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CAPITOLO 3: RISTORAZIONE TRA CREATIVITÀ E IMPRESA

3.1 La ristorazione come business

3.1.1 La figura dello chef

La maggior parte degli chef stellati, soprattutto a due e tre stelle Michelin, si considera in primo luogo un creativo della cucina e solo in parte anche un businessman che deve far quadrare i conti della propri attività: ci sono casi in cui i cuochi sono dipendenti dal proprietario del ristorante nel quale lavorano e altri nei quali sono loro stessi i principali investitori, in termini economici. Il lato artistico del lavoro spesso prende il sopravvento, tralasciando gli obiettivi economici di profittabilità del ristorante; la difficoltà nel mantenere un livello di guadagno sufficiente risiede nel fatto che tali ristoranti sono da considerare come operanti nel mercato del lusso. Tale affermazione implica che il servizio deve essere personalizzato per ogni cliente, su misura, quindi alcuni costi non possono essere tagliati, come nei comuni ristoranti di fascia media (Surlemont e altri, 2005); i clienti si aspettano un servizio che non lascia spazio all’improvvisazione o al pressapochismo, con il rischio di formarsi una pessima reputazione. I grandi chef devono combattere per soddisfare costantemente i loro clienti con nuovi prodotti, altissimi standard di servizio e di ricevimento e ambientazioni originali (Johnson e altri, 2003). Si prenda in esame il caso del Norovirus al Noma di Copenaghen, nel marzo 2013: sessantatré clienti, dopo aver mangiato nel miglior ristorante del mondo secondo “The World’s 50 Best Restaurants”, sono stati vittime di forti attacchi intestinali, causati da un virus (il Norovirus appunto), presente sui molluschi crudi delle loro pietanze. Il caso ha destato grande scalpore e allertato Rene Redzepi, chef- padrone del Noma, che prontamente ha prestato personalmente le sue scuse ai clienti coinvolti e ha spiegato che ciò era dovuto alla mancata segnalazione di un collaboratore infetto in cucina, che ha contaminato il cibo crudo. Da questa vicenda, Redzepi ne è comunque venuto fuori a testa alta, riuscendo a consolidare il suo ristorante al vertice

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mondiale e a ricucire i rapporti con l’opinione pubblica, garantendo la massima trasparenza e accurati controlli. Una vicenda analoga, di maggiori proporzioni, accadde nel 2009 al Fat Duck nei pressi di Londra, quando furono intossicate 290 persone e il locale fu costretto a chiudere per due settimane per igienizzare la cucina e gli altri ambienti; in questo caso il danno d’immagine fu notevole, in quanto furono avanzati sospetti sul ritardo della comunicazione della presenza della contaminazione alle autorità inglesi.

Quasi tutti i grandi chef che ora hanno raggiunto i livelli più alti delle guide sono partiti da un livello più basso, dalla gavetta nei ristoranti più umili, per poi affiancare cuochi affermati nei ristoranti di maggior successo, sia in Italia che all’estero, soprattutto in Francia. La loro crescita professionale è avvenuta in maniera graduale, fino alla possibilità di essere assunti come executive chef in un ristorante di lusso già avviato o iniziare la propria attività; per realizzare quest’ultimo progetto però, sono necessari ingenti investimenti, ricorrendo all’intervento di banche e finanziatori esterni per racimolare un capitale iniziale dal quale avviare l’attività (le cifre possono variare, dai 300.000 ai 6.000.000 Euro). L’avviamento del ristorante passa anche dall’assunzione dei collaboratori in cucina e in sala, i quali rappresentano, come già detto, uno dei costi principali per l’attività: da ciò la necessità di assumere il personale più adatto per poter essere formato e rispecchiare nella maniera più fedele possibile la filosofia del locale. Il lavoro di training deve anche essere mirato a formare una forte identità di squadra, per trattenere il più possibile (alle volte anche una intera carriera lavorativa) le risorse umane a disposizione ed evitare che si disperdano nel mercato. Per ridurre l’impatto di questi costi i ristoratori sono dovuti ricorrere alla loro immaginazione e al loro spirito imprenditoriale: tra gli escamotage per rimanere profittevoli, uno dei più diffusi è quello di assumere personale con contratti a tempo determinato o per tirocini formativi. Tuttavia, in un’ottica di lungo termine, questo percorso si rivela in ulteriori costi per il continuo apprendimento che necessitano i nuovi assunti, che sarebbe azzerato nel caso di dipendenti fedeli e a tempo indeterminato: la strategia si rivela efficiente solamente nel breve-medio termine. Un metodo di maggior successo si rivela quello di ricorrere alla specializzazione dei compiti dei dipendenti e alla razionalizzazione del lavoro, in maniera da aumentare la produttività dell’attività; si può andare dalla divisione delle mansioni fino al cambiamento della disposizione dei tavoli e dell’attrezzatura in cucina per minimizzare gli spostamenti dello staff, per velocizzare il servizio al tavolo. Seguendo questa

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strada, alcuni imprenditori sono riusciti a utilizzare meno dipendenti, senza offrire un servizio di livello minore, però è necessario un costante monitoraggio dei fattori produttivi, della gestione e di previsione della domanda.

