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Il fiume carsico della poesia gaddiana Per una ontologia del salto

ovvero il paesaggio come (arche)tipo poetico e metafora esistenziale.

III.1. Il fiume carsico della poesia gaddiana Per una ontologia del salto

Il motivo dell’impossibile (re)integrazione449

del soggetto rispetto a un contesto vitale avvertito come distante e talora ostile – sul quale mi sono provata a modulare la conclusione

448 L’impostazione teorica di questo capitolo – imperniata sul motivo del salto e sulla metafora delle

dinamiche fluide di sommersione-emersione, cui resta saldamente connesso il latente ma decisivo motivo della vendetta – deve moltissimo alla guida e ai contributi critici dedicati da F.G. Pedriali alla varia e affascinate questione dei salti energetici-scrittori, come alla gravità e al declinare acquatico e teoretico, sviluppati in primis nel citato volume del 2007 (Altre carceri d’invenzione. Studi gaddiani), ma soprattutto rilanciati e approfonditi nell’ambito del seminario gaddiano da lei diretto presso l’Harvard University tra il settembre e il dicembre del 2014. Le mie pagine sul più nutrito e centrale gruppo compositivo del corpus dell’Ingegnere sono andate definendosi all’ombra di quelle lezioni, che hanno offerto una straordinaria chiave strutturale e metodologica a una materia di per sé assai eterogenea ma per gran parte accomunata proprio dal ricorrere, scorrere e precipitare (reale e metaforico) di fiumi, laghi, torrenti. Il paragrafo introduttivo, volto alla ricostruzione di una “ontologia del salto”, si appoggia in particolare – piegandoli ovviamente agli scopi della mia originale analisi poetica – ad alcuni scritti gaddiani di divulgazione tecnica (talora nemmeno raccolti in volume) la cui significante convergenza sul salto è stata per l’appunto messa in luce da Federica Pedriali, che me ne ha proposto per la prima volta una lettura combinata in prospettiva filosofica: mi riferisco, in particolare, a contributi come

Caratteristiche del problema idroelettrico e L’assetto economico dell’Impero – i problemi idro-elettrici, da

leggersi soprattutto alla luce del paragrafo dedicato ai Fini della Meditazione milanese. Queste dunque le imprescindibili basi – cui si farà in seguito ulteriore, più puntuale menzione – sulle quali si è costruita la mia personale indagine sui versi gaddiani che seguiranno: esplorando i detti materiali con particolare atenzione per le dinamiche e i contatti con la specifica materia poetica, e dunque con l’equazione pensiero = poesia, nonché con le modalità auto-rappresentative ed enunciative dell’io, il vettore interpretativo del salto mi ha concesso di sviluppare un percorso in grado di restituire alla poesia gaddiana il suo più autentico statuto fisico e intellettuale.

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di una fase analitica ancora preliminare – sta alla base di una proposta di metodo in grado di accordarsi al successivo declinare tematico e cognitivo delle Poesie. È infatti proprio sui salti (filosofici e, verrebbe voglia di dire, climatici, tonali, di genere) di un Gadda-giraffa o Gadda-canguro impegnato a contaminare l’ordinato giardino dei letterati di professione – il quale ricorda, per diminutio, la più nobile immedesimazione nella tigre dell’omonimo raccontino del ’36450

– che sembra costruito il blocco centrale della raccolta, databile tra il 1919 e il 1922 e quasi interamente conservato nella più volte nominata busta arancione risalente agli anni Trenta.451 Mi sembra interessante notare, per inciso, come proprio la stranezza, o quanto meno la difficoltà classificatoria cui Gadda ascrive se stesso e la sua produzione nello stralcio epistolare rivolto a Tecchi – e che appare riflesso di un più ampio problema identitario, nel quale si fondono istanze letterarie e fisico-soggettive – abbia offerto in tempi recenti lo spunto a un contributo critico che indaga le immagini di un certo modernismo volto a negoziare e ridefinire uno spazio alternativo della corporeità. Nelle primissime battute del suo volume del 2012 – suggestivamente intitolato Giraffes in the Garden of Italian Literature – Deborah Amberson recupera infatti proprio la particolare scelta fisiologica gaddiana, per riconoscervi un cruciale “nexus of body, subjectivity and style”:

What is striking about Gadda’s choice is not so much the undeniably non-Italian nature of the giraffe and the kangaroo but, rather, the somewhat ungainly physicality of both animals. The enormously long neck of the giraffe and the hopping gait of the kangaroo make it impossible to conceive the animal without thinking of its material body. […] Gadda selects animals that simply cannot be disentangled from their rather inharmonious physicality.452

449 Vale la pena ricordare – sulla scorta della Meditazione milanese, che si rivelerà testo centrale per

l’esame del blocco poetico proposto in questo capitolo – come l’atto della (re)integrazione sia fondamentale per la formazione positiva del soggetto: “Lo svilupparsi psicologico, il crescere, l’adolescere non sono altro che una continua integrazione della propria realtà, un arricchirsi di relazioni reali che deformano il sistema iniziale in uno più vasto (in senso che dirò positivo o di aumento): e così pure il rinchiudersi nelle proprie idee fisse, l’incartapecorirsi, il rimbambire: (in senso regressivo)” (I stesura, p. 193).

