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3. Nella ‘stanza’ di Guido

Avviato alla professione nell’atelier paterno, Boulanger guadagnò l’Italia per entrare nella bottega di Guido Reni. Gli anni che vanno dal suo apprendistato bolognese alla sua assunzione come pittore di corte presso gli Este (1638) sono stati oggetto di scarsa attenzione da parte degli studiosi e restano ancora oggi del tutto oscuri. Nei paragrafi che seguono si cercherà dunque di chiarire una delle lacune più considerevoli sulla figura artistica di Jean Boulanger, ripercorrendo le ricostruzioni finora avanzate e riesaminando le fonti utili a chiarine la formazione.

Le scrupolose indagini archivistiche condotte tra Modena, Bologna e Ferrara hanno permesso di sgombrare il campo da ipotesi non più valide e di riformulare su base documentaria il percorso che portò a Modena il pittore ormai trentenne, ripercorrendo i legami tra la corte ducale e la bottega di Reni e definendo le personalità che operavano sul mercato artistico bolognese per conto degli Este.

Nel 1657 Francesco Scannelli inserì «Monsù Giovanni» tra i pittori più celebri della scuola bolognese, accanto ai Gennari, i Cittadini, il Sirani, Giovanni Battista

Bolognini, Framinio Torre e Domenico Maria Canuti71. Boulanger era ancora in vita e

il suo nome era già legato agli affreschi del Palazzo Ducale di Sassuolo, dove il curioso lettore del Microcosmo avrebbe potuto scoprire la sua virtù.

Maggiori dettagli sono forniti dalla Felsina di Carlo Cesare Malvasia, fonte essenziale per la ricostruzione degli anni bolognesi di Boulanger. Il biografo lo ricorda nella stanza di Guido, animata da «un curioso e dilettevole compendio di tutte le

nazioni», dove non mancavano «contrasti, bagordi ed insolenze»72. Gli scolari erano

così indisciplinati che avevano rotto al maestro il Pallione del Voto, copiato il Ratto di Elena e intagliato all’acquaforte l’ancora incompiuta «fortuna dell’abate Gavotti, pubblicata con la stampa dello Scarselli, senza fargliene un semplice motto» (figg. 16- 18). Per questa ragione Guido si ritirò a lavorare «in diversa stanza», trattenendo con sé solamente i più fidati ovvero «Monsù Pietro Lauri francese, Monsù Bollanger di

71 SCANNELLI 1657,p. 370. Si veda Doc. V. 1.

72 Questa citazione, come le seguenti, sono tratte daMALVASIA 1841,t.II,p. 24.Il passo è riportato integralmente al Doc. V, 2.

141 Troà, il Loli, il Dinarelli […] ed il Sirani», oltre a Sementi e a Gessi. Il maestro poté contare su questo ristretto nucleo di collaboratori per far fronte alle cospicue commissioni, facendo loro «sbozzare su’ suoi disegni e tirar avanti le fatture, sgrossandole, come di far convenne sempre a tutti que’ maestri grandi, che tante opre intrapresero».

Prima di ipotizzare che l’alunnato presso Reni fosse iniziato tra il 1628 e il 163073,

Massimo Pirondini (1969) aveva ritenuto che Boulanger fosse entrato nella bottega di

Guido «negli anni intorno al 1623»74, basandosi sulla cronologia delle opere

menzionate da Malvasia. A quell’anno – il 1623 – si faceva infatti risalire l’incisione di Girolamo Scarselli della Fortuna vaticana menzionata nella Felsina (fig. 19). La datazione di questa stampa era stata però fissata dalla storiografia senza alcun fondamento, e anche l’esecuzione del dipinto è stata più convincentemente spostata a

ridosso degli anni ’4075. L’ingenuità stava nel dedurre l’ingresso di Boulanger

nell’atelier bolognese dalla carrellata dei saccheggi ricordati da Malvasia, fonte imprescindibile ma non sempre attendibile, specialmente per le indicazioni cronologiche76.

73 PIRONDINI 1992, p. 45 e PIRONDINI 1993, p. 54. Dello stesso avviso anche Babette BOHN (2008, p. XLV) e Alessandra BIGI IOTTI e Giulio ZAVATTA in Modena Barocca 2013, p. 163.

