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Retica, Racconto italiano, Meditazione milanese, I viaggi, la morte: discorsi di genere.

Alla luce delle considerazioni precedenti, vorrei dunque fare un passo indietro e tornare alla cronologia interna delle Poesie, allo scopo di risalire ad alcuni luoghi fondamentali in cui si gioca la partita teorica – ma anche tutta privata e non sempre scevra da contraddizioni – sul genere poetico, collocati in altrettanti momenti cruciali della personale storia dello scrittore. Dei primi due gruppi dei testi (1910-1912/1919-1924, tra cui fa da cesura il solo componimento del ’15), si era detto che, pur senza sovrapporvisi mai a livello strettamente temporale, essi scorrono in gran parte – salvo appunto il trittico iniziale – contigui alle vicende militari fedelmente registrate da Gadda nei sei quaderni (di cui uno perduto) tenuti a partire dal 24 agosto 1915, quando si trovava già a Edolo, ove era di stanza il 5° reggimento Alpini, fino al 1919: la stesura poetica salta in effetti proprio il tempo della guerra e della prigionia seguita alla disfatta di Caporetto (rievocate solo a livello memoriale), durante le quali si collocano tuttavia alcune esperienze umane e culturali che di fatto influenzano la scrittura versale post-bellica, come si evince dal netto cambiamento di stile dal primo al secondo blocco testuale (segnato, tra l’altro, dalla rinuncia ai moduli metrici convenzionali a favore di serie strofiche più libere). Il periodo della prigionia (25 ottobre 1917 – 1 gennaio 1919), in particolare, è sede di una notevole elaborazione letteraria sia pratica che teorica – di certo stimolata, a Celle-Lager, dalla condivisione degli avvenimenti con personaggi come Betti, Tecchi, Nonni – la quale comprende esplicitamente la poesia. Quest’ultima va senz’altro ricondotta, in primis, all’esercizio rimico testimoniato nel ’54, in tutto simile alla stesura di versi “come gioco di pazienza, senza alcuna ispirazione”93

sulla scia di Leopardi e dell’Eneide, ricordata in una pagina del Giornale scritta nel primo gelo invernale di Rastatt. Tale concezione poetica tutta incentrata sul versante tecnico, tuttavia, è bilanciata dal ricorso alla poesia come forma di consolazione e si vorrebbe dire di sopravvivenza nell’Hannover, ultima tappa della sua vicenda di detenuto: ove Gadda si rese famoso per l’improvvisazione di quei sonetti burleschi nella baracca 15c di cui parla Tecchi nell’omonimo libro di memorie;94 e dove trovò “un conforto, e una risorgente speranza”95 nei versi di Betti e – potremmo forse azzardare – anche nei propri. Versi perduti, certo, ma il cui ricordo testimonia una tensione compositiva costante; unita a una parallela (ri)lettura – se è vero che

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C.E. Gadda, Giornale di guerra e di prigionia (pagina datata 14 novembre 1917), SGF II, p. 673.

94 B. Tecchi, in Baracca 15c (Milano, Bompiani, 1962) parla ad esempio di un sonetto “sulla Balabanoff,

con tutte le rime in “off”, rispettosissimo delle regole delle metrica e della sintassi, ma direi un poco meno rispettoso dei segreti del corpo della donna e che, letto da lui, ci faceva scompisciare dalle risate” (p. 71).

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al momento della cattura egli aveva con sé, oltre ad alcuni libri scientifici,96 le Laudi dannunziane e le Prose di Carducci – e meditazione di genere, affidata quest’ultima ad alcuni tra i molti quaderni riempiti, soprattutto nell’ultima fase della prigionia, con diari, esercizi di inglese, tedesco, matematica e geometria, o con appunti di letteratura. Fanno parte degli ultimi le quasi sconosciute pagine di Retica, che aprono a rivelazioni imprescindibili per il discorso che qui si vuole proporre.