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Cfr. supra, p. 174 e ss.

451 Anche se il riferimento cronologico vergato sulla busta non supera il 1921, occorre infatti ricordare la

già menzionata inclusione in essa del poemetto Viaggiatori meravigliosi, che altre tracce gaddiane ascrivono al ’22 (cfr. infra, pp. 396-397). Alle undici poesie conservate nella busta andrà poi unita Piani di sole e liste, pubblicata su «Strumenti critici» nel 1967 ma datata dall’Autore al 1919 (e di cui è irreperibile il manoscritto). Nel seguito del capitolo si farà pertanto riferimento alle dodici poesie della fase 1919-1922. Ciò non tiene conto, invero, della presenza di un ultimo testo appena più tardo (risalente al 1924), il quale è ad ogni modo così fortemente relazionato a uno dei componimenti del gruppo, da risultare ad esso sostanzialmente omogeneo.

452 D. Amberson, Giraffes in the Garden of Italian Literature. Modernist Embodiment in Italo Svevo,

Federigo Tozzi and Carlo Emilio Gadda, London, Legenda, 2012, p. 1. Al di là di questa suggestiva

introduzione – che sollecita un’ampia riflessione sui vari fenomeni corporali/identitari come piattaforma per una rivalutazione del modernismo dei tre autori chiamati in causa – il volumetto si attesta in verità sulla ripetizione di luoghi comuni (valga, per tutti, proprio la rilevanza in Gadda dei “genedered bodies” (p. 150) e della marcata influenza dei corpi femminili nella rappresentazione del sé autoriale, come della lingua e della sua instabilità).

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La questione della disarmonia – che è in un certo senso implicita nel concetto stesso di salto, letteralmente inteso come il movimento con cui ci si stacca temporaneamente dal terreno, talvolta implicando un repentino cambio di pendenza o di dislivello – sembra dunque connaturata al delinearsi di un profilo nel quale la materialità (e la disomogeneità) del corpo fa tutt’uno con la scrittura. In tal senso, il triplice nesso corpo-salto-scrittura – possibile alla luce della “ungainly physicality” degli animali chiamati in causa in un passo che ha esplicitamente a che fare con la pratica letteraria – non viene tuttavia adeguatamente sviluppato dalla studiosa. Mi pare invece tutt’altro che trascurabile che almeno uno dei due animali ai cui movimenti l’Autore associa la dinamica del suo scrivere si sposti appunto per salti: implicando la sua arte – come si è visto, anche quella direttamente poetica – una serie di ampi fenomeni ecfrastici e interdiscorsivi che coinvolgono innumerevoli riferimenti e modelli tra loro in diacro e sincronia. Per quanto possa valere per il Gadda positivista la formula di Darwin “la natura non fa salti” – e “non datur saltus” egli stesso ripete in un luogo del Pasticciaccio453 – i versi iniziali delle Poesie testimoniano del resto di un flusso tematico e narrativo ricostruibile solo a partire dall’interazione di molteplici elementi microscopici e alternati, la cui sovrapposizione sembra contraddire quella curva “isoperimetrica” del dispendio minimo di cui l’Autore parlava nella nota n. 12 dell’Adalgisa, alludendo con ciò alla tenenza della Natura a seguire criteri sostanzialmente economici nel costruire le sue forme. Gli esaminati componimenti, al contrario, si sono rivelati una specola d’eccezione per osservare “sottili, rivelatrici corrispondenze”454 che si delineano attraverso fratture, interruzioni e riorganizzazioni successive: relazioni, ripetizioni e simmetrie occulte, radicate nel profondo (quasi nell’oscuro), ma le cui fonti e implicazioni emergono solo con la complicità di un movimento altalenante tra opere, momenti e risultati creativi (centrali o periferici che siano). Le connessioni e rifrazioni di immagini e significati inaugurate dal capitolo precedente possono quindi indirizzare questa nuova parte del percorso ermeneutico, che si troverà a recuperare temi chiave, questioni empiriche – ovviamente paesaggistiche, fortemente connotate in senso cognitivo/introspettivo – e scelte stilistiche, la cui incidenza quantitativa, supportata anche dalla disponibilità di carte autografe, collabora alla definizione delle qualità più mature della voce poetica gaddiana. Lo sviluppo di quest’ultima – complice la riorganizzazione a posteriori della raccolta – appare saldamente ancorato al trittico 1910-

453 Benché l’adagio sia lì – come si vedrà più avanti – velato di incredulità, a fronte di un repentino

prevalere proprio del caso nell’investigazione. Cfr. RR II, p. 185.