74 PIRONDINI 1969, p. 6.

75 Il Ratto di Elena (olio su tela, cm 253 x 265, Paris, Louvre) fu completato tra il 1630 e il 1631 (per cui si veda: Guido Reni 1988, p. 115; PEPPER 1984, pp. 264-265 e il recente studio di Anthony COLANTUONO (1997)). Il Pallione del voto (olio su seta, cm 382 x 242, Bologna, Pinacoteca Nazionale) fu consegnato nel 1631 (PEPPER 1984, p. 266; Emanuela Fiori in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2008, vol. 3, pp. 69- 74). La Fortuna dell’abate Giovanni Carlo Gavotti è stata per lungo tempo identificata con quella della Pinacoteca Vaticana (olio su tela, cm 188 x 155, Vaticano, Pinacoteca). Il 1623 come data di realizzazione del dipinto fu avanzata da Otto KURZ (1937, p. 217) e ribadita da CAVALLI (1954, pp. 97-98). L’anno successivo, Cesare GNUDI e Gian Carlo CAVALLI (1955, p. 77, n. 59) ribadivano il 1623 «per via di quel suo carattere di ornata rappresentazione, che già tocca il Nesso del Louvre». Al 1623 era ricondotta anche la stampa di Scarselli tratta dal dipinto di Reni, prima che PEPPER (1984, pp. 276-277) riformulasse il discorso. A suo avviso l’errata datazione del dipinto al 1623 discendeva da quella altrettanto errata dell’incisione dello Scarcella malgrado «no date on any impression of the etching had in fact been previously recordered elsewhere». Avanzava dunque per la tela il 1637 in virtù della «clear coloration and handling», ritenendo per di più il 1623 una data precoce per l’attività di Scarselli. Più di recente PEPPER eMAHON (1999) hanno identificato l’originale di Reni non già nella Fortuna vaticana, ma in un dipinto ora in collezione privata bolognese che ha mostrato tutti i tratti dell’autografo dopo un’accurata pulitura. Infine per l’incisione si rinvia a Bartsch 1981, p. 253, n. 6.

76 PIRONDINI (in Giovanni Boulanger 1985, p. 17, nota 7) attenuò l’ipotesi iniziale constatando che, per quanto l’incisione dello Scarsella induca a «ritenere che già a quella data [il 1623] Boulanger fosse al seguito di Guido in Bologna», gli altri riferimenti cronologici offerti da Malvasia – come la presenza di altri discepoli tra cui Lorenzo Loli e Giovanni Andrea Sirani – «indurrebbero a posticipare i tempi dell’apprendimento del giovane francese presso il Reni».

142 Nella stessa occasione Pirondini supponeva che Boulanger fosse noto a Modena già qualche anno prima di essere assunto tra i salariati di Francesco I. La congettura prendeva le mosse da un Ritratto di ignoto attribuito a Boulanger da Bariola e Nascimbeni quando, nel 1920, il quadro apparteneva alla Congregazione di Carità di

Modena (fig. 20)77. Per Pirondini «nella pennellata rapida e quasi frettolosa del dipinto

non è difficile ravvisare una mano che molto si avvicina a quella dell’artista francese»78. Lo studioso riportava poi l’opinione di Carlo Cesare Nannini per cui nell’ignoto del quadro era da riconoscersi il poeta e ambasciatore ducale Fulvio Testi. A suo avviso il personaggio non doveva superare i 35 anni e dunque il dipinto doveva essere stato eseguito dopo il 1628 o 1629 poiché Testi era nato a Ferrara nel 1593.

Ignorando l’ubicazione attuale del dipinto (di cui si ha solamente un’immagine in bianco e nero), non è possibile sbilanciarci sull’autografia. Sull’identità del personaggio però non rimane nessun dubbio: un confronto con il Ritratto di Fulvio Testi (fig. 21) eseguito da Ludovico Lana esclude che possa trattarsi della stessa

persona79. Questo dipinto, eseguito dopo il 1638, fornì il modello per il ritratto inciso

Barthélemy Fenis a corredo della raccolta delle Poesie di Testi edita a Modena nel

1678 (fig. 22)80. Come nel dipinto di Lana, anche nella stampa l’effigiato mostra al

mignolo la medaglia con la croce dell’ordine di Sant’Iago di cui Testi fu insignito in Spagna.

