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Nella documentazione della prima metà del secolo XII possiamo notare la presenza di e- sponenti delle famiglie capitaneali veronesi, alcuni in diretti rapporti di vassallaggio con il capi- tolo. Secondo le Consuetudines feudorum i capitanei sarebbero, in senso proprio, i vassalli di- retti del re, capitanei regis, investiti degli uffici pubblici, marchesi e conti (245); in seguito, ovvero al momento della redazione delle Consuetudines (246), la qualifica venne ad indicare i vassalli, già maggiori, «qui improprie hodie appellantur capitanei» (247), che hanno ricevuto il feudo da marchesi e da conti e, possiamo aggiungere, da arcivescovi e vescovi, come si deduce, in un altro passo, dalla attribuzione della medesima qualifica a coloro che sono investiti di una pieve o di parte di essa (248) ovvero dei redditi della [64] decima (249).

Le due ‘definizioni’ concernono, a mio parere, situazioni differenti: la seconda, che riguar- da principalmente il beneficio di pievi e decime, riflette la situazione dell’area di influenza della chiesa arcivescovile milanese; la prima riflette le situazioni di altre zone, come appunto quella della Marca Veronese, nelle quali i capitanei non sono tali in quanto detengono un ‘feudo deci- male’, pur potendo disporre di diritti di decima, ma in quanto detengono signorie e castelli da marchesi, conti e vescovi.

La qualifica di capitanei non deriva dalla posizione signorile, in se stessa, poiché essa non è attribuita a molti altri signori territoriali, che detengono in allodio, quindi per eredità familiare antica o, come pure accadeva, per acquisizione più recente, i diritti signorili su un territorio, spesso connessi alla proprietà di un castello (250). La qualifica, attribuita fra XI e XII secolo e mantenuta in seguito, non venne estesa ad altre famiglie nei tempi posteriori: essa rimase colle- gata strettamente, oltre che alle funzioni pubbliche connesse all’investitura di feudi derivati direttamente dai capitanei regis in senso proprio – duchi, marchesi e conti – o da potestates ad essi accostabili, come i vescovi (251), al periodo storico determinato in cui l’investitura fu con- cessa, un periodo che inizia, in area milanese, alla fine del secolo X, il che spiega perché, se- condo le Consuetudines, sono capitanei solamente coloro che detengono il beneficium da lungo tempo, «ab antiquis temporibus» (252).

[65] Quanto sostenuto dalla ‘dottrina feudale’ è confermato dalla documentazione verone- se: solo i lignaggi discendenti da capitanei, così qualificati nei primi decenni del secolo XII,

(245) K. Lehmann, Das langobardische Lehnrecht, Göttingen, 1896, Antiqua, tit. I, cap. 1, p. 83; cap. 4, p. 85; tit. II, cap. 6, p. 93.

(246) Per la struttura delle Consuetudines feudorum, conosciute anche come Libri feudorum, Usus feudorum o Consuetudines feudales, la cui prima parte, la cosiddetta redazione antiqua, è stata elaborata nella seconda metà del secolo XII, attingendo a materiali anche arcaici, e per un inquadramento storico- giuridico, si vedano F. Calasso, Medioevo del diritto, I, Milano, 1954, pp. 554-555; C. Pecorella, Feudo, in Novissimo Digesto Italiano, VII, p. 266; C. G. Mor, Leggi feudali, ibidem, IX, p. 712; G. Astuti, Feu- do, in Enciclopedia del diritto, XVII, p. 297; Brancoli Busdraghi, La formazione cit., passim; di recente, G. Giordanengo, Le droit féodal dans les pays de droit écrit. L’exemple de la Provence et du Dauphiné. XIIe-dèbut XIVe siècle, Roma, 1988, p. 125, attribuisce i primi sei capitoli o tituli dell’Antiqua al periodo 1037-1095; ancora, M. Montorzi, Diritto feudale nel basso medioevo, Torino, 1991, p. 20; E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, voll. 2, Roma, 1995, II, pp. 161-164.

(247) Lehmann, Das langobardische Lehnrecht cit., Antiqua, tit. II, cap. 6, p. 93; anche tit. VI, cap. 5, p. 101.

