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Nel modello assistenziale delineato dalla normativa nazionale di riforma della sanità italiana, alle Aziende Sanitarie Locali è assegnato in primis il compito di assicurare ai cittadini, rientranti nel proprio ambito territoriale di operatività, i Livelli Essenziali di Assistenza, definiti nel Piano Sanitario Nazionale e riportati con mag- giori specifiche nel Piano Sanitario Regionale91. Per il perseguimento di tale fine istituzionale la Regione ripartisce tra le ASL operanti nel proprio territorio il Fondo Sanitario Regionale, sulla base di una quota pro-capite, rappresentativa del bisogno prospettico di salute della popolazione, desumibile da diversi fattori, quali la densità demografica, dati epidemiologici, l’età media della popolazione ecc.

A seguito del riconoscimento al cittadino della possibilità di scegliere libera- mente la struttura sanitaria cui soddisfare il proprio bisogno di salute, la ASL può trovarsi nella condizione di erogare direttamente la prestazione sanitaria (nel caso in cui l’assistito abbia deciso di rivolgersi alle strutture della propria Azienda Sanitaria Locale), oppure di acquistare il servizio sanitario da terze strutture scelte dall’assi- stito (altre ASL, AO e strutture pubbliche e private accreditate). In quest’ultimo caso, una parte delle risorse finanziarie della ASL assegnata dalla Regione andrebbe

90 Cfr. SAITA M., Governance ed economicità nelle aziende sanitarie, op. cit. 91 Art. 3 decreto legislativo 229/1999.

a remunerare (sulla base delle tariffe regionali determinate) la struttura scelta dal cittadino per il servizio erogato. Allo stesso modo una ASL può erogare delle pre- stazioni sanitarie agli assistiti di altre Aziende Sanitarie Locali. Ciò comporterebbe per la ASL di riferimento una entrata finanziaria derivante dalla remunerazione tariffaria per il servizio erogato.

L’acquisto da parte di una ASL, per il proprio paziente, di prestazioni sanitarie da una terza struttura erogatrice, e la conseguente fuoriuscita di risorse finanziarie, costituisce per la ASL stessa, mobilità passiva.

Al contrario, l’erogazione da parte di una ASL di prestazioni sanitarie a pazien- ti assistiti da altre ASL, e il conseguente provento che ne scaturisce, rappresenta per la prima, mobilità attiva.

Nel primo caso, la ASL subirà un decurtamento delle risorse ricevute dalla Re- gione, in quanto una parte di queste andranno a remunerare le strutture erogatrici a cui i propri assistiti si sono rivolti per il soddisfacimento del bisogno di salute.

Nel secondo caso, invece, la ASL riceverà un incremento delle risorse finanzia- rie a seguito dei servizi erogati agli assistiti di altre ASL.

Più dettagliatamente, i suddetti passaggi finanziari tra Asl avvengono a livello regionale attraverso il calcolo del saldo della mobilità, dato dalla differenza tra il valore delle prestazioni cedute dalle ASL agli assistiti di altre ASL (mobilità attiva) e il valore delle prestazioni acquistate per i propri assistiti da altre strutture erogatrici (mobilità passiva).

In sede di ripartizione del Fondo Sanitario Regionale, quindi, ogni ASL riceve- rà, non solo la quota determinata su base capitaria, ma anche le risorse derivanti da un eventuale saldo positivo di mobilità. Al contrario, invece, un eventuale saldo negativo determinerebbe una riduzione della suddetta quota.

In tal senso, la Regione, in presenza di un saldo positivo di mobilità incrementa i trasferimenti finanziari assegnati alle ASL e riduce gli stessi in presenza di saldo negativo92.

Nell’ambito della libertà di scelta riconosciuta all’utente, questo può rivolgersi per il soddisfacimento del proprio bisogno di salute anche a strutture esterne alla propria Regione. Ciò comporta un’estensione del fenomeno appena descritto, di mobilità attiva e passiva, a livello extraregionale comportando un calcolo del saldo di mobilità anche fra regioni e non solo fra ASL operanti nello stesso gruppo regionale.

In tale circostanza sorge il problema legato all’esistenza di differenti tariffari regionali, a cui si è cercato di ovviare con l’introduzione delle tariffe uniche conven- zionate (T.U.C.) avvenuta, come detto in precedenza, a seguito della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome nel 1° luglio 2003.

