Considero in primo luogo alcuni verbi sulla base del loro uso transitivo o intransitivo, in rapporto all'uso prevalente nell'italiano moderno. Alcuni verbi a cui è solitamente associato un uso transitivo, vengono impiegati come intransitivi. In alcuni casi essi reggono un dativo che ha la medesima funzione del complemento oggetto; in sostanza non muta la funzione logica del sintagma, ma soltanto la sua forma. Si tratta dunque di verbi biargomentali in cui si osserva l’uso letterario dell'accusativo preposizionale191:
adorare: oltre al consueto valore transitivo («[…] soccorri addesso | Il
figlio suo che pur t’ adora, e mostra | Che tutto può chi d’esser tuo fai degno» C, X, 313-15) il verbo è utilizzato da Foscolo con valore intransitivo: «Per Febo a Giove caro, a chi tu spesso | Adorando, per noi miri ne' fati » (F, I, 101-102).
minacciare: è utilizzato con valore intransitivo soltanto da Foscolo: «Che
lo caccia insultando e gli minaccia» (F, I, 30).
soccorrere: il verbo, solitamente transitivo, può reggere anche un
complemento indiretto192, secondo la formula soccorrere a qualcuno. Nella traduzione di Cesarotti c'è solo l'uso transitivo, Monti e Pindemonte si avvalgono di entrambe le opzioni, mentre in Foscolo ho rinvenuto soltanto l'uso preposizionale:
191 Cfr. G. FIORENTINO, Accusativo preposizionale, in Enciclopedia dell'Italiano, Roma, IEI, 2010, I, pp. 17-19.
(1) Ma tu che il puoi, tu al figlio tuo soccorri,
vanne all'Olimpo, e porgi preghi a Giove (M, I, 513-514) […] Or tu se il puoi,
(2) Al tuo figliuol soccorri; ascendi al cielo (F, I, 457-458) (3) Ma tu la via, che a vendicarmi io prenda,
M'addita, e a me soccorri, e quell'audace
Spirto m'infondi […] (P, XIII, 451-453)
supplicare: può essere utilizzato con valore intransitivo, similmente a soccorrere; tale uso risulta preferenziale in Pindemonte ed esclusivo in
Foscolo, confermando un certo gusto per questi costrutti sintattici da parte dei due autori:
(4) […] L'un campo intanto e l'altro
le mani alzando supplicava al cielo (M, III, 417-418) (5) Stupìan, guardando l'uom che alla Reina
Supplicava in tal forma […] (P, VII, 194-195) (6) E muto al lito andò del mar fremente
Seco gemendo il vecchio, e supplicava
A Febo Re […] (F, I, 41-43)
Altri verbi, generalmente transitivi, sono utilizzati in modo intransitivo, con una consistente variazione semantica, per esprimenre movimento:
afferrare: il verbo è utilizzato da Pindemonte con il significato di
‘approdare’, ‘giungere’: «E con viaggi non pensati, a queste, | Così piacque agli Dei, sponde afferrammo» P, IX, 331-32). Il significato di “calare l'ancora”, “attraccare” è indicato nel GDLI come antico e di ambito marinaresco193.
193 Cfr. GDLI, I, p. 203.
trarre: il verbo si trova anche in forma intransitiva indicando
movimento, con il significato di ‘muoversi’, ‘andare’.
(7) Ma colla furia de' Trojani a fianchi Gli sperperati Achivi a rimpiattarsi
Traean tremanti ai legni lor […] (C, XVIII, 165-167) (8) […] In queste forme
trasse innanzi la Diva, e al re conversa,
Padre, disse, che fai? (M, II, 1064-1066) (9) […] le figlie
Degli eroi compariano, e le consorti
E traean della fossa al margo in folla (P, XI, 292-294)
valicare: il verbo in forma intransitiva può indicare movimento, con
significato affine a ‘viaggiare’, ‘attraversare’; tale uso si trova soltanto in Pindemonte: «[…] All'arenosa | Pilo ed a Sparta valicare io bramo» (P, II, 266-67); «Albero scorger credevam di nave | Larga, mercanteggiante, e l'onde brune | Con venti remi a valicare usata» (P, IX, 413-15).