(248) Lehmann, Das langobardische Lehnrecht cit., Antiqua, tit. VIII, cap. 16, pp. 127-128. Il passo è ampiamente commentato in C. Violante, Pievi e parrocchie nell’Italia centrosettentrionale durante i secoli XI e XII, in Le istituzioni ecclesiastiche della ‘societas christiana’ dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie, Milano, 1977, pp. 719-721, che ne assegna la redazione al quarto-sesto decennio del secolo XII. Cfr. anche Keller, Signori e vassalli cit., p. 24.

(249) Violante, Pievi e parrocchie cit., pp. 770 ss.; Keller, Signori e vassalli cit., p. 113.

(250) Fasoli, Castelli e signorie rurali cit.; Violante, La signoria rurale nel secolo X cit., e Violante, La signoria rurale nel contesto storico cit.

(251) Brancoli Busdraghi, La formazione cit., p. 77 e passim.

(252) Lehmann, Das langobardische Lehnrecht cit., Antiqua, tit. VIII, cap. 16, p. 128, testo di Ober- to dell’Orto. Cfr. Brancoli Busdraghi, La formazione cit., pp. 154-155; Keller, Signori e vassalli cit., p. 148.

mantengono la qualifica, sia pure ad essa ricorrendo in modi occasionali (253). Nessun altro ‘feudatario’, anche se ha ricevuto, più tardi, una signoria in feudo direttamente dall’imperatore o dal duca, si fregerà della dignità di capitaneus, come mostra il caso di Odelrico Sacheto, investi- to, intorno all’anno 1137, dal duca Enrico X il Superbo, duca di Baviera e poi anche di Sasso- nia, della signoria feudale sul castello di Zevio (254). Ed ancora, possiamo constatare che capi- taneus è di volta in volta un solo esponente di una famiglia, quello che in un dato momento, presumibilmente, appare come il personaggio più rappresentativo della famiglia od anche del lignaggio, per diritto ereditario o per funzioni assunte, mentre l’attribuzione ‘collettiva’ della qualifica di capitanei a più di una persona di una stessa famiglia può essere giustificata da una differenziazione accentuata del gruppo familiare o, per quanto finora abbiamo potuto constatare, dalle caratteristiche della documentazione: ad esempio, documenti ove appaiono elenchi di per- sone che assistono ad un atto pubblico rilevante, quale il placito ducale [66] dell’anno 1123, sul quale ci soffermeremo più volte (255); ancora, documentazione di età avanzata rispetto al perio- do qui considerato. Questo processo è analogo a quello che si svolge nell’ambito dei lignaggi comitali: anche se, a volte – poche volte, invero –, nella documentazione privata può accadere che la qualifica comitale sia attribuita a più membri della famiglia comitale, il comes del comita- tus è sempre uno solo, come si può constatare quando il conte viene definito in modo proprio in relazione appunto al suo comitato, il che accade di norma nella documentazione pubblica (256). Anche nell’ambito delle famiglie capitaneali, in analogia a quanto avviene in quello delle fami- glie comitali, la trasmissione ereditaria della qualifica al primogenito o ad altro specifico di- scendente rafforza l’affermazione di una mentalità dinastica.

((%66)) 3.2. I Turrisendi

3.2.1. Fra Verona, Trento e territorio gardense

Fra i capitanei veronesi, alcuni esponenti della famiglia dei Turrisendi, che giunsero ad as- sumere anche la massima magistratura della prima età comunale, furono in rapporti frequenti e proficui con il capitolo.

Sorvolando sui possibili collegamenti con la famiglia del diacono Ingelbaldo (257), soffer- miamoci su vari personaggi di nome Turrisendo, [67] che appaiono, oltre che nella documenta- zione privata (258), in quella pubblica fra X e XI secolo, costituita da placiti che si svolgono a

(253) Dalla considerazione della documentazione veronese risulta con certezza che solo quattro fa- miglie capitaneali, così qualificate nei primi decenni del secolo XII, mantengono la qualifica nel periodo posteriore, come si deduce da un documento vescovile dell’anno 1171, edito in Castagnetti, Ceti e fami- glie cit., app., n. 1, 1171 giugno 7 ss., Verona, nel quale il vescovo dà un elenco, quasi completo, di per- sone e famiglie dominanti, includendovi tutti i capitanei. Due sole famiglie capitaneali sono attestate a Vicenza (Castagnetti, Vicenza cit., p. 46: famiglie da Sarego e da Monticello) e a Ferrara (Castagnetti, Società e politica cit., pp. 116 e 142: Marchesella-Adelardi e Torelli).

