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Vocalismo tonico, il tipo surse

La forma con la u tonica è variante dotta che si trova in Monti, Foscolo e Pindemonte. In tutti i tre traduttori la u è presente solo nel passato remoto

surse/sursero, mentre al presente si trovano sempre sorge/sorgono.

Dittonghi

Fraude costituisce una chiara ripresa etimologica, ovvero un latinismo

fonetico; si ritrova in Monti, Pindemonte e Foscolo. Dello stesso tipo segnalo anche aura (C, M, P), auro (M, P), laude (C, M), tauro (C, M, P) il verbo ristaura (M); e augello (C, M, F, P) con il dittongo in posizione atona. Nella traduzione di Cesarotti è molto ricorrente il nome aura; non compare il nome auro, però troviamo l'aggettivo aurato (C, M) e il verbo inaurare (C, P). Egli probabilmente apprezzava molto la pienezza vocalica del dittongo seguito da vibrante, che impreziosisce alcuni passi descrittivi:

Entro a un guscio d’ argento, aspra il grand’else D’aurate borchie, da pendaglio aurato

Scendeagli a' fianchi luminosa spada (C, XI, 36-38)

Vocalismo atono:

Diverse parole mostrano una variazione nella vocale radicale:

Riggiunsero compare solo in Foscolo (F, I, 733), dove troviamo anche il

participio riggiunta (F, I, 576).

Rispingere, soprattutto nelle forme flesse rispinse e rispinsero, è presente

in tutte le traduzioni.

Dimandare compare nelle traduzioni di Monti e Pindemonte. In Monti il

verbo ha sempre la radice in i, mentre il sostantivo è sempre domanda; in Pindemonte troviamo invece anche domandare.

Consonantismo: nesso -gn, del tipo giugne (giunge)

Il nesso -gn davanti a i e e si configura originariamente come tipico del fiorentino, rispetto al toscano occidentale in cui compare invece la forma

giunge. A partire da XV secolo la forma giunge diviene usuale anche a Firenze

e da quel momento giugne si configura come popolarismo fiorentino oppure come arcaismo spendibile in ambito letterario172. Durante il Settecento la forma compare in poesia con valore anticheggiante, mentre nel secolo successivo diventa progressivamente più raro, conservandosi in contesti specifici, come nelle traduzioni dei classici.

In Cesarotti la forma giugne non compare; in Monti compare, ma ha una ricorrenza decisamente minoritaria rispetto a giunge: troviamo 5 volte il verbo semplice o prefissato (soggiugnea, aggiugner), mentre per giunge e composti si contano 40 occorrenze. In Pindemonte si segnala una sola occorrenza nella forma giugnesse (P); in Foscolo si trova la forma aggiugnea (F, I, 376).

Il nesso -gn davanti a vocale, alternativo a -ng, può comparire anche in altri lemmi: costrigne (M), strigne (M; P), il congiuntivo presente spegna (M, P),

tegno (M), vegno (C, M, P), attignere (C, M, P). Ricordo infine il sostantivo ugna, presente soltanto in Monti.

Nesso -gl del tipo vaglia (valga)

Come già osservato per spegna, alcuni verbi al congiuntivo presente hanno la consonante palatale anche nella 1a e 3a persona singolare. È il caso di accoglia (P) e vaglia (C; P). Pindemonte usa tre volte l'espressione vaglia il

vero, con cui si sottolinea la veridicità di un'affermazione: «Quanto al cesto e

alla lotta, e al salto e al corso, | Cede a noi, vaglia il vero, ogni altra gente» (P, 134-35).

I nessi -gl e -gn hanno entrambi l'effetto di ridurre il numero di fonemi componenti la parola (in vaglia e giugne si passa da cinque a quattro, rispetto a valga e giunge), rendendo aperta la prima sillaba.

Scempie e doppie: giubbilò e aguati

La presenza di consonanti doppie anziché geminate, o vice versa, è assolutamente marginale all'interno delle traduzioni. Si segnalano comunque due casi.

Giubbilò compare solamente in Pindemonte (P, XXIII, 41) e sembra avere

una funzione di sottolineatura della stato di euforia emotiva: «Giubbilò allor Penelope, e, di letto | Sbalzata, al seno s’accostò la vecchia». Vi sono infatti tre occorrenze del verbo giubilare o del sostantivo giubilo con consonante scempia.

Aguati compare solamente nel testo di Foscolo - sia nel I (v. 260) sia nel

III libro (v. 222) - in cui non è mai usata la forma con consonante geminata, che è invece preferita da tutti gli altri traduttori.

