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Si definiscono farmaci biologici quei farmaci prodotti attraverso tecniche di ingegneria genetica. In genere si tratta di anticorpi monoclonali che riconoscono uno specifico bersaglio molecolare. A differenza dei farmaci “convenzionali” quindi consentono di agire in maniera molto più precisa sui meccanismi patogenetici di una malattia riducendo al contempo il rischio di effetti indesiderati.

Per via della loro notevole efficacia sono anche definiti “Disease Modifying

Drugs” ovvero farmaci in grado di modificare la storia naturale e clinica di una

malattia.

Ciascuno di questi farmaci possiede delle precise indicazioni terapeutiche che ne limitano l’utilizzo a specifiche categorie di pazienti. Ciò è dovuto all’impossibilità di effettuarne un uso massivo non per ultimo a causa dell’elevato costo che essi hanno per il sistema sanitario nazionale.

In linea generale quindi rappresentano una terapia di seconda linea, che fa seguito ad una mancata o incompleta risposta alla terapia convenzionale (approccio Step- Up).

È però possibile anche un differente approccio, detto Top-Down, che prevede di utilizzare fin da subito gli anticorpi monoclonali per “spegnere” rapidamente l’attività di malattia e poi passare alla terapia convenzionale al fine di mantenere la remissione.

Nel trattamento delle MICI sono attualmente utilizzate due classi di farmaci biologici: gli anti-TNF e gli anti-integrinici di seguito descritti.

1.6.2.1 Anti-TNF

Famiglia di anticorpi monoclonali accomunati dalla specificità verso il TNF-α (Tumor Necrosis Factor α) citochina che svolge un ruolo centrale nei processi di infiammazione e di attivazione della risposta immunitaria Th-1 mediata.

Aumentati livelli di TNF-α sono inoltre stati riscontrati nelle MICI sia a livello ematico che tissutale e ciò conferma il razionale dell’impiego di tali farmaci.

101,102

Gli anti-TNF sono stati sviluppati e approvati in un periodo che va tra gli anni ‘90 e i primi anni 2000. Da allora si sono dimostrati essere una importante risorsa per il trattamento delle MICI in quanto consentono di raggiungere un livello di controllo della malattia spesso impensabile con la terapia convenzionale.

D’altro canto è necessario sottolineare che una porzione non trascurabile di pazienti (fino al 40%) non risponde in maniera soddisfacente agli anti-TNF o va in contro a perdita di risposta nel corso del tempo, spesso per via della formazione di anticorpi diretti verso il farmaco o per la comparsa di effetti avversi.

Inoltre, come già ricordato in precedenza, l’aspetto economico legato al loro elevato costo limita l’impiego in larga scala di tali farmaci. 103

Gli anti-TNF sono approvati per il trattamento di RCU e MC con attività moderata o grave in pazienti che abbiano avuto una risposta inadeguata alla terapia convenzionale o per i quali quest’ultima sia controindicata. 101

Attualmente gli anti-TNF utilizzati in Italia sono tre: Infliximab (IFX), Adalimumab (ADA) e Golimumab (GOL).

1.6.2.1.1 Infliximab

Anticorpo monoclonale chimerico umano-murino, è il primo anti-TNF per cui è stato approvato l’uso sull’uomo; oltre alla sua azione principale sembra possedere anche la capacità di indurre citotossicità in cellule che esprimono TNF-α sulla membrana attraverso meccanismi anticorpo- e/o cellulo-mediati. 95

Viene somministrato per via endovenosa in infusione, nel protocollo terapeutico sono previste 3 dosi di induzione da 5mg/kg alle settimane 0, 2 e 6 poi seguite da infusioni di mantenimento sempre di 5mg/kg ogni 8 settimane. 95

Negli studi denominati ACT 1 e ACT 2 l’IFX si è dimostrato essere superiore al placebo nell’indurre e mantenere la remissione clinica ed endoscopica nella RCU, con un tasso di risposta clinica del 61-69% ad 8 settimane di terapia e del 45% a un anno. 104

