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UN CASO, UN FATALE INCIDENTE O UN IMPRUDENTE AZZARDO? I CONTRACCOLPI DELLA BAGARRE ITALO-CINESE

1. Canevaro-De Martino: lo strappo

Mentre dunque a Pechino, all’interno della legazione italiana, l’impazienza faceva da padrona, alla

Farnesina i giorni passavano molto lentamente, nell’attesa di notizie da Londra.

Canevaro, dopo aver ceduto alle insistenze provenienti da Pechino autorizzando l’invio di un

ultimatum e poi sospendendolo poche ore dopo con un telegramma sibillino sotto pressione del Currie,

restava in attesa della risposta del Salisbury ad un promemoria che la sera stessa del giorno 8 marzo aveva inviato al Foreign Office per spiegare il rapido succedersi degli eventi, ma anche chiarire che di fronte alla caparbia e insolente condotta cinese «lord Salisbury dovrebbe, ci sembra, facilmente

convenire che a noi non rimarrebbe altro partito all’infuori di una occupazione di fatto, a San Mun,

beninteso semplicemente pacifica, salvo negoziare dopo il fatto compiuto»196.

Nel frattempo l’invio da parte dello Yamen della lettera rossa al De Martino, la mattina del 9 marzo,

aveva messo definitivamente in crisi i tentativi del rappresentante inglese Mac Donald di porre rimedio alle controversie e far sì che i cinesi riprendessero la nota del 2 marzo precedente, ammettendo apertamente la scorrettezza del rifiuto. Invece, nella lettera rossa dello Tsungli Yamen

non c’era alcun riferimento alla restituzione della nota italiana, né alcun accenno a riprendere il

negoziato. Quella stessa sera, dopo aver ricevuto da Pechino la notizia della nota cinese, Canevaro incontrò Currie che finalmente aveva notizia dal Salisbury. Durante il colloquio il rappresentante inglese confermò che Londra non avrebbe modificato per nessuna ragione la propria linea di assoluta

contrarietà all’uso della forza in Estremo Oriente197. Al ministro italiano non rimase altro che aspettare con pazienza che Mac Donald portasse avanti le trattative per ottenere una qualche riparazione alle gravi offese ricevute con il rinvio della nota del 2 marzo e con il provocatorio messaggio appena giunto, sperando che in secondo momento si potesse riprendere il negoziato per la baia di San Mun198.

L’impegno mostrato dagli inglesi nel risolvere la questione con mezzi pacifici sembrava rincuorare

Canevaro che per il momento rinunciava volentieri alla gestione diretta della disputa con la Cina, visto

che, nell’unica occasione in cui aveva agito di propria iniziativa, aveva rischiato di compromettere non

solo la situazione in Oriente, ma anche, e soprattutto, i rapporti diplomatici con l’Inghilterra.

L’ammiraglio, pienamente soddisfatto, si rallegrava altresì di essere riuscito a sistemare in tempo la faccenda dell’ultimatum, visto che alle 7 del 10 marzo giunse dalla legazione la conferma dell’arrivo

del telegramma di sospensione, inviato da Roma con urgenza giorno 8.

Eppure, il mattino dopo, Canevaro inaspettatamente si trovò a dover ricevere in tutta fretta gli ambasciatori Currie e Anton Freiherr Saurma che pretendevano rassicurazioni in merito al clamoroso

196

Si veda tel. Canevaro a De Renzis n. 492 del 9 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 187, ma anche nel riassuntivo tel. Currie a Salisbury n. 30 dell’8 marzo 1899 (F.O. 45/802).

197

Tel. De Renzis a Canevaro n. 504 del 10 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 211. 198

Di questa scelta Canevaro informerà il De Renzis con il tel. n. 515 dell’11 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 233, «La mia conclusione è questa: per ora nulla facciamo».

annuncio delle agenzie di stampa internazionali sull’invio di un ultimatum da parte dell’Italia al

governo cinese. Il ministro, impassibile, si affrettò a smentire con fermezza le voci filtrate dalla

Reuter, ma alle 12 e 30, evidentemente impensierito dall’episodio, trasmise a Pechino un incrocio tra

un telegramma ed un infastidito avvertimento «i corrispondenti del Times e della Reuter telegrafano tutti i particolari di ciò che accade tra Lei ed il governo cinese, con commenti che mirano evidentemente a forzarci la mano, spingendoci ad una immediata azione violenta. Non posso credere che ciò sia dovuto ad indiscrezione. Ad ogni modo La avverto, per gli opportuni provvedimenti. Il regio governo vuole essere libero delle sue decisioni»199. Di questa macchinazione giornalistica il ministro rimarrà convinto per poco tempo perché poche ore più tardi, alle 20, riceverà il secco e inatteso comunicato di De Martino «Spedito iersera ultimatum. Silenzio durevole quattro giorni, o risposte evasive, equivalenti ad un rifiuto. La scadenza è alle ore 20 del natalizio di S.M. [14 marzo, NdM], a cui Incoronato e Vitale offrono meco, fin da ora, i nostri voti»200.

