• Non ci sono risultati.

I L PALAZZO O RSINI A C AMPO DEI F IOR

42 F ABBRICI , A DANI 2008.

43 Tra le sedici opere della collezione Régnier che Carlo Ridolfi ricorda ne Le meraviglie dell’arte (1648) non trova menzione il Creatore ma un «San Girolamo […], opera singolare di Antonio da Correggio». Il dipinto è citato per la prima volta nel 1663 ne La Venezia città nobilissima e singolare di Francesco Sansovino che ricorda come Régnier «di mano del Correggio ha un Salvatore, posto a sedere sull’Iride» insieme a «una Erodiade che tiene in bacile la testa di san Giovanni Battista» (citazioni tratte da NICOLINI 2011, p. 78, cui si rinvia per una puntuale ricostruzione delle vicende del Trittico). Per il Ritratto della famiglia di Francesco I si veda: Introduzione, fig. 5.

44 Per la lettera del conte Francesco Bulgarini al conte Alessandro Gonzaga in data 15 maggio 1638 si veda Doc. I, 9.

172 lui a fianco di Nicolò Molza nel valutare e organizzare il furto dalla chiesa di San Francesco. All’ipotesi tradizionale, che ha sempre additato Boulanger ed è all’origine della sua ingiustificata nomea di copista, si deve preferire la possibilità che fosse stato il più qualificato Régnier a soddisfare la neonata passione ducale per le opere del Correggio. Una via ancor più percorribile se si ricorda che Régnier soggiornò alla corte estense dal 16 settembre al 31 dicembre del 1638, quando ricevette 550 lire «per causa nota a Sua Altezza», impegnato in alcuni ritratti estensi, tra cui il già citato Ritratto della famiglia di Francesco I45.

Una copia dimenticata: la Madonna con Bambino di San Giorgio in Rio

Il «pittore» che accompagnò Nicolò Molza nel 1638, come si è visto, passò anche dalla chiesa di San Giorgio in Rio e giudicò come copia la «pittura detta del Correggio»

rappresentante «la Beata Vergine col Putino in bracio, San Giorgio e due Putini»46.

Probabilmente su pressione dello stesso Molza, che lodava il dipinto come opera dell’Allegri, il pittore compì un secondo sopralluogo il 21 marzo. Per Venturi il

giudizio negativo sull’opera era stato pronunciato da Jean Boulanger47. Come per il

Riposo di San Francesco, anche la Madonna di San Giorgio in Rio (fig. 10) passò alla

collezione estense sostituita da una copia, prima di giungere a Dresda cent’anni dopo48.

L’originale fu registrato come opera del Correggio nell’inventario della collezione ducale del 1663 ed è attualmente attribuito a Girolamo Mazzola Bedoli (fig. 11), mentre la copia è oggi collocata nella parete absidale della chiesa di San Giorgio in

45 ASMo, Camera Ducale, Mandati in volume, r. 100 (1638) alla rubrica «Cosa nota». Cfr. Doc. I, 10. LEMOINE (20072, pp. 113 e 182) ritiene che il mandato di pagamento possa legarsi non tanto all’esecuzione di opere d’arte, quanto al loro acquisto sul mercato. Mancando i registri dei mandati di pagamento del 1639 e del 1640 non ci è dato sapere se Régnier fosse ancora a Modena all’inizio del 1639. E’ certo che nel marzo di quell’anno doveva già essere tornato alla corte dei Gonzaga: il 17 marzo veniva ricompensato con una collana e il 17 aprile riceveva un pagamento per l’esecuzione dei ritratti del duca e della duchessa. Si veda: LEMOINE 20072, p. 376.

