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Le fasi della traduzione audiovisiva

Nel documento Ciò che le parole non dicono. (pagine 44-52)

40 Kirkegaard , 2010, p.18, mia sintesi.

3 LE FASI DELLA TRADUZIONE

3.1. Le fasi della traduzione audiovisiva

Questo capitolo vuole essere una sorta introduzione ad un aspetto più pratico della traduzione audiovisiva, tramite la proposizione di alcuni fattori analitici fondamentali che fanno da linee guida per chi voglia approcciarsi pragmaticamente alla disciplina. Si presuppone un precedente studio deontologico, necessario all’apprendimento a 360° della teoria insita nella traduzione audiovisiva nonché dello stesso processo traduttivo, che richiede personale competente sia nella L1 che nella L2, fattore necessario per il buon svolgimento del lavoro. Prima ancora di iniziare siamo già davanti ad un nodo gordiano, rappresentato ben da due fattori, uno dei quali è stato già trattato durante l’introduzione. Esso consiste in una mancanza di impronta scientifica e univocità alla base degli studi della TAV, che, grazie alla recente fioritura della disciplina soprattutto nell’ultimo decennio, propone un’armoniosa coesistenza di più approcci all’aspetto pratico, differenti l’uno dall’altro per sfumature. Questo problema sovente si traduce in un disorientamento iniziale, poiché il discente si trova davanti a numerose linee guida, tutte valide e corpose, che potrebbero generare confusione iniziale. Il secondo problema trova il suo insorgere quando si pongono a confronto due linguaculture diverse tra di loro, ognuna della quali è in possesso di un background semantico e linguistico differente l’una dall’altra. Tutto ciò si traduce nel fatto che non vi sarà mai corrispondenza univoca tra queste, data la complessità strutturale alla base di ciascun sistema linguistico. Il nodo vede il suo taglio netto e quindi risoluzione senza troppi giri di parole: è importante scegliere il metodo ritenuto più consono alle proprie esigenze, personali e traduttive, e rinunciare ad una traduzione meccanicistica, impossibile per i motivi appena enunciati. Il risultato quindi si denoterà di un carattere di originalità proprio, grazie alle scelte affrontate dal discente nello sviluppo analitico preparatorio. La traduzione visiva non è un processo unico ed unitario, si compie di più fasi che vanno a costituire diversi gradini volti ad un risultato originale ed efficace. Uno dei metodi più conosciuti è lo schema proposto da Gottlieb (1994), che vede tre processi fondamentali per chi si approccia alla traduzione audiovisiva, ovvero:

1) La riduzione, il passaggio da unità di testo più lunghe ad altre più brevi 2) La trasformazione diamesica, il passaggio da codice orale a scritto 3) la traduzione interlinguistica, il passaggio da una lingua all’altra.

Si è deciso in questa ricerca di seguire tuttavia il modello elaborato da Vitucci (2016), che propone nel suo studio l’esistenza di un quarto (o meglio terzo) passaggio fondamentale, che nel presente studio, per impostazione teorica,si rivela particolarmente utile ed interessante, in quanto tocca comprende aspetti cinesici e prossemici della lingua, nonché quelli paraverbali. Il termine è stato coniato come

“interferenza audiovisiva”.Secondo Vitucci, infatti, ai soliti tre passaggi riformulati

dall’autore come:

1)Decodifica dei contenuti della lingua source 2)Ricodifica strategica in lingua target

3)Traduzione interlinguistica vera e propria

si pone tra i passaggi 2 e 3 un ulteriore processo, dato dalla cosiddetta interferenza

audiovisiva, che si traduce nell’effetto straniante prodotto da colonna sonora e

componenti audiovisive sulla traduzione finale completa di sottotitoli. Il linguaggio utilizzato dall’autore è prettamente tecnico specifico, propone una visione ed analisi più approfondite del materiale, denotando enorme importanza ai fini traduttivi a immagini e suoni, oltre alla componente linguistica. Si tratta di un ostacolo vero e proprio alla piena comprensione del contesto in cui si svolge la comunicazione, che sia di tipo verbale o non verbale.