Tra le congetture avanzate sulla sua prima attività occorre segnalare anche quella di Cecilia Vicentini per cui il pittore, prima dell’ingaggio estense, avrebbe servito per

due anni il marchese Tassoni a Ferrara81. La studiosa ha ritenuto di poterlo identificare

in quel «pittor francese» menzionato in una lettera conservata presso l’Archivio di

Stato di Modena priva di data e mittente e indirizzata al marchese Mario Calcagnini82.

77 Il dipinto è «attribuito con ragionevole sicurezza al Boulanger» in Patrimonio Storico Artistico 1920, p. 24, tav. XII. Si veda anche NASCIMBENI 1920, p. 85.

78 PIRONDINI 1969, p. 8.

79 Olio su tela, cm 68,5 x 50,5 Modena, Galleria Estense, inv. 370. Per il dipinto si veda la scheda di Daniela FERRIANI in BENATI, PERUZZI 2003, p. 84.

80 TESTI 1678. L’incisione di Bartolomeo Fenis verrà affrontata più dettagliatamente nella sezione dedicata all’artista.

81 VICENTINI 2012, pp. 205-206.

82 La lettera (ASMo, Archivio per materie, Pittori, 14/2, Giovanni Pittore francese) fu trascritta da Orianna BARACCHI (1998, pp. 136-137) che dubitava dell’identità dell’artista. Il documento presenta

143 L’ignoto pittore, «essendo stato pochi giorni sono in Sassuolo, et havendo veduto quelle Pitture, et conseguentemente conoscendo che studiare in quel luoco, si porrebbe a proposito con la sua Vertù», chiedeva «colà con un letto per qualche settimana, acciò possa esercitare il suo buon talento, et per meglio servire a V. E. nelle occasioni con anche un puoco di quella scaiola di gieso per poter fare di quelle misture, che della gratia sarà sempre obbligato a V. E.».

La nazionalità dell’artista non è condizione sufficiente per riconoscerlo in Boulanger poiché altri pittori francesi nel Seicento circolavano per le corti dell’Emilia e, nella sola bottega reniana, oltre al franco-fiammingo Michele Desubleo, le fonti ricordano

l’ancora poco noto Pierre Laurier83. Ulteriori riserve sorgono in proposito alla scagliola

che il «pittore francese» domandava: nulla al momento lascia presumere che Boulanger avesse dimestichezza con la scultura. Stando ai mandati di pagamento di cui fu beneficiario, l’artista maneggiò solo pennelli, colori e «tella per fare quadri di pittura»84.

Anche le due ragioni addotte per convalidare l’ipotesi non appaiono convincenti. Che la «Vertù» citata nella lettera possa alludere al soggetto iconografico della Camera delle Virtù Estensi per l’impiego dell’iniziale maiuscola non appare giustificato dalle consuetudini grafiche seicentesche per cui, diversamente dall’uso moderno, l’estensore aveva un buon margine di discrezionalità. In secondo luogo, che nella stessa carpetta sia conservata la minuta ducale con cui si rimetteva a Roma la provvigione mensile di «Gio. Pittor Franzese» non legittima alcuna associazione tra i due documenti e tantomeno tra i due francesi, essendo semmai imputabile a un debole nesso archivistico individuato in sede di riordino.

Nemmeno le verifiche compiute presso l’Archivio Storico di Ferrara hanno permesso di avvalorare il teorema, che, se non altro, avrebbe permesso di recuperare almeno una

traccia dell’attività di Boulanger prima del 163885.

una datazione apposta successivamente a matita al «1642 o 1643» e riporta in apice nella prima carta l’indicazione «Gio. Pittor Franzese». Per la trascrizione integrale si veda il Doc. V, 3.

83 Per Pierre Laurier si vedano: Marina CELLINI, Pietro Lauri (Pierre Dulauvier o Laurier), in NEGRO, PIRONDINI 1992, pp. 295-299; CREMONINI,DUGONI 2001 con bibliografia precedente.

84 Per i mandati si veda Pirondini 19822, pp. 125-138.

85 Presso l’Archivio Storico di Ferrara le verifiche hanno interessato il Fondo Tassoni, bb. 101-108 (1631-1638). Ulteriori controlli sono stati eseguiti presso ASMo, Agenzia in Ferrara, bb. 42-43, (1634- 1639).