46 Lettera di Nicolò Molza a Francesco I (16 marzo 1638). Doc. I, 1. 47 VENTURI 1882, p. 229.

48 Il dipinto (cm 156 x 133) è conservato nei depositi della Gemäldegalerie – Alte Meister di Dresda (inv. n. 165 A). Si veda la sintetica scheda dedicata all’opera in WINKLER 1989, p. 170. Nell’inventario del 1663 è descritto come «Un quadro sopra altra porta depinto in tella dal Correggio. Rappresenta la Vergine, il Bambino, S. Giorgio, S. Giovanni Battista et un cavallo con altra figuretta. Con cornice dorata» (BENTINI,CURTI, 1993, p. 61). Per le vicende attribuzionistiche dell’opera e la bibliografia di

173

Rio, dietro l’altare maggiore49. Non è agevole ricostruire le vicende critiche dei due

dipinti, poiché la matassa è stata ingarbugliata anche dalla presenza di un secondo dipinto del Correggio che ha, tra i protagonisti, un San Giorgio, ovvero la celebre Madonna di San Giorgio (fig. 12) eseguita per la confraternita modenese di San Pietro

Martire e anch’essa tra i tesori drammaticamente passati a Dresda50. Girolamo

Tiraboschi, ad esempio, cadde nell’equivoco, confondendo la tela di San Giorgio in

Rio con quella della confraternita modenese51.

A far chiarezza intervenne Pungileoni (1817) che rintracciò notizie sulla copia in due inventari «di quella chiesa», il primo del 1719 e il secondo del 1734, dove era descritta come «un quadro all’altar maggiore con l’effigie della Beata Vergine di s. Giorgio e di s. Gio. Battista con sua ancona antica che conservava il famoso quadro di s. Giorgio

avuto da S. A. serenissima parte dorata e parte con vernice verde».52 Ritenendola tratta

da un originale correggesco, la giudicava «opera d’una mano, che nel copiarla non ha tocca certamente la somma grazia. E’ però fatta che ben ne mostra qual doveva essere nell’originale la squisitezza dell’arte»53. Pungileoni ammetteva di non sapere dove

fosse l’originale, «ond’è a far voti affinché venga ad iscoprirsi in qualche galleria». Non ignorava però la testimonianza di Gherardo Brunorio che un secolo prima ricordava come nella chiesa si trovasse una copia «essendo stato trasportato l’originale

a Modena nella Galleria»54. Anche Pietro Martini, nel 1865, ne ignorava l’ubicazione

ed era piuttosto scettico sul suo ritrovamento. Negli stessi anni Quirino Bigi riteneva fondata l’ipotesi che il San Giorgio di Rio non fosse un’opera dell’Allegri e riportava la testimonianza di Michele Antonioli che la credeva dipinta da Lusenti. Con il XX secolo si avviò un intenso dibattito critico sull’attribuzione dell’originale, lasciando ai margini la copia. Solamente Hans Posse (1929) aggiungeva un tassello alla storia del dipinto, affermando che l’opera era stata portata a Modena nel 1646, non specificando

però quali fonti suffragassero la sua asserzione55. Il cartellino che accompagna la copia

nella chiesa di San Giorgio, del tutto dimenticata dalla letteratura artistica, avanza una

49 La copia eseguita ad olio su tela misura cm 155 x 128 ed è leggermente più piccola dell’originale. 50 Per l’opera si veda: EKSERDJIAN 1997, pp. 177-192.

51 TIRABOSCHI 1786, p. 64.

52 PUNGILEONI, 1817, vol. II, p. 239. 53 IDEM, vol. I, pp. 225-226.

54 IDEM, vol. II, p. 239. Per notizie su Gherardo Brunorio (1671-1745), prevosto di San Quirino a Correggio, si veda TIRABOSCHI 1781-86, vol. I, 1781, p. 347.

174 prudente attribuzione a Jean Boulanger, forse sulla base della ricostruzione offerta da Venturi che gli assegnò anche quella del Riposo. Al di là dei dubbi già espressi sul teorema di Boulanger copista, un profondo scarto stilistico separa le due copie e obbliga a ritenere che non possa trattarsi della stessa mano. La fedeltà della prima alla lezione dell’Allegri viene meno nella tela di San Giorgio, dove la libera reinterpretazione delle fisionomie della Vergine e del Bambino altera l’eleganza manierata dell’originale.

