare gli obiettivi prestabiliti.
L’analisi dei determinanti; permette di superare le problematiche della programmazione a più livelli facendo, inizialmente, riferimento al problema
62
Art.118 Costituzione italiana – https://www.senato.it/1025?sezione=136&articolo_numero_articolo=118
63
37
di vasta area ma, successivamente, si opera per priorità locali in base alle esigenze del territorio.
La concertazione a più livelli; permette di contrastare la problematica sotto tre diversi livelli. Nella pratica vengono prodotti tre documenti di programmazione ai quali si aggiungono i meccanismi di implementazione e di follow-up strategico.
Il primo documento è rappresentato dagli Orientamenti strategici comunitari per la coesione (OSC), i quali circoscrivono i principi e le priorità della politica di coesione e suggeriscono gli strumenti per permettere agli Stati europei di sfruttare, in maniera efficace ed efficiente, le dotazioni economiche stanziate per i programmi di aiuto nazionali e regionali. Tali programmi mirano ad ottenere tre obiettivi fondamentali: ampliare l’attrattiva degli Stati membri, delle Regioni e delle Città, promuovere la crescita economica mediante l’innovazione e l’imprenditorialità ed infine creare nuovi posti di lavoro assicurando maggior sicurezza.
Il secondo documento è dato dal Quadro nazionale di riferimento strategico (QSN), rappresenta il documento che chiarisce la strategia che uno Stato si prefigge di raggiungere nell’ambito della politica di coesione. Per quanto riguarda il QSN italiano, approvato dalla Commissione Europea il 13 luglio del 2007, assume quattro macro obiettivi di base snodati in dieci priorità:
“Sviluppare i circuiti della conoscenza.
Priorità 1 - miglioramento e valorizzazione delle risorse umane.
Priorità 2 - promozione, valorizzazione e diffusione della ricerca e dell’innovazione per la competitività.
Accrescere la qualità della vita, la sicurezza e l’inclusione sociale nei territori.
Priorità 3 – energia e ambiente: uso sostenibile e efficiente delle risorse per lo sviluppo.
Priorità 4 – inclusione sociale e servizi per la qualità della vita e l’attrattività territoriale.
Potenziare le filiere produttive, i servizi e la concorrenza.
Priorità 5 – valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività per lo sviluppo.
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Priorità 7 – competitività dei sistemi produttivi e occupazione. Priorità 8 – competitività e attrattività delle città e dei sistemi urbani.
Internazionalizzare e modernizzare l’economia, la società e
l’amministrazione.
Priorità 9 – apertura internazionale e attrazione di investimenti, consumi e risorse.
Priorità 10 – governance, capacità istituzionali e mercati concorrenziali e efficaci”64
.
Il terzo documento è costituito dai programmi operativi (PO) ovvero i documenti proposti dallo Stato nazionale (Programmi operativi nazionali) o da una singola Regione (Programmi operativi regionali) che favoriscono la programmazione comunitaria.
Ulteriori documenti integrativi sono costituiti: dal meccanismo di gestione dei programmi e selezione dei progetti e dal follow-up strategico e dibattito annuale. Il primo permette allo Stato o alla Regione di gestire i programmi e selezionare i progetti da attuare mediante lo strumento della concertazione. Il secondo, grazie allo strumento del monitoraggio continuo, apporta dei cambiamenti ai programmi.
Il sistema di programmazione a più livelli risulta abbastanza complesso poiché collaborano diversi soggetti, si tratta inoltre di un processo politico in cui si cerca di confrontare le diverse esigenze territoriali ed infine vi è una interconnessione continua fra i diversi livelli (Stato-Regione- Comune). Nonostante l’interconnessione esistente tra i diversi livelli viene assegnata piena autonomia decisionale all’ente locale.
64
http://europalavoro.lavoro.gov.it/EuropaLavoro/Tematiche-trasversali/Quadro-strategico-nazioanle-Qsn
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Come sostiene Giovanni Merlo, esperto di programmazione sociale e docente dell’Università degli Studi di Torino, “tale situazione può essere schematicamente rappresentata attraverso una piramide rovesciata”.65
La doppia piramide rovesciata; a differenza dello schema cosiddetto “piramide rovesciata”, in cui viene data grande rilevanza agli aggiustamenti