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A Uberto (II), infantulus ed orfano del padre Uberto nell’anno 1055, poi conte del comitato nell’anno 1068, che a volte viene definito, con esattezza, come padre di Bonifacio (III) (480) e di Enrico (481) e nonno di Grasso (482), figlio di Enrico (483), risale l’inizio della signoria dei conti su Cerea. Almeno tre testi ricordano di avere assistito direttamente alla sua azione di am- ministrazione della giustizia nel distretto (484) e un altro assistette alla sua richiesta di investitu- ra [119] del feudo al vescovo veronese (485), dopo che il feudo gli era stato concesso dalla co- mitissa Matilde (486), per comando della quale egli, appunto, si presentò (487) ad Adelbero, vescovo negli anni 1063-1070 (488), chiedendo di essere investito in feudo di Cerea, così come egli la teneva in feudo da Matilde.

Negli anni immediatamente precedenti aveva tenuto la signoria su Cerea il duca Goffredo di Lorena, detto il Barbuto, morto nell’anno 1069, il quale l’aveva potuta esercitare per la mo- glie Beatrice, vedova del marchese Bonifacio, sposata nell’anno 1053 (489), alla quale Cerea era giunta per eredità dal primo marito, che aveva ottenuto a livello nell’anno 1042 il castello da cittadini veronesi (490). Nel periodo in cui Goffredo, riaccolto nell’anno 1056, dopo la ribellio-

(475) Gandulfus de Cereta, Iohannes Regis, Personaldus de Cereta, Albertus de Cereta, Paltonarius notarius.

(476) La nostra ricostruzione contrasta con quanto affermato in una ‘memoria’ preparata per i giudi- ci dai canonici (ACVCarte, n. 126, anni 1146-1147), nella quale Richelda è definita come figlia di Alberto Terzo e madre del marchese Alberto e si afferma che il conte Bonifacio (III) tenne Cerea per la moglie Richelda, affermazioni che crediamo dipendano da una interpretazione approssimativa delle testimonian- ze, favorita, da un lato, dalle omonomie e dall’alternanza, per le medesime persone, dei nomi Uberto e Alberto, dall’altro lato e soprattutto, dalle precisazioni di due testi (citati alla nota seguente), secondo i quali Richelda teneva Cerea per Alberto Terzo, affermazioni che sono state intese, erroneamente, come se Richelda fosse figlia di Alberto Terzo, mentre esse significano che Richelda svolgeva le funzioni di tutri- ce e amministratice dei beni e dei diritti del figlio Alberto Terzo, nel periodo in cui questi doveva essere minorenne.

(477) Iohannes Regis, Personaldus de Cereta.

(478) Gandulfus de Cereta, Albertus de Cereta, Paltonarius notarius. (479) Gandulfus de Cereta.

(480) Bonussenior de Gusolengo, Guittardus, Rustico de Novalle. (481) Teuço.

(482) Guniverto de Revre.

(483) Guniverto de Revre, Rusticus de Novalle.

(484) Guniverto de Revre, Rusticus de Novalle, Bonussenior de Gusolengo. Poiché le vicende si svolgono in un periodo anteriore di oltre sette decenni, il che comporta che i testi, che dovevano avere almeno dieci-quindici anni all’epoca dei fatti narrati – un teste, Rusticus de Novalle, dichiara di averne avuti quindici –, debbono essere al momento della testimonianza sui novanta anni, aspetto questo che suscita alcune perplessità, ma non mancano certo attestazioni documentate di longevità quasi centenaria.

(485) Guittardus.

(486) Guittardus, Idraldus de Porto.

(487) Il conte si presentò alla curtis – «venit ad curtem» (Guittardus) – del vescovo, forse da inten- dersi come una curia feudale, nel qual caso si tratterebbe di una prima attestazione di questo tipo per la chiesa e il territorio veronesi.

(488) Datazione proposta da Simeoni, Per la genealogia cit., p. 74; documenti degli anni 1063-1068, citati da Schwartz, Die Besetzung cit., pp. 66-67.

(489) Violante, L’età cit., p. 158. (490) App., n. 5.

ne, nella grazia imperiale, venne a sviluppare sempre più la sua potenza (491), dovette essere instaurato il rapporto vassallatico con il vescovo veronese.

Un teste (492) afferma che il diritto del duca su Cerea derivava dall’esserne egli stato inve- stito in feudo dal vescovo Tebaldo, sulla [120] cattedra veronese negli anni 1058-1063 (493), al quale vescovo il duca aveva giurato fedeltà. Da questa investitura, effettiva o pretesa, derivò per i Canossa, prima, poi per i conti veronesi la legittimazione ‘feudale’ della signoria su Cerea, una legittimazione, invero, ‘illegittima’, in quanto Cerea non apparteneva alla chiesa vescovile.

