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1.F.4 Trattamento, prognosi e prospettive terapeutiche

(per review cfr Stasia et al., 2009)

Attualmente, le strategie terapeutiche prevedono la chemioprofilassi antifungina e antibatterica per tutti i pazienti cui è stata diagnosticata la CGD. L’associazione trimetoprime-sulfametossazolo (TMP-SMX) è l’antibioticoprofilassi più utilizzata, poichè possiede un buon spettro di attività sui microorganismi che sono più frequentemente causa di infezione nei pazienti CGD (Margolis et al., 1990). Il TMP-SMX è lipofilico (quindi si concentra nelle cellule), e ben tollerato, poichè non colpisce la flora intestinale. Numerosi studi hanno evidenziato una riduzione dell’incidenza delle infezioni severe grazie ad una profilassi regolare. Il TMP-SMX causa raramente effetti secondari; in caso di controindicazioni, la ciprofloxacina costituisce una buona alternativa (Stasia et al., 2009).

Le infezioni fungine, in particolare da Aspergillus, sono responsabili di un forte tasso di mortalità (da 30 a 40%): la profilassi è dunque indispensabile. L’itraconazolo è un antifungino di natura fortemente lipofila, disponible in forma orale e attivo su Aspergillus e generalmente ben tollerato (Neijens et al., 1989).

Il trattamento delle infezioni acute nella CGD si basa sull’antibiotico terapia, gli antifungini e, in casi eccezionali, la trasfusione dei granulociti. Le infezioni batteriche vanno trattate rapidamente con un’antibioticoterapia aggressiva e sinergica, adattata ai microorganismi più frequentemente causa di infezioni nella CGD. L’antibioticoterapia è inizialmente probabilistica e adattata in un secondo tempo, una volta che il germe responsabile è stato isolato. La ciprofloxacina è spesso l’antibiotico di prima scelta; l’associazione alla vancomicina o alla teicoplanina permette di assicurare una buona copertura nei confronti dei cocci Gram+. L’anfotericina B è invece il trattamento antifungino di prima scelta. Tra i nuovi antifungini potenzialmente utili nel trattamento della CGD, i triazoli di seconda generazione, come il voriconazolo e la caspofungina, sembrano particolarmente efficaci (Stasia et al., 2009).

In caso di infezioni gravi, di natura purulenta e resistenti al trattamento antibiotico, sono stati ottenuti risultati positivi associando la chirurgia alla trasfusione di granulociti. Tuttavia, questa metodica è oggetto di controversie: dà luogo infatti a effetti indesiderati importanti, con rischio di allo-immunizzazione e di reazione di rigetto contro l’ospite.

Una modalità di profilassi è basata sull’impiego di interferone gamma (IFNγ), una citochina immunomodulatrice che si è rivelata efficace nel ridurre la frequenza delle infezioni batteriche e nel migliorare lo stato clinico dei pazienti. Cassatella e colleghi hanno inoltre dimostrato che il trattamento di PMN in vitro con IFNγ determina un aumento dei livelli di espressione degli

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mRNA codificanti per gp91phox; gli stessi autori hanno anche mostrato che l’IFNγ non modifica i livelli di espressione della proteina p22phox mentre causa una riduzione della trascrizione costitutiva del gene per p47phox (Cassatella et al., 1990 e 1991). L’IFNγ sembra essere in grado di aumentare l’attività NADPH ossidasica in alcune rare varianti di CGDX91-, in cui neutrofili e monociti erano caratterizzati da un’estremamente debole, ma misurabile, attività ossidasica. Tuttavia, nei pazienti CGDX910 e CGDAR l’aumento della produzione di superossido conseguente al trattamento con IFNγ non si è rivelato significativo (Ezekowitz et al., 1987; Newberger et al., 1988). Studi più recenti hanno peraltro dimostrato l’efficacia e la sicurezza dell’uso di IFNγ come farmaco di profilassi (Weening et al., 1995), anche a lungo termine (Marciano et al., 2004). L’uso prolungato di IFNγ sembra infatti sicuro e mostra una persistente diminuzione della frequenza di infezioni gravi e della mortalità. Non è stato osservato aumento delle complicanze proinfiammatorie, quali formazioni di granulomi. Si ritiene inoltre che l’IFNγ potenzi le vie antimicrobiche ossigeno-indipendenti, anche se i meccanismi molecolari associati a questo rafforzamento delle difese immunitarie nei pazienti CGD non sono noti con precisione. Tuttavia, l’elevato costo di tale profilassi a lungo termine e la necessità della somministrazione per via intramuscolare hanno fortemente limitato la sua applicazione.

