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Focus Cereali

Nel documento 6° CENSIMENTO AGRICOLTURA 2010 rapporto (pagine 105-108)

CAPITOLO 5. L’AGRICOLTURA IN SICILIA: APPROFONDIMENTI TEMATICI

5.9 Focus Cereali

La produzione cerealicola dell’isola è quella che più ne caratterizza il territo-rio e la storia, specie nelle zone interne e nelle aree collinari. Con 284 mila et-tari di SAU, registrati nel censimento 2010, è in pratica destinata in Sicilia alla coltivazione di grano duro una quota pari al 20,5% della superficie agricola regionale, che quasi ragguaglia l’intera estensione della regione coltivata a cereali (317 mila ettari circa), oltre che il 20 per cento della superficie nazio-nale dedicata alla stessa coltura. Nel 1982, si contavano invece 532 mila Ha. che spiegavano il 31,4% della SAU totale siciliana ed il 28,7% di quella nazio-nale destinata a grano duro (Tab. 5.19). La forte riduzione, com’è noto, è da attribuire alle misure europee di “set-aside” (Reg. Ce n.1094/88 e 2328/91), con cui il comparto venne regolato da un sistema di premi incentivanti che tendeva a congelare le superfici produttive medie del periodo 1988-1992, quando già operava il programma di messa a riposo.

Tab. 5.19 - Aziende (n.) e superficie (Ha.) dedicate alla coltivazione di grano duro - Sicilia e Italia. Valori assoluti e %.

1982 1990 2000 2010 Sicilia N. aziende 154.467 110.377 71.246 44.172 SAU ha. 532.173 443.562 331.586 284.094 SAU / Az. 3,45 4,02 4,65 6,43 Frum. Duro / SAU Sicilia 31,4 27,8 25,9 20,5 Italia N. aziende 469.854 410.218 304.294 202.790 SAU ha. 1.852.423 1.825.430 1.699.480 1.419.106 SAU / Az. 3,94 4,45 5,58 7,00 Frum. Duro / SAU Italia 11,7 12,1 12,9 11,0

Sicilia / Italia % Aziende 32,9 26,9 23,4 21,8

SAU 28,7 24,3 19,5 20,0

Fonte Istat Censimenti dell’Agricoltura 1982- 2010

Gli aiuti corrisposti hanno alleggerito la dipendenza dei produttori dalle

dina-miche del mercato ed hanno indotto buoni risultati sul piano delle rese per ettaro, probabilmente dovuti al miglioramento delle sementi e delle varietà, oltre che a più efficaci sistemi di rotazione. La tendenza è particolarmente evidente nel confronto fra inizio e fine del periodo inter-censuario, laddove il triennio 2001-2003, risentendo anche di avverse condizioni climatiche, mo-stra in Sicilia limitate performance di produzione e resa per ettaro (parallela-mente all’andamento nazionale), mentre il triennio 2008-2010 vede la regio-ne in forte recupero, con un calo di superficie del 16,1% ed un aumento della produzione del 17,1% che procurano un incremento di produttività notevole (39,5%), perfino più forte dell’analogo trend nazionale (35,0% in più nelle rese per ettaro; Tab. 5.20)34. Secondo i dati Istat, queste proporzioni sono rimaste immutate negli anni successivi al 6° Censimento, con una produzione nazio-nale che si mantiene intorno ai 40 milioni di quintali ed una siciliana che ne registra 8 milioni circa. Il positivo andamento della produzione si scontra però con una serie di difficoltà economiche.

Tab. 5.20 – Coltivazioni a grano duro: superficie, produzione e resa pe ettaro - Sicilia e Italia. Valori assoluti e %.

Fonte: Elaborazione su dati Istat – Indagini estimative agrarie

Ad un’elevata quota di SAU coltivata a grano duro (20,5%) corrisponde in Sicilia una percentuale del valore della produzione del 6,9%, sul totale dei prodotti delle coltivazioni, e del 4,5% sul totale dei prodotti dell’agricoltura35. Queste quote evidenziano come il frumento duro rappresenti una coltura “povera” in termini di valore, in relazione alla elevata superficie da esso oc-cupata. Ciò avviene per la natura di commodity della produzione granaria, quella cioè di grandi quantitativi di merce scarsamente differenziata,

scam-34. La coltura del grano, pur conseguendo notevoli successi nella ricerca di varietà adatte a climi aridi, predilige le condizioni di umidità create da abbondanti precipitazioni: nelle regio-ni padane la resa è di norma pressoché doppia rispetto alla Sicilia.