Difficile chiarire lo svolgimento effettivo degli avvenimenti, tanto lontani, da suscitare per questa stessa lontananza dubbi anche sul contenuto delle testimonianze. Ma altri elementi ne rafforzano la veridicità: non solo più volte i testi affermano che Canossa e conti di Verona ave- vano ricevuto Cerea in feudo dai vescovi veronesi, con riferimenti precisi nella corrispondenza, anche temporale, fra i singoli personaggi (494), ma le pretese e, quindi, gli atti dei vescovi tro- vano conferma e nello stesso tempo giustificano l’iniziativa del vescovo veronese Tebaldo di contendere Cerea al capitolo, proprio negli stessi anni della contesa fra questo e i conti (495).

L’azione dei Canossa e la ‘trasformazione’ della concessione del castello di Cerea da livello a feudo erano conformi alle tendenze dell’epoca. Ancora nella prima metà del secolo XI, a volte oltre, gli esponenti della ‘nobiltà’ di ufficio ricevevano da vescovo ed abati beni ed anche diritti di giurisdizione mediante contratti di livello, di precaria o di enfiteusi (496), preferiti alle inve- stiture in beneficio, poiché, da un lato, [121] le seconde non offrivano ancora una sufficiente sicurezza giuridica; dall’altro lato, permaneva una certa resistenza da parte dei concessionari a legarsi con rapporti vassallatici con un ente ecclesiastico – è il caso delle concessioni del capito- lo ai marchesi estensi (497) –, resistenza superata, nella nostra regione, proprio nei decenni se- guenti, come mostra, per i Canossa, il nuovo atteggiamento assunto, dovuto, anzitutto, al pro- cesso di patrimonializzazione del beneficio, che ne assicurava stabilità ed ereditarietà, come abbiamo notato (498). Dai Canossa, inoltre, il rapporto vassallatico venne cercato e instaurato con un ente, l’episcopio, indubbiamente di prestigio e potenza maggiore rispetto al capitolo, verso il quale anche i conti veronesi non contrassero rapporti vassallatici. Nel contempo, la con- cessione, che ormai possiamo chiamare ’feudale’, di Cerea ottenuta dal vescovo permetteva anche ai Canossa di rafforzare ulteriormente la loro presenza ‘politica’ nel territorio veronese, legando a sé, con la concessione in suffeudo, la famiglia comitale veronese, anzi, ancor meglio, i membri del ramo della famiglia che in quei decenni, da Uberto (II) in poi, detennero, quasi ininterrottamente, l’ufficio comitale.

Analogo comportamento fu tenuto dai marchesi, poi detti di Este, che prima della fine del secolo instaurarono rapporti vassallatico-beneficiari, ormai feudo-vassallatici, con la chiesa

(491) Violante, L’età cit., pp. 161-165. (492) Guitardus.

(493) Simeoni, Per la genealogia cit., p. 74; Schwartz, Die Besetzung cit., p. 66.

(494) Fra i vescovi veronesi sono ricordati Tebaldo, Adelbero e Bernardo, del quale ultimo un teste autorevole, Odelrico Sacheto (cfr. sopra, t. c. note 203-204), afferma che concesse in feudo Cerea, Bovo- lone, Canova ed Angiari al marchese Alberto. Nella sentenza del cardinale Guido, relativa alla controver- sia, sempre per Cerea, tra l’arciprete e il vescovo, sentenza favorevole al primo, il secondo sostiene che anche il vescovo Zufeto aveva investito di Cerea in feudo la contessa Matilde: ACVCarte, n. 123, 1146 gennaio 2, Verona, così come, in seguito, il vescovo Bernardo aveva investito il marchese Alberto.

(495) Cfr. sotto, t. c. nota 575.

(496) Cfr. sopra, t. c. note 404-405. Per quanto concerne i Canossa, possiamo ricordare le forme del- la loro presenza signorile nella bassa pianura veronese: i beni in Ostiglia furono, per la parte di proprietà del monastero veronese di S. Zeno, usurpati direttamente dal marchese Bonifacio (DD Heinrici III, n. 357, 1055 novembre 11, Verona) e, per quella di proprietà del monastero di S. Silvestro di Nonantola, fatti assegnare dallo stesso marchese in precaria ai da Baggiovara, suoi vassalli (Castagnetti,

L’organizzazione cit., p. 132). Nogara, già controllata dai Canossa e poi detenuta in beneficio alla metà del secolo XI dal conte Arduino (cfr. sopra, t. c. note 139-140), venne in seguito dal monastero nonanto- lano assegnata in enfiteusi alla contessa Matilde: Rossetti, Formazione cit., pp. 280-281.

(497) Cfr. sopra, t. c. note 32-34 e 191.