Il trattamento curativo della CGD è rappresentato dal trapianto di midollo osseo; tuttavia la difficoltà di trovare donatori HLA compatibili limita fortemente la sua applicazione. Sembra inoltre che il tassi di riuscita e di sopravvivenza siano fortemente connessi con l’età del paziente e con l’assenza di infezioni al momento del trapianto (Seger et al., 2002).

Per quanto concerne la prognosi, va detto che, grazie all’evoluzione naturale (riduzione degli episodi infettivi con l’età) e ai progressi terapeutici, in particolare per la profilassi, i pazienti che hanno ricevuto una diagnosi precoce di CGD raggiungono l’età adulta e conducono una vita famigliare e professionale normale. Nel 1957, la CGD era considerata una sindrome fatale entro i dieci anni di vita.

Un potenziale trattamento curatvo della CGD è rappresentato dalla terapia genica. Le donne portatrici della forma CGD X-linked possiedono il 10-20% di neutrofili normali e non hanno, in generale, sindromi cliniche: questo suggerisce che si possono osservare benefici clinici derivati della terapia genica in granulociti parzialmente corretti. Nei primi esperimenti, la correzione parziale e transitoria dell’attività NADPH ossidasica dopo trasferimento genico non aveva

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apportato alcun beneficio clinico duraturo (Malech et al., 1997; Barese et al., 2004) Più recentemente, la transfezione del gene CYBB è stata realizzata tramite un vettore retrovirale: dopo condizionamento del midollo osseo, i ricercatori hanno potuto recuperare i fagociti circolanti che esprimevano il gene corretto e il cui numero aumentava progressivamente. Questo trattamento ha permesso la regressione totale delle infezioni severe di questi pazienti; tuttavia, due anni dopo il trattamento, i pazienti hanno riacquisito il loro fenotipo iniziale (Nalidini, 2006). Nuove strategie, compreso il design di nuovi vettori virali, sono attualmente in fase di elaborazione, allo scopo di permettere il prolungamento dell’effetto benefico di un tale approccio terapeutico (Ott et al., 2006; Kang et al., 2010) ed evitare i rischi connessi all’utilizzo di un vettore retrovirale quali la mutagenesi per inserzione.

1.G. Gli omologhi di Nox2: Nox e Duox

(per review cfr Bedard et Krause, 2007)

Negli anni ’90, le migliorie apportate alla sensibilità delle metodiche di misura della produzione di ROS a permesso di poter rivelare la produzione di deboli quantità di metaboliti reattivi dell’ossigeno in cellule non fagocitiche quali le cellule epiteliali, muscolari, endoteliali, neuronali, fibroblasti, ecc. Questa produzione é stata inizialmente attribuita alla respirazione mitocondriale, ma l’uso di inibitori della catena respiratoria e di flavoenzimi a dimostrato che una flavoproteina simile a Nox2 ne era responsabile. Il primo enzima omologo a Nox2 é stato descritto nel 1999 (Suh et al., 1999; Banfi et al., 2000). Attualmente, sei omolghi di Nox2 sono stati scoperti e inclusi in due famiglie: Nox (per NADPH oxidase) e Duox (per Dual oxidase) (Figura 7).

Per quanto concerne la loro sequenza, tutti i membri della famiglia Nox (Nox1, 2, 3, 4, e 5) possiedono un dominio a sei α eliche transmembrana con quattro residui di istidina in coordinazione con i due gruppi eme, e una regione C-terminale citosolica contenente i siti i fissazione per il FAD e il NADPH, fortemente conservati. Nox 1 e Nox3 hanno dimensioni quasi identiche a Nox2 e presentano, nella loro sequenza, un grado di omologia del 60% rispetto a Nox2. Nox5 e Duox sono gli enzimi che più si discostano dalla struttura di Nox2: Nox5 possiede un’estensione N-terminale supplementare, contenente quattro motivi EF-hand (siti di legame per il calcio); la produzione di specie reattive dell’ossigeno da parte di Nox5 é infatti calcio-dipendente (Banfi et al., 2001).