Il testo – che “si legge in un quadernetto a graffetta dalla copertina color azzurro-carta da zucchero” con “la nota autografa: «Volume I°

. Carlo Emilio Gadda. Rastatt. – 1918. “Retica”»97

– può giustamente considerarsi il primo progetto creativo dell’Autore, avvertito di tale importanza che nei giorni della sua elaborazione, tra il 17 e il 24 marzo 1918, il Giornale si interrompe: il tenente Gadda si trovava allora nella fortezza di Rastatt, dalla quale sarebbe stato trasferito, di lì a pochi giorni, a Celle, dove solo cinque mesi dopo (tra il 22 e il 30 agosto) avrebbe pensato e scritto La passeggiata autunnale, pubblicata su «Letteratura» nel 1963 e per lungo tempo ritenuta antecedente a ogni altra sua prova. Retica resta allo stadio embrionale del tentativo, per questo composto – a differenza del Racconto italiano – solo di note; l’idea risalirebbe già al 1915-1916, come vuole l’indicazione autografa di copertina, ma la stesura si concentra di getto in tre giorni (dal 20 al 23 marzo, secondo la datazione interna). Tema centrale è quello del rapporto conflittuale tra gruppi etnici e politici – da esaminarsi attraverso il caso specifico della costruzione di una ferrovia, finanziata da una società elettromineraria italiana – in una zona geografica irredenta (la Rezia appunto), posta al confine tra Regno d’Italia e Impero Asburgico. Della serie A del quaderno, dedicata all’“invenzione della favola” e alla disposizione dei suoi elementi (laddove una serie B ospita l’abbozzo della narrazione vera e propria), non interessa tanto indugiare sulla “distribuzione della materia”, articolata in dieci punti (pp. 1-5); quanto piuttosto sulla nota siglata con l’indicazione «Importantissimo»:

Occorre ancora determinare: Episodi di dettaglio (distrazioni); o racconto e favola propria: complessa: perciò diverse narrazioni sovrapponentesi; legame e fusione interna tra queste. Elenco dei personaggi: caratteri e simboli. Il simbolismo determinato e proprio, nel carattere e nell’azione. – Studio accurato delle anime: loro coerenza nell’azione diretta e nei riflessi degli avvenimenti. – Bambini e animali – Titolo

96 “2 vol. di Fisica del Murani ǀ 2 di calcolo del Todunter”, in Giornale di guerra e di prigionia, SGF II,

p. 1228.

97 Questa, come pure le altre informazioni relative a Retica – nonché gli stralci citati dall’autografo – si

intendono tratte da P. Italia, Primi appunti su «Retica», in Le lingue di Gadda. Atti del Convegno di Basilea 10- 12 dicembre 1993, a cura di M.A. Terzoli, Roma, Salerno, 1995, pp. 179-202. Della complicata fisionomia del quaderno che ospita Retica, allo stato attuale ancora inedito e conservato presso l’Archivio della Casa editrice Garzanti, la studiosa fornisce un’eccellente e minuziosa descrizione che tuttavia non sembra utile riportare ai fini del presente discorso, ma a cui si rimanda per eventuali approfondimenti.

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dell’opera e dei capitoli; inserzioni poetiche fuse con la prosa. Trovare il passaggio spontaneo, graduale. – Metodi; in generale virgiliano e beethoveniano; (spunti profondi del Carducci, Zanella, Whitman): mehr Ausdruck der Empfindung als Malerei.98

