Dopo che Canevaro dette il via libera a De Martino e quindi rimase solo da inoltrare la domanda per
l’acquisizione della baia di San Mun al governo cinese, iniziò la fase più delicata di tutto il mandato
del funzionario italiano in Cina. A causa della cruciale assenza di una squadra navale in grado di
affiancare in modo efficace le richieste italiane, denunciata per la verità fin dall’inizio dallo stesso
ministro in Cina e dagli altri rappresentanti, le previsioni non si potevano dire troppo ottimistiche ma la legazione italiana non si lasciò scoraggiare e preparò per il successivo martedì 28 febbraio
l’incontro con i membri dello Tsungli Yamen.
1. L’inatteso rifiuto cinese
Venne infine elaborato, giorno 27 febbraio, un testo che potesse raccogliere le specifiche richieste contenute nel telegramma inviato da Canevaro due giorni prima e poi, dopo aver ricevuto
l’approvazione di Mac Donald, se ne diede lettura il giorno dell’udienza prestabilita, di fronte ai ministri dello Yamen. I risultati di questo primo approccio vennero così riassunti l’indomani da De
Martino:
«Ha detto [il ministro cinese che prese la parola] che la gravità della domanda esige ponderata risposta,
che sarà data ad una mia nota. Aggiunse che era suo parere non essere l’importanza dell’Italia in Cina tale
da consentire che le sia dato il trattamento concesso ad altre potenze. Dopo aver ribattuto le gratuite e incivili asserzioni, ho annunziato che spedirò domani la mia nota, riproduzione del mio discorso. È vantaggioso questo scambio di note, ed il ministro di Germania non credeva che lo avrei ottenuto»120.
Quindi la richiesta italiana venne accolta dalla controparte cinese piuttosto freddamente, ma non si risolse in un netto rifiuto come molti invece annunciavano da giorni e settimane. Il documento che riportava per iscritto le richieste orali già formulate venne inviato formalmente il 2 marzo dalla
legazione italiana e nell’attesa della prossima iniziativa cinese, incurante dei prossimi sviluppi dell’operazione, De Martino pensò bene di rientrare, come da abitudine, a Tientsin, immaginando
lunghi tempi di reazione da parte dello Tsungli Yamen. Inaspettatamente, proprio il giorno seguente, la nota venne rispedita bruscamente nelle mani dei funzionari della sede diplomatica italiana che
avvertirono subito l’assente ministro. Questi, preso alla sprovvista, richiese ai suoi collaboratori di mantenere il segreto sull’accaduto per poter riflettere tranquillamente sul da farsi.
De Martino avrebbe dovuto avvertire in primis il collega inglese per il ruolo e l’importanza da questi
ricoperta a Pechino, ma di fronte al gesto diplomaticamente scorretto compiuto dal governo cinese, un passo falso che avrebbe ricevuto sicuramente la disapprovazione e la condanna dell’intero corpo
diplomatico, convenne che le possibilità di azione italiane si stavano lentamente allargando. L’offesa arrecata all’Italia avrebbe legittimato di fronte all’opinione pubblica internazionale una qualsiasi
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razione da parte del governo di Umberto I, anche quella di una occupazione militare della baia di San Mun.
Una mossa come questa da un lato poteva essere opportuna per velocizzare le trattative e mostrarsi più risoluti nell’impresa, come pensavano sia De Martino che Incoronato, dall’altro si scontrava apertamente con le linee di condotta stabilite assieme a Londra nei lunghi mesi di preparazione
all’evento, riaprendo una discussione, quella sull’utilizzo della violenza, che gli inglesi avevano più
volte sottolineato e a cui avevano mostrato di tenere molto.
La chiara divergenza tra le diposizioni inglesi e l’opinione personale di De Martino, spinsero quest’ultimo ad appoggiarsi, piuttosto che sul Mac Donald, sul collega tedesco, il barone Heyking, che viceversa fin dall’inizio delle trattative condivideva l’idea di una occupazione territoriale preventiva da parte dell’Italia. Per questo informò dell’offensivo rifiuto del Tsungli Yamen sia Canevaro sia il
ministro tedesco, mentre la mancanza di contatti con Mac Donald venne giustificata con l’assenza di
quest’ultimo da Pechino. De Martino nel suo telegramma del 3 marzo non fa mistero di valutare positivamente l’avventato passo dei cinesi «Mi permetto manifestare la mia opinione che ora, volendo, potremo ottenere tutte le condizioni che le altre potenze hanno ottenuto», e riferisce dell’aperto
appoggio tedesco ai suoi intenti politici «il ministro di Germania farà, domenica, pratiche energiche presso il governo cinese»121forse con il preciso proposito di suggerire un altro supporto nella gestione
della questione cinese che non fosse solo l’Inghilterra.