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Duox 1 e 2 possiedono anch’essi un dominio N terminale esteso, costituito da due motivi EF-hand seguiti da un’elica transmembrana e da un dominio omologo alla perossidasi sul lato esterno della membrana plasmatica. Questi enzimi sarebbero in grado di trasformare direttamente gli anioni superossido prodotti in H2O2 (El-Hassani et al., 2005).

Figura 7 : Modello strutturale dei diversi sottotipi di enzimi Nox e Duox. Abbreviazioni: EF, motivo EF-hand legante il calcio; H, istidine in coordinazione con i gruppi eme (Fe). (Da Sumimoto, 2008).

 Nox1 é particolarmente concentrato a livello del colon; é stata ritrovato anche in utero, prostata, cellule della muscolatura liscia, placenta e cellule endoteliali. Il ruolo fisiologico di Nox1 é ancora oggetto di discussione. Due ipotesi principali sembrano emergere: Nox1 interverrebbe nella difesa dell’organismo, grazie a processi microbicidi ROS-dipendenti e, inoltre, stimolerebbe la proliferazione cellulare attraverso l’attivazione di meccanismi di segnalazione intracellulari redox-sensibili (Lambeth et al., 2007). L’espressione di Nox1 é inducibile a livello della muscolatura liscia dell’aorta e sembrerebbe intervenire nella regolazione della pressione sanguigna.

 Nox3 è l’isofoma con una distribuzione tessuto-specifica più elevata. E’ presente infatti in quantità rilevanti a livello dell’orecchio interno, e in particolare nel sistema vestibolare e auditivo. Interverrebbe nella formazione dell’orecchio interno e nella regolazione dell’equilibrio.

 Nox4 é stata inizialmente caratterizzata a partire dal tessuto renale adulto (e per questo originariamente definita Renox); oltre che nel rene, é espressa a livello delle cellule endoteliali, muscolari lisce, cardiache, pancreatiche, cellule della placenta, della muscolatura striata, ovaie, testicoli, osteoclasti, fibroblasti e astrociti. La funzione di Nox4 é ancora incerta; nel rene, questa proteina avrebbe il ruolo di “sensore di ossigeno” (oxygen sensing) e di

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regolatore della sintesi di eritropoietina (Geistz et al., 2000; Shiose et al., 2001). Nox4 sembra inoltre essere la sorgente principale di radicali ossidanti nelle prime fasi della fibrosi renale diabetica. A livello extra-renale, Nox4 interverrebbe nella differenziazione cardiaca durante lo stadio embrionale, nel riassorbimento osseo degli osteoclasti e nel metabolismo dell’insulina. Recentemente, Nox4 è stata implicata nella generazione dei radicali dell’ossigeno coinvolti nella degenerazione della cartillagene nell’artrosi (Grange et al., 2006).

 Nox5 é stata essenzialmente ritrovata nei testicoli e nei tessuti linfoidi, pur essendo assente nei linfociti cirocolanti. Nei tessuti citati, questa isoforma catalizza la produzione calcio-dipendente di specie reattive dell’ossigeno, la cui funzione resta tuttavia da chiarire (Banfi et al., 2001); le ROS prodotte potrebbero intervenire nell’induzione dell’apoptosi durante le fasi precoci dela spermatogenesi e nella fusione ovocita-spermatozoo.

 Duox1 e Duox2 sono entrambe espresse nella tiroide e per questo sono state inizialmente definite ThOX (thyroid oxidase); successivamente Duox1 é stata ritrovata a livello delle ghiandole del tratto gastrointestinale e Duox2 a livello dell’epitelio respiratorio. Possiedono un grado di omologia con l’omologo Nox2 pari all’83%. Duox1 e Duox2 sembrano coinvolti nella sintesi degli ormoni tiroidei e nella difesa dell’ospite a livello degli epiteli (Bedard et Krause, 2007)

Fatta eccezione per la proteina Nox2, il ruolo delle diverse isoforme Nox nell’uomo resta ancora da svelare; sono attualmente in corso numerosi lavori di ricerca che implicherebbero le Nox in patologie importanti quali il diabete, l’aterosclerosi, l’ipertensione arteriosa e il tumore.