Appare subito evidente, da queste righe, come la poesia sia saldamente connessa alla prosa nell’ambito di un originario problema di invenzione e di metodo. Retica è cioè spazio in cui Gadda si prova a fornire un primo, personale canone di rappresentazione della realtà totale – estesa a diversi intrecci fattuali, nonché ai loro risvolti psicologici; alla descrizione del pensiero e dell’azione dei personaggi; alla natura e all’ambiente – basata su un principio di simbiosi disinvolta e perfetta tra forme creative, che superi le barriere divisorie tra generi artistico-letterari, e i cui modelli sono infatti rintracciati trasversalmente nei vari campi del genio umano: da Virgilio a Beethoven. A quest’ultimo, in particolare, è associato – attraverso una chiusa lievemente ellittica, non solo perché in tedesco, ma in quanto svincolata da riferimenti – una sorta di codice cifrato che traduce quella che potremmo chiamare (anche alla luce del futuro ricorrere del secondo termine nel Racconto italiano), una “poetica della sinfonia”: mehr Ausdruck der Empfindung als Malerei, “più espressione del sentimento che pittura”, è infatti l’autocommento del compositore alla sua sesta sinfonia, la Pastorale. È preferibile lasciare in sospeso – almeno per qualche pagina – la ricchezza di implicazioni che tale massima reca con sé: a inquadrarla più chiaramente interverrà, quasi dieci anni più tardi, il saggio eponimo della più celebre raccolta gaddiana di saggi, I viaggi la morte. Per prima cosa, conta qui invece notare come, sulla scorta dell’amalgama omogeneo garantito dall’esempio musicale, tre siano gli elementi più esplicitamente coinvolti nella fusione: il racconto (“diverse narrazioni sovrapponentesi”); la poesia (“inserzioni poetiche”); il simbolismo (“caratteri e simboli”, ovvero la resa accurata dei profili umani). La tripartizione risulta, a mio parere, di grande importanza, e prelude all’isolamento, definizione e diversificazione – pur nel reciproco intreccio – dei relativi concetti, che si completa nel corso del decennio successivo a Retica. Il simbolismo, evidentemente connesso con la traduzione dell’interiorità, con lo “studio delle anime”, si delineerà in particolare sempre di più come attività interpretativa dell’io, per saldarsi successivamente al motivo del lirismo, inteso quest’ultimo non come registro o genere, bensì come espressione del punto di vista – e dunque non come sinonimo di poesia – che Gadda introdurrà nelle note del 1924. Per il momento, ad ogni modo, anche gli spazi di pertinenza di poesia, lirica e lirismo risultano ancora relativamente indistinti; tanto più che, ad essere evocate in qualità di paradigmi poetici, sono tre figure tra loro piuttosto diverse – tutte comunque importanti, anche in senso

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Ivi, p. 186. Si è scelto di seguire il metodo di Paola Italia di riportare in corsivo quei passi che nel testo gaddiano risultano sottolineati.

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polemico, per l’interpretazione del corpus – che segnalano l’incerta posizione del giovane Gadda, compreso tra possibilità di versificazione alternative e, sostanzialmente, contemporanee: quella retorica del Carducci, vate dei destini patrii; quella rarefatta e liricheggiante, improntata alla precisione, alla sobrietà e alla purezza di forme del meno noto Giacomo Zanella, abate vicentino severo censore dell’arte dei suoi tempi; e infine quella narrativa e drammatica di Whitman, padre del verso libero, moderno osservatore del reale storico e politico, ma ugualmente sensibile alle ragioni del trascendente. La personale idea gaddiana di poesia – che la volontà di coesione con la prosa dovrebbe già in qualche modo collocare comunque al di là della dimensione esclusivamente lirica – resta cioè, per ora, a metà strada tra moduli di tradizione e innovazione.

Sul simbolismo, come pure sui modelli narrativi – fino ad ora non meglio specificati – ci dice invece di più il prosieguo della nota; la quale accresce la riflessione sul metodo di altri tre punti, rispettivamente relativi allo stile (che rimane dimidiato tra uniformità e varietà, tra “rigidezza classica” e “scapestratura celliniana”99); allo “studio del metodo di racconto di espressione e di rappresentazione” (ove Gadda suggerisce l’opportunità di “bandire sistemi troppo palesi di tecnicismo letterario editoriale”,100

rifiutando altresì lo scoperto psicologismo moderno, da scartarsi in favore del “metodo manzoniano di anime illustrate dall’azione e dal pensiero”); e infine, al “metodo nella descrizione del paesaggio, dei fenomeni esteriori, delle persone fisiche”.101

Quest’ultima parte merita, ai fini del mio discorso, di essere riportata:

Sfumature fantastiche shakespeariane; superstizioni e mie proprie. Simbolismo misuratissimo, appropriato, solo quanto basta ad esprimere compendiosamente fatti generali e somme di fatti ‹,› fatti ripetuti che porterebbero a dilungo. – Misura nella tinta sentimentale e patetica, come pure nel contenuto critico e parenetico.102

Lungi dall’identificarsi in toto con le istanze dell’omonimo movimento artistico e dei suoi eccessi irrazionali e alogici – che mal si combinerebbero, di fatti, alle idee di “studio” e “coerenza” chiamate in causa da Gadda – questa misura sentimentale rimanda, come ha giustamente notato Paola Italia, a “un simbolismo tutto “privato”, quello dei “personaggi- simbolo, di Amleto, piuttosto che il simbolismo di Baudelaire, che verrà dopo”.103

Il simbolismo gaddiano sembra, in altre parole, muoversi nel segno di un’indagine nel substrato del reale, nei meandri dell’anima e del pensiero, tale però da non annullarne le istanze logico- 99 Ivi, p. 187. 100 Ibid. 101 Ibid. 102 Ivi, pp. 187-188. 103

Ivi, p. 199. Illuminante l’intuizione della studiosa: ritroveremo la dialettica Amleto-Baudelaire pienamente estrinsecata nel poemetto del 1922, Viaggiatori meravigliosi.

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realistiche, come dimostra altresì il precedente appello al Manzoni, quale esempio di minuto scavo nei personaggi. Vale la pena, a scopo chiarificante, rimandare a una più tarda recensione dell’Autore dedicata al libro di Pierre Abraham, Créatures chez Balzac, apparsa su «L’Ambrosiano» il 24 novembre 1931:

[...] il merito essenziale dello Abraham consiste nell’aver acutamente accertato che la correlazione fra i mezzi espressivi e la cosa rappresentata trascende la semplice pittura. Il padre del realismo, sembra affermare lo Abraham, si vale, ad esprimere la «realtà», di modi meno o più che realistici: l’analogia e il simbolo operano potenti anche in Balzac. Anche nel ricettacolo intimo della piazzaforte realistica vi è qualche cosa di simbolico e di analogico, di «caricato» o comunque di spàstico, che pertiene non a «capriccio» ma piuttosto a una necessità, intrinseca all’opera letteraria: ricreare la vita con i mezzi e dentro i termini propri del pensiero. [SGF I, p. 730]

Mi sembra quanto mai interessante che Gadda rintracci in Balzac, modello del realismo ottocentesco per eccellenza a lui molto caro (non a caso l’ultima nota critica di Retica è costituita dalla prefazione dell’edizione 1833 dell’Eugénie Grandet,104 trascritta a memoria), una radicata istanza simbolica, le cui potenzialità cognitive sono dettate da una intrinseca qualità dell’opera d’arte, compromessa con il saldo impegno etico del suo autore. In questa prospettiva, il simbolismo – qui associato a qualcosa di apparentemente innaturale, di spastico, ove però la carica di involontarietà insita nella parola è corretta dal richiamo a una esigenza letteraria105 – certo si avvicina alla poesia, i cui artifici (nel passo condensati tramite l’allusione all’analogia e al simbolo) si sono già intravisti essere una delle sedi privilegiate del pensiero; pure, non direi, come vuole invece Paola Italia, che l’associazione sia esclusiva, vincolando la scelta formale a quella contenutistica: sembra anzi evidente proprio tramite l’esempio balzachiano (come mediante il richiamo ai Promessi sposi) che così come si invoca l’unione tra i generi, ugualmente sia possibile combinare tutte le modalità rappresentative – realismo, simbolismo, fantastico, trascendente, patetico, etc. – all’interno di un genere dominante. La questione, tuttavia, è intricata; e Gadda lo avverte così bene che, vistosi oltre tutto impedito – per mancanza di libri e notizie – a sviluppare i dieci punti in cui intendeva