Considerando la grande maggioranza dei ristoranti stellati, ossia quelli nei quali lo chef è anche proprietario dell’attività di ristorazione, si nota come egli incarni allo stesso tempo le figure di creatore, leader, imprenditore, businessman, uomo di spettacolo e rappresentante dell’alta cucina (Balazs, 2001). Per di più sono colore che prendono le decisioni finali su come guidare un ristorante, sia dal lato creativo, relativo al menù da proporre e all’ambientazione, sia dal lato economico, riguardo agli investimenti opportuni da effettuare; da questo punto di vista, gli chef rappresentano degli uomini e delle donne capaci di assumere il doppio ruolo di creativi e di razionali allo stesso tempo.

Gli analisti del campo del management aziendale sono concordi nell’attribuire il successo di un’organizzazione, la quale riesce a raggiungere elevati standard d’innovazione e performance superiori alla media, alla gestione delle risorse umane presenti all’interno di un’azienda (De Vries, 2001). Per essere profittevole, un’organizzazione deve avere a disposizione dipendenti che dimostrino e condividano un insieme di valori, norme e comportamenti che puntino all’eccellenza. La sfida più importante per i leader di queste organizzazioni consiste nel condizionare positivamente il lavoro individuale del team, tramite la creazione di valore, influenzando la cultura dell’organizzazione stessa e diffondendo un clima d’impegno comune verso la mission, gli obiettivi, le strategie: così facendo, l’azienda otterrà una performance superiore alla media delle imprese dello stesso settore (Kets de Vries, 2001). Trasponendo questo concetto di cultura organizzativa aziendale all’ambiente della ristorazione di lusso, il successo di uno chef affermato risiede nella capacità di codificare e trasmettere la loro visione e le loro conoscenze riguardanti l’eccellenza della cucina, ai loro collaboratori e all’intera organizzazione. Gli chef ricoprono quindi due ruoli chiave: il ruolo carismatico e il ruolo organizzativo (Balazs, 2002); il primo gioca una parte importante nella formazione della strategia e della cultura dell’organizzazione, mentre il secondo concerne la struttura dell’organizzazione e il suo ambiente esterno, rappresentato da clienti, fornitori e altri stakeholder.

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Il ruolo carismatico può essere a sua volta scomposto in tre facce che devono essere presenti contemporaneamente nella figura dello chef-leader:

Leader inventivo – Il cliente che entra in un ristorante top class si aspetta di trovarsi davanti ad un’esperienza totalizzante, curata in ogni minimo dettaglio, così lo chef ricopre anche la figura di un “sarto” che modella su misura il piatto all’ospite. La chiave del successo è mutare il bisogno umano primario della nutrizione e portarlo al livello di un evento che rimanga impresso nella memoria del cliente come sogno realizzato; per concretizzare ciò, lo chef deve avere ben delineata la strada da seguire, curando ogni particolare con massima cura e trasmettendo questo ai collaboratori, talvolta prendendo anche grossi rischi, che rischiano di minare l’immagine o il fatturato dell’attività.

 Leader motivatore – Nei migliori ristoranti del mondo, i lavoratori non sono motivati solamente dal denaro, ma soprattutto poiché percepiscono le loro mansioni come utili, decisive per il risultato finale. Un leader carismatico motiva il suo personale, esprimendo grandi aspettative rispetto ai suoi collaboratori e individuando un piano che permetta, passo dopo passo, a ciascuno di poterle realizzare; i maggiori chef sono convinti che, convincendo il loro staff di poter avere un rendimento sopra la media e di credere in loro, ponendolo allo stesso tempo di fronte alla sua responsabilità, questo faccia di tutto per non deludere le attese del leader. In questo modo si sviluppa l’autostima di ciascun membro dell’organizzazione, rinforzando l’aspirazione di svolgere il miglior lavoro possibile e migliorando la performance d’insieme.