Canevaro naturalmente era di tutt’altro avviso. Attraverso il barone De Renzis comunicò l’esito del
primo incontro con lo Tsungli Yamen al governo di Londra ed invitò Salisbury a far intervenire nella
questione l’ambasciatore inglese a Pechino: procedere con l’approvazione britannica era troppo
importante per il buon esito delle trattative. Ma il primo ministro inglese seccamente rispose di non poter discutere delle scelte politiche della Cina e soprattutto di non volerlo fare, sebbene disapprovasse
le modalità scorrette con cui in quest’ultima situazione aveva operato.
Salisbury comprese perfettamente come un episodio come questo potesse creare un pericoloso precedente nella tradizionale gestione dei rapporti tra Cina e Occidente e che dunque era necessaria una ferma presa di posizione che trattenesse i cinesi dal ripetere un gesto che, come questo, si poneva in aperta sfida agli stranieri.
Per questo e non certo per sostenere in concreto l’azione italiana invitò Mac Donald a perorare la
causa di De Martino di fronte allo Tsungli Yamen, ritenendo il caso della restituzione della nota estremamente scorretto ed oltraggioso, tanto da esigere una immediata riparazione122. Ma
l’ambasciatore inglese non era rimasto inattivo e rifacendosi alle precedenti istruzioni provenienti dal
governo di Londra, cioè quelle di appoggiare diplomaticamente l’azione italiana, e intuendo che gli sviluppi successivi della questione avrebbero potuto compromettere l’azione di tutte le potenze
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Tel. De Martino a Canevaro n. 467 del 3 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 137. 122
europee, si recò personalmente123allo Yamen per precisare la posizione dell’Inghilterra e condannare la modalità con cui era stata gestita la vertenza con l’Italia, confermando la buona amicizia col
governo italiano. Quando due giorni dopo gli venne recapitato il telegramma del Salisbury, ribadì in
una nota scritta la sostanza del suo intervento di pochi giorni prima aggiungendo solo dell’assoluta
necessità di una riparazione per sanare la questione.
I ministri cinesi si mostrarono bendisposti nei confronti del funzionario inglese e sembrarono piuttosto amareggiati della piega presa dalla faccenda, tanto che il 9 marzo inviarono una nota alla legazione italiana in cui si rammaricavano del fatto che De Martino, e quindi l’Italia, avesse interpretato il rifiuto cinese come un grave insulto aggiungendo di aver dato istruzione di chiarire la posizione cinese anche al ministro di Cina a Roma. Non si parlava però né di riprendere le trattative né dell’eventuale riparazione, per questo Mac Donald fu costretto a mostrarsi più severo ed esigere che i ministri cinesi chiedessero un nuovo rinvio della nota italiana del 2 marzo precedente.
Ma l’occasione concessa dal passo falso cinese spinse De Martino a fare continue pressioni su Roma prima chiedendo l’autorizzazione a riunire nella baia di San Mun la regia nave Elba (che già si trovava
lì) e la Marco Polo124per dare una sufficiente dimostrazione di forza nei confronti del governo cinese poi, preoccupato di non esser preso sul serio dal Ministero, incalzò:
«Il ministro di Germania ci esorta a non perdere tempo, nel nostro interesse, in tentativi, e non farsi
sfuggire una legittima occasione per procedere all’occupazione, dopo di che si negozierà. Prego darmi l’autorizzazione di chiedere le due predette soddisfazioni, ed a un rifiuto di rispondere, insistendo e fissando il termine di quattro giorni per l’accettazione, quindi far occupare San Mun dalle tre navi»125.
Dello stesso avviso pareva Incoronato il quale dopo essere finalmente giunto a Pechino trasmise un breve messaggio a Canevaro in cui senza troppi giri di parole suggeriva «Per decoro del paese mi sembra doversi occupare subito la baia, per venire dopo a trattative»126.