104 Il romanzo viene citato come modello anche in due note (rispettivamente del 25 marzo e del 20

settembre 1924) del Racconto italiano, testo che per molti aspetti costituisce uno sviluppo se non delle idee, per lo meno della struttura di Retica: “Forse avvierò questo tipo al fallimento e alla tragedia – o almeno alla tragedia intima, mascherata da un esteriore accomodamento. Lo chiamerò il tipo A. – Richiamo balzachiano di Eugénie Grandet”; “Nota Cr 37. – La Simmetria del Molière. «L’avare» ed «Eugénie Grandet» di Balzac” (SVP, pp. 397 e 485). Fa giustamente notare sempre Paola Italia come il modello della Comédie Humaine sia senz’altro operante nell’aspirazione gaddiana a una rappresentazione esaustiva delle “attività” umane, elencate nel decalogo della favola.

105 L’aggettivo “spastico” (dal greco antico σπασμός = spasmo) indica infatti uno stato di contrazione

della muscolatura generalmente involontaria, più o meno prolungato nel tempo, sempre reversibile e talora intermittente. Per il teorizzato bisogno di un uso spastico della lingua, con la relativa estensione del significato del termine, cfr. infra, p. 66 e ss.

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articolare la materia del romanzo, con queste parole si riferisce alla nota di cui si è discusso, nell’indice del quaderno (pagine B15-B16):

Studio critico tenue, generale “Importantissimo”; proposte senza soluzioni; rimane da decidere – (Favola, complessità, legami, stile, caratteri, simboli; inserzioni poetiche ǀ enarrazione psicologica; critica, ecc. A5-6-7-8-9).106

“Proposte senza soluzioni”: in effetti, per iniziare a collocare teoricamente con maggior sicurezza – benché più che altro per intuizioni collaterali – i concetti di simbolismo e poesia, bisogna avanzare un altro po’ nel tempo, fino a raggiungere almeno il Racconto italiano. A quest’ultimo, d’altra parte, si lega profondamente il secondo gruppo di poesie che – apertosi in coincidenza del rientro a casa e della scoperta della morte del fratello, arruolato nelle forze aeree e precipitato col suo apparecchio, in circostanze poco chiare, il 23 aprile 1918 – comprende pure quelle scritte nel biennio argentino, culminando proprio nel 1924, altro anno cruciale, che vede l’esordio di Carlo Emilio sulle pagine di «Solaria» e appunto la stesura delle note del Racconto. È questo un momento di altissima meditazione intellettuale, che la critica ha più volte portato all’attenzione del lettore, ma senza mai soffermarsi sull’uso e sulla diversificazione che vi si attua a proposito dei concetti di poesia, lirismo e lirica e sul loro valore nel senso della costruzione di una teoria poetica. Conviene muovere da una delle prime note compositive, che chiama subito in causa la polivocità dello scrivere gaddiano:

Nota Cr 2. – (24 marzo 1924 – Ore 16.30.)

Tonalità generale del lavoro: È una grossa questione. Le maniere che mi sono più famigliari sono la (a) logico-razionalistica, paretiana, seria, cerebrale – E la (b) umoristico-ironica, apparentemente seria, dickens-panzini. Abbastanza bene la (c) umoristico seria manzoniana; cioè lasciando il gioco umoristico ai soli fatti, non al modo d’esprimerli: l’espressione è seria, umana: (vedi miei diarii, autobiografie.). Posseggo anche una quarta maniera (d), enfatica, tragica, «meravigliosa 600», simbolistica, che forse è meno fine e di minor valore, ma più adatta ad un’impressione diretta e utile a «épater le bourgeois». Questa maniera d si avvicina alla poesia, è interessante, ma contrasta grandemente con le altre e credo che sarebbe difficile legarla e fonderla. – Finalmente, posso elencare una quinta maniera (e), che chiamerò la maniera cretina, che è fresca, puerile, mitica, omerica, con tracce di simbolismo, con stupefazione-innocenza- ingenuità. È lo stile di un bambino che vede il mondo: (e che sapesse già scrivere.) –