Quanto Canevaro fosse rimasto sconvolto dall’annuncio del plenipotenziario in Cina è nettamente percepibile dal telegramma di risposta che all'istante partì dalla Farnesina:

« Ricevo con indicibile sorpresa il telegramma di Lei che annunzia l’avvenuta consegna dell’ultimatum. Il mio secondo telegramma del giorno 8, di cui, a mia richiesta, Ella segnò ricevuta, Le ingiungeva di sospendere la consegna fino a nuova istruzione. Ci spiegheremo più tardi. Intanto Le ordino, in nome di

S.M. il Re, di ritirare immediatamente l’ultimatum, e di consegnare la legazione, compresa la cifra, al collega britannico, al quale pregai lord Salisbury di tosto telegrafare l’occorrente autorizzazione. Lei

ritorni in Italia a render conto della sua condotta»201.

L’improvviso e brusco capovolgimento di scena aveva gettato nello sconcerto l’intero Ministero:

nessun sospetto, nessun segnale, niente aveva fatto presagire un tale provvedimento. Le istruzioni erano state inviate, la sospensione della consegna dell’ultimatum era stata notificata, la linea di condotta da mantenere era stata decisa. Dunque, cosa aveva spinto il rappresentante italiano a Pechino a violare così apertamente gli ordini e intraprendere in tutta autonomia un’azione tanto ostile e del tutto divergente non solo dai criteri, seppur confusi, che fino a quel momento erano stati adottati dal

governo italiano, ma anche dalla “congiunta” gestione italo-inglese degli affari in Estremo Oriente?

Canevaro non si pose il problema. Schiacciato dal peso di essersi esposto in prima persona nei confronti di Currie, di Salisbury e del mondo intero smentendo gli annunci e delle varie agenzie di

stampa, spaventato dalle conseguenze che l’episodio avrebbe scatenato, non volle rifletterci sopra, non

chiese niente a De Martino, ordinò solo il suo immediato rientro in patria, lasciando tutto il complesso della rappresentanza italiana a Pechino nelle mani di Mac Donald e dell’Inghilterra, quasi certamente come segno della propria lealtà nei confronti degli impegni presi nei confronti di Londra. Il giudizio su De Martino era inequivocabile: aveva deliberatamente disubbidito alle direttive imposte e aveva agito di propria iniziativa: dopo settimane di continue sollecitazioni e reiterati inviti a procedere con

199

Tel. Canevaro a De Martino n. 511 dell’11 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 225. 200

Tel. De Martino a Canevaro n. 516 dell’11 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 235. 201

Tel. Canevaro a De Martino n. 517 dell’11 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 237, ma anche originale n. 621 in ASDMAE Serie Politica P 86 – Cina 1899, Pacco 405, inviato alle ore 24 dell’11 marzo.

l’occupazione della baia sembrava la spiegazione più logica. Per questo, prima di lasciare l’Estremo Oriente, gli venne ordinato di occuparsi del ritiro dell’ultimatum e frenare così gli ingranaggi che

intenzionalmente aveva messo in moto, rimediando per quanto possibile al problema. Quasi una sorta di punizione insomma, a cui si aggiungeva la breve annotazione finale del telegramma di Canevaro che non lasciava presagire per De Martino niente di buono.

Molto più che con il plenipotenziario, il Ministro degli Esteri cercò di essere esplicito con Currie ed il Foreign Office, al quale in piena notte trasmise la seguente comunicazione:

«Un fait absolument inesplicabile nous arrive. Un télégramme de M. de Martino, qua je viens de recevoir,

m’apprend qu’il a remis hier soir au Tsung-li-Yamen un ultimatum, lui laissant quatre jours pour repondre, et lui déclarant qu’une réponse évasive équivaudrait à un refus. Votre Excellence sait que ceci

est diamétralemnt en op position avec les ordres que j’avais télégraphés à M. de Martino le 8 de ce mois,

et dont, sur ma demande expresse, il m’a accusé réception.

