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Gli atti processuali descritti inducono a svolgere alcune riflessioni circa la diffusione e la pervasività degli aspetti feudali nella società [170] tra i secoli XI e XII. Il nostro interesse si appunta, nella redazione del placito ducale, sull’espressione relativa al feudum del singolo cano- nico: «... si aliquis ex canonicis aliquam investituram de suo feudo faceret». Da questa prima espressione traspare una ambiguità accentuata e, secondo noi, rivelatrice, poiché il termine feu- dum è impiegato, anzitutto, per designare il bene a disposizione del canonico e, nello stesso tempo, il bene assegnato in feudo. L’arciprete o per lui il notaio rogatore non distinguono, nel presentare la reclamacio, tra i beni in dotazione al canonico e la parte di questi beni che il cano- nico concede in feudo: «... si aliquis ex canonicis aliquam investituram de suo feudo faceret». La mancata distinzione potrebbe essere la conseguenza di una confusione tra situazioni diverse di possesso sotto l’aspetto giuridico, una confusione che potrebbe essere frutto della scarsa chia- rezza con cui è redatto tutto il documento, oppure riflettere una sostanziale affinità nel titolo di detenzione dei beni tra concedente e investito.

Il singolo canonico poteva disporre dei beni secondo diverse modalità di ripartizione: una limitata alle rendite, che dalle terre sarebbero state raccolte, ammassate nel magazzino o canipa e poi distribuite; una seconda, attestata nel secolo XII, basata sulla ripartizione di beni e rendite in villicatus, ovvero affidate, su partizione geografica, all’amministrazione di un villicus (682); una terza basata sulla ripartizione di almeno una parte dei beni del capitolo, assegnati – non importa ora a quale titolo – ai singoli in quanto terre, per cui ne avrebbero riscosso direttamente le rendite.

(679) Nella presidenza dei placiti, i duchi di Carinzia non assumono il titolo di marchio e, spesso, non specificano il ‘predicato’ territoriale; solo tra X e XI secolo il duca Ottone accosta al suo titolo la specificazione territoriale, quale ‘duca della Marca Veronese’: Manaresi, I placiti cit., II/1, n. 224, 996 marzo 25, Verona; n. 240, 998 luglio 18, Verona; n. 267, 1001 novembre 3, Verona.

(680) Il notaio Paltonario è redattore di molti degli atti processuali per Cerea: Padoa Schioppa, Il ruolo cit., p. 279, nota 65 ex.

(681) Placito dei conti di Garda, citato sopra, nota 678; ACVCarte, p. 176, colonna di destra; app., n. 11, introduzione.

(682) Per la gestione di beni, rendite e diritti in una parte della Valpolicella, l’antica vallis Provinia- nensis, sono attestati un villicatus Sancti Floriani e un villicus, che risiedeva in Semonte: Castagnetti, La Valpolicella cit., app., n. 10, 1181 dicembre 13 e 14, Semonte e Negrar; cfr. ibidem, p. 77. Un atto di amministrazione interna mostra la ripartizione in ‘villicati’ e l’assegnazione delle rendite relative a cano- nici, suddivisi in piccoli gruppi di poche persone, sulla base di una ripartizione per villaggi, distiribuiti con criteri non sempre omogenei, ripartizione forse ispirata a criteri di equa distribuzione delle rendite: ACV, perg. II, 9, 3r, datata 1200 aprile 22, con discordanze cronologiche.

[171] Le tre pratiche e più l’ultima, per quanto indebita, erano da lungo tempo in atto, se questa era stata duramente condannata già due secoli prima dal vescovo Raterio, che, nella dota- zione di un piccolo monastero (683) o di un collegio di chierici minori (684), prescriveva che, nella distribuzione dei redditi fra i membri dei singoli enti, si procedesse non ad una divisione «per campos et vineas», ma ad una ripartizione «per modios atque sextaria», precisando, poi, per alcune assegnazioni a singoli ecclesiastici, che, dopo la morte degli assegnatari, i redditi tornassero in comune, ad comunitatem (685).

Anche la connotazione feudale dei beneficia dei canonici trova i suoi precedenti negli scritti di Raterio. Nel corso della nota controversia che oppose poco dopo la metà del secolo X il ve- scovo al capitolo veronese, il presule fa riferimento a beneficia militaria (686), già in preceden- za da lui concessi ai canonici e poi distratti a favore di una nuova congregazione di chierici mi- nori: si trattava di beni appartenenti al patrimonio della chiesa vescovile, di probabile origine fiscale, i cui redditi contribuivano a costituire i beneficia, oggetto di concessione a vassalli ve- scovili. Compito precipuo dei vassalli era quello di assolvere agli obblighi militari, anzitutto in servizio eventuale del sovrano, come testimoniano, per i vassalli vescovili veronesi, alcuni passi degli scritti stessi rateriani (687).

La sottrazione dell’oggetto dei benefici – il reddito proveniente dalle terre – compiuta a danno dei canonici e, soprattutto, la loro destinazione alla congregazione dei chierici minori, che comportava anche [172] il frazionamento e l’impoverimento dei redditi singoli, avrebbero reso difficile, se non impossibile, l’osservanza degli obblighi inerenti ai benefici stessi, particolar- mente di quelli di natura militare, da assolversi direttamente o in modo succedaneo (688).