Anche per quanto riguarda la MC si sono ottenuti simili risultati dallo studio ACCENT 1, nel quale si conferma che i pazienti responsivi all’induzione con IFX hanno una maggiore possibilità di mantenere la remissione nel lungo periodo se viene somministrato IFX ogni 8 settimane. 105

Ulteriori studi hanno poi comparato l’utilizzo di IFX da solo rispetto all’Azatioprina ed alla combinazione di IFX e Azatioprina, concludendo che la combinazione dei due farmaci determina un tasso di remissione superiore e fornisce una maggiore percentuale di mucosal healing rispetto ai singoli. 106,107

Una delle problematiche legate a questo farmaco è rappresentata dalla sua immunogenicità, infatti in una percentuale che può arrivare al 30% dei pazienti trattati con IFX possono svilupparsi degli anticorpi diretti contro tale molecola. Ciò è spesso causa di fallimento terapeutico in quanto le dosi circolanti del farmaco vengono ad essere fortemente ridotte.

In relazione a questo fenomeno è indicata l’attuazione di un pre-trattamento con corticosteroidi ed immunosoppressori prima di ogni infusione. 108

Possono inoltre esserci altri effetti avversi come febbre, tremori, reazione locale nel sito di infusione ma anche reazioni da ipersensibilità ritardata e più raramente lo sviluppo di autoanticorpi anti-DNA che possono dare una sindrome lupus- simile. La terapia con IFX inoltre si associa ad una aumentata incidenza di infezioni respiratorie ed alla possibilità di riacutizzazione di infezioni latenti, è infatti parte integrante degli esami di screening pre-biologico la ricerca di infezione da M.Tubercolosis . 95

1.6.2.1.2 Adalimumab

Anticorpo monoclonale umano anti-TNF, rappresenta una valida alternativa a IFX e può essere usato in sua sostituzione qualora si sviluppino anticorpi anti-IFX (in

questo caso si parla di Switch terapeutico, ovvero il passaggio da un farmaco ad un altro della stessa classe).

La somministrazione avviene tramite iniezione sottocutanea ed è prevista una fase di induzione con 80/160 mg alla prima seduta per poi continuare con 40 mg ogni 2 settimane.109

I trial clinici randomizzati ULTRA 1 e ULTRA 2 hanno dimostrato che dopo un anno di terapia con ADA in pazienti con RCU il 32,2% di questi mostrava remissione clinica e nel 42,3% dei casi si aveva guarigione della mucosa all’endoscopia. 109

Il successivo studio ULTRA 3 ha previsto la somministrazione di ADA ai pazienti dei precedenti studi, sia a coloro che stavano già ricevendo il farmaco, sia a quelli che ricevevano il placebo; dai dati emergono risultati in linea con quanto visto in precedenza e si evidenzia un aumento del tasso di remissione e di guarigione mucosa nei pazienti che erano stati trattati con placebo. 109

I dati relativi all’utilizzo di ADA per MC sono del tutto analoghi in termini di efficacia e sicurezza, inoltre un trial randomizzato effettuato su un campione di 301 pazienti ha evidenziato che ADA è in grado, più frequentemente del placebo, di indurre remissione clinica in pazienti con MC precedentemente trattati con IFX e diventati ad esso resistenti. 110

Gli eventuali effetti avversi sono in genere lievi e limitati al sito di iniezione, tuttavia ci possono essere, seppur in percentuale minore rispetto ad IFX, sintomi sistemici quali la maggiore suscettibilità ad agenti infettivi, astenia, obnubilamento del sensorio e disturbi visivi; anche in questo caso è possibile lo sviluppo di autoanticorpi anti-DNA. 109

1.6.2.1.3 Golimumab

Anticorpo monoclonale umano anti-TNF-α, attualmente approvato solo per il trattamento di RCU di grado moderato e severo. Si fa riferimento allo studio PURSUIT, un trial clinico randomizzato che mostra la superiorità di GOL rispetto al placebo nell’indurre la remissione clinica ed il MH ad un anno di terapia in pazienti affetti da RCU non precedentemente trattati con altri anti-TNF. 111

La somministrazione è sottocutanea, è prevista un induzione con 200 mg alla prima iniezione e 100mg dopo 2 settimane, si prosegue quindi con 50mg ogni 4 settimane. 111

Anche per GOL l’effetto avverso più ricorrente è rappresentato da una aumentata sensibilità alle infezioni e in maniera particolare per quelle a carico del tratto respiratorio superiore come rinite, laringite e/o faringite. Vi è inoltre un concreto rischio di riacutizzazione di una tubercolosi latente, la cui documentata presenza rappresenta una controindicazione all’utilizzo del farmaco stesso.