144 Ciò che permise di spostare il discepolato al 1628-30 fu la pubblicazione degli Scritti originali di Carlo Cesare Malvasia per cui fu allievo di Reni «e stette con lui dieci anni

un Monsù Giovanni Bolangere da Troà del quale Guido diceva gran bene»86. Poiché

Boulanger fu assunto come pittore di corte nel 1638, il decennio speso nella stanza di Guido doveva collocarsi prima di quella data.

Stando a Malvasia, Boulanger fu giudicato dal maestro «uno dei più giusti e bravi disegnatori che fosse a que’ tempi», e andò «poi al servizio del Duca di Modena e dipinse sì un palazzo a Modena come a Sassuolo e si portò bravissimamente, avea poca provigione». Il canonico si dimostrava così ben informato, documentando non solo gli affreschi sassolesi, già noti a Scannelli, ma anche le pitture del Palazzo Ducale di Modena. L’unica decorazione a noi nota eseguita da Boulanger per gli appartamenti ducali modenesi doveva consistere in otto quadri, oggi perduti. Documentati da un inventario settecentesco, i dipinti erano collocati «ne’ muri della Stanza» e

rappresentavano «Giganti rovesciati e morti»87. Le tele riecheggiavano e

completavano così il decoro della volta dove, secondo il medesimo inventario, era «dipinto a fresco in uno spazio tondo Giove che fulmina i Giganti, con alcuni di loro finti cadere sotto le Rupi». Anche l’indicazione della «poca provigione» dimostra che Malvasia poté fruire di notizie di prima mano. I registri dei mandati parlano chiaro: il suo stipendio mensile infatti ammontava a 150 lire modenesi prima che venisse alzato a 20088.

Carlo Cesare Malvasia tornò a ribadire l’alunnato reniano di Boulanger in un terzo

passo contenuto nell’Alfabetto del 170289. La descrizione delle stampe in suo possesso

è preceduta dalla vita degli autori, ordinati cronologicamente ed a proposito di Reni ribadisce che «furono però di lui discepoli confidenti, e che presso di lui ritenne, Monsù Pietro Lauri francese, Monsù Bollanger di Troà, e tra Bolognesi Lorenzo Lolli,

86 Questa, come la citazione seguente, è tratta da MARZOCCHI 1980, pp. 51-52. Il corsivo è mio. Il passo integrale è riportato in Doc. V, 4.

87 L’inventario è stato trascritto da VENTURI 1882, p. 304.

88 Per la comparazione tra le monete in circolazione e i rapporti tra gli stipendiati della corte si veda: Raffaella MORSELLI, Felsina al potere: Francesco I e la supremazia dei pittori bolognesi, in CASCIU, CAVICCHIOLI,FUMAGALLI 2013, pp. 147-150.

89 MALVASIA 1702. BCArch, ms. B 319, Minute e abbozzi di notizie pittoriche del Conte Carlo

145 Giuliano Dinarelli, Giovanni Andrea Sirani, Giovanni Giacomo Sementi, e Francesco Gessi»90.

L’informatore Cornelio Malvasia

Carlo Cesare Malvasia disponeva di fonti particolarmente vicine alla bottega reniana, in particolare poteva contare sul cugino Cornelio (1603-1664), unico membro della

famiglia citato per nome nella Felsina91. Senatore dopo Giulio e marito di Ortensia

Ercolani, Cornelio Malvasia fu tenente generale delle galere di Urbano VIII Barberini nel 1641 e suo generale di cavalleria nella guerra di Castro. Passò poi al servizio di Francesco I d’Este che lo nobilitò al grado di marchese conferendogli il feudo di Bismantova. Protagonista dell’assedio di Cremona e di Pavia, si distinse per il gran valore militare, servendo il duca Francesco non solo sul campo di battaglia ma anche nell’amministrazione dello stato in qualità di governatore di Finale e ambasciatore a Parigi. Membro del corteo che accompagnò il duca nel suo viaggio alla corte di Luigi XIV, ricevette dal Re Sole il titolo di tenente generale delle truppe francesi in Italia, di

cui Francesco I era generalissimo92.