Je ne veux pas m’attender à demaderà M. de Martino une explication. Je tien à ne pas laisser, même puor un seul instant,planer l’ombre d’une doute sur la pleine correction et loyauté de nos procédés j’ai déjà et

immédiatement télégraphié à M.de Martino de retirer son ultimatum, et de remettre à son collégue

britannique la direction de notre légation. J’espére que lord Salisbury veut bien, dans la sitution extrèmement embarassante où l’acte de notre ministre nous place, consentir à nuos rendre ce service et à

télégraphier immédiatament à sir Claude Mac Donald d’accepter la remise de la lègation du Roi. Nuos

aviserons demain à ce qu’il y a ultérieurement à faire. L’essentiel, le plus urgent, c’est qu’une mesure

immediate remette les choses dans un état conforme aux intentions de nos deux gouvernements. C’est

puorquoi j’ose prier Votre Excellence de vouloi bien télégraphier, dès cette nuit, à lord Salisbury dans le

sens de la présente lettre»202.

Nel messaggio, il netto distacco tra le azioni compiute dal De Martino e le direttive impartite dal

governo italiano è ribadito più volte e sancito dalla formula “son ultimatum”; alla freddezza con cui

viene esposta la vicenda legata all’ultimatum fa riscontro l’emergere del turbamento e del timore di

una possibile perdita dell’appoggio inglese nel contesto remissivo e ossequioso della seconda parte del

telegramma.

Certo è comprensibile la volontà di Canevaro di voler riaffermare la propria integrità professionale e personale, oltre al fatto di voler prevenire qualsiasi tipo di scontro internazionale, ma i suoi provvedimenti appaiono ancor oggi troppo frettolosi e sbrigativi. Nel cuore della notte, a pochissime ore dalla ricezione del telegramma di De Martino, senza avere nient’altro che un quadro generico della situazione ed in preda ai sentimenti più che alla ragione, vennero prese delle decisioni probabilmente troppo drastiche. Ignorando l’incidente dell’inversione nell’arrivo dei telegrammi è giustificabile una certa rigidità nei confronti del ministro plenipotenziario a Pechino che comunque meritava di dare la propria versione dei fatti prima di un eventuale richiamo, nonostante la sua generale condotta fosse comunque degna di biasimo già da molte settimane.

Ma torniamo a Pechino: secondo il comandante Incoronato «Alle 12 del 13 giunse il telegramma del

Ministro degli Esteri con cui disapprovando l’operato del nostro rappresentante all’Estero, si

202

Canevaro invierà per conoscenza questo telegramma anche a De Renzis: si veda tel. n.518 datato 11 marzo 1899, ma in realtà della notte del 12 marzo, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 239.

richiamava il De Martino»203. Trovandosi lui stesso nella capitale, testimone al momento dei fatti nella legazione, appare chiaro quanto importanti risultino le sue successive dichiarazioni, nonostante sia da tener sempre presente che i toni del comandante della Marco Polo sono, nei confronti del ministro,

sempre un po’ “eccessivi” non solo per la spontanea antipatia tra i due, ma anche, dopo l’episodio dell’ultimatum, per rendersi del tutto estraneo alla condotta del diplomatico e far ricadere su di lui ogni

colpa.

Viene da chiedersi: dal mattino dell’ 11 marzo giorno in cui De Martino scrisse a Roma dell’invio dell’ultimatum, fino alla metà del giorno 13, quando giunse a Pechino il severo ordine del suo ritiro

dalla legazione, cosa fece il ministro italiano in Cina? Ecco le parole di Incoronato:

«Anche dopo questo altro grave fatto [cioè non aver consultato e avvisato Mac Donald prima dell’invio dell’ultimatum, NdM] il Ministro, all’alba del giorno 11, lasciò Pekino per Tientsin però siccome nell’istessa mattinata dell’11 due telegrammi del Ministro degli Esteri fanno comprendere un differente

indirizzo nelle idee del Governo, si richiama De Martino a Pechino ed egli vi ritorna; ma col treno seguente parte nuovamente per Tientsin. Alle 12 del 13 giunse il telegramma del Ministro degli Esteri con

cui disapprovando l’operato del nostro rappresentante all’Estero, si richiamava il De Martino. Egli da

Tientsin, ricevuto il telegramma che lo aveva avvisato di questa decisione, ritorna a Pekino»204.

