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4 «Ogni poema è nel mondo infinito»: proposte di metodo per la lettura delle Poesie.

Se due lavori dell’arte hanno un fondamento comune, cui debbasi in modo necessario riconoscere come intrinsecamente comune, questo fondamento è materia. [...] Se due novellieri ritraggono con ʽsensibilità diversaʼ come si dice oggi un oggetto comune: quella favola o storia comune è materia per le loro interpretazioni diverse, in quanto esse vengano pensate conecessarie nella attività espressiva della stirpe, fronde sul ramo. La designazione volgare di ʽmateria del poemaʼ è meno superficiale di quanto si creda, ovunque si pensino i momenti espressivi come disgiunti e differenziati da un comune identico. Naturalmente quelli che credono nell’automobile pacco postale, credono anche nelle «Georgiche» pacco postale, nato per sé, vivente in sé, avulso da tutto, chiuso nella scatola buia del singolo. Ma ogni poema è nelle latebre delle stirpi profonde, e nelle genti e nel mondo infinito. [Meditazione milanese (I stesura), pp. 57-58]

Se nessuna singola opera – fisica o letteraria che sia – può essere considerata un “pacco postale”, in sé conchiuso e perfettamente autonomo e coerente, non sembrerà azzardato asserire che il sostanziale abbandono delle Poesie nella zona più oscura della produzione gaddiana abbia privato la comprensione piena della stessa di un tassello primario: a tale lacuna si può certo imputare il senso della varietà e contraddittorietà delle attuali letture critiche.

Il fine del lavoro di analisi e commento del corpus che seguirà sarà dunque volto a restituire – tramite l’approfondimento del ruolo giocato dalle intuizioni poetiche nell’interconnessione, logica più che temporale, tra le varie “forme di scrittura” gaddiane – un’immagine articolata dell’opera dell’Ingegnere, che stringa in un nodo alchemico presente, passato e futuro.Nell’ottica del metodo ricostruttivo gaddiano delle cause di fatti e cose, mi proverò cioè a illustrare la contaminazione tra prosa e poesia – di cui si sono fin qui inseguite unicamente le premesse teoriche – partendo proprio dal contesto dei versi, per dimostrarne la specificità senza postulare una presuntamente univoca preminenza dell’uno o dell’altro genere: non sono infatti solo le poesie ad agevolare la comprensione di certe strutture nella prosa, ma anche quest’ultima e l’ispirazione filosofica a riflettersi a posteriori nei ritmi vari dei componimenti. Base imprescindibile delle riflessioni che seguiranno è del resto l’ipotesi che tra prosa e poesia gaddiana esista una continuità ontologica se non strutturale: ragion per cui sarà da evitare qualsiasi discorso di tipo derivativo, cui dovrà essere preferito uno studio dei mezzi di organizzazione della materia verbale comune ai due generi, ovvero della reciproca polarizzazione e articolazione di attinenze e difformità tra la prosa e un certo tipo di concertazione poetica.

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Cronologia e passi paralleli.

A tale scopo, l’esame del corpus verrà condotto mediante l’accostamento di esempi testuali raggruppati per affinità cronologica: articolandosi il lavoro in due principali capitoli, adeguati agli altrettanti blocchi temporali in cui si suddivide la più parte delle poesie (1910- 1912; 1919-1922/24); cui seguirà un altro dedicato ai componimenti, quasi tutti pubblicati in vita dall’Autore, basati sull’imitazione o sulla traduzione di modelli poetici e collocabili nelle fasce 1931-1944 / 1952-1963. Un primo livello di indagine – volto a scioglierne l’oscurità comunicativa – vorrebbe essere quello cosiddetto dei “passi paralleli”, grazie al quale un testo più o meno difficile si spiega attraverso il ricorso a un altro testo del medesimo autore; così nelle parole di Antoine Compagnon:

[La méthode des passages parallèles] est un procédé essentiel des études et de le recherche littérarie. […] Comprendre, interpréter un texte c’est toujours, inévitablement, avec de l’identité, produire de la différence, avec du même, de l’autre: nous dégageons des différences sur fond de répétitions.289

