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Uso della bicicletta rispetto agli altri sistemi di trasporto quotidiano (fonte: M Vélo, Francia)

3.1 Favorire la mobilità ciclistica

Le città europee, per quanto diverse l’una dall’altra, si trovano oggi di fronte a sfide comuni e alla necessità di ricercare soluzio- ni condivise; ripensare la mobilità urbana dovrebbe significare l’ottimizzazione delle diverse modalità di trasporto e l’organizza- zione dell’integrazione tra quelle collettive (trasporti pubblici) e le individuali (auto, moto, bicicletta), per provare a conciliare lo sviluppo economico dei centri urbani all’accessibilità degli stessi ed alla qualità della vita. Il primo passo da fare per perseguire questi obiettivi, è senza dubbio quello di non vedere più la bicicletta come un veicolo “vecchio” (ancora si sente dire da qualche giornalista, impegnato in servizi sulle giornate di blocco del traffico, “…hanno rispolverato la vecchia bicicletta…”) o come un “giocattolo” per bambini più o meno cresciuti; certamente l’as- senza delle due ruote da ogni spazio pubbli- citario nei media nazionali, insieme alla scarsa incentivazione da parte del governo, non aiu- tano ad accrescerne l’appeal, soprattutto dal punto di vista del trasporto, tanto che l’Italia ha un numero di cittadini “ciclo muniti” pari a circa la metà rispetto ad alcune concorrenti nazioni nord europee.

Ci sono però numerosi altri limiti, che concor- rono allo scarso incremento di interesse verso la mobilità ciclistica in Italia, tra cui quello

del valore commerciale associato al veicolo, soprattutto da parte di acquirenti meno esperti che non pensano che, un mezzo destinato a “viaggiare”, debba rispondere a requisiti mini- mi, come l’efficienza dell’impianto frenante e la comodità di guida; nei paesi dove la cultura della bicicletta come mezzo di trasporto è un fatto acquisito (Germania, Austria, Danimar- ca), non si trovano in commercio biciclette con caratteristiche simili a quelle che da noi vengono vendute dalla grande distribuzione organizzata a prezzi bassissimi, perché gli acquirenti rifiuterebbero un prodotto pale- semente scadente, causa di dolori articolari, fatica eccessiva, timore di guasti meccanici, che conseguentemente finirebbe per disaffe- zionare chi la usa.

A dir il vero, nell’aprile 2009, il Ministero dell’ambiente, aveva istituito un fondo di circa 9 milioni di euro, per usufruire di incentivi nell’acquisto di biciclette e biciclette servoas- sistite, con uno sconto del 30% fino ad un massimo di 700 euro; i fondi si esaurirono in pochissimo tempo. La soluzione, per quanto lodevole, probabilmente non era stata pensata in modo corretto, poiché invogliava soprat- tutto i cicloamatori a cambiare le loro costose biciclette da corsa a prezzi agevolati, piuttosto che spronare i cittadini all’acquisto di veicoli di qualità (a norma UNI EN serie 14 000 ) a prezzi

1200 1000 800 600 400 200 0

olanda danimarca germania italia francia UK

biciclette ogni 1000 abitanti e km per

corsi 1019 958 300 168 87 81

Diffusione della bicicletta in europa ed in italia (fonte: commissione europea, prima pubblicazione sul ciclismo urbano). Grafico 3.1 Diffusione della bicicletta in Europa ed in Italia (fonte: Commissione Europea, prima pubblicazione sul ciclismo urbano).

ribassati. Inoltre, subito dopo questa iniziale apertura verso la “mobilità che pedala”, arrivò un’infelice azione legislativa: la decurtazione dei punti patente a chi venisse colto ad infran- gere il codice della strada in sella ad un biciclo. La strada continua ad esser vista come un luogo ad uso e consumo dei mezzi pesanti, e negli ultimi anni si è lavorato tanto per l’in- cremento della sicurezza passiva per gli utenti di veicoli a motore (dalle cinture di sicurezza, all’airbag), ma gli stessi sforzi non sono stati dedicati alle utenze non motorizzate.

Infatti, il più forte disincentivo all’impiego della bicicletta negli spostamenti urbani, deriva an- cora dal senso di inquietudine e di insicurezza provati dei cittadini. La pericolosità intrinseca delle nostre strade, prodotta dal traffico di veicoli motorizzati ed aggravata, spesso, da sistemazioni urbanistiche degradate, deve necessariamente essere limitata. Come? Attraverso interventi mirati al miglioramento dell’infrastruttura stradale e, non da meno, alla diminuzione del traffico privato in favore di una maggiore integrazione modale con quello pubblico.