Non è infrequente la comparsa di effetti sistemici, seppur lievi e ben gestibili, quali febbre, nausea, cefalea, dispepsia, dolore addominale e insonnia.

1.6.2.2 Vedolizumab

1.6.2.2.1 Farmacologia e indicazioni d’uso

Vedolizumab (VDZ) è un anticorpo monoclonale umanizzato appartenente alla famiglia degli anti-integrinici, è in grado di inibire selettivamente l’integrina α4β7 impedendo la migrazione dei linfociti T nella mucosa intestinale. 112

L’integrina α4β7 è più precisamente un eterodimero costituito da due subunità (le proteine α4 e β7) che possiede una funzione recettoriale, questo complesso è noto anche come LPAM-1 ed è espresso costitutivamente sulla superficie di una popolazione di linfociti T specifici per le mucose. 113

Il ligando naturale di questo recettore è la proteina MAdCAM-1 (Mucosal vascular Addressin Cell Adhesion Molecule 1) che viene prodotta ed espressa in maniera selettiva da parte dell’endotelio intestinale. 113

L’interazione tra integrina α4β7 e MAdCAM-1 è un punto fondamentale nell’innescare l’homing linfocitario ovvero il processo di migrazione del linfocita dal torrente ematico alla mucosa. 113

La conoscenza di questo fenomeno ha portato allo sviluppo, prima su modelli animali e poi sull’uomo, di anticorpi monoclonali che blocchino tale interazione, allo scopo di ottenere un farmaco efficace nello spegnere l’infiammazione a livello intestinale.

Il VDZ è ad oggi l’unico anticorpo anti-integrinico utilizzato nel trattamento delle MICI, molti studi ne hanno dimostrato l’efficacia su MC e RCU sia in pazienti

naïve sia in coloro che hanno ricevuto un precedente trattamento con anti-TNF e

ne sono diventati resistenti. 112,114

È stato approvato nel 2014 per il trattamento di RCU e MC di grado moderato e severo in pazienti che hanno una risposta inadeguata, una perdita di risposta o sviluppano resistenza ad immunomodulatori e/o anti-TNF oppure nel caso in cui si abbia perdita di risposta, intolleranza o dipendenza ai corticosteroidi. 112

VDZ viene somministrato in dosi da 300mg tramite infusione endovenosa, è prevista una fase di induzione con infusioni a 0, 2 e 6 settimane seguita da un mantenimento ogni 8 settimane. Nel caso in cui la risposta clinica all’induzione sia insufficiente è possibile aggiungere una ulteriore somministrazione alla 10a

settimana. 114,115

È inoltre raccomandata l’interruzione della terapia qualora alla 14a settimana di

trattamento non appaiano ancora segni di risposta. 112

1.6.2.2.2 Studi sull’efficacia clinica

I primi trial clinici su VDZ risalenti al 2011 sono denominati GEMINI I e GEMINI II , i quali fanno riferimento rispettivamente a RCU e MC. 114,115

Questi due studi sono stati costruiti in maniera simile e sono state previste due fasi: una di induzione della durata di 6 settimane e una di mantenimento dalla 6a

alla 52a settimana.114,115

Nella fase di induzione i pazienti sono stati suddivisi in due coorti, la prima è stata ulteriormente suddivisa e trattata con VDZ o con placebo in doppio cieco , la seconda è stata trattata con VDZ in maniera consapevole (open-label). 114,115

Nella fase di mantenimento i pazienti di entrambe le coorti che rispondevano alla terapia sono stati suddivisi casualmente in tre gruppi di uguale grandezza ai quali veniva somministrato rispettivamente VDZ ogni 4 settimane, VDZ ogni 8 settimane o Placebo (anche in questo caso in doppio cieco). 114,115