I suoi non furono però solamente incarichi politico-militari. Cornelio fu poeta, matematico e autore di un importante trattato di astronomia, le Ephemerides Novissimae motuum coelestium pubblicate nel 1662 a Modena dalla tipografia Cassiani. L’opera vide il contributo scientifico di Giovanni Domenico Cassini (1625- 1712), professore di astronomia presso lo studium bolognese e poi direttore dell’Osservatorio di Parigi, e del modenese Geminiano Montanari (1633-1687), allievo del galileiano Paolo del Bono. Lo stesso Montanari è autore della tavola fuori

90 Il passo integrale è riportato in Doc. V, 5.

91 Per i passi della Felsina in cui Carlo Cesare menziona il cugino Cornelio si veda MORSELLI 1998, p. 317, nota 5. Cornelio fu senza dubbio una delle figure più complesse ed affascinanti del Seicento bolognese e ancora attende uno studio completo. Nei paragrafi che seguono mi limiterò ad evidenziarne i rapporti con Guido Reni e con gli Este.

92 FANTUZZI 1786, t. V, pp. 159-162. Cornelio Malvasia fu anche ambasciatore a Parma nel 1631, per incontrare l’Infanta Margherita di Savoia a Piacenza (ASMo, Carteggio degli ambasciatori, Parma, b. 6), in Germania nel 1633-34 (ASMo, Carteggio degli ambasciatori, Germania, b. 95) per esprimere le condoglianze in seguito alla morte dell’arciduca Leopoldo e a Vienna per congratularsi con il re d’Ungheria per la nascita di un figlio maschio.

146 testo allegata alle Ephemerides, l’Icon lunaris, incisione «rivoluzionaria nella concezione e nell’esecuzione», al punto da poterla ritenere «uno dei migliori esempi

nel suo genere del Seicento»93.

Il talento del giovane Geminiano fu segnalato a Cornelio da Firenze nel 1661 e, per potersene valere come assistente, il marchese fece pressioni affinché fosse assunto come matematico di corte. Ma a connotare l’impresa come frutto del patrocinio estense fu la partecipazione di un secondo modenese, ovvero Francesco Stringa, incisore delle dodici tavole che illustrano gli studi sulla rifrazione atmosferica e sulle effemeridi

solari94. Assunto da Alfonso IV come pittore di corte e dal 1674 sovrintendente alla

galleria estense, Stringa firmò per esteso l’antiporta (fig. 23) dove una figura femminile osserva Giove al cannocchiale mentre dipinge lo stemma del Cardinale Giulio Sacchetti, legato pontificio a Bologna e dedicatario dell’opera, ritratto più in alto entro un medaglione.

Diversi passi della Felsina testimoniano il forte interesse di Cornelio Malvasia per la pittura. Oltre alle commissioni per la cappella di famiglia, arricchita da Cornelio con il Matrimonio mistico di Santa Caterina di Alessandro Tiarini ora alla Pinacoteca

Nazionale di Bologna95, i Malvasia avevano da tempo accordato particolare cura alla

decorazione della residenza bolognese e alle ville suburbane di Trebbo di Reno e di

93 CALANCA 2011, p. 7. Si rinvia al saggio per la puntuale analisi della portata scientifica delle

Ephemerides.

94 Per Francesco Stringa si segnala il recente studio romanzesco-archivistico di Francesco SALA (2011). Oltre all’antiporta, firmato «F. Stringa In. F.», sono marcate con le lettere «FS» intrecciate le incisioni intitolate: Schema solaris deliqui (1661), Typus Lunaris Eclipsis (1661), Figurae Caelis

introitus solis in puncta Aequinoctialia et Solstitialia (1661), Figurae Caelis introitus solis in puncta Aequinoctialia et Solstitialia (1662), Typus Lunaris Eclipsi (1663), Figurae Caelis introitus solis in puncta Aequinoctialia et Solstitialia (1663), Typus Lunaris Eclipsis (1665). Sono anonime le seguenti: Typus Lunaris Eclipsi (1663), Schema Lunaris Deliquii (1664), Figurae Caelis introitus solis in puncta Aequinoctialia et Solstitialia (1664), Typus Lunaris Eclipsis (1665), Figurae Caelis introitus solis in puncta Aequinoctialia et Solstitialia (1665). CAMPORI (1855, p. 199) riferisce erroneamente a Barthélemy Fenis la marca «FS».

95 Il Matrimonio mistico di Santa Caterina (Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 1138) era completato da altre tre tele commissionate da Cornelio per la cappella di famiglia in Sant’Agnese. Si veda la scheda di Barbara GHELFI in Pinacoteca Nazionale di Bologna 2008, pp. 144-150. Sempre a Tiarini, allo scadere del secondo decennio, Cornelio aveva commissionato la Sacra famiglia e i Santi Francesco,

Giovannino e Michele Arcangelo destinata all’oratorio del castello di Panzano e ora all’Ermitage per

cui si veda la scheda di Emilio Negro, Nicosetta Roio in Alessandro Tiarini 2000, pp. 134-135, cat. n. 95 e quella di Daniele BENATI (2001, vol. II, pp. 70-71).