Una Notte, nottetempo

Come il Riposo, anche l’Adorazione dei pastori (o La Notte, fig. 13) a Reggio Emilia fu sottratta di notte dalla cappella Pratonieri della basilica di San Prospero su decisione

di Francesco I che riuscì dove Alfonso II aveva fallito56. La tela confluì dunque nella

collezione estense, prima di giungere a Dresda. Che fosse il fiore all’occhiello della quadreria appare chiaro dalle parole del forlivese Francesco Scannelli che, nel Microcosmo della pittura, celebra il dipinto come il più rappresentativo dell’arte del Correggio per la «più esatta rappresentazione della divina historia, come delle più affettuose, e proprie espressioni, massime di lumi differenti, e come deificati con unione di colori, che dichiarano l’operatione assolutamente impareggiabile, che serve

a nostri tempi per ultimo termine alle meraviglie della pittura»57. Una tela che il duca

aveva gelosamente protetto anche dalle mai nascoste brame correggesche di Filippo IV che nel 1652, attraverso Diego Velàzquez, faceva sapere a Francesco Ottonelli, ambasciatore estense a Madrid, che «riceveria grandissimo gusto [se] gli mandasse qualche bel pezzo di quadro del Correggio» e che la Notte sarebbe stata un ottimo dono per il primo ministro di Spagna Don Luigi d’Haro. L’ambasciatore sapeva già come rispondere alle richieste del pittore: «della notte non occorreva parlare perché Vostra

56 Alfonso II d’Este aveva tentato di appropriarsi della tela nel 1587. Lo si deduce da una lettera che Fulvio Rangone, governatore di Reggio, inviò al duca il 27 dicembre di quell’anno, informandolo sulle difficoltà nel levare l’opera per l’opposizione sia dei proprietari che del clero della chiesa. Per il documento, trascritto integralmente in MONDUCCI 2004, p. 162, si veda: MAZZA 2005, p. 73 con bibliografia precedente.

57 SCANNELLI 1966, p. 370. Un secolo dopo i capolavori del Correggio incantarono anche Charles de Brosses che passò da Modena nel 1740 e ne lasciò una testimonianza nelle sue Lettres familières

175 Altezza l’ha quasi come in deposito, et con certa promissione, che non sii mai per partirsi di su casa»58.

Almeno dal 1530 la tela ornava l’altare della cappella Pratonieri della chiesa reggiana

di San Prospero59, prima che fosse rubata nella notte del primo maggio 1640.

L’originale fu sostituito con una copia (fig. 14) che fu ricevuta da Giulio Pratonieri, proprietario dell’altare. Questi si rifiutò di collocarla al posto dell’originale e la lasciò in deposito a un «Illustrissimo Monsignore» per ben due anni, fin quando, nel maggio

del 1642, dovette arrendersi al volere del duca d’Este60. Secondo Pirondini la copia fu

fatta realizzare subito dopo il furto, (dunque tra il 1640 e il ’42), a Modena, da Boulanger. A suo giudizio in questa copia, più che in quella del Riposo, si può ammirare «la finezza del pennello del francese, che, più che copiare fedelmente in ogni minimo particolare le opere dell’Allegri, seppe anche abilmente compenetrarsi nello

spirito del grande Maestro»61. Le tinte ambrate che sullo sfondo animano il tramonto

correggesco cedono la scena a una luce ormai pienamente serale, infondendo alle cromie quasi la meteorologia delle pale di Ludovico. Malgrado questa distanza, la copia resta di pregevole fattura e riconducibile alla mano di un artista senz’altro capace.

Già prima del furto circolavano sul mercato alcune copie de La Notte. Nella stessa basilica di San Prospero se ne conserva un secondo esemplare, attribuito dalle guide ottocentesche della città al reggiano Orazio Perucci (1548 ca.-1624) e identificato con

quello che nel 1641 fu donato alla chiesa dal sacerdote Francesco Perucci62. L’opera è

di piccole dimensioni e per questo senza dubbio inadatta a sostituire l’originale

58 Lettera di Francesco Ottonelli, ambasciatore a Madrid, al duca di Modena Francesco I in data 13 gennaio 1652. Per la trascrizione integrale si veda SALORT PONS 2002, pp. 462-463 e bibliografia precedente.