Pertanto, sebbene nella forma viaggiassero su due binari completamente differenti, nella sostanza De Martino e Incoronato condividevano la medesima linea di intervento nella trattativa con la Cina,
incoraggiati dall’appoggio e dalla comunanza di vedute col ministro di Germania, mentre d’altra parte
la sapiente politica di mediazione messa in atto da Mac Donald sembrava non dare i frutti sperati e si trascinava stancamente da giorni riservando solo irritanti sorprese.
Canevaro si trovava ancora una volta in balia di due schieramenti contrapposti: conosceva i principi che ispiravano la condotta inglese in Estremo Oriente, ribaditi poi durante i lunghi colloqui iniziali con
il Foreign Office e nonostante le limitative condizioni imposte all’azione italiana da Salisbury,
riteneva imprescindibile proseguire l’avventura cinese al fianco dell’impero britannico e cercare così
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Prima, il 4 marzo, aveva inviato una breve nota allo Tsungli Yamen in cui informava i ministri del governo cinese che l’Inghilterra sosteneva e supportava ufficialmente le domande italiane. A questo e a tutta la vicenda si fa riferimento nel rapporto n. 63 di Mac Donald a Salisbury del 16 marzo 1899 (F.O. 17/1373).
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Vedi tel. De Martino a Canevaro n. 467 del 3 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 137. In effetti le due navi poi si ritrovarono nella rada di Chefoo antistante la baia di San Mun il 7 marzo come ci conferma un telegramma del Ministro della Marina di quello stesso giorno. Vedi breve comunicato di Palumbo a Canevaro del 7 marzo 1899 (ASDMAE Serie Politica P 86 – Cina 1899, Pacco 405).
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Tel. De Martino a Canevaro n. 476 del 7 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 155. 126
di mantenere il negoziato in toni amichevoli. Però la particolare ed insolita situazione che si era venuta a creare a causa della scorretta condotta cinese, imponeva di seguire una politica straordinaria, cha da
un lato ribadisse i tradizionali rapporti di forza e dall’altro non contemplasse un intervento coercitivo che comunque anche l’Italia non era in grado di sostenere fino in fondo. Probabilmente Canevaro
avrebbe voluto mantenere una linea conciliante, ma allo stesso tempo rigorosa, severa eppure adattabile alle diverse circostanze. Invece, tormentato dalla mancanza di indicazioni da parte del collega inglese e condizionato dai suggerimenti dei funzionari direttamente coinvolti a Pechino,
contrariato dall’ostinazione mostrata dai cinesi nonostante gli espliciti interventi di Inghilterra e
Germania, forse timoroso di venir accusato di inattività dopo giorni di stallo, mercoledì 8 marzo alle ore 12 e 30 Canevaro inviava a Pechino le seguenti istruzioni:
«Ho ricevuto i suoi telegrammi, e il telegramma del comandante Incoronato. L’autorizzo a presentare un ultimatum chiedendo che entro quattro giorni, il governo cinese accetti, in principio, la nostra domanda, e
si dichiari pronto ad un amichevole negoziato per stabilire i particolari. Mancando la risposta affermativa entro il termine stabilito, il comandante Incoronato dovrà ritirarsi da Pechino coi marinai, e disporre per
l’immediata occupazione. La Vespucci giungerà ad Hong Kong fra tre giorni. L’Etna deve fra giorni
arrivare a Batavia, e proseguirà tosto. Prego comunicare il presente telegramma al comandante
Incoronato, acciocché questi sia fin d’ora informato e senza indugio informi pure il comandante superiore
delle due navi a Che-foo»127.
Contemporaneamente dal Ministero di Roma alle ambasciate italiane di Berlino e Londra, che più si
erano esposte nell’appoggiare la trattativa italiana con lo Tsungli Yamen, venne comunicato l’invio dell’ultimatum al governo cinese, precisando che si trattava di un provvedimento dettato
esclusivamente dallo scorretto contegno dello Yamen ed insistendo in modo particolare sul carattere
pacifico dell’eventuale occupazione della baia.