Un fenomeno speculare rispetto agli usi appena osservati riguarda i verbi generalmente intransitivi usati transitivamente:
approdare: in Foscolo troviamo un uso del verbo con valore transitivo,
con significato di ‘condurre’: «Predaiti a Sparta, e veleggiando i mari, | Di Cranae t'approdai nell'isoletta» (F, III, 500-501); tale valore è raro, ma compare nella versione dell'Odissea di Salvini194.
balzare: questo verbo, solitamente intransitivo, può avere anche il
194 A. M. SALVINI, Odissea di Omero, Firenze, Tartini e Franchi, 1723, p. 80: «Aiace colle navi a lunghi remi | ucciso fu, e alle Gire in prima | Nettuno l'approdò». Cfr. GDLI, I, p. 588.
significato di ‘far saltare’, ‘sbalzare’, come si vede in Cesarotti: «Volean gravarlo di catene indegne, | E balzarlo dal soglio […]» (C, I, 548-49) e Monti: « […] Ei sotto il carro | Storpieravvi i destrieri, e dall'infranto | Carro voi stesse balzerà […]» (M, VIII, 580-82).
congiurare: il verbo è di norma usato in modo intransitivo, come
vediamo in Cesarotti: «Cupido di saper se a sua ruina | Tutto congiuri il ciel […]» (C, XXI, 280-81). Tuttavia in Foscolo esso può reggere un complemento diretto, assumendo un significato affine a ‘tramare’, ‘preparare una congiura’:
(10) Palla Minerva e gli universi Olimpi Gli congiurar catene; e tu giungevi
E il liberavi, o Dea […] (F, I, 466-468)195
garrire: all'interno delle traduzioni il verbo, nell'uso intransitivo, si
riferisce all'atto di urlare in modo fastidioso:
(11) Sarà schietto il mio dire, onde si cessi Di garrirmi all’orecchio, e farmi assalto
Di promesse e di preghi […] (C, IX, 475-477)
Vi è però anche un uso transitivo, per cui esso significa “rimproverare aspramente” e il complemento oggetto indica la persona cui è rivolto il rimprovero.
(12) […] S'assise la bella donna, e con amari accenti,
garrì, senza mirarlo, il suo marito (M, III, 564-566) (13) Dall'altra parte la garrìano i proci,
E primo il Damastòride Agelao
195 Nel GDLI, il passo foscoliano è riportato quale unico esempio di questa particolare accezione del verbo, ovvero «Decidere, stabilire in una congiura (la sorte della persona contro cui è rivolta)» (III, p. 557).
A minacciarla fu […] (P, XXII, 260-262)
guerreggiare: il verbo compare con valore transitivo nel senso di
“combattere”, “fare guerra a”:
(14) [...] l'orrenda coppia lasciati della Tracia i lidi
va degli Efìri a guerreggiar le genti (M, XIII, 384-386) (15) Ed io per chi mi venni a' bellicosi
Dardani? e per che colpe io li guerreggio? (F, I, 174-175)
Con un significato affine, nelle traduzioni di Cesarotti e Pindemonte, troviamo il participio passato guerreggiato, nelle espressioni «L'Elena guerreggiata [...]» (C, VII, 628) e «[...] guerreggiato | Cinghiale feroce […]» (P, XXIII, 94-95). Nei due casi il termine assume però un valore diverso: in Cesarotti Elena è l'oggetto della disputa, la causa della guerra, e quindi il participio equivale a “contesa”, mentre nei versi pindemontiani il cinghiale costituisce propriamente l'avversario nello scontro.
morire: il verbo è generalmente utilizzato in senso intransitivo e regge il
complemento oggetto in casi del tutto eccezionali, come nella figura etimologica “morire una morte”. Nelle traduzioni in esame invece morire è usato anche in modo transitivo, con il significato di ‘uccidere’:
(16) L’ Eroe rispose, or ti millanta e gonfia,
Ch' hai ben di che: morto m’hai tu, non vinto (C, XVI, 883-884)
(17) […] Solo il suo fido Servo Calesio, che reggeagli il cocchio,
Morto ei pur dal Tidíde, al fianco cadde (M, VI, 22-24) (18) Dappoi che uccise il fraudolento Egisto,
parlare: similmente a quanto affermato per morire, oltre che nella figura
etimologica “parlare parole”, il verbo può reggere un complemento diretto, come si osserva in Foscolo: «Surse l'ira d'Atride, e imperioso | Mi parlò una minaccia ed è compiuta» (F, I, 451-452).
passeggiare: nelle traduzioni il verbo è piuttosto raro; nella maggioranza
dei casi ha valore intransitivo, ma Pindemonte ne fa un uso transitivo:
(19) Sorta la figlia del mattino appena, L'isoletta, che in noi gran maraviglia
Destò, passeggiavamo […] (P, IX, 191-193)
Vi sono poi alcuni verbi che nel linguaggio contemporaneo si presentano in forma riflessiva196, ma che nelle traduzioni in esame sono utilizzati in senso assoluto. Nella maggioranza dei casi si mantiene il medesimo significato della forma riflessiva, in altri vi è un mutamento radicale:
accingere: l'uso transitivo del verbo si trova in Monti, con il significato
di “cingere”, “circondare”: «Di lor tutt'arme accinti i due guerrieri | s'appresentâr nel mezzo, e si guataro» (M, III, 448-449).