35. Dato medio del decennio inter-censuario calcolato in base alla serie storica dei conti nazionali Istat (valore aggiunto in agricoltura; http://dati.istat.it/)

Superficie in produzione (Ha.) Produzione raccolta (ql.) Resa (ql. / Ha.) Sicilia media annua 2001_2003 345.500 6.663.408 19,3 media annua 2008_2010 289.917 7.801.096 26,9 Var. % -16,1 17,1 39,5 Italia media annua 2001_2003 1.695.430 38.697.906 22,8 media annua 2008_2010 1.375.578 42.383.969 30,8 Var. % -18,9 9,5 35,0 Sicilia / Italia media annua 2001_2003 20,4% 17,2% 84,5% media annua 2008_2010 21,1% 18,4% 87,3%

biata sul mercato internazionale secondo logiche di concorrenza che pre-miano le aree con più elevata resa e minori costi per ettaro. Si restringe in questo contesto la possibilità che gli elementi qualitativi dei grani siciliani, come l’assenza di micotossine36, valorizzino il prezzo, risultando prevalenti, in tal senso, altre tendenze ed elementi strutturali della filiera di riferimento. La coltura del grano attiva, infatti, un vasto indotto di processi “a monte”, come le industrie sementiere e dei mezzi tecnici, e “a valle”, come i centri di stoc-caggio e le industrie di prima e seconda trasformazione (molini, pastifici e panifici), in cui i fattori organizzativi risultano determinanti.

Nella fase produttiva primaria operano in Sicilia 44 aziende sementiere, circa il 26% del totale nazionale, che grazie anche al supporto di 7 costitutori di varietà e 1.448 agricoltori moltiplicatori forniscono alle aziende del comparto, in com-plesso, n. 43 delle 211 varietà di frumento duro iscritte al catalogo nazionale (su 10 di queste si basano, comunque, i 4/5 della produzione regionale). Tali sementi consentono raccolti quantitativamente e qualitativamente soddisfacenti e la tracciabilità dei prodotti derivati, ma sono quasi esclusivamente destinate al mercato locale, dato che la quota esportata si limita al 6% del totale37.

Altre criticità dell’economia cerealicola siciliana si manifestano nella fase del-la commercializzazione. Secondo i risultati di una rilevazione ISMEA riferita al 2013, sono presenti in regione n. 71 centri di stoccaggio di cereali, il 6,0% del totale dell’Italia, con una capacità di ammasso potenziale nel complesso pari a 489.042 tonnellate (poco oltre la metà del raccolto annuo di grano duro), che ragguaglia il 4,4% della capacità nazionale, configurando una dimen-sione media per ogni impianto di 6.888 tonnellate (Italia 9.290 t.; Tab. 5.21)38. Queste strutture rappresentano l’anello di congiunzione tra la fase agricola e quella industriale e testimoniano, in base alle loro caratteristiche tecniche, della dotazione di fattori competitivi che contraddistingue il comparto in un contesto territoriale. L’ammasso di grandi volumi favorisce infatti la concen-trazione dell’offerta e quindi il superamento del problema dimensionale tipi-co dei produttori agritipi-coli, mentre lo stoccaggio differenziato del frumento, in base a caratteri relativi alla qualità merceologica, costituisce un strumento fondamentale per incontrare la domanda dell’industria di trasformazione. Gli impianti localizzati in Sicilia sono però, come risulta dai dati ISMEA, sotto

dimen-36. Le micotossine sono composti tossici prodotti da diversi tipi di funghi, in particolari condi-zioni di temperatura e umidità, che entrano nella filiera alimentare attraverso colture conta-minate, principalmente di cereali. La normativa UE ne stabilisce i tenori massimi ammissibili con il Regolamento (CE) n. 1881/2006 e s.m.i.

37. Per queste informazioni ed altre riportate nel presente “focus”, vedi: Columba P. (a cura di), “Il grano duro e la filiera siciliana della pasta” Qanat Edizioni, Palermo, 2014; https://iris.unipa.it/ 38. ISMEA - Piano di settore cerealicolo, “Censimento delle strutture di stoccaggio dei cereali in Italia”, Giugno 2014; pag. 19 e segg.; http://www.camera.it/temiap/2014/06/13/OCD177-287.pdf . La capacità nazionale è più che doppia rispetto al raccolto di grano duro, dovendo comprendere altri cereali e lo stoccaggio dei volumi importati.

sionati e poco propensi ad attuare la selezione delle granelle, con evidenti differenze rispetto ai volumi trattati in altre ripartizioni (es. Puglia).

Tab. 5.21 – Centri di stoccaggio dei cereali: numero, capacità e volumi gestiti (tonnel-late). Ripartizioni più confronto Sicilia e Puglia – Anno 2013.