(254) Va esclusa l’inclusione, di fatto, di Odelrico Sacheto tra i capitanei veronesi, prospettata in Castagnetti, Ceti e famiglie cit., pp. 17-18. Per le vicende generali, cui si accenna nel testo, si veda Casta- gnetti, Le città cit., pp. 89-90.

(255) App., n. 20, 1123 settembre 22, Verona: sono presenti due capitanei da Monticello; cfr. sotto, par. 7.1.

(256) Ci limitiamo a rinviare ai due saggi sui conti della Marca Veronese: Castagnetti, I conti cit., e Castagnetti, Le due famiglie cit., pp. 43-93.

(257) Il patrimonio, pur consistente, del diacono Ingelbaldo non doveva esaurire quello della sua fa- miglia, la quale poteva disporre, come abbiamo supposto, di altri possessi, alcuni probabilmente situati nel territorio trentino di provenienza. Questa provenienza e il fatto che un fratello, già defunto, del diaco- no Ingelbaldo si chiamasse Turrisendo costituiscono indizi per prospettare l’ipotesi che a questa famiglia si ricolleghi la famiglia veronese dei Turrisendi: Varanini, Aspetti cit., p. 217; Castagnetti, Minoranze etniche cit., p. 138, nota 14.

(258) Un Turrisendo appare in uno degli atti falsificati relativi alla presunta dotazione del capitolo veronese ad opera del vescovo Ratoldo: CDV, I, n. 102, 813 giugno 24, p. 132; cfr. La Rocca, Pacifico cit., p. 191. Un Turrisendo è presente fra i vassalli del conte Adalberto Atto di Canossa: Torelli, Regesto mantovano cit., n. 38, 981 novembre 6.

Verona e nella Marca Veronese (259): dalla fine del secolo X agisce anche un Turrisendo giudi- ce (260).

Della famiglia non riusciamo a cogliere brani genealogici se non nei primi decenni del se- colo seguente. Il primo personaggio inseribile nella prosopografia familiare è un Macili, figlio di un defunto Turrisendo, che nell’anno 1031 assiste in Verona ad un placito, presieduto dal conte Tado (261). In un atto posteriore alla metà del secolo (262) una sua figlia, Gisla, nobilis femina, risulta sposa di un Arduino, abitante nel castello di Isola, membro della famiglia comita- le dei Gandolfingi (263). Un altro figlio di Macili, Turrisendo, di legge longobarda, abitante presso la porta di S. Zeno – connotazione rilevante, come vedremo –, con la moglie Tetuica, di legge salica, conferma due donazioni di beni al monastero di S. Zeno, effettuate in precedenza, l’una da lui stesso e dal padre (264), l’altra da un Liutolfo, [68] abitante fuori porta Organo, di legge salica, probabilmente in rapporto con i due coniugi, come lo era stato con la sorella di Turrisendo, Gisla (265). In seconde nozze, Turrisendo sposa una donna, anch’ella di nome Gi- sla, nobilissima femina, figlia del conte Bosone, di legge alamanna, come risulta da una dona- zione al monastero di S. Michele in Campagna, effettuata appunto da Gisla, vedova di Turrisen- do e abitante presso la porta di S. Zeno, e da Liutolfo, ora nominato, per l’anima del marito e del padre defunti (266). Questa Gisla sposa, a sua volta, in seconde nozze, un membro della fami- glia comitale dei San Bonifacio (267).

Turrisendo, figlio di Macili e nipote di Turrisendo, va probabilmente identificato con il Turrisendo, chiamato noster fidelis [69] dall’imperatore, su preghiera ed intervento del quale Enrico IV indirizza nell’anno 1077 un privilegio agli uomini di Lazise (268), confermando

(259) Manaresi, I placiti cit., II/1, n. 170, 972 luglio 4, Verona; n. 218, 993 novembre 11, Verona; n. 220, 995 febbraio, nel comitato di Vicenza.

(260) Ibidem, II/1, n. 240, 998 luglio 18, Verona; II/2, n. 278, 1013 maggio 10, Monselice; n. 320, 1023 agosto 31, Verona.