Ecco le linee guida possibili che il discente che si appresta alla traduzione può utilizzare come scheletro del proprio lavoro. E' importante pensare queste quattro fasi in un’ottica complementare e non unitaria: ogni punto trova la sua giustificazione nel suo precedente e aiuta la creazione del successivo.Si procede quindi con una trattazione dettagliata dei singoli passaggi.

1)Decodifica dei contenuti della lingua source

Il traduttore deve innanzitutto visionare l’opera da analizzare un numero sufficiente di volte, così da apprenderne nel miglior modo possibile con dovizia di particolari gli aspetti utili ad una ricezione e comprensione completa. Fondamentale è l’apporto delle preconoscenze delle strutture linguistiche e culturali della L1, il discente infatti

dovrà essere in possesso di un background sostanzioso che gli permetta di operare in assoluta confidenza nei successivi passaggi che lo vedranno impegnato. Vi è quindi una raccolta di informazioni e una classificazione a livello mentale degli aspetti sociolinguistici e culturali di partenza e della loro successiva traslazione nella linguacultura di destinazione. Ricordiamoci che non esiste e non esisterà mai corrispondenza univoca tra un sistema linguistico ed quello di un’altra lingua, associare mentalmente concetti solo perché simili può portare ad errori di resa linguistica. Il processo non deve essere inquadrato in rigidi confini mentali, bensì portare con sé caratteristiche di apertura e libertà espressive senza però oltrepassare il confine di adeguatezza concettuale. Vitucci identifica alcune misure fondamentali da attuare durante questa fase, volti ad una prima comprensione generale della source

language. Ecco che in aiuto viene lo strumento oculare: tramite l’osservazione attenta

si dovrebbe far luce sui “macro aspetti culturali e delle specificità linguisticheˮ41,

comprendenti lo studio dei generi comunicativi, le strutture grammatico-sintattico- lessicali, le realtà extra e paralinguistiche, e le variazioni. Il discente deve farsi osservatore ed investigatore delle realtà appena esposte per portare a termine con successo le fasi seguenti. Ricordiamo a tal proposito che il primo passo presente all’interno del metodo sperimentale o ciclo conoscitivo induttivo prevede innanzitutto l’atto osservativo del fenomeno preso in interesse.

2) Ricodifica strategica in lingua target

Rientrano all’interno di questo step gli strumenti volti all’adattamento per la sottotitolazione, tramite i quali sarà possibile classificare di volta in volta il tipo di strategia utilizzata per la produzione e lo sviluppo del sottotitolo. Come enunciati da Gottlieb (1992), sono 10 e aiutano il discente in un rigido lavoro selettivo di informazioni, nonché il loro poter essere sfruttati a proprio vantaggio schematico utile per la divisione e etichettatura dei vari tipi di comunicazione linguistica ed extralinguistica presente in un’opera. E' importante sottolineare che non per forza tutti e dieci debbano essere adoperate durante l’analisi, bensì a seconda delle necessità linguistiche della L2 possono essere sfruttate a proprio vantaggio in favore di una resa finale quanto più adeguata e autentica possibile.

41 Vitucci, 2016, p.63.

1) Espansione (expansion): aggiunta di spiegazioni, spesso tramite il ricorso a pop-up glosses, di passaggi non chiari della L1 in modo da aiutare la comprensione ad un pubblico target che non possiede gli strumenti conoscitivi atti alla loro decodificazione. Oppure, come dice Vitucci (2016), può essere utilizzata quando il contesto richieda un approfondimento culturale.

2)Parafrasi (paraphrase): spesso attuato assieme al processo di omissione (Petillo, 2012), in quanto evitare la trasposizione di un elemento non importante obbliga a dire con altre parole ciò che viene mantenuto. L’intenzione comunicativa deve essere mantenuta, ma può essere espressa nella L2 tramite parole apparentemente appartenenti a contesti linguistici differenti.