Riparti-zioni Centri % Capacità di stoccaggio (t.) % Dimen-sione media (t.) N° Centri con prodotto proprio * Volumi propri stoccati (t.) Di cui: Frumento duro (t.) Centri che differen-ziano** % su totale centri Nord-O-vest 280 23,6 2.078.440 18,8 7.423 218 1.973.610 146.523 14 5,0 Nord-Est 341 28,7 4.519.258 41,0 13.253 262 3.937.097 290.531 71 20,8 Centro 291 24,5 1.788.040 16,2 6.144 257 1.469.324 686.287 106 36,4 Sud e Isole 275 23,2 2.641.442 24,0 9.605 171 2.071.021 1.295.262 102 37,1 Puglia 76 6,4 1.167.906 10,6 15.367 44 1.029.766 666.726 32 42,1 Sicilia 71 6,0 489.042 4,4 6.888 43 284.781 111.011 23 32,4 Italia 1.187 100,0 11.027.180 100,0 9.290 908 9.451.052 2.418.603 293 24,7 Fonte: Elaborazione su dati ISMEA

* Sono esclusi i centri che stoccano solo prodotto di terzi; ** Fra i centri con frumento duro proprio.

Anche la strumentazione tecnica dei centri è, a questo proposito, un punto di debolezza della commercializzazione del grano duro in Sicilia (Tab. 5.22). La minore presenza di alcuni dispositivi (es. essiccatoio) può essere dettata da fattori climatici locali, mentre la dotazione di altri (laboratori di analisi e sistemi di monitoraggio) evidenzia carenze rispetto ai centri di regioni più organizzate, come la Puglia e l’Abruzzo. Ciò è da imputare anche alla dispersione e pol-verizzazione delle unità produttive che conferiscono il raccolto ed al limitato differenziale di prezzo che il mercato riconosce alla selezione qualitativa, non incoraggiando gli investimenti degli operatori in questa direzione.

Tab. 5.22 – Centri per tipo di dotazione tecnica, in percentuale del totale regionale degli impianti di stoccaggio.

Centri con: Sicilia Puglia Lombardia Emilia Romagna Abruzzo

essiccatoio 1,4 7,9 57,6 29,9 0,0

sonde termometriche 47,9 46,1 47,5 36,7 18,5

impianto ad atmosfera controllata 25,4 18,4 16,9 9,6 18,5

impianto refrigerazione 16,9 14,5 31,4 23,2 7,4

monitoraggio rapido qualità 53,5 73,7 80,5 83,6 77,8

laboratorio analisi 5,6 13,2 22,0 19,8 22,2

Fonte: Elaborazione su dati ISMEA

Un altro settore cruciale per la catena del valore nella filiera è quello della molitura, che provvede alla trasformazione della granella di frumento in

se-mola per la produzione di pasta ed in sfarinati per la panificazione, ottenen-do come sottoproottenen-dotto la crusca, destinata essenzialmente all’alimentazio-ne animale. Secondo una ricerca del 2011, questo settore conta in Sicilia n. 55 impianti di lavorazione che costituiscono il 40% del totale nazionale, ma rappresentano solamente l’11,9% della capacità produttiva dell’Italia, evi-denziando una ridotta dimensione media39. In pratica, nell’attività molitoria regionale prevale la tipologia d’impresa non integrata con le fasi di ulteriore trasformazione che si rivolge, in genere, al mercato al dettaglio rappresen-tato dalle aziende della panificazione e pastificazione artigianale localizzate nell’Isola, secondo modalità molto parcellizzate.

Ad un livello dimensionale più elevato e in altre regioni, i molitori della filiera hanno invece acquisito nel tempo un ruolo e un peso diverso, operando sem-pre più come “trader”, che giocano sulle scorte di magazzino e in qualche misura perdono i rapporti diretti con la base agricola, acquistando e venden-do anche tramite altri trader internazionali40. Questi operatori riforniscono l’at-tività di seconda trasformazione, provvedendo alle esigenze di materia prima dell’industria della pasta e condizionandone la possibilità di pianificare gli ap-provvigionamenti e di controllare le miscele dei grani in funzione delle caratte-ristiche degli sfarinati. Non va dimenticato, infatti, che per i molini le economie di scala sono un fattore decisivo di competizione legato ai grandi impianti “ca-pital intensive” da essi gestiti e che gli ingenti volumi di semilavorato occorrenti ai pastifici (l’Italia mantiene il primato mondiale di produzione della pasta con oltre 3,3 milioni di tonnellate annue, per circa il 50% destinato all’esportazio-ne), devono essere realizzati anche con materia prima d’importazione41, che solo intermediari specializzati e di adeguata dimensione possono assicurare. Le ragioni di merito di tale evoluzione risiedono sia nei limiti quantitativi della produzione nazionale, soggetta a periodiche contrazioni ed alla progressiva riduzione delle superfici imposta dalla PAC, che in quelli qualitativi, dettati dal basso apporto proteico dei grani italiani e dalla necessità di alzare il conte-nuto di glutine delle farine, mentre le ragioni di fondo riguardano, come già detto, gli scambi di commodities: indotte a una crescita continua, spesso non associata a effettive necessità di approvvigionamento/vendita, ma a speci-fiche strategie di investimento da parte degli operatori finanziari, le derrate subiscono forti oscillazioni di prezzo che possono essere contrastate solo dalla gestione di stock molto consistenti e variegati.