(261) Ibidem, III/2, n. 335, 1031 luglio 6, Verona; cfr., sul placito e sul conte Tado, Castagnetti, Le città cit., p. 59.

(262) ASV, S. Michele in Campagna, perg. 7, 1059 agosto 8, Angiari. Per quanto veniamo dicendo, si tengano presenti i i due brani genealogici nella tabella II in appendice.

(263) Castagnetti, Le due famiglie cit., p. 54, nota 68.

(264) ASV, Ospitale civico, perg. 56, 1072 ottobre 20, Verona.

(265) ASV, S. Michele in Campagna, perg. 14, 1079 marzo 15, Verona: Liutolfo del fu Aicardo, di legge salica, dona beni al monastero di S. Michele in Campagna per l’anima di Gisla defunta; perg. 16, 1082 novembre 22: donazione di Liutolfo del fu Aicardo abitante fuori della porta Organo di case e res in Legnago e Minerbe, beni acquistati dalla defunta Gisla, figlia del fu Maceli, la quale aveva assunto la veste monacale, donazione effettuata per l’anima sua, della defunta Gisla e del fratello di lei Turrisendo e degli altri parenti, per cui apprendiamo che Gisla e Turrisendo erano fratelli. Su questi atti si è soffermata V. Recchia Monese, Aspetti sociali ed economici nella vita di un monastero benedettino femminile di S. Michele in Campagna di Verona dal secolo XI al periodo ezzeliniano, «Archivio veneto», ser. V, XCVIII (1973), pp. 8-9. Gli interessi comuni sono attestati da un documento dell’anno 1094, nel quale appaiono fra i confinanti di un appezzamento in Soave Turrisendo e gli eredi del fu Liutolfo: ASV, Ss. Nazaro e Celso, perg. 1206, 1094 settembre 1. Per gli interessi dei Turrisendi in Soave si veda sotto, note 285 e 308.

(266) G. B. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, Verona, 1749-1771, V/1, p. 178, n. 71, 1082 febbraio 12, Verona: assiste il fratello di Gisla Alberto di legge alamanna; al seguito della con- tessa Matilde di Canossa compare un Alberto conte figlio del fu Bosone conte: Torelli, Regesto mantova- no cit., n. 123, 1099, novembre 12, Brescello; n. 128, 1104 aprile 24 o 25, castello di Nogara; n. 135, 1105 novembre 30, castello di Nogara; n. 136, 1107 gennaio 24, Campitello; n. 159, 1114 novembre 6, Bondeno; n. 162, 1115 maggio 4, Bondeno di Roncore.

(267) Biancolini, Notizie storiche cit., II, pp. 721-723, doc. 1105 ottobre 31. Cfr. sotto, t. c. note 319 ss.

(268) DD Heinrici IV, n. 287. Cfr. G. Tabacco, I liberi del re nell’Italia carolingia e postcarolingia, Spoleto, 166, p. 153; A. Castagnetti, Le comunità della regione gardense fra potere centrale, governi cittadini e autonomie nel medioevo (secoli VIII-XIV), in G. Borelli (a cura di), Un lago, una civiltà: il Garda, voll. 2, Verona, 1983, I, p. 50.

quanto concesso un secolo prima da Ottone II (269). L’intervento di Turrisendo mostra un inte- resse per la regione gardense, che rimarrà proprio della famiglia (270).

Parente di Turrisendo fu un Tebaldo, la cui vedova, Adelasia, è attestata nell’anno 1092 con i figli Epone e Tebaldo, che, nell’atto di donazione di beni al prete Siginzo del capitolo (271), svolgono il ruolo di mundoaldi. Adelasia, da parte sua, dichiara di essere figlia di un defunto Erizo da Sarego, appartenente ad una famiglia capitaneale operante tra Verona e Vicenza (272).

Il prete Siginzo, attivo in ambito patrimoniale (273), mantiene [70] rapporti con la famiglia: a lui tre anni dopo Epone promette di cedere beni in varie località, se non sarà in grado di corri- spondere entro la festività di s. Michele la somma di cinquanta lire, dando per garanzia i docu- menti di acquisto dei beni (274). I rapporti con la famiglia fanno comprendere le motivazioni generali, se non quelle particolari e contingenti, della presenza del prete fra i destinatari di lasci- ti nel testamento di Epone.