Durante questi due giorni dunque De Martino soggiornò a Tientsin e da qui gestì lo scambio di messaggi con la legazione; in questo periodo partì da Pechino un solo telegramma diretto a Roma, la mattina del giorno 13, e una relazione confidenziale, datata 12 marzo, che giungerà a destinazione solo nel maggio successivo. Al contrario, come accenna lo stesso Incoronato, nella capitale cinese giunsero regolarmente numerosi telegrammi dal Ministero degli Esteri che non fecero che confermare, uno

dopo l’altro, l’errore dell’ultimatum. Proprio nel rapporto del 12 marzo De Martino scriveva: «Ieri [11 marzo, NdM] alle tre pomeridiane ho avuto l’onore di ricevere il suo telegramma del 9 che mi informa

come, per considerazioni attinenti alla nostra situazione in Europa, sia indispensabile un indugio, forse breve, e che mi ordina di sospendere ogni azione fino a nuove istruzioni»205. Questo telegramma doveva essere uno di quelli cui alludeva Incoronato nel suo rapporto e che costrinse De Martino a rientrare temporaneamente a Pechino: quindi il diplomatico già sabato 11 marzo si era reso conto

dell’enorme sbaglio compiuto e comunque, nell’incertezza, perché non mandò un dispaccio urgente a

Roma per avere notizie? Perché non si recò immediatamente dal collega inglese o da quello tedesco per avere un consulto e indagare sulla questione? La risposta più ovvia è che De Martino già sapeva

di aver superato il limite, era consapevole di aver forzato in maniera irrimediabile l’equivoco dei

telegrammi. In una circostanza così grave e confusa era inammissibile abbandonare la legazione e tacere per due giorni interi prima di cercare di sciogliere il malinteso con Canevaro.

203

Rap. Ris. Pers. Incoronato a Ministro Marina n. 177 da Chefoo il 4 aprile 1899 in AUSMM b. 2174 “Marco Polo”, di cui una copia in ASDMAE Serie Politica P 86 – Cina 1899, Pacco 405.

204

Ibidem.

205

Rap. n. 51/19, De Martino a Canevaro, 12 marzo 1899, ricevuto il 7 maggio successivo, DDI, Serie XX – Cina, 1899 pp. 379-380, il telegramma a cui si fa riferimento è il n. 494 Canevaro a De Martino del 9 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 191.

Uno degli elementi che più disorienta è la scelta del plenipotenziario di confidare i suoi dubbi e le sue supposizioni ad una relazione che sarebbe giunta a Roma molti mesi dopo il suo invio:

«Da quando ne ho presa lettura [del tel. 494 di Canevaro, NdM] la mia incertezza è più penosa ch’io non saprei dire: è questo un ordine di sospendere ogni ulteriore azione, ed è rivolto specialmente al comandante Incoronato; o è anche un contrordine che giunge troppo tardi, concernente l’ultimatum? Io

non mi illudo; è quest’ultima la vera interpretazione; quantunque io mi dica che, se fosse così, l’E.V. mi

avrebbe spedito di urgenza il suo telegramma, che mi sarebbe quindi giunto sicuramente in tempo»206.

Che senso avevano queste congetture in un rapporto che sarebbe giunto alla Farnesina talmente tanto in ritardo rispetto ai fatti, da risultare del tutto inutile? Lo scopo di De Martino era forse, oramai, redimersi a posteriori? Come sarebbe riuscito altrimenti a tornare tranquillamente a Tientsin con la certezza che qualcosa era andato storto, ma senza intervenire in alcun modo?

Proprio a questo punto emerge un nuovo elemento, una prova del fatto che il rapporto è stato con tutta probabilità redatto in forma cautelativa per mettere ben in evidenza la bontà degli intenti di De

Martino e la sua gestione estremamente accorta dell’affare in corso. In questa relazione, il diplomatico

fa astutamente sfoggio di ciò che in effetti aveva consigliato a Canevaro nel febbraio precedente207 cioè la convenienza nella prima fase delle trattative di concentrare la richiesta italiana sulla sola baia di San Mun, e solo in un secondo momento apportarvi delle modifiche estendendo le rivendicazioni

all’entroterra cinese. Questo suggerimento circa il modo di procedere per gradi venne a quel tempo respinto dall’ammiraglio, che preferì invece agire più apertamente, dichiarando a chiare lettere tutti gli

elementi della prossima domanda italiana che sarebbero poi confluiti nella nota del 2 marzo indirizzata allo Tsungli Yamen. Questo orientamento impresso dal Canevaro dovette apparire al diplomatico estremamente audace, nonostante nella pratica, nei giorni successivi, il Ministro degli Esteri mostrasse

tutta la sua prudenza e accortezza soprattutto nei confronti delle linee guida impresse dall’Inghilterra nei confronti dell’Estremo Oriente.