A quale afferrarmi per l’attacco alla gloria? Mi rincresce, mi è sempre rincresciuto rinunciare a qualcosa che mi fosse possibile. È questo il mio male. Bisognerà o fondere, (difficilissimo) o eleggere. Vedrò in altra nota. [SVP, p. 396]

Nella “quarta maniera” illustrata in questo passo – divenuto ormai celebre e generalmente letto come prova della tendenza dell’Autore al pastiche – si è di solito riconosciuta la

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cosiddetta ‘vocazione lirica’ di Gadda: ossia la tendenza a un tipo di scrittura “di tono alto, sublime”, cui “si deve in grande misura il carattere traumatizzante” della sua prosa.107

Ora, l’appiattimento della “maniera d” sulla dimensione lirica del sublime, a sua volta considerato in funzione unicamente stilistica, come responsabile dei “caratteristici ritmemi tendenti a ripetersi”108

nelle sue pagine, non convince. Infatti – anche volendo ignorare che maniera non può essere riconosciuta in tutto e per tutto come sinonimo di genere – resta il fatto che nulla suggerisce che Gadda stia qui parlando di lirica; né che voglia negare ad essa un valore, oltre che stilistico, contenutistico o morale. Intanto, la maniera è definita “enfatica”, “tragica”, “simbolistica”, “meravigliosa” e le viene riconosciuta la capacità di scuotere, stupire (épater) la borghesia: dunque è di per sé già composita, barocca (nel senso più mobile dell’accezione), non certo ascrivibile in toto alle altezze del sublime, specie se inteso in accordo alla vulgata romantica,109 e soprattutto caricata di valenze gnoseologiche. Una maniera che ricorda la poesia – quest’ultima sì, possiamo supporre, intesa come specifica modalità comunicativa – che comunque non sussiste in isolamento rispetto alle altre, dato che Gadda è ossessionato dal problema di agglutinarla al meglio nell’inesauribile sfondo plurivoco di un’ispirazione che non può, per sua natura, scindere in elementi semplici ciò che costituisce un grumo complesso. Le inclinazioni tonali descritte nella nota prendono cioè vita, nel sistema mentale gaddiano, in piena contemporaneità, qualsiasi sia la scelta ‘di genere’ che l’Autore si trova a operare: informandola e mutandola dall’interno; rovesciando anzi i termini stessi della questione. Ciò che voglio dire – contro l’assunto generale della critica, che parla del Racconto italiano come del primo tentativo di romanzo110 – è che, nonostante Gadda si prefigga il modello di narrazione romanzesca, il risultato muove verso qualcosa di diverso, proprio alla luce della compenetrazione di maniere irrinunciabili:

107 V. Formenti, La prosa concertata. Studio di una “maniera” gaddiana, cit., p. 226. 108 Ibid.

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La categoria estetica del sublime – che risale invero già all’antichità classica e in particolare al

Trattato del Sublime dello Pseudo Longino (I secolo d.C.), volto all’esame degli effetti dell’opera d’arte

sull’animo umano – è rilanciata a partire dalla seconda metà del XVIII secolo da pensatori come Burke (nelle celebri Reflections on our Ideas of the Sublime and the Beautiful, 1757) e Kant (con la Critica del giudizio, 1790). Legandone saldamente l’emergenza alla contemplazione di un’insuperabile distanza tra soggetto e oggetto – ossia tra labilità umana e terribile ma affascinante grandezza della Natura – costoro tra i primi hanno riconosciuto nell’esperienza del sublime la superiorità del genio creatore: il quale, prendendo coscienza dei propri limiti, in quanto capace di pensiero e azione morale, avverte la possibilità di una dimensione sovrasensibile, di un contatto con l’assoluto che si fa causa immediata del suo eccezionale operare. Ora, a parte l’idiosincrasia di Gadda per qualunque concetto di genialità romantica e la sua diversa, più moderna disposizione nei confronti delle articolate interazioni io-mondo, resterebbe in effetti da chiarire cosa la critica