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I fondi comuni islamici

Capitolo 2: i contratti e gli strumenti Sharia’ah compliant

2.4. Gli strumenti del mercato finanziario

2.4.1. I fondi comuni islamici

Fin dagli anni Ottanta i principali istituti finanziari islamici hanno progressivamente ampliato la gamma di prodotti Shari’ah compliant da offrire al pubblico, cominciando anche ad occuparsi di gestione del risparmio. I fondi comuni islamici spesso vengono compresi all’interno della più ampia categoria di fondi etici poiché condividono con questi ultimi alcune importanti peculiarità, come la selezione dei titoli da inserire nel portafoglio basata su criteri non meramente finanziari133.

Come già visto per altri settori della finanza islamica, i fondi comuni islamici non hanno ancora raggiunto un pieno sviluppo a livello internazionale, ma hanno interessanti prospettive di crescita, soprattutto nel settore petrolifero e delle materie prime, con un incremento annuo che si assesta intorno al 10%.

I fondi islamici possono rappresentare un’alternativa valida non solo per gli investitori islamici che vogliono investire senza trasgredire le regole del proprio credo, ma anche per investitori occidentali preoccupati dalla grande volatilità dei mercati finanziari. I fondi islamici, invece, presentano un minimo grado di discrezionalità e un elevato livello di stabilità. Questo è dovuto principalmente al divieto di speculazione che porta questi fondi ad essere fortemente connessi con le attività produttività. Per questo si può in un certo senso parlare di finanza “reale”134.

Originariamente questi strumenti sono nati come schemi collettivi di investimento da associare a depositi bancari e conti correnti. Si può dire che la creazione di questi prodotti sia stata un processo demand-driven, nel senso che i primi fondi sono stati creati in risposta alla pressante domanda di strumenti Shari’ah compliant da parte dei grandi investitori del Medio Oriente.

A livello più pratico, l’implementazione dei fondi comuni si rifà ad un contratto

mudarabah, in cui i sottoscrittori versano il capitale ed affidano la gestione al mudarib135. 132 Russo (2014), p. 91 s. 133 Porzio et al. (2009), p. 45 s. 134www.davidzahra.com/resources/articles/i-fondi-islamici-unalternativa-nella-gestione-dei-patrimoni/ 135 Porzio et al. (2009), p. 46.

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In questo settore il ruolo di apripista a senza dubbio riconosciuto alla Saudi Commercial Bank nel 1986, alla National Commercial Bank nel 1987 e alla Riyad Bank nel 1990, le quali, tramite joint venture, hanno collaborato con importanti istituzioni finanziarie occidentali alla creazione dei primi fondi comuni islamici. Una menzione particolare va al fondo Al Ahli Global Equity Fund (1995) gestito da Wellington Management. La sua particolarità nell’ambito dell’asset management è che ha permesso l’accesso agli investimenti anche al piccolo pubblico, non solo ad enti istituzionali o ai privati con ingenti patrimoni136. Questo, in realtà, nella

maggioranza di casi non è scontato, perché in genere i fondi islamici hanno soglie di accesso molto elevate. Oltre a questo aspetto, gli studiosi sollevano anche un’altra importante critica, cioè che il denaro destinato ai fondi comuni non viene utilizzato per finanziare investimenti nel paese d’origine o in paesi in via di sviluppo. Quasi sempre quel denaro finisce in Occidente o in Giappone137.

Questa seconda critica descrive un problema effettivo, senza contare che per i paesi musulmani c’è anche un’importante componente religiosa. Secondo quanto scritto nei testi sacri, infatti, il denaro e la sua destinazione devono apportare un contributo alla società ed essere al servizio di tutta la comunità (Umma). Nell’ottica musulmana, quindi, gli investimenti dovrebbero contribuire allo sviluppo dei paesi musulmani, cosa che ovviamente non può succedere se il denaro viene investito all’estero. Nonostante ciò, c’è da dire anche che i mercati azionari regolamentati islamici non sono ancora abbastanza ampi da consentire agli investitori una sufficiente diversificazione, le banche sono troppo poco capitalizzate per influire sullo sviluppo del mercato dei capitali e non c’è un sistema interbancario né un’organizzazione centralizzata138.

Un altro aspetto critico per quanto riguarda i fondi comuni è che le società presenti nel portafoglio devono rispettare i principi coranici (che sappiamo essere abbastanza stringenti), e tale rispondenza viene ottenuta escludendo alcuni settori e alcune aziende specifiche. Il monitoraggio della Shari’ah compliance dei fondi e dei titoli in cui investono viene compiuto dallo Shari’ah board139.