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1912 e, in particolare, al modello della Cognizione.455 Nemmeno è un caso, in tal senso, che il canguro sia l’animale cui nel romanzo è associata la fisiognomica di Gonzalo:

Il viso triste, un po’ bambinesco, con occhi velati e pieni di tristezza, col naso prominente e carnoso come d’un animale di fuorivia (che fosse tra il canguro e il tapiro) […]. [La cognizione del dolore, p. 162]

Come hanno provato le lunghe digressioni delle pagine precedenti, la Cognizione è del resto il testo essenziale alla luce del quale appare strutturata la prima fase della poesia di Gadda, la calamita verso cui gravitano, come verso un irresistibile polo d’attrazione, i Leitmotiv originatisi nella prima giovinezza; e cognizione è il procedimento logico-intellettuale attivato dal rinvenimento di fonti e richiami occulti nei versi. Spiega Gadda nella già nominata intervista televisiva del ’63:

Cognizione è anche il procedimento conoscitivo, il graduale avvicinamento ad una determinata nozione. Questo procedimento può essere lento, penoso, amaro, può comportare il passaggio attraverso esperienze strazianti della realtà. La morte di un giovine fratello caduto in guerra può distruggere la nostra vita. Si ricordino i versi disperati di Catullo.456

L’estratto mi pare di estrema rilevanza: intanto per il non detto – ma alla mia disposizione di lettrice gaddiana inevitabile – cortocircuito paronomastico passaggio / paesaggio (avallato dall’etimologia che lega entrambi i termini a un luogo, dato o da attraversarsi che esso sia); quindi per l’associazione forte e diretta del romanzo normalmente ascritto alla problematica materna con la sfera di Enrico. Associazione che le prime tre poesie confermano, sebbene in esse non vi sia alcun riferimento esplicito né a Catullo – il quale è semmai presente attraverso una mediata, tutto sommato però focalizzata sul soggetto poetico escluso, citazione foscoliana – né al fratello (direttamente nominato, come si è già visto, solo nell’epitaffio tombale). Il modello dei “versi dolorosi” del poeta latino – che uno scritto gaddiano del 1945457 consente di identificare con Carmina 68 e 101 – sembra insomma non attecchire

455 Vale la pena ricordare, a tal proposito, come Maria Antonietta Terzoli ascriva, nel più volte citato Alle

sponde del tempo consunto, le Poesie alla sola preistoria della Cognizione, vincolandone altresì l’influenza alla

mediazione di nuclei tematici estratti dal Re pensieroso di Betti, il cui impatto sul romanzo è a sua volta illuminato per il tramite della recensione gaddiana alla raccolta del compagno di prigionia. Ferma restando la validità delle associazioni proposte – relative in particolare proprio ad alcune poesie del secondo gruppo temporale e che mi riservo dunque di recuperare in seguito – è mio interesse ribadire la necessità di complicare il processo derivativo Poesie → Cognizione, per suggerire una più complessa pratica di reversibilità e influenza reciproca; alleggerendo in parte il legame Gadda-Betti, da rivedere anche alla luce degli scarti.

456 C.E. Gadda, Intervista televisiva per il Prix International de Littérature, cit., p. 87.

457 Si legge ora tra gli Scritti dispersi (SGF I, pp. 898-903) il testo Catullo-Quasimodo, apparso su «Il

Mondo», n. 8, 1945 come recensione della coeva opera traduttoria di Quasimodo (Catulli Veronensis Carmina, Milano, Edizioni di Uomo), che invero non incontra per nulla il gusto gaddiano, poiché colpevole di aver voluto