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Il Codice della Strada, all’articolo 1, comma 1, stabilisce che “le norme e i provvedimenti attuativi si ispirano al principio della sicurezza stradale, perseguendo gli obiettivi di una razio- nale gestione della mobilità, della protezione dell’ambiente e del risparmio energetico”. Quindi non solo la bicicletta dovrebbe potersi muovere liberamente ed in sicurezza sulla rete stradale, ma addirittura dovrebbe essere privilegiata rispetto a quelle modalità di spostamento non orientate al contenimento di consumi energetici, tutela dell’ambiente e della salute ed alla rapidità di spostamento in ambito cittadino. Purtroppo solo nero su bianco.

Ancora però, al contrario della rete stradale, quella ciclabile non è vista come una vera infrastruttura a livello nazionale, anzi, sembra esserne soltanto un complemento ad uso turi- stico e di svago, come le ciclovie del trentino o di altri splendidi angoli d’Italia.

In primo luogo occorre recuperare gli spazi che l’automobile ha nel tempo sottratto a tutti gli altri usi possibili degli spazi collettivi. Per rendere le strade più sicure occorre prendere provvedimenti atti alla moderazione del traffi- co, attraverso risistemazione di strade, marcia- piedi ed altre infrastrutture viarie, orientata a ridurre la velocità, e quindi la pericolosità, delle autovetture in transito.

Lo spazio recuperato dalla “ricollocazione” delle auto in sosta potrà eventualmente essere riconvertito in corsie o piste ciclabili (come l’esempio di Ferrara).

Se vogliamo pensare la bicicletta nei termini di un mezzo di trasporto da utilizzare negli spostamenti casa-scuola e casa-lavoro, in man- canza di percorsi dedicati, occorrerà prevedere la possibilità di percorrere vie dirette, nor- malmente appannaggio di arterie ad elevato scorrimento.

Le soluzioni intraprese in altri paesi vanno nella direzione di un’integrazione del traffico ciclistico urbano con quello pedonale, anziché con quello motorizzato, in ogni caso, quasi mai divise dal resto della sede viaria. Non si capisce perché, invece, le nostre am- ministrazioni finiscano sempre con la realiz- zazione di brevi tratti di pista ciclabile in sede propria in ambito urbano, laddove sarebbe più utile e meno costosa, la risistemazione

dei marciapiedi, in funzione di un utilizzo misto ciclo/pedonale (anche se troppo spesso stretti e costellati di ostacoli di varia natura quali gradini, pali della luce, semafori, segnali stradali, cartelloni pubblicitari, contenitori per la spazzatura e via dicendo).

Da non sottovalutare sono anche le sbagliate tipologie di investimento in chiave di costru- zione della rete ciclabile; i mezzi a propulsione umana, infatti, grazie al loro peso contenuto, non dovrebbero aver bisogno di strade realiz- zate con criteri di carrabilità, sovradimensiona- te per prezzo, robustezza ed impatto am- bientale, rispetto alle esigenze ciclistiche, ma con materiali diversi –come la terra battuta- o semplicemente con asfalti più sottili, grazie alle minime sollecitazioni prodotte dal traffico leggero sulla sede stradale.

In Germania ed Austria non di rado si possono osservare, ma soprattutto percorrere, strutture leggerissime, realizzate in tubolari metalli- ci e legno, spesso fissate direttamente alle infrastrutture viarie per il traffico veicolare; un bell’esempio di questo tipo di infrastrutture è rappresentato dal raccordo di due piste ciclabili sul fiume Salzach, vicino a Salisburgo, dove le due rive sono state messe in comunicazione da un passaggio sospeso ricavato sotto il ponte ferroviario.

3.1.1 Uniformazione della segnaletica

Un altro punto dolente delle strade italiane è sicuramente quello della segnaletica, mal disposta e manutentata. In primo luogo si dovrebbe andare verso una uniformazione dei segnali, in modo da non disorientare l’utenza circolante (in Francia ed Italia, ad esempio, i colori utilizzati sono spesso invertiti, e diversi da quelli tedeschi), per poi differenziarla da quella veicolare, sia in chiave di contenuti che di presenza: è infatti insensato avere dei cartelli, come il segnale di stop, larghi 90 centimetri, quando le vie ciclabili molto spesso hanno carreggiate di 2,50 metri. L’introduzio- ne di una segnaletica specifica per il traffico ciclo-pedonale è già avvenuta in diversi paesi del nostro continente, mentre da noi, sempre più spesso, si possono vedere iniziative di per- sonalizzazione da parte delle amministrazioni comunali e provinciali, o dei diversi enti parco presenti sul territorio.