Il corpus va cioè posto in connessione con i testi maggiori e minori (scritti dispersi, traduzioni, carteggi) di Gadda, per cercare aderenze reciproche che valgano a illuminare – prendendo a prestito un’azzeccata definizione dell’Ingegnere relativa alla poesia montaliana – la sua “incessante proposizione di enigmi”.290 Tale pratica postula, una volta di più, una salda unità artistica, ossia una coerenza strutturale dietro le differenze di genere, che superi i limiti di ciascun estratto singolarmente considerato per aprire all’intertestualità. A partire dall’insieme delle opere dell’Autore e attraverso un dettagliato lavoro di interpretazione sui vari loro elementi costitutivi, procederò quindi allo studio delle corrispondenze visibili e occulte, tenendo conto del sentimento profondamente sinfonico che informa la produzione gaddiana, e cercando altresì di mettere in luce il meccanismo di duplice influenza tra testi prosastici e in versi (i quali assimilano spesso le istanze logico-narrative dei primi), nonché un latente progetto di libro poetico. L’esame di un incessante andirivieni tra testi – il cui dialogo fortemente immaginativo consentirà di enuclearne la relazione macroscopica a livello di genere – sarà rivolto a delineare i contorni di un grande progetto di fusione espressiva tentato da Gadda al di là delle sue prove individue: risultato (e percorso) complessivo del suo lavoro di scrittore.

289

A. Compagnon, Le démon de la théorie, Paris, Seuil, 1998, p. 71.

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Topoi e Leitmotiv.

L’interpretazione sarà pertanto attuata nel segno della ricerca di motivi organizzatori e strutture aggreganti, nel tentativo di approdare pure a una più completa valutazione di temi e nuclei letterari, autobiografici e psicologici che si intrecciano nei componimenti. Le Poesie si configurano infatti come una grande ipotiposi dell’opera gaddiana: vi si possono ritrovare, oltre a figure ed effetti linguistici, anche i suoi topoi più frequenti, di cui si è fatta menzione nel corso di queste pagine. Si potrebbe anzi dire che le Poesie siano una vera e propria miniera di luoghi, in senso non solo traslato (si può parlare del corpus come successione di tappe cognitive), bensì pure reale, paesaggistico. Vale la pena, per chiarire la questione, riprendere un passo da uno degli scritti su Montale, precisamente da quello del 1932:

La Liguria terrestre ed equorea è lo spunto da cui move la poesia di Montale: e divien simbolo nell’attuazione della conoscenza e nella consumazione del dolore. Non vano, non vago, non gratuito, non «voluto», questo «paese» (o questo ribollente mare) è la culla storica della poesia di Montale: ma la realtà scenografica si trasforma in una «necessità» lirica: si sente sùbito quanto il paesaggio divenga necessario simbolo d’altra emozione, connaturato mezzo d’altra e secreta imaginativa. Come la nostra conoscenza estetica si distende nelle «forme», cioè nei mezzi primi ed intrinseci, dello spazio e del tempo, così gli aspetti della Liguria montaliana sono l’alfabeto magico a mezzo del quale si adempie la possibilità espressiva del poeta. [SGF I, p. 766]

Il paesaggio appare qui simbolo dell’attuazione della conoscenza e del dolore, quasi mezzo topografico di strutturazione del conoscere. E in Montale o l’uomo-musico, addirittura, Gadda provvede a instaurare una taciuta ma pure indubitabile equivalenza tra la Casa Monterosso (“la casa delle mie estati lontane”, così come è citata direttamente da Montale) e la villa in Brianza: nelle radici del paesaggio sono cioè riconosciute le fonti stesse della sofferenza, tramite un percorso però sempre razionale. Le profondissime implicazioni geografiche delle Poesie – si ricordi, del resto, che la terra è per Gadda la densa impalcatura di ogni rappresentazione – sono dunque un altro, non meno importante aspetto del lavoro che si vorrebbe proporre: la ricostruzione del paesaggio, dei suoi annessi storici, tecnici e letterari, come pure delle sue riprese e mutazioni successive (specie per quel che riguarda il nucleo centrale della Cognizione), costituisce un momento fondante per dare evidenza alla traccia esistenziale che attraversa il corpus.

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Modelli.

Nell’attraversare la genesi materiale e intenzionale dei testi, essenziale sarà poi l’indagine sul loro retroterra culturale, sui modelli e le influenze cui Gadda è, in varia misura, debitore; e per descrivere la tensione imitativa – esaminata solo nelle sue risultanze prosastiche – presente nei versi secondo modalità peculiari, si potrebbe ancora una volta ricorrere al primissimo saggio montaliano, visto che anche l’Ingegnere

[...] crea valori ritmici originali, e pur li controlla. Sono valori suoi, e non d’altri. Coglierete è vero, qua o là, un fugace spunto altrui, Palazzeschi o Gozzano, è stato detto: allora si potrebbe dire una o due note di D’Annunzio: una o due note baudelairiane. E altri peli nell’ovo. Più appariscenti alcune riprese d’un certo leopardismo, talora ingenuamente rifatto, talora acutamente, impercettibilmente ironizzato. E, com’è ovvio, la superata esperienza mallarméiana. Ma è breve l`attimo ch`egli si appoggi. Rilevàtosi, procede solo, in una solitudine, a certi momenti, splendida.

