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Firenze, depositi della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitt

Nel panorama figurativo toscano dell’Ottocento, Pietro Benvenuti ha svolto un ruolo determinante, reggendo anche in qualità di direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze, le sorti della cultura pittorica dei primi quattro decenni del secolo.

Il momento di massima gloria del “David di Firenze”, così come era stato chiamato dai suoi sostenitori ha coinciso con l’era Napoleonica, sebbene dipinti e disegni di grande importanza documentino episodi salienti della sua lunga e fervida carriera e contribuiscano a verificare la sua fase “troubadour”, e la sua attenzione nei confronti della pittura storico civile di Francesco Hayez e di Giuseppe Bezzuoli.

Certamente, quindi, Benvenuti ha avuto grande importanza come rappresentante del gusto anche nell’ambito dei contrasti ideologici tra classici e moderni scaturiti nell’ambiente fiorentino intorno al 1820.

Celebrato come valoroso pittore, che aveva riportato Firenze alla sua “originaria grandezza”, le sue opere hanno dato vita ad un vero e proprio orgoglio nazionale, godendo nei primi anni trenta dell’Ottocento di una fama che lo pose al centro di scambi culturali ed amicizie internazionali, come quella con Antonio Canova.

Non meno importante è stata la sua frequentazione di Vincenzo Camuccini e di Berthel Thorvaldsen.

Benvenuti fu insignito di riconoscimenti importanti da parte di molte istituzioni europee e non solo. Nel 1808 fu nominato membro del reale Istituto di Francia dove riscosse grande fortuna. Ma grande fama riscosse anche in patria dove agli inizi dell’Ottocento autore di una prima biografia manoscritta è stato proprio il marchese aretino Antonio Albergotti, suo protettore, amico e mecenate. Interessante per la

ricerca è stato il ricco scambio epistolare tra i due, indispensabile per la conoscenza del decennio trascorso a Roma.

La primissima formazione di Benvenuti si svolse nella città natale, presso lo studio privato di Giovanni Cimica, artista locale che dopo un soggiorno a Roma nel 1767 introdusse in città il gusto “marattesco” con il quale era venuto in contatto nella capitale delle arti prima con Pompeo Batoni e poi con Stefano Pozzi.

Officina molto importante per l’apprendistato dell’Arte fu la Fraternità dei Laici sempre ad Arezzo che finanziò gli studi di molti giovani di Talento concedendo “luoghi di studio” nelle varie discipline.

Raffaele Giovannetti (1795-1855), copia del ritratto di Pietro Benvenuti raffigurante La regina d’Etruria con i figli Carlo Ludovico e Luisa Carlotta tenente in mano il ritratto del padre Ludovico

I. Collezione privata

Ma l’elemento determinante per la crescita artistica di Benvenuti fu quando il padre Bartolomeo il 24 Agosto del 1783 fece una supplica che, dichiarando la propria

indigenza economica, chiedeva alla Fraternità di concedere al figlio quattordicenne il sussidio per studiare a Firenze o a Roma.

La richiesta fu accompagnata da una domanda scritta di proprio pugno dal giovane Pietro e da un attestato del Cimica con disegni precisi ad alcuni disegni fatti dall’artista e fu esaminata dai Rettori che assegnarono a Bartolomeo un sussidio mensile di cinque scudi per quattro anni soggiornando presso la dimora fiorentina degli Albergotti.

Ginori, servizio etrusco 1800/15

Ebbe così inizio il periodo fiorentino e nel 1785 Pietro iniziò a frequentare la nuova Accademia delle Belle Arti, da poco riformata da Pietro Leopoldo e dove ottenne premi e riconoscimenti tra i quali nel 1789 il premio di prima classe di pittura con il quadro di invenzione dal titolo Enea che fugge dall’incendio di Troia.

Del suo soggiorno Romano sappiamo che, insieme a Vincenzo Camuccini, condivise l’interesse per l’antico, per Raffaello, per i classici del Seicento e per David convinti di acquisire le padronanze del disegno come mezzo espressivo e di studio.