59 Per l’originale correggesco si vedano: RICCOMINI 2005, pp. 112-113; EKSERDJIAN 1997, pp. 205- 217.

60 Si veda: PIRONDINI 1969, pp. 12-13. Lo studioso pubblica un’annotazione scritta il primo maggio 1640 dal curato della chiesa di San Prospero nel Libro dei defunti in cui si denuncia che nella notte il duca Francesco I aveva sottratto la tela del Correggio (Doc. I, 11). Alle stesse pagine, alle note 37-38, Pirondini riporta due lettere inviate da Sigismondo Borghi, luogotenente di Reggio Emilia, in data 30 aprile e 15 maggio 1642 (conservate presso ASMo, Archivio per materie, Pittori, 13/1 (Correggio) e trascritte integralmente in MONDUCCI 2004, pp. 164-165). Dalle missive si deduce che la copia, almeno fino al 1642, non era ancora stata installata sopra l’altare della cappella. Sulle vicende si veda anche MAZZA 20081; MAZZA 20082.

61 PIRONDINI 1969, p. 13.

62 Cfr. MAZZA 2005, p. 76 con bibliografia precedente. La tela è conservata nella sagrestia della basilica di San Prospero e la sua collocazione ne impedisce un esame ravvicinato.

176 sull’altare della famiglia Pratonieri. Copie de La Notte si trovavano anche a Roma già

all’inizio del Seicento, come emerge dagli inventari delle principali collezioni63. Nella

quadreria di Pietro da Cortona, tra cinque copie da Correggio, era incluso anche un «Presepio grande» (cioè la Notte), come attesta l’inventario postumo dei suoi beni risalente al 166964, mentre un’altra «Natività di Cristo, e’ pastori» nel 1686 è registrata

nella collezione di Maffeo Barberini65. Una copia era già in possesso degli Este, come

certifica il Libro dell’Eredità dell’Ill.mo S.r Cardinal d’Este, ovvero l’elenco redatto nel 1624 dei beni provenienti della residenza romana del cardinal Alessandro e lasciati in eredità alla nipote Giulia d’Este. Tra la «mobiglia» di Palazzo de Cupis era inclusa

anche una «Natività di N. S.re in tavola senza cornice coppia del Correggio»66.

Un interesse, quello per le repliche de La Notte, che gli Este manifestarono fin dall’inizio del secolo. E’ documentata, infatti, una copia eseguita dal ferrarese Francesco Naselli (notizie dal 1590-post 1635), pittore dal catalogo ancora fumoso e

celebrato dalla storiografia proprio per la sua attività di copista67. Noto soprattutto per

aver replicato opere dei contemporanei Guercino, Reni e dei Carracci, nel 1604 il ferrarese realizzò una copia della Notte dopo aver ricevuto l’autorizzazione del capitolo della basilica di San Prospero, per istanza di «Madama Margherita, già

duchessa di Ferrara»68. Quella non fu l’unica copia da Correggio, né l’ultimo contatto

che l’artista ebbe con la casa d’Este. Il 15 novembre 1622 Giovanni Villanuova da Modena scriveva a Enzo Bentivoglio riferendo che Naselli, inviato a copiare il quadro di San Pietro Martire, «ha avuto licentia, sì che potrà a voglia sua darne principio, cosa che piacerà e parerà». Secondo Barbara Ghelfi il dipinto di San Pietro, oggetto della copia, era la Madonna con Bambino e i santi Geminiano, Giovanni Battista, Giorgio e Pietro martire (fig. 12) del Correggio e da una lettera che il pittore indirizzò poco

63 Per la fortuna dell’opera del Correggio in ambiente romano si veda: SPAGNOLO 2005, pp. 184-193. 64 Si veda: SPARTI 1997, p. 146.

65 Si veda: ARONBERG LAVIN 1975, p. 396.

66 Il documento è trascritto da Claudia Cremonini, Le raccolte d’arte del cardinale Alessandro d’Este.

Vicende collezionistiche tra Modena e Roma, in BENTINI 19982, pp. 117-118, n. VI. Si rinvia al contributo anche per l’attenta ricostruzione del gusto collezionistico del cardinale Alessandro.