L’obiettivo fondamentale della T.U.C. era quello di assicurare una distribuzio- ne più equa delle risorse finanziarie fra le singole regioni, garantendo un minor ag- gravio di spesa per quelle più svantaggiate, le quali, oltre che, presentare una già elevata mobilità passiva, dovevano spesso corrispondere alle strutture extraregionali delle tariffe più elevate rispetto a quelle definite nel proprio territorio con ovvie conseguenze negative sull’equilibrio economico di tali sistemi regionali93.

In un contesto di quasi-mercato, come quello delineato dal decreto legislativo 229/1999, le organizzazioni sanitarie hanno l’interesse di attrarre i cittadini verso le proprie strutture, attraverso un miglioramento qualitativo delle prestazioni e, allo

mercato introdotti nelle varie Regioni, si veda: REBBA V., RIZZI L., I modelli di finanziamento degli

ospedali nell’ambito di un sistema sanitario regionale, in SOBBRIO G., Efficienza ed efficacia dei servizi sanitari, Milano, FrancoAngeli, 2000.

93 Antecedentemente all’introduzione delle Tariffe Uniche Convenzionate, il rimborso alla struttura erogatrice per la prestazione erogata avveniva sulla base del tariffario regionale di appartenenza della struttura erogatrice stessa. La forte disomogeneità dei tariffari regionali e, in particolare, della diversi- tà dei criteri di remunerazione, non solo non garantivano la coerenza fra tariffe e costi di produzione fra Regioni, ma facevano sorgere il rischio di comportamenti opportunistici da parte degli enti territo- riali ospitanti, volte a massimizzare i ricavi per mobilità. Da qui, la necessità di definire appunto una tariffa unica convenzionata, diretta, innanzitutto, a scoraggiare la mobilità per il ricorso a prestazioni di medio-bassa complessità e ad elevato rischio di inappropriatezza (nel cui ambito si manifestano maggiormente comportamenti opportunistici da parte delle Regioni), di garantire una adeguata remu- nerazione delle prestazioni ad alta specialità, nonché, di prevedere un incremento delle tariffe per i Centri di alta qualificazione, ossia, di strutture selezionate per la specificità delle patologie trattate o per l’impiego di tecnologie innovative. Cfr. DI LORETO P., SPOLAORE P., L’evoluzione del sistema

nelle politiche regionali, in FALCITELLI N., LANGIANO T., Politiche innovative nel SSn: i primi dieci anni di Drg in Italia, Bologna, Il Mulino, 2004. Sul tema si veda anche: CISLAGHI C., MO-

RANDI I., DI VIRGILIO E., TAVINI G., La mobilità ospedaliera, quinto supplemento al n. 24 di “Monitor”, 2009.

stesso tempo, di ridurre i costi gestionali entro i limiti delle risorse assegnate dalla Regione. Più dettagliatamente le ASL sono orientate a ridurre la mobilità passiva cercando di tenere presso le proprie strutture i loro assistiti, nonché ad attrarre gli assistiti di altre ASL. L’acquisto di prestazioni sanitarie da terze strutture, infatti, comporta per la ASL il sostenimento di un costo pari alla tariffa regionale, che rap- presenta un costo pieno (comprensivo del costo del personale impiegato, dei materia- li consumati, delle apparecchiature utilizzate ed i costi generali dell’unità produttiva della prestazione), per cui notevolmente maggiore rispetto al costo marginale che sosterrebbe erogando direttamente il servizio. L’attrazione degli assistiti di altre ASL, per contro, comporta un incremento di risorse finanziarie.

Le Aziende Ospedaliere e le altre organizzazioni sanitarie accreditate sono o- rientate anch’esse ad attrarre la domanda presso le proprie strutture, nonché, contra- riamente alle ASL sono incentivate ad incrementare il volume di attività. Per queste, infatti, le remunerazioni tariffarie pertinenti ai servizi erogati rappresentano la prin- cipale se non esclusiva fonte di finanziamento.

In altre parole, le ASL sono incentivate ad aumentare l’efficienza e al contem- po perseguire un livello di qualità idoneo a limitare o evitare la mobilità passiva e la conseguente perdita di risorse finanziarie a beneficio di altri erogatori.