La desinenza -fizio

Il suffisso di derivazione verbale -ficio, indicante fabbricazione o attuazione, può trovarsi nella forma -fizio, nei sostantivi artifizio (M), edifizio (P), sagrifizio (C, M, P); l'ultimo dei quali presenta ben due variazioni

consonantiche che lo rendono spiccatamente letterario. Il fenomeno, sebbene non determini una variazione nel computo sillabico, aumenta l'estensione dell'ultima sillaba, composta da tre fonemi anziché due.

Varianti consonantiche:

Nei testi si trovano diverse parole che presentano una variazione nel consonantismo rispetto all'allotropo più diffuso.

Imperadore è uno dei nomina agentis con dentale sonora anziché sorda;

già presenti nel fiorentino antico vengono recuperati dalla poesia ottocentesca173. Imperadore (C, M, F) è assente solamente in Pindemonte, in cui però non compare nemmeno l'allotropo imperatore. In Cesarotti troviamo entrambe le forme, mentre in Monti e Foscolo imperadore è esclusivo. Dello stesso tipo è anche ambasciadore, che compare in Monti, sebbene con meno frequenza rispetto ad ambasciatore.

Saver (per ‘sapere’) è presente soltanto in Pindemonte, dove però

troviamo più spesso la forma con il tema etimologico.

Templo è una forma etimologica modellata sul latino templum. Compare

in Monti accanto alla forma tempio.

Sagrificare si trova in Monti e Pindemonte, in cui troviamo anche il

sostantivo sagrificio/sagrifizio, accanto alla forma etimologica sacrificare.

Sincope

Si riportano le forme principali di sincope vocalica a cui spesso è connesso un valore di letterarietà: carco (C, M, P) e i composti incarco (C, M, P) e scarco (agg.) (C)174, corcare (M, P) e ricorcarsi (F), edra (P), merto (C, M, F, P), opra (C, M, F, P) e i derivati oprare (C, M, F, P) e adoprare (C, M, P),

173 Ivi, p. 88.

174 «Poichè col largo lagrimar più scarco | Si rese il cor, s’alza dal seggio, e ’l guardo | Già più sereno in sua pietade arresta» (C, XXIV, 712-714).

spermentare (M). Dritto (agg., avv. e nome) (C, M, P) ritorna più volte in

Pindemonte nella locuzione a dritto (“giustamente”); spirto (C, M, P) è forma esclusiva in Cesarotti e Pindemonte, mentre in Monti si trova un'occorrenza del termine non sincopato. La sincope, oltre a ridurre il numero di sillabe della parola, determina dei nessi vocalici vibrante + cons. o cons. + vibrante, con effetto di addensamento sonoro.

In altre parole, non si è avuta sincope ma mancata epentesi175: medesmo (da franc. ant. MEDESME) (C, M), biasmo (da provenz. BLASMAR) (C, M, P) e

biasmare (C, M, P).

A differenza di porre < ponere, in cui la forma sincopata ha gradualmente sostituito quella estesa, in altri casi gli infiniti sincopati hanno una connotazione stilistica: sciorre (C, M, P), torre < TOLLERE (M, P), anche nel condizionale torrei. Qui la caduta sillabica determina una vibrante geminata.

Apocope

Si tratta di un fenomeno fonetico diffusissimo in poesia, il cui successo è in larga misura legato a fattori metrici. Consideriamo prima alcuni casi di apocope sillabica:, fe' (per fece) (C, M, F, P), fe' (per fede) (C, M), me' (per

meglio) (M), piè (per piede/-i) (C, M, F, P), ver (per verso, prep.) (C, M, F, P), vo'

(per voglio) (C, M, P).

Le forme verbali apocopate sono moltissime, nei vari modi o tempi verbali: l'infinito (es.: andar, veder, condur, tor); la terza, quarta e sesta persona dell'indicativo presente (vien, andiam, odon); la quarta e sesta persona dell'indicativo futuro (farem, saran); la sesta persona dell'indicativo imperfetto (chiedean, combattean, crescean) e del passato remoto176 (portar,

175 Cfr. L. SERIANNI, La lingua poetica italiana, cit., p. 111-112;

176 Nel caso di Monti la forma dell'indicativo passato remoto si differenzia graficamente dall'infinito per la presenza dell'accento sulla vocale finale: es: M, XIII, 697: «Riversossi | Dall’altra parte il capo, e n’andâr seco | L’elmo e lo scudo»; per le desinenze -aro per -arono, si veda infra, p. 104.

mandar); la quarta e sesta persona del congiuntivo presente (sosteniam, parlin, cadan); la sesta persona del congiuntivo imperfetto (avesser, perdesser); la sesta

persona del condizionale presente (potrian, sarian)177; infine la seconda persona dell'imperativo (pon, tien).