Per quanto riguarda la RCU il tasso di remissione a 6 settimane era del 47,1% nei pazienti trattati con VDZ contro il 25,5% dei pazienti trattati con placebo (p<0,001). 115

Ad 1 anno di distanza il 41,8% e il 44,8% dei pazienti erano in remissione se trattati con VDZ rispettivamente ogni 8 e 4 settimane, mentre solo il 15,9% dei pazienti passati al Placebo mostravano tale risultato (p<0.001). 115

In maniera del tutto analoga per la MC i tassi di remissione a 6 settimane, intesi come il raggiungimento di un CDAI ≤150, erano del 14,5% in pazienti trattati con VDZ e del 6,8% in pazienti trattati con placebo (p=0,02) ; non si è raggiunta

Figura 1: Risposta alla terapia con VDZ alla 6a settimana nello studio GEMINI I

Da “Feagan BG, Rutgeerts P, Sands BE, et al. Vedolizumab as Induction and Maintenance Therapy for Ulcerative Colitis. N Engl J Med. 2013;369(8):699-710”.

Figura 2: Risposta alla terapia con VDZ alla 52a settimana nello studio GEMINI I.

Da “Feagan BG, Rutgeerts P, Sands BE, et al. Vedolizumab as Induction and Maintenance Therapy for Ulcerative Colitis. N Engl J Med. 2013;369(8):699-710”

invece una differenza rilevante per quanto riguarda la risposta CDAI -100, la quale era presente nel 31,4% dei pazienti che ricevevano VDZ e nel 25,7% di quelli che ricevevano placebo (p=0,23) . 114

A seguito del trattamento con somministrazioni di VDZ ogni 8 e 4 settimane il tasso di remissione è salito, ad un anno di distanza, rispettivamente al 39% e al 36,4%, contro il 21,6% ottenuto dal placebo (p<0,001 e p=0,004). Anche la risposta CDAI -100 si è dimostrata in questo caso statisticamente migliore con VDZ. 114

Figura 3: Risposta alla terapia con VDZ alla 6a settimana nello studio GEMINI

II.

Da “Sandborn WJ, Feagan BG, Rutgeerts P, et al. Vedolizumab as Induction and Maintenance Therapy for Crohn’s Disease. N Engl J Med. 2013;369(8):711-721”

Dall’analisi dei dati ottenuti da questi studi si è potuto concludere che VDZ è superiore al placebo nell’induzione e mantenimento della remissione di malattia in pazienti con RCU e MC. 114,115

Un successivo studio chiamato GEMINI III è stato condotto su pazienti affetti da MC di grado moderato o severo che avevano precedentemente ricevuto una terapia con anti-TNF risultata inefficace.

Sebbene l’obiettivo primario di questo test sia fallito, in quanto a 6 settimane di trattamento non è emersa una significativa differenza di risposta tra VDZ e placebo, si è osservata una differenza rilevante in un più lungo periodo.

A 10 settimane di terapia infatti la remissione clinica era stata raggiunta nel 26,6% dei pazienti trattati con VDZ contro il solo 12,1% di quelli trattati con placebo. Questa differenza è statisticamente significativa con un valore di p=0,001. 116

Figura 4: Risposta alla terapia con VDZ alla 52a settimana nello studio

GEMINI II.

Da “Sandborn WJ, Feagan BG, Rutgeerts P, et al. Vedolizumab as Induction and Maintenance Therapy for Crohn’s Disease. N Engl J Med. 2013;369(8):711-721”

Lo studio VICTORY del 2016 ha ulteriormente confermato questi dati, si tratta di uno studio di coorte retrospettivo in pazienti con MC trattati con VDZ all’interno di sette strutture ospedaliere statunitensi.