Leader energico – Comunicando la sua vision, lo chef è in grado di creare un sentimento di eccitazione all’interno dell’organizzazione, infondendo un senso di comunità tra i membri del team, cosicché questi mettano da parte i propri obiettivi personali e mettano al centro il bene del ristorante. All’interno dei locali della cucina è importante che ci siano anche momenti nei quali sia possibile stemperare la tensione, dovuta alla continua attenzione per i particolari, che è massima nei momenti nei quali la sala è maggiormente affollata; nei momenti più rilassati, lo chef è capace di tastare il polso della situazione e rinvigorire lo spirito del team con battute spiritose o semplicemente comunicando con gli altri dipendenti. Le

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condizioni di forte stress, le alte temperature, i lunghi periodi di lavoro che i membri dello staff sono costretti a sopportare, sono accettate proprio grazie al riconoscimento che viene attribuito per il loro contributo al successo aziendale. Gli obiettivi e la vision complessiva sono costantemente rinforzati tramite la comunicazione top-down e bottom-up, ma soprattutto con l’impegno profuso dallo stesso chef-leader nel suo lavoro.

Il ruolo organizzativo dello chef consiste, diversamente dal ruolo carismatico, nell’implementare una progettazione dell’organizzazione, adattando questa all’ambiente circostante e facendo sì che gli strumenti, le infrastrutture e il personale siano rivolti tutti verso il medesimo obiettivo finale, ossia l’eccellenza. Come per quello carismatico, anche il ruolo organizzativo può essere a sua volta scomposto in tre insiemi di mansioni principali che lo chef deve ricoprire per guidare un ristorante di successo:

 Organizzazione del team di lavoro – Facendo una similitudine con il cinema, per chi non è avvezzo al mondo dell’alta cucina, lo chef può sembrare una “superstar”, circondato da un cast di supporto. Tuttavia una buona fetta del successo personale di uno chef e del suo ristorante sta nel ruolo che i collaboratori ricoprono: per questo è di primaria importanza che il leader scelga con cura le risorse umane con le quali dovranno confrontarsi e alle quali delegherà gran parte del lavoro. In particolare, deve curare la composizione del top management, dalla cucina alla sala (oltre agli addetti alla parte più gestionale del ristorante nel caso di una diversificazione dei ricavi), riconoscendo i propri punti di debolezza e compensandoli, circondandosi di uno staff che colmi queste lacune. Il tratto comune di questi dipendenti è la flessibilità e l’apertura mentale, necessarie per abbandonare la loro zona di sicurezza e mettersi in gioco per imparare i segreti del mestiere (Balazs, 2002); la passione e la curiosità verso la novità sono sufficienti a colmare la mancanza iniziale di capacità lavorative. Soprattutto il sous chef, in altre parole la seconda figura più importante in cucina nella linea gerarchica, deve imparare e avere conoscenze sufficienti affinché, pur in assenza dello chef-leader, sia in grado di non far percepire al cliente la minima differenza con un piatto realizzato alla presenza di quest’ultimo.

 Controllo dei processi – Il controllo del leader dev’essere diretto verso due fronti, quello esterno, verso l’ambiente dell’organizzazione e quello interno, centrato sulle

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operazioni distanti dagli occhi dei clienti. La qualità degli ingredienti è fondamentale per i ristoranti top class, infatti ciò che differenzia uno chef tre stelle Michelin dai restanti è la modalità di selezione dei propri ingredienti; spesso i fornitori sono scelti ricercando in tutto il mondo i migliori produttori di un particolare prodotto, costruendo con loro successivamente un rapporto di fiducia a lungo termine. Riguardo l’organizzazione interna dello staff, la qualità è il filo conduttore di tutti i processi interni: l’intera organizzazione è caratterizzata dalla ricerca per l’istituzionalizzazione della qualità in ogni livello. I ristoranti top class sono esempi di organizzazioni caratterizzate dalla compresenza di un alto livello di creatività e di una forte formalizzazione del lavoro e dei processi produttivi, a volte raggiungendo un livello pari ad un organizzazione di stampo militare: la chiave per lo chef è trovare il giusto livello di standardizzazione, tale da non compromettere la creatività e l’innovazione.

 Distribuzione delle ricompense – Le remunerazioni in denaro non sono la parte più importante in un sistema di ricompense guidato dal ruolo dello chef-leader (o dell’imprenditore che detiene la proprietà del ristorante), poiché i fattori che motivano queste figure a lavorare in un ristorante di lusso esulano dal mero stipendio: è infatti il modo col quale sentono di essere considerati che li trattiene all’interno di queste organizzazioni (Balazs, 2002). Uno dei motivi che attraggono numerosi aspiranti giovani chef a trovare impiego in questi locali, è che questi non potrebbero trovare una formazione migliore in nessun’altra tipologia di struttura: imparare i “trucchi del mestiere” dai migliori chef del mondo è un vantaggio competitivo che gioca un ruolo caratteristico nella futura carriera di questi apprendisti, per trovare un lavoro in una struttura d’eccellenza o in caso di inizio di una nuova attività in proprio. Lo chef aiuta i suoi collaboratori stabilendo obiettivi di medio e lungo termine con loro e studiando un piano graduale per poterli raggiungere, definendo ruoli e responsabilità e assicurando istruzioni e feedback periodici.

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