Vi sono poi casi di apocope vocalica al di fuori del verbo. Possiamo trovare sostantivi singolari quali cadaver (C, P), can (C, M, P), destin (C, M, F, P), pensier (C, M, F, P), sen (C, M, P), sospir (C, M), uom (C, M, P), tiran (C),

velen (C, P178); e aggettivi quali giovin (M), fedel (C, M, P), nobil (C, P), oltre ai ben noti bel e buon, attestati in tutte le traduzioni. Fra i pronomi si segnalano

ciascun (C, M, P), color (M, P), ognun (C, M, F, P). Ci sono poi tutti i sostantivi

terminanti in -ore: amor (C, M, F, P), ardor (C), color (C, M, F), dolor (C, M, F, P), favor (C, M, F, P) salvator (C, P), valor (C, M, F, P), licor (C, M, P); e i sostantivi terminanti in -llo: augel (M, P), caval (C), fratel (C, M, F, P), sgabel (P). Sono piuttosto interessanti alcuni sostantivi plurali in -i apocopati, i quali sono del tutto identici al loro corrispettivo singolare: can (C, F), sospir (C, M, P), sapor (P), tesor (C, P), favor (M, P). L'apocope vocalica nei sostantivi plurali esula dalle norme previste per la realizzazione dell'apocope179 ed è pressoché esclusiva della poesia, con un certo rilevo a livello stilistico, come rivelano questi esempi:

(1) Pria l'armento de' muli, e i can veloci Invade; e quindi la mortal saetta

Fere gli umani […] (F, I, 61-63) (2) Pensoso resta e in forse il pazïente

Laerziade divino, e con se stesso,

Raddoppiando i sospir, tal si consiglia (P, V, 449-451)

177 Nelle traduzioni non compare il condizionale in -ebbero, ma solo i -arian;

178 Cfr. P, XXIII, 280-81: «Non conobbe il velen, velen, da cui | Tanto cordoglio a tutti noi discorse».

179 L. Serianni menziona «le condizioni necessarie perché si possa produrre apocope: vocae diversa da a e da e, i morfemi di plurale; consonante precedente che sia liquida o nasale; posizione all'interno della frase» (La lingua poetica italiana, cit., p. 120).

Ricordo infine che anche i gruppi di clitici, uniti a livello morfologico, presentano apocope: mel (da “me lo”), tel, sel, e vel compaiono in tutte le traduzioni, eccetto vel, che non si trova in Foscolo. È poi presente in tutti gli autori la forma nol (da “non lo”), mentre cel (“ce lo”) è totalmente assente. Altri gruppi di pronomi sono men (“me ne”) (C, M, P), ten (C, M, P), sen (C, M, P) cen (P), ven (M, P).

Epitesi vocalica postconsonantica del tipo Ettorre

Secondo una tendenza del toscano, antico e moderno, le parole con terminazione consonantica ricevono una vocale finale come in Iob > Giobbe. È questo il caso di Ettorre, che si è ottenuto attraverso un passaggio da Èttor, semplice variante apocopata di Ettore, a Ettòr, per diastole, e di qui a

Ettorre180. Lo stesso avviene anche in Nestore/Nestorre. Vista l'altissima frequenza del lemma Ettore nelle sue varie realizzazioni fonetiche, ritengo opportuno riportare la ricorrenza delle diverse forme nelle traduzioni dell'Iliade:

Cesarotti Monti Foscolo

Èttore 87* 93 7

Èttor 20* 10 -

Ettòr 102* 37 -

Ettòrre 90* 168 -

Cesarotti si dimostra il più incline a impiegare liberamente le varianti, con una preferenza per la forma tronca Ettòr; solo Èttor risulta nettamente minoritaria. Monti predilige nettamente Ettòrre, che ricorre in più del 50% dei

180 Cfr. Ivi, p. 135.

casi: il gusto per la pienezza sonora del vocabolo, con due consonanti geminate, di cui una vibrante, si rivela anche in questa scelta. Foscolo, infine, usa soltanto la forma non apocopata, resistendo alle suggestioni sonore e alle differenti giaciture accentuali delle altre forme.

Molte delle scelte fonetiche finora osservate si dimostrano funzionali ad accrescere la densità sonora e ritmica dell'endecasillabo. Da un lato c'è la ricerca della pienezza vocalica (dittonghi) e consonantica (nessi consonantici e geminate); dall'altro l'abbondanza di forme apocopate, e quindi tronche, favorisce una maggiore prossimità degli ictus. Sono tutti elementi che producono una maggiore durata nell'esecuzione del verso e dunque un rallentamento della lettura, legato all'ideale di gravitas cui si ispirano in modalità differenti i traduttori.

2.2 Morfologia e microsintassi