3) Trasposizione (transfer): trattasi della traduzione letterale, Vitucci (2016), propone questa strategia in caso di gap lessicali presenti nella L2.

4) Imitazione (imitation): questo processo consta nella riproposizione di alcuni segmenti di testo senza aver effettuato il processo traduttivo.

5) Trascrizione (transcription): processo rischioso che richiede grande competenza da parte del traduttore. Trattasi di un adottamento di diverse costruzioni linguistiche in L2 senza cambiare significato o effetto prodotto sullo spettatore. Sovente è utilizzato nei giochi di parole o battute.

6) Dislocazione (dislocation): utilizzata per sistemare eventuali elementi confusi o poco chiari eliminandoli e translandoli in modo da facilitarne la comunicazione. Viene inoltre utilizzata nella traduzioni di canzoni o poesie, nonché nella resa di particolari effetti musicali o sonori.

7) Condensazione (condensation): riproposizione dello stesso messaggio in una forma linguistica più sintetica, variandone solo la forma ma non il contenuto.

8) Riduzione (decimation): eliminazione di elementi del discorso senza i quali la comprensione avverrebbe in ogni caso. Spesso è utilizzata quando i dialoghi hanno un ritmo frenetico e non permettono un adattamento esteso del sottotitolo.

9) Cancellazione (deletion): pratica assai rischiosa, consta nell’eliminazione di elementi non necessari all’interno di un discorso. Petillo (2012) afferma che il confine tra cancellazione e riduzione è assai labile, qui invece di omettere semplici parole vengono cancellate intere frasi.

10) Rinuncia (resignation): La traduzione viene omessa totalmente. Non vi è alcun prodotto finale dato dalla source language. Petillo (2012) non la inserisce a pieno titolo all’interno delle tecniche traduttive, bensì viene definita come un fenomeno comune nella comunicazione di tutti i giorni: il fallimento di trasmissione di un significato.

Tramite le tecniche di sottotitolazione appena enunciate è possibile avere una chiara visione delle varie trasmissioni di significato all’interno del secondo processo, che potremmo definire, in un’ottica di metodologia scientifica, come la fase di definizione di un modello fisico tramite sperimentazione. Il tentativo di generazione dei sottotitoli, infatti, è quasi definibile per trial and error: finché non si arriverà ad una soluzione accettabile dal punto di vista comunicativo si ripeterà il tentativo di resa finale. Si ricorda che le strategia appena enunciate verranno approfondite nella sezione laboratorio della presente ricerca, associando anche esempi di carattere pratico del processo traduttivo.

3) La fase di interferenza audiovisiva

Vitucci (2016) inserisce a pieno titolo questo processo dopo il tentativo di classificazione della colonna sonora tramite le principali tecniche di sottotitolazione. L’aspetto puramente linguistico spesso è tradito da comportamenti, gesti, posture, toni di voce o elementi musicali o visivi sullo sfondo. Ciò che le parole dicono, quindi, non sempre è ciò che intendono comunicare, e questo aspetto merita un’attenzione tanto profonda quanto i passaggi precedenti. Le interferenze audiovisive sono elementi di ostacolo al sottotitolatore che prevengono sovente un corretto passaggio di informazioni tra due linguaculture differenti, (o al contrario ne mistificano il significato originariamente inteso) e, come abbiamo visto, possono essere di matrice verbale che non verbale (aspetti iconici). A livello linguistico diventano generatori di questo tipo di fenomeno situazioni contenenti giochi di parole o una grande presenza di metafore, che genera una sensazione ambigua, la quale necessita di un’identificazione corretta anche all’interno della target language. La fase di interferenza audiovisiva deve porsi a completamento dello step precedente, in modo tale da chiarificare ulteriormente ciò che gli strumenti per l’adattamento nella sottotitolazione non sono in grado di traslare nella L2. La prossemica, scienza della prossimità, argomento affrontato nell’ultima parte del secondo capitolo di questa ricerca, è un ottimo indicatore di interferenza audiovisiva: come abbiamo visto il popolo giapponese molto spesso utilizza le distanze per un tipo di comunicazione