67 Il primo profilo di Francesco Naselli fu delineato da RICCOMINI 1969, pp. 28-31 e di recente puntualizzato da GHELFI 2011, pp. 217-221. Si veda anche: MONTANARI 1998, pp. 111-112.

68 MONDUCCI 2004, pp. 162-164. Committente della copia fu Margherita Gonzaga, terza moglie di Alfonso II.

177 dopo al duca Cesare, la studiosa deduce che la replica fosse destinata alle collezioni estensi69.

Per quanto coinvolto nelle copie estensi delle opere dell’Allegri, è da escludersi che Naselli sia l’esecutore della tela di San Prospero. Dalle sue poche copie superstiti, delle tante documentate dalle fonti, appare con evidenza il forte scarto dagli originali, peculiarità che rende addirittura ingiustificata la sua nomea di copista. Nel Davide ed Abigail, tratto da un originale del Guercino recentemente battuto all’asta70, Naselli prende licenze a partire dal disegno. Già il suo primo biografo Girolamo Baruffaldi si trovò in difficoltà nel giustificare la scarsa perizia mostrata in due copie delle pitture che Ludovico Carracci e Guido Reni eseguirono per il chiostro di San Michele in

Bosco71. La sua è una pittura genuinamente grossolana che rivela un solco profondo

dagli originali. Tutto, insomma, induce a non ritenerlo all’altezza della Notte di San Prospero, dove la comprensione tanto del ductus quanto dei virtuosismi luministici giunge a restituire gli affetti con cui con l’Allegri colorava il sacro. Aspetti che non furono certamente estranei alla sensibilità pittorica di Jean Boulanger.

Modena era comunque destinata a diventare uno snodo centrale del mercato delle copie da Correggio, un’importanza che crebbe con il progressivo incameramento (rastrellamento) degli originali. Con La Notte la galleria giunse a includere tre opere dell’Allegri: oltre al Riposo di San Francesco, il duca aveva infatti acquisito il Ritratto di Medico della collezione di Paolo Coccapani, vescovo di Reggio72. Era dunque normale che la corte estense divenisse la nuova sede per guadagnare delle repliche. A testimoniarlo una lettera di Francesco Montecuccoli, maggiordomo maggiore del duca,

69 La lettera non è più rintracciabile, ma resta una sua trascrizione presso ASMo, Archivio per materie,

Pittori, b. 15 (Naselli Francesco). La missiva fu scritta dal pittore al duca Cesare d’Este il 29 novembre

1625 (secondo Barbara Ghelfi da leggersi 1622), da essa si deduce l’effettiva partenza di Naselli per Modena. «Quando mi partii da Ferrara per venirmene a Modena a servire S.A. Ill.ma nella (lacuna) di S. Pietro Martire fu la partita improvvisa in maniera, che non potrei significarle le (...) che m’anderano per ridure a prefettione l’impresa, come di colori, nela (lacuna) spese che necessariamente convengano farsi per tale effetto». Da GHELFI 2011, p. 218.

70 Il Davide ed Abigail è stato venduto all’asta Dorotheum di Vienna del 13 ottobre 2010 insieme al

Re David che consegna una lettera a Uriah, sempre del Guercino (lotto 370).

71 BARUFFALDI 1986, t. II, pp. 38-39. Per il biografo, mosso dal cieco campanilismo che informa le sue Vite, si trattò di un accidente: ancora inesperto, il pittore arrotolò le tele non del tutto asciutte, pagando così l’inesperienza giovanile. In realtà, come ha documentato Barbara GHELFI (2011, p. 102- 103), il contratto fu stipulato con l’abate di San Giorgio nel luglio del 1612, quando il pittore aveva almeno superato i vent’anni, e prevedeva che nel viaggio a Bologna traesse solamente i disegni, da riportare poi su tela una volta rientrato a Ferrara.