Tra le testimonianze del periodo romano sono Il San Sebastiano curato dalle pie donne, il Martirio di San Donato, il ritratto del vescovo Tommasi. Ma l’opera più importante del periodo romano è senza dubbio la Giuditta che mostra al popolo la testa di Oloferne della quale esistono due originali: uno custodito a Napoli al Museo di Capodimonte ed uno ad Arezzo all’interno del Duomo.

L’avvento a Firenze di Elisa Baciocchi segnò il processo di omologazione sui modelli francesi imperiali e Pietro Benvenuti divenne il pittore dell’establishment napoleonico, impegnato in incarichi di grande prestigio, come il Pirro Corsini.

Gli anni impiegati per l’esecuzione del Pirro furono ricchi di eventi importanti e come i principi Corsini, anche tutte le altre famiglie aristocratiche vicine alla corte commissionarono lavori al Benvenuti.

Il soggiorno Parigino fu grande occasione di studio ed apprendimento; al suo ritorno realizzò opere molto importanti tra le quali ricordiamo Elisa fra gli artisti e in qualità di pittore di corte realizzò Ritratto di Elisa e della figlia Napoleona Elisa.

La fama di Benvenuti continuò anche con il passaggio dall’era Napoleonica al ritorno dei Lorena: il primo Febbraio 1814 cessò il potere della Baciocchi sulla Toscana e a settembre il granduca Ferdinando III prendeva possesso di Firenze, impegnandosi a recuperare le opere trafugate dai Francesi e nel completamento dei lavori del primo piano di Palazzo Pitti.

Della Valle attr. 1807 Palazzo Pitti

Comodino, Giovanni Giascomelli, 1804, legno impiallacciato di acero con intarsi di palissandro e ebano; piano di marmo broccatello di Spagna, cm 76 x 51 x 33,5

Il comodino ed il suo pendant, ora in deposito alla Camera dei Deputati, figurano descritti nell’Inventario dei Mobili di Palazzo Pitti redatto a partire dal 1802. Infatti al 30 Marzo 1805 sono registrati “due tavolini di notte impiallacciati di acero rosso, con sportelli davanti impiallacciati come sopra e fregettati di noce d’India bianchi e neri, incassatovi due figurine baccanali e piano sopra di broccatello di Spagna, con borchie e maniglia di metallo inargentato” che dovevano servire ad arredare, insieme al precedente armadio, la Camera da letto della Regina d’Etruria.

Giovanni Giascomelli ne è l’autore, insieme al marmista Giuseppe Corsi, che il 30 Aprile dell’anno precedente era stato pagato dalla Guardaroba granducale per aver consegnato due “tavolini da notte con sportellini da avanti impiallacciati di nocie nostrale e filettati diversi colori e fregiati di listra risaltata di ciliegio e fatta la intelaiatura per incassarvi il marmo per il piano, tutti ferrati con ferramenti della Guardaroba tutti lustrati a ciera”.

L’armadio fu realizzato dall’ebanista Giovanni Giascomelli (Chiarugi, 1994, p. 483) e “compagni falegnami” entro il 25 Giugno 1805, data in cui l’artigiano ricevette dalla Guardaroba il saldo del compenso per aver eseguito appositamente per la camera da letto della Regina d’Etruria un “armadio di Ontano impiallacciato di acero e fregettato di legnami diversi orientali con fascia da capo intarsiatovi figurine diverse e quattro sportelli con ovatino intarsiatovi figurine e mascheroni. Entrovi due cassette per da piedi e quattro… sopra con diversi palchetti e scalette” (IRC 4690, c. 864). Il mobile completava una serie di arredi simili comprendente anche due comodini con uguali decorazioni ad intarsio e per i quali il Giascomelli, insieme al marmista Giuseppe Corsi, era stato pagato nell’Aprile dell’anno precedente.

Bibliografia:

Colle, 1998, p. 397, n. 22 a.

PIETRO BENVENUTI

(Arezzo 1769 - Firenze 1844)