Facendo riferimento ai risultati a lungo termine valutati a 6 e 12 mesi, il tasso cumulativo di remissione clinica si attesta rispettivamente al 18% e 35% e il MH al 20% e 63%. Per quanto riguarda la remissione profonda (deep remission) ovvero la concomitanza di remissione clinica e MH le percentuali a 6 e 12 mesi sono del 14% e 26%. 117

Questo studio ha inoltre permesso di definire alcuni predittori di risposta: in pazienti con attività di malattia più elevata, malattia perianale, pregressa terapia con anti-TNF e fumatori è meno probabile che si raggiunga la remissione clinica. Inoltre l’elevata attività di malattia e l’esposizione agli anti-TNF si correla con una minore probabilità di ottenere il MH. 117

L'ancora più recente studio di fase IIIb multicentrico open-label denominato VERSIFY si è focalizzato sulla remissione endoscopica di pazienti con MC di grado moderato e severo trattati con VDZ.

Dai risultati si conclude che a 26 settimane VDZ è in grado di indurre remissione endoscopica nella popolazione refrattaria al trattamento con anti-TNF, tuttavia i pazienti naïve per gli anti-TNF mostrano tassi di remissione migliori.118

Figura 5: Risposta alla terapia con VDZ a 6 e 10 settimane in pazienti esposti ad anti-TNF, studio GEMINI III.

Da “Sands BE, Feagan BG, Rutgeerts P, et al. Effects of Vedolizumab Induction Therapy for Patients With Crohn’s Disease in Whom Tumor Necrosis Factor Antagonist Treatment Had Failed. Gastroenterology. 2014;147(3):618-627.e3. doi:10.1053/j.gastro.2014.05.008”

Uno studio farmacoeconomico condotto nel Regno Unito ha comparato il VDZ agli anti-TNF in termini di costo-efficacia nei pazienti con RCU.

Lo studio si è basato su una popolazione di pazienti affetti da RCU che non avevano ricevuto in precedenza terapia con anti-TNF; questa popolazione è stata quindi suddivisa in 4 gruppi che hanno ricevuto terapia con un farmaco scelto tra

VDZ, IFX, ADA o GOL.119

Sono quindi stati valutati i tassi di risposta e remissione al termine della fase di induzione e di quella di mantenimento per i vari gruppi, i dati sono riportati di seguito nella Figura 7.

Le terapie sono state inoltre valutate sulla base del loro costo complessivo e sul miglioramento conseguito in termini di qualità di vita.

Figura 6: Tassi di remissione endoscopica alla terapia con VDZ in pazienti esposti e non esposti ad anti-TNF.

Da “S.D, B. F, W. S, et al. A phase 3b open-label multicentre study (VERSIFY) of the efficacy of vedolizumab on

endoscopic healing in moderately to severely active Crohn’s disease (MC). J Crohn’s Colitis. 2018”.

Figura 7: Comparazione della risposta e della remissione clinica in pazienti trattati con terapia convenzionale, VDZ ed anti-TNF.

Da “Wilson MR et al. Cost-effectiveness of vedolizumab compared with Infliximab, adalimumab, and golimumab in patients with ulcerative colitis in the United Kingdom. Eur J Heal Econ. 2018. ”

Tenendo conto dei risultati questo studio conclude che nel lungo periodo VDZ è più efficace degli anti-TNF nell’ottenere la risposta clinica e la remissione di malattia ed è superiore ad essi anche in termini di costo-efficacia.119

1.6.2.2.3 Effetti avversi

Il VDZ è generalmente ben tollerato ed eventuali effetti avversi sono di solito lievi e limitati al momento dell’infusione. Tra questi si annoverano nausea, vomito, febbre, cefalea, dolore addominale, dolore articolare, infezioni delle vie aeree superiori. Le reazioni anafilattiche al farmaco sono possibili ma rare: solo un caso è stato riportato all’interno dei trial clinici GEMINI I, II e III.114,115

Un potenziale effetto avverso molto grave, che è stato ipotizzato nel il trattamento con VDZ è l’ Encefalopatia Multifocale Progressiva (PML), tuttavia sia nei primi trial clinici sia nelle osservazioni a lungo termine questa complicanza non si è verificata in alcun paziente. 120,121

L’immunogenicità di VDZ è molto più bassa rispetto a quella osservata per gli anti-TNF: dagli studi GEMINI I, II e III emerge infatti che solo in una porzione compresa tra l’1% e il 4,1% dei pazienti trattati si sono sviluppati anticorpi anti- VDZ e che solo in meno dell’1% questi sono rimasti consistentemente elevati.

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