72 Il Ritratto di Medico, acquisito intorno al 1638, è ora a Dresda. L’attribuzione a Correggio è per lo più scartata dalla critica ed è confermata solo da MONDUCCI (2004, pp. 76-78).

178 che da Modena scriveva a un «Serenissimo Principe» il 25 settembre del 1643 rammentando le «instanze che già gli fece il signor Viceré d’havere qualche buona copia delle cose del Correggio e qualche quadro di frutti belli, e che, se con l’occasione dell’andata di sua moglie a Napoli, Vostra Altezza volesse mandargliene, gli piaceria bene […]»73. A soddisfare l’alta richiesta, altri pittori dovettero misurarsi con la pittura

del Correggio, come ricorda un’altra copia de La Notte eseguita entro il 1647 e nuovamente associata a Jean Boulanger. La tela, originariamente conservata nella chiesa di San Nicola di Bari di Bomporto, è ora depositata presso il Museo Benedettino e Diocesano d’arte sacra di Nonantola in seguito al terremoto del 2012 (fig. 15)74.

Alfonso Garuti non si sbilanciò sulla paternità, ma ritenne il dipinto «interessante e di buona qualità essendo di esecuzione seicentesca riferibile al 1647, come appariva appunto dall’iscrizione dedicatoria nel timpano dell’ancona» e giudicò la copia «assai curata e fedele»75.

Nel 1677, un altro pittore stava lavorando a una copia della Notte. Lo si apprende da una lettera che Gian Giacomo Monti scriveva al pittore ducale Francesco Stringa per

fargli presente che le tele commissionate a Bologna – tele grezze già «imprimite»76

erano ormai pronte e si apprestavano a partire alla volta di Modena77. Alla fine della

lettera, nel salutare l’amico, Monti aggiungeva una notizia, finora taciuta e preziosa per chiarire il quadro variegato delle copie da Correggio:

So che Vostra Signoria travaglia incessantemente nella Coppia della Notte et che non havrà potuto haver applicatione per altri lavori. Le desidero buona salute acciò possa bene resistere alle molte fatiche78.

73 ASMo, Particolari, b. 933 (Montecuccoli Francesco).

74 La copia è a olio su tela (260 x 180 cm) ed è stata restaurata negli anni ’80 del secolo scorso. Una scheda dell’opera è disponibile presso l’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici, redatta nel 2007da Roberta Apparuti. La studiosa riconduce la copia all’ «ambito modenese» e ricorda, coma «altra attribuzione», il nome di Jean Boulanger.

75 GARUTI 1999, p. 332.

76 ASMo, Ambasciatori, Bologna, b. 10, fasc. «Gio. Giacomo Monti». Inedito. Cfr. Doc. I, 12. 77 Le tele, per concomitanza cronologica, potrebbero essere quelle su cui Stringa avrebbe illustrato i

Miracoli di San Contardo d’Este, opere datate intorno al 1675 per ragioni stilistiche. Si vedano: ROSSI

2014 e MAZZA 1993.

179 In ragione dell’alta domanda, non stupisce che un pittore di corte replicasse un’opera della collezione ducale. L’informazione acquista maggior peso se si considera che quella della Notte non fu l’unica opera proveniente da San Prospero replicata dal pittore. Intorno al 1680, Stringa ultimò infatti anche la copia della Madonna con Bambino e i santi Crispino, Crispiniano e Paolo eremita, eseguita da Guido Reni nel

1621 per l’Arte dei Calzolai e ora a Dresda (figg. 16-17)79. La tela fu incamerata per

volere di Francesco II, che proseguiva così la campagna di requisizioni inaugurata dal nonno. Visto il coinvolgimento di Stringa nel riallestimento delle cappelle di San Prospero con copie dagli originali sequestrati dal duca, non sembra improbabile che sia proprio sua la Notte che oggi orna l’altare dei Pratonieri e a cui sappiamo si dedicò «incessantemente». Nella replica del dipinto di Reni, Stringa manifestò una chiara libertà interpretativa: lo schema compositivo di Guido è ribaltato ed eseguito in

Documenti correlati