(498) Cfr. sopra, t. c. nota 158. Inoltre, la ‘trasformazione’ del livello in feudo poteva comportare anche la cessazione dell’obbligo della corresponsione del censo di cinque lire, ammesso che i Canossa lo avessero corrisposto.

vescovile [122] padovana, ottenendo l’investitura di castelli, che a loro volta concessero in feu- do alla famiglia comitale padovana e ad altre famiglie, che dai castelli trassero la loro connota- zione signorile, come i da Baone e i da Calaone. In tale modo i legami di vassallaggio con l’episcopio costituirono un punto di raccordo e insieme un tramite dei rapporti complessi instau- ratisi fra gli esponenti della società signorile e gli eredi delle funzioni pubbliche, marchesi e conti (499).

Da Uberto (II) il feudo passò al figlio Bonifacio (III), conte del comitato (500), e poi al fi- glio di questo, il conte Alberto, detto Terzo negli atti processuali per Cerea. Alberto fu privato del feudo, intorno al 1100, dalla contessa Matilde, dalla quale riottenne l’investitura alla fine dell’anno 1106.

Un particolare narrato da un teste autorevole, Enrico di Artuico (501), mostra che il conte Alberto respinse il suggerimento datogli da una persona, indeterminata, la quale gli aveva fatto presente l’opportunità di richiedere l’investitura di Cerea per il figlio Bonifacio, consiglio che il conte non adottò, dichiarando che il proprio feudo era un feudum hereditarium (502), come tale, pertanto, spettante agli eredi legittimi; ma noi sappiamo che di questi Alberto era privo, poiché aveva solo figli illegittimi, il primo dei quali si chiamava appunto Bonifacio (503).

[123] Alla morte di Alberto successore legittimo nel feudo diveniva il cugino Grasso, figlio di Enrico, quell’Enrico, che, con la qualifica di conte – ma non fu conte del comitato veronese – , è più volte ricordato nei nostri atti, quale figlio del conte Uberto, primo investito di Cerea, e quale fratello del conte Bonifacio, padre del conte Alberto (504), ma anche quale padre di Gras- so.

Grasso, infatti, tentò, subito dopo la morte del marchese Alberto, di occupare Cerea, senza successo, a quanto risulta dalle vicende posteriori. Le testimonianze non sono fra loro concordi. Uno dei testi, che appare peraltro bene informato (505), afferma che un missus di Grasso sareb- be venuto, di notte, per occupare Cerea «nomine chanonichorum»; si tratta probabilmente di un errore del teste, del notaio che ha verbalizzato o dell’estensore della copia, dovendosi supporre che Grasso avesse agito contro i canonici, per cui si potrebbe supporre che il teste avesse detto o voluto dire che l’azione di Grasso sulla terra di Cerea avveniva contro il diritto dei canonici.

Un altro teste (506), riferendosi alla medesima azione, narra che un miles di Grasso, un suo vassallo, dunque (507), venne, di notte, subito dopo la morte del marchese Alberto, per acquisi- re la signoria, ma fu a lui impedito, dagli uomini stessi del luogo, come si afferma in un’altra testimonianza (508).

Questo miles, molto probabilmente, va identificato con uno dei testi (509), che narra di es- sersi egli stesso, la sera in cui morì il marchese Alberto, recato ad occupare Cerea, per incarico di Grasso e degli [124] altri suoi parenti, e di avere agito, con il consilium di Carnarolo (510) e

(499) Castagnetti, I conti cit., pp. 85-87.

(500) Iohannes Regis, Personaldus de Cereta, Albertus de Cereta, Iohannes conversus, Ugerio, Io- hannes de Fasco, Willelmus de Rechiomina, Henricus de Artuicho.

(501) Enrico di Artuico è giudice e assessore del rettore di Verona negli anni 1151 e 1156: Casta- gnetti, Le città cit., pp. 135 e 144.

(502) Anche un altro teste, Willelmus de Rechiomina, senza entrare nel merito, sottolinea che quello del conte Alberto è un feudum hereditarium, aspetto che egli doveva ben conoscere, avendo molte volte accompagnato il conte e marchese Alberto in Cerea ed avendo assistito ai suoi placiti.

(503) Simeoni, Per la genealogia cit., p. 79. (504) Richardus Cauchi.

(505) Si tratta di Paltonarius notarius, per il quale si veda anche l’attività svolta per i canonici in re- lazione alla controversia sul feudo di Amizone Tusco: sotto, par. 6.2.

(506) Iohannes de Cereta.

(507) Per la presenza di milites, al seguito di signori ecclesiastici e laici, nei territori veneti, si veda Castagnetti, Regno, signoria vescovile cit., pp. 199-212.

(508) Albertus de Cereta. (509) Albinellus.

Carnenbrase (511) ed anche con l’aiuto, a quanto pare, di altri abitanti locali (512), sancendo la presa di possesso con un atto e un segno ‘pubblici’, ponendo cioè una wifa su una siepe del ca- stello per interdire l’ingresso (513).