2. Le peripezie di un incerto ultimatum
Non appena la notifica del contenuto dei messaggi di Canevaro giunse alla sede di Lord Currie l’intera
vicenda subì un’improvvisa accelerazione che trovò impreparati tutti i funzionari italiani coinvolti. L’ambasciatore inglese in Italia, che aveva nel frattempo ricevuto un nuovo telegramma da Salisbury,
corse al Ministero degli Esteri e mostrò le ininterrotte e parallele negoziazioni che nel frattempo Mac Donald aveva faticosamente condotto a Pechino del cui buon esito si dava solo in quel momento comunicazione: finalmente attraverso i buoni uffici inglesi i ministri cinesi avevano acconsentito a
riprendere la nota italiana del 2 marzo. Questa poteva essere l’attesa premessa per una pacifica ripresa
delle trattative ed il segno che la Cina aveva riconosciuto il proprio errore, mostrandosi pronta a
ricomporre lo spiacevole episodio. Non c’era più alcun motivo di usare la forza, soprattutto ora che il
colloquio con i membri dello Tsungli Yamen poteva essere gestito nuovamente dal principio e che la politica di Salisbury aveva portato ad un così soddisfacente risultato. Lord Currie non mancò di far notare come proprio il primo ministro britannico poteva interpretare disastrosamente il telegramma
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Tel. Canevaro a De Martino n. 481 del 8 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 165 e originale n. 503 in ASDMAE Serie Politica P 86 – Cina 1899, Pacco 405.
riguardante l’ultimatum che poche ore prima era stato trasmesso a Londra, non avendo ricevuto prima
di questo alcuna comprensibile spiegazione che giustificasse un provvedimento così duro da parte del
governo Pelloux nei confronti dell’impero mancese. Preoccupato dei possibili risvolti negativi dell’autorizzazione a procedere inviata a De Martino, Canevaro in tutta fretta telegrafò un contrordine
alla legazione che si rivelò determinante per il successivo svolgersi della vicenda.
Alle 16 e 20 dello stesso giorno dal Ministero degli Esteri partiva con urgenza il seguente ordine che avrebbe dovuto annullare quello precedente:
«Il mio precedente telegramma esprime le nostre intenzioni rispetto all’atteggiamento del governo cinese. Però La prego di sospendere la consegna dell’ultimatum fino a nuova mia istruzione. Accusi ricevuta del
presente telegramma»128.
Certo il contenuto del dispaccio, ad una prima analisi, poteva risultare quantomeno sfuggevole ed ambiguo, ma la stringata parte centrale in cui si chiedeva di bloccare il procedimento stabilito appare difficile da fraintendere. In ogni caso Canevaro, evidentemente sicuro di essere riuscito a fermare in tempo il pericoloso ingranaggio, ebbe verso sera un nuovo colloquio con Lord Currie e dopo averlo
messo al corrente dell’invio del contrordine gli affidò un lungo messaggio per Salisbury in cui chiariva
le ragioni che avevano spinto il Ministero ad agire senza alcun preavviso in maniera tanto ostile, ed attraverso questo annunciava che nel caso di ulteriori difficoltà presentate dai cinesi nello svolgimento delle trattative si sarebbe proceduto senz’altro ad una occupazione preventiva della baia. Il promemoria si concludeva con la speranza dello stesso Canevaro che il governo britannico mantenesse
il proprio appoggio all’iniziativa italiana e con la dichiarazione che nessun passo avanti sarebbe stato
fatto se non dopo la provvidenziale replica del Salisbury129.
In cuor suo il Ministro degli Esteri sapeva che Londra non avrebbe mai accettato di venire a patti su un argomento tanto importante come quello della penetrazione pacifica in Asia orientale, ma sperava che
vista l’insolita questione maturata tra Italia e Cina si potesse fare una eccezione alla regolare condotta finora mantenuta, chiudendo un occhio di fronte all’intervento italiano.
Nel frattempo De Martino veniva informato della disponibilità dello Yamen a riprendere la nota italiana e delle lunghe discussioni che Mac Donald aveva dovuto sostenere per giungere a questo
risultato. I ministri cinesi avevano perfino promesso all’ambasciatore inglese che avrebbero subito
dato spiegazione del loro rifiuto e del malinteso che ne era seguito in una nota ufficiale alla legazione
d’Italia. Il funzionario italiano vedeva così svanire il ghiotto vantaggio che involontariamente aveva
accumulato nei confronti dei cinesi e la possibilità di poter beneficiare di questa condizione nelle future trattative, come in altre occasione era capitato alle altre grandi potenze. De Martino aveva
tentato sin dall’inizio di far intervenire il meno possibile Mac Donald nella polemica nata dal rifiuto
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Tel. Canevaro a De Martino n. 483 del 8 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 169 e originale n. 569 in ASDMAE Serie Politica P 86 – Cina 1899, Pacco 405.