Questi, dichiarandosi figlio del defunto Tebaldo, testa nell’anno 1100, alla presenza di U- baldo, figlio del fu Liutolfo, abitante presso la porta di S. Maria (in Organo), e del fratello Te- baldo (275): le notizie fornite dal documento permettono, oltre che di delineare con sicurezza maggiore un brano prosopografico, di conoscere, pur con lacune, la situazione patrimoniale. Epone lascia erede per la maggior parte dei beni, che quindi non specifica, il figlio, di cui non viene detto il nome; fra i destinatari di lasciti compaiono il fratello Tebaldo e lo zio Turrisendo, che non può essere identificato con il precedente Turrisendo, marito di Gisla, in quanto risulta già scomparso nell’anno 1082. Fra i beni si ricordano una casa terranea e un mulino presso il palacium anticum di porta S. Zeno, porta della quale i Turrisendi detenevano l’esazione dei dazi, come appare da un documento dell’anno 1125, sotto considerato (276); un complesso edi- lizio, nel quale Epone abita, costituito da case, una torre – la prima torre cittadina a noi nota, a sottolineare l’appartenenza della famiglia ai ceti dominanti (277) – e una porzione della cappella di S. Matteo, la chiesa che tuttora si trova presso la porta; gualchiere e mulini sul fiume Fibbio (278), strumenti di [71] una ‘rivoluzione tecnica’ che ‘rivoluzionò’ il processo di follatura dei panni (279); beni nel castello di Montorio (280); ed ancora, a testimoniare gli interessi esterni al comitato veronese, beni, purtroppo non specificati, nel comitato trentino, altri in Castiglione, ora Castiglione Mantovano e, infine, in Sarego.

(269) DD Ottonis II, n. 291, 983 maggio 7, Verona; cfr. A. Castagnetti, Arimanni in ‘Langobardia’ e in ‘Romania’ dall’età carolingia all’età comunale, Verona, 1996, pp. 217-221.

(270) Basti ricordare l’ufficio di conte di Garda, assunto per l’Impero, da un altro Turrisendo nell’anno 1156; per gli interessi dei Turrisendi nel distretto gardense nella seconda metà del secolo XII e, in particolare, per il controllo della rocca di Garda, si veda sotto, t. c. note 310-311.

(271) ACV, perg. I, 5, 6v, 1092 marzo 20, Verona: i beni donati entro e fuori il castello di Montorio provenivano dall’eredità paterna di Adelasia.

(272) Sulla famiglia capitaneale dei da Sarego si veda sotto, t. c. note 755 ss.

(273) ACV, perg. II, 5, 7r, 1099 maggio 10: Siginzo acquista una «casa terranea que est stazone ... non longe ab macello et prope moneta» da due monetarii, Tebaldo e Bernardo figli del fu Ottone; perg. II, 5, tv, 1100 settembre 15: Adelgarda figlia del fu Bernardo monetarius (cfr. il documento precedente) vende ad Aldo del fu Wido due appezzamenti con viti, con uno dei quali confinano i beni del prete Sigin- zo; perg. II, 5, 7r, 1100 settembre 16: Aldo vende i due appezzamenti appena acquistati al prete Siginzo, svolgendo, dunque, la funzione di intermediario.

(274) ACV, perg. II, 6, 1r, guasta, databile all’anno 1095: si tratta di un prestito su pegno fondiario. (275) Castagnetti, Mercanti, società cit., app., n. 1, 1100 marzo 12, Verona.

(276) App., n. 18; cfr. sotto, par. 3.2.2.

(277) A. Castagnetti, ‘Ut nullus incipiat hedificare forticiam’. Comune veronese e signorie rurali nell’età di Federico I, Verona, 1984, p. 38.

(278) Per l’importanza delle gualchiere sul Fibbio si vedano Castagnetti, Mercanti, società cit., pp. 62-67, e G. M. Varanini, Energia idraulica e attività economiche nella Verona comunale: l’Adige, il Fiumicello, il Fibbio (secoli XII-XIII), in Paesaggi urbani dell’Italia padana nei secoli VIII-XIV, Bolo- gna, 1988, pp. 359 ss.

(279) La ‘rivoluzione tecnica’ è paragonabile alla meccanizzazione della tessitura e della filatura in- trodotta nel secolo XVIII: Castagnetti, Mercanti, società cit., pp. 62-67.