indiretta, che sovente trasmettono una sensazione di familiarità più o meno presente tra gli attori che hanno intrapreso la comunicazione. Quindi, ci dovrà mettere sull’attenti un linguaggio di tipo colloquiale ed informale rivolto da una persona che sta a più di due metri di distanza di un’altra, non per limiti fisici, ma per specifiche condizioni che la lingua in quel momento non ci può comunicare. In questo caso è bene fare attenzione alla resa in L2 dei dialoghi che avvengono tra le due controparti, analizzando la sfera paralinguistica e il linguaggio del corpo (in un caso specifico come quello proposto, ad esempio, la postura dei due attori potrebbe aiutare significativamente una decodifica dell’intenzione comunicativa). Volendo identificare questo processo con il metodo sperimentale potremmo paragonarlo all’elaborazione di un modello matematico, che andrebbe a corredare il modello fisico già proposto.

4) La traduzione interlinguistica

Ultimo ma non meno importante passaggio nello scheletro d’analisi consta nella traduzione vera e propria, dove le due linguaculture sono messe a confronto e l’obiettivo sta nella scrittura consapevole e attenta dei sottotitoli, dopo il sapiente utilizzo degli strumenti di adattamento dei sottotitoli e il passaggio rappresentato dall’interferenza audiovisiva.

“Il testo tradotto e, nel nostro caso, sottotitolato, altro non rappresenta che l’ultimo anello di congiunzione tra tutti gli attori che lo hanno prodotto nella cultura di origine (si pensi agli sceneggiatori o ai registi) e gli intermediatori linguistici appartenenti alla cultura di arrivo.ˮ42

Come sostiene Vitucci (2016), il prodotto finale che viene elaborato è quindi anche ultimo anello di una catena che si conclude dopo una serie di fasi che vedono la loro origine sin dagli attori originali che recitano, comunicano, vivono e tentano di trasmettere qualcosa allo spettatore. Il curatore dei sottotitoli, da attento mediatore interlinguista, deve farsi interprete dell’enorme varietà aspettuale presentata all’interno del concetto di comunicatività verbale e non verbale. Tuttavia, tutto ciò non è sufficiente, poiché attorno al comportamento comunicativo (inteso nella sua accezione più ampia, comprendente la sfera verbale) esistono una serie di fattori ambientali, circostanziali e storici che pongono la storia raccontata in un determinato

42 Vitucci, 2016, p.116.

contesto che anch’esso fa parte del processo traduttivo, in quanto avvalora la ricezione di un certo tipo di messaggio presentato da chi recita. Possiamo quindi considerare elemento comunicativo un numero indefinito di aspetti che un’opera multimediale come, ad esempio, un film, presenta nella sua struttura atta a definire complesse realtà socio-culturali insite ad una linguacultura pregna di un bagaglio corposo di informazioni, che vanno decodificate in base ai canali comunicativi e l’intento che portano con sé. Ecco che raggiungiamo l’ultimo passaggio anche nel nostro paragone preso dal mondo scientifico: il metodo sperimentale vede la sua compilazione finale nella formalizzazione della teoria, che verrà messa per iscritto. Così i sottotitoli verranno “scrittiˮ su schermo, diventando la teoria sostenuta dal traduttore in un ambito di traduzione audiovisiva, e come tutte le teorie, potrà essere accolta, condivisa, ma anche confutata e smentita, poiché ricordiamo che, a differenza della scienza, la TAV non pretende di essere sempre esatta al 100%, non ci fornisce una sola alternativa di traduzione: in base alla fantasia e al background culturale del traduttore audiovisivo è possibile trovare elementi che suscitino fascino ed interesse anche in scelte traduttive meno “ortodosseˮ.

SEZIONE II LABORATORIO

Nel documento Ciò che le parole non dicono. (pagine 44-52)