Le aziende ospedaliere e le altre strutture accreditate, invece, allo scopo di in- crementare gli introiti tariffari, sono spinti ad attrarre la domanda attraverso un au- mento della qualità percepita delle prestazioni erogate.

In tale stato di cose appare necessario sottolineare l’importanza per la ASL di governare il fenomeno della mobilità passiva e, quindi, la domanda.

L’attenzione, a riguardo, si concentra nel cercare di comprendere le molteplici cause che possono spingere un paziente a scegliere di curarsi fuori dalla propria residenza. Le spiegazioni a questo fenomeno sono legate ovviamente a diversi fattori, quali la ricerca dell’eccellenza specialistica, o da migliori condizioni logistico- alber- ghiere che possono risultare rilevanti per una patologia cronica o di lunga durata, da fattori di prezzo, o dai percorsi di vita (come la mobilità professionale, la migrazione, spostamenti occasionali ecc.).

Alcuni dei suddetti fattori, non derivano da scelte gestionali effettuate dalla singola ASL e non sono controllabili da questa, la quale, pertanto, non può interveni- re direttamente per la loro eliminazione, al fine di ridurre la mobilità passiva, definita in tal caso come mobilità fisiologica (o inevitabile).

Si parla, invece, di mobilità patologica (o evitabile) quando la migrazione degli assistiti deriva da fattori legati a scelte effettuate dalla ASL e, perciò, governabili da questa.

Tale tipologia di mobilità è legata principalmente all’incapacità dell’azienda USL a rispondere adeguatamente in termini qualitativi o quantitativi al bisogno di salute dei propri cittadini94.

Mentre le ragioni della mobilità inevitabile possono essere facilmente indivi- duate, le ragioni della mobilità evitabile sono di più difficile individuazione, in quan- to si legano strettamente alla libertà di scelta del cittadino oltre che a fattori di acces- sibilità, connessi alla mancanza di strutture nella regione di residenza, (ad esempio posti letto, le liste di attesa), o ad elementi qualitativi, come le performance clini- che95.

Il fenomeno della mobilità sia regionale che extra-regionale è caratterizzato da un costante aumento con rilevanti riflessi sulla garanzia dell’uniformità delle presta- zioni e sui rapporti finanziari tra gli enti. La mobilità presenta, infatti, numerose conseguenze negative, come costi privati e sociali elevati, perdita di risorse economi- che pubbliche (in caso di mobilità extraregionale) per la regione d’origine del pazien- te migrante e conseguente incremento delle liste di attesa nella regione d’arrivo, nonché, aleatorietà dei singoli piani di programmazione sanitaria96.

94 Cfr. MARINÒ L., La ricerca dell’economicità nelle aziende sanitarie locali. Concetti, modelli,

decisioni, Torino, Giappichelli, 2008.

95 MORGAGNI S., Studio sulle variabili della mobilità ospedaliera, in “Aress” (Agenzia Regionale per i Servizi Sanitari della Regione Piemonte), Torino, 2003.

96 In merito si vedano: DI LORETO P., SPOLAORE P., L’evoluzione del sistema nelle politiche

regionali, in FALCITELLI N., LANGIANO T., Politiche innovative nel SSn: i primi dieci anni di Drg in Italia, op. cit.; LEVAGGI R., MENONCIN F., Fiscal Federalism, patient’s mobility and the soft budget constraint: a theoretical approach, in “Politica Economica”, n. 26, 2008.

Il crescente tasso di mobilità delle persone, quindi, come sostiene Francesco Longo, avrà rilevanti ripercussioni sui mercati e sugli erogatori sanitari. A riguardo, pertanto, come scrive l’autore, appare importante “comprendere in che direzione e con quali meccanismi casuali si evolverà”97.

97 LONGO F., DEL VECCHIO M., LEGA F., La sanità futura. Come cambieranno gli utenti, le

C

APITOLO

III

LA RELAZIONE TRA TARIFFE E RISULTATO ECONOMICO: I RISULTATI DI UN’INDAGINE EMPIRICA

SOMMARIO: 3.1 Le variabili che influenzano l’equilibrio economico delle aziende sani-