147

Panzano96. Furono coinvolti nella decorazione di questi spazi i quadraturisti affermati

nel panorama cittadino: Girolamo Curti, Angelo Michele Colonna, Andrea Seghizzi e Gian Giacomo Monti, artisti che nel trentennio tra il 1630 e il 1660 saranno tutti

convocati a Modena per commissioni ducali97.

Non stupisce dunque che nel 1647 il duca Francesco I si rivolgesse proprio a Cornelio per potersi avvalere dell’opera di Gian Giacomo Monti. Il marchese lo aveva ingaggiato per «dar mano a certi pochi lavori» nel castello Malvasia di Panzano e gli ordinò di partire alla volta di Sassuolo, dove avrebbe negoziato anche l’ingaggio di

«un suo compagno», ovvero Baldassarre Bianchi98.

Cornelio svolse infatti il ruolo di agente per Francesco I sulla piazza artistica bolognese, procurando pittori ed opere. Il 2 giugno del 1635 riceveva un rimborso delle spese per aver mandato a Modena alcuni pittori per l’esecuzione del grande anfiteatro

progettato da Francesco I per la visita del cardinale Maurizio di Savoia99. Inoltre sono

note grazie ad Adolfo Venturi due lettere del 1633 e del 1635 in cui Cornelio

proponeva al duca l’acquisto di alcune opere di Guido Reni100. Il 20 gennaio del 1633

segnalava la disponibilità di due tele: un San Sebastiano e un «David con la testa del Gigante uciso», dipinto da cui l’allora cardinal legato Antonio Santacroce stava facendo «cavar copia». Dalla lettera si deduce che l’agente era aggiornato sulle tariffe delle opere di Reni, a suo avviso spropositate. Nella lettera, infatti, lamentava che le sue pitture erano «ridotte a termine di non potersi avantagiare troppo doppo la sua

96 Per la villa Malvasia a Trebbo di Reno si veda CUPPINI,MATTEUCCI 1969, pp. 108-109; per il palazzo bolognese su Strada Maggiore a ROVERSI 1986, pp. 301-307;

97 Per l’attività svolta da questi pittori al servizio degli Este si veda l’ancora fondamentale studio di VENTURI 1882, pp. 181-196 e il più recente di MORSELLI,op. cit., in CASCIU,CAVICCHIOLI,FUMAGALLI

2013, pp. 145-162. A differenza degli altri quadraturisti citati, Andrea Seghizzi fu l’unico a non essere reclutato da Francesco I ma dal figlio Alfonso IV per progettare gli apparati per i funerali del padre, apparati poi incisi da Francesco Fontana per l’Idea di Domenico Gamberti su cui si tornerà successivamente.

98 ASMo, Archivio per materie, Pittori, b. 14, Gian Giacomo Monti in data 20 maggio 1647. Si veda

Doc. VI, 8.

99 ASMo, Archivio per materie, Spettacoli, Miscellanea, b. 10, 2 giugno 1635: «Al Signor Cornelio Malvasia lire 133.15 valuta di lire 94.4 moneta di Bologna dategli d’ordine del Signor Marchese Bentivoglio per rimborso d’altrettanti spesi dal suo in mandare a Modena pittori, […] e come per sua lista in f.a a n. 101». Cfr. JARRARD 2003, pp. 19-30.

100 VENTURI 1882, pp. 185-186. Per la trascrizione integrale dei documenti si veda Doc. VI, 1 e 4. Le ricerche di Venturi sono state fondamentali per alcune recenti precisazioni di Barbara GHELFI, Aggiunte

al collezionismo dei dipinti emiliani di Francesco I, in CASCIU,CAVICCHIOLI,FUMAGALLI 2013, pp. 39-48).

148 morte perché a me hanno fatto pagare una testa d’un San Paolo cinquanta ducatoni d’argento, che non è alta un braccio».

La corte ducale riponeva piena fiducia nelle indicazioni di Cornelio, lui stesso acquirente di opere del maestro. Lo dimostra una minuta del 22 gennaio 1633 in cui il

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