136 Cox (2002) 137 Moore (1997)

138 Moore (1997), Maroun (2002), Husain (2002). 139 Porzio et al. (2009), p. 47.

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Le scelte di investimento in titoli azionari sono tutt’altro che semplici, anche considerato che a stretto rigore, in base alle interpretazioni più stringenti della

Shari’ah, tutti i titoli sui mercati azionari sono virtualmente off limits”140. Infatti,

qualora i titoli selezionati rientrino tra gli ambiti di attività halal, e quindi leciti, bisogna accertarsi che l’impresa in questione non sia finanziata tramite sistemi riba-

based.

In alternativa alla costante consultazione degli Shari’ah boards, i fondi possono fare riferimento, per decidere quali titoli detenere in portafoglio e quali scartare, ai cosiddetti indici islamici, come il Dow Johns Islamic o il FTSE Global Islamic141. Questi

indici sono costituiti da titoli approvati dai rispettivi boards e hanno una copertura geografica globale, pertanto possono essere utilizzati come benchmark dai fondi per sapere se un titolo sia halal o meno.

Il processo di creazione di tali indici è piuttosto laborioso e prevede un progressivo

screening ad opera dello Shari’ah board e del gestore. La prima scrematura riguarda

il settore in cui opera la società. Vengono via via escluse tutte le imprese che operano, come attività principale, in questi settori:

• bancario, finanziario e assicurativo, poiché operano in base a riba e gharar; • produzione, lavorazione e commercializzazione di carne di maiale e di alcol; • entertainment inteso in senso lato: casinò e gioco d’azzardo, pornografia,

musica e cinema; • produzione di armi; • produzione di tabacco142.

140 Moore (1997).

141 Questi due indici sono nati sulla scia della creazione del primo indice puramente e genuinamente

islamico relativo all’Islamic Capital Market (ICM) del Kuala Lumpur Stock Exchange, in Malesia. Questo primissimo indice è considerato il pioniere nello sviluppo del mercato finanziario islamico. V. Cox (2002)

142 Elgari (2002), Dow Jones (2006).

Sulle categorie di armi e tabacco gli studiosi non sono tutti concordi, ma nel dubbio Dow Jones e FTSE hanno deciso di escluderle.

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Le società rimaste vengono valutate in base a parametri sul debito e sui crediti e ai titoli fruttiferi di interesse:

• Il debito non deve essere superiore al 33% del valore di mercato della società. Dato che il debito è remunerato tramite interesse non è accettabile secondo la Shari’ah, a meno che la parte della società finanziata con questo sistema

riba-based non sia minoritaria. La soglia tra minoranza e minoranza viene

fissata, appunto, al 33%;

• La somma di liquidità e attività fruttifere di interesse non deve essere superiore al 33% del valore di mercato della società. Tale regola risponde all’esigenza di escludere quelle società che fanno eccessivo ricorso ad attività che generano interesse (violazione del divieto di riba) o che hanno troppa liquidità inutilizzata (violazione del divieto di tesaurizzazione);

• La somma tra crediti e liquidità non deve eccedere il 50% del valore di mercato della società. Il principio sottostante è il medesimo visto nei punti precedenti. In questo caso, però, la soglia è posta ad un livello superiore poiché la categoria “crediti” può comprendere sia prestiti remunerati (vietati in quanto riba-based), sia i crediti commerciali (semplici pagamenti differiti e quindi permessi)143.

Una volta completate queste fasi dello screening, devono essere eliminate anche tutte quelle società non ritenute idonee, per qualsiasi motivo, dallo Shari’ah boards. In ultima analisi, bisogna tener conto anche del tipo di strumenti che si vuole inserire nel portafoglio. Gli strumenti derivati (futures, forward e opzioni) sono viziati da

gharar e quindi non vengono inseriti. Anche le azioni privilegiate e i warrant

vengono esclusi, poiché in netto contrasto col principiò di equità nel trattamento dei soci144.

Benché le regole appena esposte sembrino molto chiare, il confine tra halal e haram è spesso molto labile e soggetto ad interpretazioni soggettive. Molto spesso quindi i

143 Elgari (2002).

144 Le possibilità di partecipazione al capitale azionario di una società può avvenire solo tramite l’acquisto

di azioni ordinarie, che sono, forse, lo strumento di massima espressione del principio Profit-Loss

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boards agiscono secondo la scuola di appartenenza o cercano di non essere troppo

fiscali, cedendo al pragmatismo e ricercando dei compromessi tra i precetti sciaraitici e la necessità di favorire lo sviluppo economico-finanziario dei paesi islamici

Per risolvere il problema dell’illiceità di fin troppe società, è possibile adottare un metodo forse un po’ macchinoso che permette di attuare una sorta di “purificazione”: se dai valori di bilancio è possibile individuare gli utili ottenuti tramite attività haram, questi vengono scorporati. Una volta separate queste componenti “impure” il fondo può scegliere145 se devolvere in opere caritatevoli la parte di capital gain haram

oppure limitarsi a comunicarla al percettore e demandare a quest’ultimo l’onere di eseguire la “purificazione” 146.