Orbene, noi sappiamo che nel secolo XII ancora persistevano ed erano richiesti gli obblighi pubblici del fodrum e del servitium dovuti al re e imperatore dalle chiese vescovili, obblighi che già dal secolo precedente si erano andati convertendo in contribuzioni in denaro (689): per quanto concerne le chiese, conosciamo dalla metà del secolo XII anche le modalità di riscossio- ne per alcune chiese vescovili della Marca Veronese, che si concretizzavano nelle richieste da parte dei vescovi ai loro vassalli di contribuire con somme di denaro proporzionali ai beni e redditi detenuti in feudo (690).

Per il capitolo veronese rimane solo documentazione della fine del secolo concernente l’esazione del fodrum regale, non però dai vassalli, ma dalle comunità rurali soggette (691). Ma è probabile che sui feudi assegnati nel passato ai canonici, se ancora vigenti, gravassero degli oneri pubblici, convertiti in denaro, come quelli ora descritti per le chiese vescovili.

[173] Non è detto, pertanto, che l’impiego generico del termine feudum nella reclamacio presentata nel placito ducale non fosse, nel caso specifico, più preciso o almeno più pregnante delle distinzioni introdotte nella presentazione del placito effettuata posteriormente nella curia

(683) Weigle, Urkunden cit., n. 7, 966 febbraio, Verona. (684) Ibidem, n. 8, 967 metà novembre, Verona. (685) Ibidem, p. 29.

(686) Die Briefe des Bischofs Rather von Verona, ed. F. Weigle, Weimar, 1949, n. 26, 966 dicembre in., p. 143.

(687) Die Briefe cit., n. 26, 966 dicembre (?); Ratherii Sermo de Martha e Maria, in Ratherii ….. Opera minora, I, Turnholti, 1976, p. 148. Cfr. C. G. Mor, Raterio di fronte al mondo feudale, in Raterio da Verona, Todi, 1973, pp. 174-175

(688) F. Weigle, Ratherius von Verona im Kampf um das Kirchengut 961-968, «Quellen und For- schungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», XXVIII (1937-1938), pp. 26-32; F. Weigle, Il processo di Raterio di Verona, «Studi storici veronesi», IV (1953), pp. 43-44; V. Cavallari, Raterio e Verona. Qualche aspetto di vita cittadina nel X secolo, Verona, 1967, pp. 69-70, 147-152; Mor, Raterio cit., pp. 182-184.

(689) Cfr. sopra, t. c. nota 345.

(690) Brühl, Fodrum, Gistum cit., I, p. 698; A. Haverkamp, Herrschaftsformen der Frühstaufer in Reichsitalien, voll. 2, Stuttgart, 1970-1971, II, p. 692, nota 77; Castagnetti, Regno, signoria vescovile cit., pp. 113-114 per la chiesa vescovile padovana; pp. 227-234 per le curie feudali, tra XII e XIII secolo, delle chiese vescovili di Padova, Treviso, Ceneda, Trento.

(691) Castagnetti, Regno, signoria vescovile cit., pp. 171-172, per Grezzana, nella Valpantena, sog- getta al capitolo.

dei vassalli. Una prima distinzione, attribuita alla sentenza ducale, concerne il titolo di detenzio- ne: “in beneficium aut non”, per cui la constitutio ducale viene fatta valere non solo per i feudi, ma anche per qualsiasi dotazione ‘ordinaria’, ovvero sui redditi o terre che dalla mensa comune vengono assegnati ai singoli canonici; si noti, tuttavia, che anche il beneficium può essere inteso anzitutto come beneficium ecclesiastico (692).

Viene poi operata una distinzione tra il beneficium detenuto dal singolo canonico e la con- cessione in feudum da lui effettuata verso altra persona. I beneficia dei canonici potevano anche non essere costituiti da dotazioni della ‘mensa’ comune, ma derivare da antiche assegnazioni ‘beneficiarie’ o, come ora possiamo definire, ‘feudali’. Anche in questa eventualità e forse ancor più, stanti le antiche finalità ‘militari’ e quindi di ‘servizio pubblico’ o ‘regio’ di tali beneficia, si presentava opportuno un controllo di tutto il capitolo, nella sostanza ad opera dei rettori dell’ente, poiché tutto l’ente poteva essere considerato responsabile.

Nel passato, del resto, tutto il capitolo aveva difeso le proprie prerogative contro quella che era ritenuta una invadenza illecita del vescovo Raterio nell’ambito dell’autonomia amministrati- va, particolarmente se questa invadenza infirmava l’assolvimento di compiti che il vescovo stesso aveva attribuito a singoli canonici con l’assegnazione di beneficia militaria, per i quali gli investiti, si noti, rimanevano vincolati al servizio regio, per la presumibile origine fiscale dei beneficia.

Paradossalmente, forse, la poca perizia del notaio Bonifacio [174] aveva potuto esprimere in modo immediato, nell’uso apparentemente equivoco del termine feudum, la sostanza reale dei beneficia o feuda dei quali si era trattato nel placito.

Se tutto, beni e redditi in godimento e assegnazioni ‘feudali’, nelle parole dell’arciprete, dei suoi canonici e del suo avvocato come nella redazione originaria del placito ducale, vengono compresi sotto il termine feudum, non dobbiamo stupirci se due anni dopo, nell’atto di investitu- ra a Tebaldo Musio, il medesimo arciprete, che adopera il termine feudum nell’indicare la natura dell’atto, appunto una investitura ad feudum, e la modalità con cui l’investito e i suoi eredi ter- ranno i beni, cioè in feudo, afferma che secondo la medesima modalità, in feudo, appunto, la propria chiesa, sua canonica, detiene, ovvero ha ricevuto, i beni dall’imperatore.