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nelle Poesie gaddiane; benché quasi la metà di queste ultime siano state scritte post-mortem di Enrico, nei primi mesi del 1919, subito dopo il ritorno di Carlo Emilio dalla prigionia. Anzi, a essere più precisi, a quest’altezza cronologica le poesie sono contemporanee o meglio ancora sostituibili al Giornale, che si interrompe il 1 aprile del medesimo anno, sul nome del fratello, per riprendere il giorno 22 maggio: nel mezzo, nel corso di quaranta giorni, si colloca la stesura di numerosi testi poetici; i quali, pur contenendo degli accenni al personale trauma della perdita, della prigionia, e della conseguente vergognosa condizione di reduce, non ci si sentirebbe di ascrivere all’espressione di una disperazione propriamente catulliana. Non vi è, insomma, vero e proprio pianto di dolore per Enrico, che non appare mai (nemmeno come fratello), diversamente da quanto accade nel Giornale. Si avverte piuttosto una presenza fantasmatica dell’altro (doppio e antagonista, anche in absentia), la cui pur immateriale pesantezza influenza la complessa dinamica di una voce poetica che tenta di definirsi, negoziando, ritagliando e confondendo lo spazio dell’io con quello del noi. Al di là dell’influsso fondamentale dell’architesto-Cognizione, affiancato dal binomio Racconto italiano-Meditazione milanese, la questione cainica di cui tanto si è detto nell’ambito del II capitolo si svela così direttrice interpretativa essenziale per i testi 1919-1922; tanto più che essa dinamica è intimamente legata al problema della legittimità, già adombrato nelle prime poesie ma soprattutto esprimibile come un esilio, uno scarto, un salto insomma (generazionale, affettivo, e in ultima analisi letterario) che non conosce risarcimento. Scrive Federica Pedriali nel citato saggio Traces of Cain (mark of Cain):458

If it is true, as Quinones states in his Changes of Cain that the “primary experience of human condition is that of difference and division”, and that “only Cain’s awareness, if any, can lead to reintegration”, in Gonzalo’s case cognition is indeed a passive process, as no sign of reintegration blesses his questioning rebellion.

Il salto, in altre parole, non viene colmato a livello psicologico, la reintegrazione non si verifica; la dialettica emotiva Carlo Emilio-Enrico resta irrisolta così come irrisolte permangono le irregolarità tematiche e stilistiche, il cui convergere e interagire ricompongono un’opera di fatto attraversata da discontinuità e che raggiunge una sensazione di fluidità solo previa rotture, ristrutturazioni e mescidazioni continue. In modalità non

incatenare il Catullo “padrone assoluto dello sberleffo e del cipperimerli, contaminatore sorprendente ed elegante” al “guinzaglio dei modi forbiti”, ovvero a un certo “decoro aulico”, congeniale al traduttore ma poco adatto a rendere “l’impeto, il dolore, la impotente rivendicazione, la tristezza puerile, la oscenità gloriosa, lo scherno” dell’originale, espressi nel continuo stridere di metri ora sincopati, ora parodici, ora elegiaci.

458 Dove, per altro, la studiosa non manca di alludere alla partecipazione degli stessi testi poetici al

problema del rapporto identitario e fraterno, come tentativo (mancato) di superamento ed esorcizzazione del lutto: “For this is his attempt to alleviate a painful state of mind”.

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dissimili, a partire dal declinare terrestre del terzetto iniziale – di cui la raccolta si propone come una sorta di emanazione costantemente variata, della cui intenzionalità saranno prova gli interventi correttori – le poesie procedono come un flusso degradante, ma creato per dislivelli, che realizza molteplici estensioni del paesaggio. Quest’ultimo sarà in primo luogo osservato, nelle dodici poesie che seguiranno, non più secondo una traiettoria visuale che dalla casa, e in particolare dalla terrazza, spazia verso l’esterno (a sua volta ancora abbastanza limitato ai dati umani e naturali circostanti): lo spettro delle cose viste, al contrario, si amplia adesso vertiginosamente, inglobando altri panorami – dalle montagne alle più celate falde acquatiche; dai cieli stellati agli oceani; dalle opere dell’uomo che attraversano la vita di superficie alle sedimentate profondità della terra – ricordando semmai il movimento rintracciabile alla fine dell’ultimo tratto della Cognizione, ove la prospettiva osservativa non è più vincolata al luogo-villa, spostandosi al di fuori. Gli elementi estratti dai primi tre testi mantengono, in ogni caso, la loro annunciata funzione di linee guida tematiche; delle quali pure si registra un’evoluzione e un approfondimento semantico e simbolico. È l’elemento acquatico in particolare – su cui si chiude di fatto il trittico 1910-1912, che culmina nella sostituzione al giardino, inteso come spazio privato dell’io, dell’impetuoso torrente infernale – a rivelare un’essenziale valenza poetico-filosofica, a sua volta iscritta nella dinamica tra altezze e cavità abissali: principi oppositivi ma pure ambedue ancorati alla sfera dell’incredibilmente lontano e incommensurabile.