129
Per il colloquio di Currie con Canevaro si vedano: da Lord Currie a Salisbury tel. n. 29 dell’8 marzo 1899 (F.O. 45/802) e n. 30 sempre dell’8 marzo (F.O. 45/802). Da Canevaro a De Renzis tel. 587 del 9 marzo 1899 (ASDMAE Serie Politica P 86 – Cina 1899, Pacco 405).
cinese della nota del 2 marzo immaginando, assieme a Incoronato ed al ministro tedesco Heyking, che un suo coinvolgimento avrebbe una volta per tutte sistemato e risolto la controversia, impedendo
all’Italia di ricorrere, in una situazione comunemente ritenuta legittima, all’uso della forza.
«Il ministro di Germania teme giustamente che risultato della pratica inglese, sarà che la Cina offrirà unicamente di riprendere la nota, ed in tal modo ci toglierà la legittima ragione universalmente riconosciuta anche dal ministro di Russia, mentre manterrà il rifiuto a negoziare. Ho anche io ragione di
credere che l’azione attuale del ministro d’Inghilterra non tenda che a togliere la Cina dal torto»130.
E poi si affrettò ad avvisare che anche il comandante della Marco Polo era pronto a sfruttare questa occasione unica «Incoronato, dopo altre accurate informazioni, assicura Vostra Eccellenza di poter operare con le sole due navi»131.
Era convinzione di De Martino che le pratiche inglesi avessero come unico obiettivo il togliere dall’impiccio l’impero cinese cancellando con un colpo di spugna l’affronto subito dall’Italia ed obbligandola a ricominciare le trattative di nuovo dal principio, costringendo lui stesso a riavviare le regolari pratiche previste per la richiesta di concessioni alla Cina, senza alcun vantaggio.
Mentre presumibilmente il rappresentante italiano stava cercando di inghiottire questo boccone amaro, la mattina del 9 marzo, giunse la nota giustificatoria e riparatrice promessa dallo Tsungli Yamen e dal Mac Donald: non si trattava però di una nota ufficiale ma di una lettera rossa ovvero un semplice messaggio informale proveniente dal ministero cinese nel quale oltretutto si chiariva sì il fraintendimento, ma lo si liquidava con delle semplici scuse, non facendo alcun riferimento alla ripresa del negoziato e alla restituzione della nota italiana. I cinesi proseguivano dunque nella loro ostinata politica, gettandosi di nuovo a capofitto nella difficile situazione precedente ed in aperta collisione con
l’Italia.
De Martino, evidentemente rincuorato, velocemente telegrafava a Roma:
«Ho ricevuto in questo momento una lettera e non una nota ufficiale, che è un aggravio dell’anteriore
insulto: non chiede la restituzione della mia nota, e ancora meno di riprendere i negoziati; dice la nota esser stata rinviata perché la risposta negativa avrebbe potuto compromettere le relazioni di amicizia;
afferma io fraintesi il rinvio […] io prego Vostra Eccellenza di darmi immediatamente l’autorizzazione
chiesta col mio telegramma di stamane»132.
Ma questo non è l’ultimo telegramma partito da Pechino il giorno 9 marzo, ne parte ancora uno:
«Accuso ricevuta telegramma 8 corrente»133. Dei due dispacci spediti da Canevaro mercoledì 8 marzo alla sede della legazione italiana della capitale cinese, solo uno esplicitamente richiedeva una
dichiarazione di ricezione, quello delle 16 e 20, ovvero l’ultimo, la sospensione dell’ultimatum:
130
Tel. De Martino a Canevaro n. 490 del 9 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 183. 131
Ibidem.
132
Tel. De Martino a Canevaro n. 493 del 9 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 189. Nel comunicato di poche ore prima aveva fatto esplicita richiesta di rivolgere al governo cinese come riparazione un ufficiale impegno a riprendere i negoziati, mancando di chiarire come alla ormai certa risposta negativa dello Tsungli Yamen sarebbe seguita, senza perdere tempo, l’occupazione di San Mun. Si veda tel. De Martino a Canevaro n. 490 del 9 marzo 1899, DDI, Serie XX – Cina, 1899, p. 183.
133
pertanto quando questa nota giunse il giorno seguente al Ministero degli Esteri si ritenne che nella sede dell’ambasciatore De Martino tutto procedesse nel migliore dei modi e che il fitto scambio di messaggi non avesse comportato alcuna confusione, perciò non vi si prestò molta attenzione.
Canevaro, sollevato per aver scampato il pericolo dell’ultimatum, convinto dell’amichevole sostegno