(280) Beni in Montorio e nelle località vicine sono oggetto anche di transazioni effettuate in alcuni dei documenti finora considerati.

I beni nel comitato trentino sono da ricollegarsi ad una eredità familiare; ma solo un secolo dopo la documentazione ci mostra che Tebaldo del fu Turrisendo deteneva dalla chiesa vescovi- le trentina in feudo ereditario, già dell’avus e del besavus – quindi almeno da quattro generazio- ni, il che ci porta verso il periodo di Epone –, la curtis di Ossenigo (281), alla quale sono con- nessi anche beni spettanti all’ospedale di Sarno (282): si tratta proprio delle località – Ossenigo, anzitutto, ma [72] anche Sarno –, ove erano situati i beni del vescovo Notkerio, una parte dei quali venne lasciata a Ingelbaldo, figlio di Odelberto (283).

I beni in Sarego sono da connettere con la provenienza di Adelasia dalla famiglia signorile omonima. I beni, infine, in Castiglione, anch’essi di provenienza probabilmente familiare, sono ricollegabili ad una presenza della famiglia nel territorio mantovano, della quale appresso di- ciamo.

Pochi anni più tardi, nell’anno 1107, veniamo a conoscere che il figlio di Epone, ora defun- to, si chiama Turrisendo (284). Egli, alla presenza di Rodolfo visconte ed altri, investe, con la moglie Gemma, il monastero dei Ss. Nazaro e Celso di beni, riservandosene l’usufrutto e con il patto che, alla morte dei due coniugi, il monastero soddisfi alcune clausole, fra lasciti e celebra- zione di anniversari. Sono cedute terre nel castello di Montorio, mulini e gualchiere sul Fibbio e prati.

Due anni dopo, lo stesso Turrisendo assiste, in San Bonifacio, ad un atto della famiglia co- mitale, qualificato ora come figlio del defunto Epone capitaneus, precedendo nell’elenco dei presenti Rodolfo visconte e Ubaldo figlio del fu Liutolfo (285).

[73] Per una quindicina di anni mancano notizie dirette della famiglia nella documentazione veronese, ma ne sussistono alcune provenienti dalla documentazione del monastero mantovano di S. Andrea, in relazione alla località di Castiglione. Qui un Turrisendo risulta possessore nell’anno 1110 (286). Quattro anni dopo, Turrisendo, figlio di Epone, e la moglie Gemma do- nano tutti i loro beni in Castiglione al monastero, ricevendoli, probabilmente, in usufrutto (287). Dopo altri due anni, Tebaldo, che è definito in una nota a tergo, di poco posteriore, come Tebal-

(281) I. Dossi, Documenta ad vallis Lagarinae historiam spectantia ex archivis episcopatus Tridenti eruta, «S. Marco», I (1909), 125-134; III, 1911, pp. 185-191, reg. n. 13, 1202 luglio 3: il vescovo di Tren- to dà in feudo la curtis di Ossenigo a Tebaldo di Turrisendo; reg. n. 25, 1215 aprile 6: Tebaldo del fu Turrisendo designa i confini del feudo di Ossenigo, che detiene dall’episcopio trentino.

(282) B. Bonelli, Notizie istorico-critiche intorno al B. M. Adelpreto vescovo e comprotettore della chiesa di Trento, II, Trento, 1761, n. 74, 1215 settembre 2 (regesto in Dossi, Documenta cit., n. 26): Te- baldo del fu Turrisendo refuta al vescovo trentino beni e diritti sulla chiesa e ospedale di S. Leonardo di Sarno, nel territorio di Ala. Dal rapporto vassallatico verso la chiesa vescovile trentina i Turrisendi deri- varono il titolo capitaneale, come dimostra l’obbligo di fornire al vescovo un destriero da parte di colui che succede nel feudo, a seguito della morte dell’investito, obbligo, come è detto esplicatamente, derivan- te dalla condizione di capitaneus del vescovo, secondo una consuetudine già sancita nell’edictum de be- neficiis per i vassalli maggiori (app., n. 3; cfr. sopra, t. c. note 152-153): il documento è edito da C. Leo- nardelli, Economia e territorio in area trentina tra XII e XIII secolo (sulla base di 155 documenti trascrit- ti e pubblicati), tesi di laurea, voll. 2, Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Padova, a. acc. 1976-