In conclusione, la produzione regionale di grano duro sconta limiti quantita-tivi e di integrazione con l’industria di trasformazione che la Sicilia condivide

39. Columba P., op. cit. , pag. 25

40. Tolomeo, Studi e ricerche – Università di Trieste, “Le filiere agro alimentari tra innovazione e tradizione - Rapporto finale, novembre 2013”, pag. 309; https://dispes.units.it/sites/dispes.units. it/files/ric_grpr/Rapporto_finale_FIAGRAINTRA.pdf

41. Principalmente da Canada e Australia.

con buona parte delle strutture del comparto a livello nazionale. Al tempo stesso, essa presenta pregevoli caratteri di qualità merceologica, salubrità ed elementi identitari legati al territorio (notorietà del brand Sicilia), tuttora poco riconosciuti dal mercato, ma per i quali sono da ritenere elevate le potenzialità reddituali dei produttori.

Riguardo al primo ordine di problemi, l’organizzazione di filiera appare come l’unico modo possibile per recuperare convenienza nella coltivazione e co-struire una catena competitiva di produzione in grado di eliminare le pertur-bazioni speculative dei trader. Si tratta di favorire dispositivi di aggregazione dei conduttori agricoli e di predisposizione di protocolli di lavorazione, indi-cando quantitativi minimi definiti di consegna e l’impegno dei pastai ad ac-quistare il grano (oltre che quello dei molitori alla lavorazione delle semole) e a dare anche premialità di prezzo al raggiungimento di obiettivi qualitativi. Il contratto di filiera poi si completa normalmente coinvolgendo centri di ricer-ca, o Università, o professionisti qualificati per fornire un’assistenza tecnico-scientifica agli agricoltori. L’obiettivo dell’organizzazione dovrebbe essere di ricondurre a sostenibilità economica le coltivazioni autoctone, promuoven-done le distintività da rappresentare sui mercati, al fine di costruire un posizio-namento competitivo per gli operatori dell’intera filiera42.

Riguardo alla promozione degli elementi di pregio, sono da ritenere cruciali per la grani-coltura dell’Isola i processi di condivisione culturale della nuova dimensione dello sviluppo rurale, centrati sui territori di qualità. Nei consu-matori è cresciuta infatti l’attenzione verso tematiche ecologiche, ambien-tali e sanitarie che delineano nuovi segmenti di mercato e trovano forme di espressione nella fruizione diretta del mondo rurale e nelle “filiere corte”. Queste tendenze condizionano anche l’industria agroalimentare che deve orientarsi verso prodotti con particolari funzioni salutistiche: i grani siciliani, specie quelli tradizionali, si attestano mediamente su contenuti limitati di pro-teine che concorrono a suscitare i problemi, in progressiva diffusione, delle intolleranze alimentari legate al glutine43. Sulla coltura di varietà selezionate con tali caratteristiche potrebbero orientarsi i produttori. Anche per sfruttare queste opportunità, sono tuttavia richieste politiche di contesto e organizza-zioni di filiera di non facile attuazione.

42. Il Piano Cerealicolo Nazionale (PCN), concordato nel 2009 fra Mipaaf e Conferenza del-le Regioni, ha individuato specifiche azioni di riorganizzazione della filiera che includono: il significativo aumento dei centri di stoccaggio che aderiscono alla “Rete Qualità Cereali”, la fornitura annuale di informazioni sulle principali variabili qualitative della granella in entrata nei silos e lo stimolo all’ampliamento delle attività di controllo qualitativo presso gli stessi cen-tri, anche attraverso cofinanziamenti per l’acquisto di specifiche attrezzature. Vedi: ISMEA, Op. cit., pag. 59.

Nel documento 6° CENSIMENTO AGRICOLTURA 2010 rapporto (pagine 105-108)