In tal senso, la metafora del salto, combinata al concetto di corrente e discesa, risulta particolarmente congeniale ad affrontare la lettura di questo nuovo blocco versale; tanto più che il paradigma di tale fenomeno cinetico e gravitazionale è caro al Gadda ingegnere idroelettrico, che di fatti lo utilizza sovente sia nelle pagine di divulgazione tecnica – il cui potenziale è stato spesso, a torto, sottovalutato459 – nonché nella Meditazione milanese, dove

459 Il “discorso energetico” su Gadda è stato – almeno per quel che riguarda un’attenzione comprensiva

verso la specifica materia degli scritti tecnici – impostato da Andrea Silvestri, già docente di Impianti Elettrici al Politecnico di Milano, il quale nel 1986 ha raccolto nel volume Azoto e altri scritti di divulgazione scientifica (Milano, Scheiwiller), i testi pubblicati da Gadda su vari giornali e riviste specialistiche, fino a quel momento non raccolti in alcun volume d’autore (e ora confluiti nel tomo SVP delle Opere Garzanti, da cui si citeranno in seguito). Alle menzionate lezioni di F.G. Pedriali – come, in particolare, ai materiali indagati nel VI capitolo del suo libro del 2007: Fistola in succhio. Chiamate idrauliche per l’Adalgisa (pp. 105-163) – si rimanda invece nuovamente per il successivo attraversamento critico di queste pagine “sullo sfruttamento tecnico del potenziale energetico-catastrofico del dislivello” (ivi, p. 150) e per parte della selezione testuale affrontata delle stesse (cfr. ivi, p. 138, ove cade, per inciso, pure un riferimento alle poesie, saltuarimente implicate nel lavoro della sudiosa sul “motivo della declinazione, per inclinazione (di un piano) e scorrimento”).

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l’immagine del salto fluviale è molto precoce, iscrivendosi nell’ambito degli esempi che corredano il II paragrafo (La grama sostanza), che qui si cita dalla II stesura:460

Le macchine reali pervengono quindi a una forma diversa e lontana, da quella che la fantasia finalistica ci aveva indotto a dover auspicare: esse sono sature di espedienti e grossi gnocchi dovunque, voluti dal bruto indugio della realtà: come lo stelo d’una pianta, che sia cresciuta nel dibattito delle tempeste, è contorto e par l’immagine d’un caparbio resistere: e come l’anima anche dell’uomo ch’è germinata pura nel suo mattino, ed è alla fine | un grumo di deformità e di perverso dolore. E il richiamo del preesistente logico o materia è talora così brutale ed intenso che l’imperio de’ fini vanisce, a quel modo che dileguano nella caligine le vette dei monti lontani.

Un esempio. Il fine fece desiderare agli umani la costruzione di alternatori ad

asse verticale, perché questa struttura consente risparmio di spazio e di costo de’ fabbricati: non che un migliore emungimento del salto fluviale. Ma la costruzione

di alternatori siffatti proponeva alla mente esecutrice la difficoltà grande del sospendere le gravi ruote e il lor asse: si ebbe ricorso, com’è pensabile, a delle sfere di acciaio duro e a un lenimento della pressione d’appoggio mediante olio in pressione. Il dispositivo non contentava li umani, ché il costo della manutenzione era elevato e frequenti gli arresti. [Meditazione milanese (II stesura), p. 21; grassetto mio]

Inizialmente modulato su immagini naturali le quali – specie quella che rimanda alle altezze montane, caricandole di un prevedibile valore etico – si accordano alle determinazioni atmosferiche che si è già visto associate alle poesie, il passo offre un’estrinsecazione della dinamica per cui tra le elaborazioni del pensiero e l’esecuzione pratica delle sue “fantasie finalistiche” si interpone spesso il “bruto indugio” della materia; materia che inibisce il disegno intellettuale che si prova a rispondere a un problema. La difficoltà di realizzare un certo tipo di alternatori – macchine elettriche rotanti basate sul fenomeno dell’induzione elettromagnetica, che trasformano energia meccanica in energia elettrica sotto forma di corrente alternata – è un exemplum del detto contrasto; il salto fluviale, preliminare alla produzione dell’energia idroelettrica, viene dunque assunto come fine di un’attività non solo tecnica ma cognitiva:461 scelto per illustrare una posizione filosofica, esso diviene matrice di

460 Dove il passo risulta ampliato e, a mio parere, più incisivo, non fosse altro per quei due punti –

gaddianissimo mezzo di potenziamento della ricerca e dell’espressione linguistica della conoscenza – che