Nel rapporto confidenziale di un mese dopo, di fronte all’ostilità cinese e nel bel mezzo del guaio dell’invio dell’ultimatum, De Martino si compiacque della sua lungimiranza e di aver dato, di sua completa iniziativa e come avrebbe voluto fin dall’inizio contravvenendo alle indicazioni del suo superiore, un carattere più mite e graduale all’ultimatum:

«che mi sia […] attenuto al mio proposito di procedere gradatamente coll’ultimatum, sarà dall’Eccellenza Vostra adesso approvato. La mia nota d’avant’ieri al Tsung-li-Yamen non è stata da lui considerata un

ultimatum (siccome da fonte sicura ne ebbi ieri la conferma), ma bensì una lettera perentoria, che gli sono costantemente dirette col limite di tempo fissatovi per la risposta, e che non hanno le forme cortesi e moderate che ho impiegate»208.

Fa una certa impressione questa improvvisa e ostentata cautela del rappresentante italiano; lui che sì,

avrebbe probabilmente ristretto l’attenzione solo su San Mun, ma per occuparla militarmente con la

206

Rap. n. 51/19, De Martino a Canevaro, cit.. 207

Si veda in questo caso Rap. n. 48/16, De Martino a Canevaro, 7 marzo 1899, ricevuto il 22 aprile successivo, DDI, Serie XX – Cina, 1899 pp. 349-351.

208

Marco Polo sin dal 3 marzo, predisponendovi velocemente un’intera squadra navale per dare inizio pochi giorni dopo allo sbarco sulla terraferma.

In effetti pure Incoronato, che tante volte non aveva risparmiato aspre critiche alle iniziative del connazionale, si trovò costretto ad ammettere i pregi di questa sciagurata situazione: «Però non posso astenermi di far osservare che la nota ultimatum era concepita in tali termini che allo spirare del 4° giorno anche col rifiuto dato dai Cinesi le cose avrebbero potuto rimanere allo status quo ante e si potevano escogitare altre vie per venire ad un risultato, se però la stampa non avesse tutto rivelato sui giornali qualunque trattativa si faceva»209.

A dimostrazione dell’abile mossa costituita dalla richiesta perentoria e dal giusto indirizzo impresso

alle trattative, sempre nella medesima relazione viene riferito del messaggio dello Tsungli Yamen in

risposta all’ultimatum, giunto alla legazione quello stesso giorno. In buona sostanza il governo cinese

dichiarava «non inconveniente» che la nota del 2 marzo fosse di nuovo inviata allo Yamen, pur respingendo (di nuovo) la domanda contenuta nella nota stessa. De Martino e «chi più di me conosce le aggirate vie dei cinesi» scorse in questo ennesimo rifiuto la volontà dei cinesi, seppur velata, di riprendere i negoziati e quindi una parziale vittoria nei confronti della loro intransigenza. Certo, non

c’era alcuna garanzia che questa fosse la giusta interpretazione del messaggio dello Yamen: c’era la

possibilità che si trattasse di un piano per compiacere i britannici e seguire i loro reiterati inviti ad un comportamento più tollerante, ovvero di uno sforzo per adottare un atteggiamento più corretto e cortese e non esser di nuovo accusati di aver condotto la questione in modo estremamente irrispettoso

nei confronti dell’Italia. Ma questa era un’ipotesi scartata completamente dal plenipotenziario che,

sforzandosi di mantenere una certa cautela ma senza riuscirvi, esibì, per concludere, la propria

traboccante positività: «se non posso dirigere a Vostra Eccellenza telegraficamente un’asserzione di

cui non ho ancora tassativa certezza, mi è lecito scrivere la mia convinzione che questa risposta cinese

lascia al governo del Re pieno arbitrio o di negarsi a negoziati […], oppure di riprendere questi

negoziati sino a nuovo ordine e quando a noi convenga»210.

La replica del 12 marzo dello Tsungli Yamen sarà l’oggetto dell’unico telegramma spedito dalla sede diplomatica italiana di Pechino dalle ore 9 del giorno 11 marzo fino alla stessa ora del giorno 13.

Nessun altro riferimento, nessun’altra richiesta di informazione, nessun dubbio in merito alle

inequivocabili comunicazioni di sospensione giunte dall’Italia trapela dal testo211del dispacci: niente panico, traspare solo calma e una certa freddezza. È anche vero che questo telegramma partiva prima

dell’arrivo nella capitale cinese della comunicazione di Canevaro del richiamo di De Martino, ma,

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