[SGF I, pp. 769-700]

Proprio come Montale – la cui influenza diventa col tempo determinante – Gadda poeta ha i suoi propri ritmi; pure vi si coglierà qua o là qualche spunto altrui, spesso nato (come nel caso del Betti) dalla volontà di emulazione e conferma letteraria e presto superato in una originale interpretazione del modello. Valgono – come per il maestro ligure – quelle “una o due note di D’Annunzio: una o due note baudelairiane”, nonché un “certo leopardismo” talora ironizzato; ma la mutevole posizione dell’Autore nei confronti delle varie presenze letterarie nei suoi versi risulta utilissima per valutare significati e implicazioni del suo stile. Tanto più che, in qualche caso, la dipendenza – in forma di imitazione o di scoperta traslitterazione – dei componimenti di un precedente italiano, inglese o francese (tra questi ultimi in particolare Baudelaire, Shakespeare e Whitman) è indicata dallo stesso Gadda e vincola l’analisi delle Poesie alle questioni fondanti di plurilinguismo e traduzione, riflessi diretti del fondamentale nodo gaddiano di identità e autorappresentazione.

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«Occhio aperto» e «studio appassionato».

Conviene terminare questo catalogo di spunti interpretativi – proseguendo ancora sulla falsariga montaliana – con qualche consiglio che Gadda stesso suggerisce ai lettori di poesia, per così dire, “oscura”, non immediatamente trasparente. Agli Ossi di seppia, in particolare, è rivolto il ricordo dell’Autore che, alla fine degli anni Sessanta – e dunque alla luce di più di trent’anni di agguerrita critica su una delle raccolte poetiche più importanti del Novecento – rammenta come all’uscita prima dell’edizione, si offrisse al fruitore un oggetto artistico ancora misterioso, incerto, a sciogliere il quale potevano valere, in mancanza di guide esegetiche, solo un’“intenta lettura” e uno “studio appassionato”:

Se il fine del leggere è conoscenza e partecipazione dell’opera, il mezzo per avvicinare questo fine è intenta lettura. Tale studio appassionato, nelle primavere del 1931 e 1932, non si concedeva se non ai già chiamati, ai già pronti. Non soccorrevano alla nostra prima ricerca dell’idea, del suo valore emblematico e della sua possibile estensione le ancor future indagini di una militante pluralità di critici insigni e di esegeti in gara d’ingegno. E forse a noi stessi piaceva di misurare le nostre forze con quello che a noi e a molti appariva ancora oscuro ed incerto. [SGF I, p. 1215]

Non è molto diverso quel che si richiede a chi voglia attraversare consapevolmente le Poesie gaddiane, la cui superficie a tratti del tutto intransitiva non è stata ancora rischiarata da studi adeguati. La loro insidiosa ermeneutica richiede una battaglia tutta intellettuale che tenga conto dei molteplici livelli letterari e circostanziali che mi sono provata a sollevare in questa panoramica sul contesto teorico e umano del corpus; e che non dimentichi, soprattutto, lo speciale significato della poesia:

Poesia non è lungo discorso, non è cronaca enrarrativa del perché e del come e del prima e del poi: è, piuttosto, sintesi e fulgurazione, dopo le brume o le nuvole ampie e rotonde del discorsivo. L’occhio deve prepararsi aperto, se vuol affisar questa fòlgore nell’attimo di sua verità: se lo chiuderete per paura del difficile, vedrete le vene della vostra palpèbra, e soltanto quelle. [Poesia di Montale, SGF I, p. 769]

Occhio aperto e impavido, dunque, e concentrato su quella “folgore” – parola ripetuta, non a caso, pure nel saggio del ’66291

– che, pur raccogliendo le istanze del discorsivo, ci nega la spiegazione minuta dei suoi meccanismi, che restano celati, difficili, insomma tutti ancora da scoprire.

291 “Noi lettori dovremo pur registrare e dichiarare sul nostro foglio il mutarsi de’ giorni e l’impreveduto

gioco dell’inarrivato giocoliere, il poeta, in una successione temporale: poiché non è dato a noi, né al poeta, né ad alcuno di esprimere dentro il baleno della folgore i mille pensieri” (SGF I, p. 1216).

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