alzare: con il significato di “alzarsi” il verbo compare in forma non
pronominale in Pindemonte: «Visto Antìnoo cader, tumulto i proci | Fêr nella sala, e dai lor seggi alzâro» (P, XXII, 28-29).
annidare: l'uso intransitivo non pronominale del verbo si trova in
Cesarotti: «[...] da lei le belve | Quante annidano in tana, errano in selva | Apprendesti a ferir […]» (C, V, 79-81).
196 Sono soprattutto verbi intransitivi pronominali, dove il clitico non svolge una funzione propriamente riflessiva. Cfr. E. JEZEK, Pronominali, verbi in Enciclopedia dell'Italiano, cit., II, pp. 1167-68.
appressare: può essere utilizzato in modo intransitivo, mantenendo il
significato di “avvicinarsi”, generalmente associato alla forma riflessiva: «Già dei forti Mirmidoni alle navi | Chetamente appressar […]» (C, IX, 321-322); «E il lagrimar non tenni: ma né a lei, | Quantunque men dolesse, io permettea | Al sangue atro appressar […] » (P, XI, 118-20).
inchinare: compare nella forma riflessiva inchinarsi nelle traduzioni di
Cesarotti e Monti, mentre in Pindemonte e Foscolo è usato senza pronome:
(20) Già al mio pianto inchinasti, ed onorando Me sacerdote tuo, fosti agli Argivi
Gran lutto […] (F, I, 534-536) (21) Ché non gli falla il senno, e a favor nostro
La gente, come un dì, più non inchina (P, XVI, 404-405)
All'opposto vi sono verbi di norma non riflessivi, che nelle traduzioni neoclassiche si accompagnano a particelle pronominali, in particolare si. Tali particelle difficilmente hanno una funzione propriamente riflessiva, possono segnalare il coinvolgimento del soggetto, oppure essere totalmente pleonastiche. Considero in primo luogo i verbi in cui l'aggiunta del pronome non determina consistenti variazioni di significato rispetto al verbo semplice; fra questi rientrano soprattutto verbi inrtansitivi indicanti moto o stato:
avanzare: il verbo è legato alle dinamiche dello scontro bellico, pertanto
compare molto frequentemente nelle traduzioni iliadiche di Monti e Cesarotti. Nella traduzione montiana la forma pronominale è decisamente prevalente:
(22) Ma spiranti valor vedi gli Achei
(23) S'avanzò, fulminò l'asta nel colmo
Dello scudo d'Atride […] (M, XIII, 830-31) (24) Nettuno là, 've termina e s'avanza
La vostra terra con gran punta in mare,
Spinse la nave mia contra uno scoglio (P, IX, 360-62)
credere: l'uso pronominale del verbo introduce soprattutto frasi
oggettive, con il significato di “ritenere”:
(25) Non nella patria mia, credomi, e temo
Che tu di me prender ti voglia gioco (P, XIII, 384-385) (26) Al baldanzoso Re stava dinanzi
Sogno di guerra: aver credeasi a fronte
L’oste de’ Greci […] (C, X, 559-561) (27) Credeami aver Dëífobo presente;
Egli è dentro le mura […] (M, XXII, 376-377)
giacere: la forma pronominale compare in questo caso in tutte le
traduzioni, tranne in Foscolo.
(28) Diede a Bocoleon, furtivo figlio
Di Laomedonte, a cui stretta si giacque (C, VI, 41-42) (29) Figlio, disse, poiché piacque agli Dei
la sua morte, lasciam, benché dolenti,
che questi qui si giaccia […] (M, XIX, 8-10) (30) Non vo’, che alcuna delle Achee mi morda,
Se ad uom, che tanto avea d’arredi vivo,
Fallisse un drappo, in cui giacersi estinto. (P, II, 130-132)
indugiare: rispetto all'uso non pronominale, la forma con pronome
riflessivo non sembra comportare una particolare variazione di significato; essa è assente soltanto nella traduzione di Cesarotti:
(31) Né Minerva s'indugia. Ella diffuso
Il suo peplo immortal sul pavimento (M, V, 979-980) (32) Un solo istante s'indugiâro a porgli
Quei parte delle carni, e i pani questa (P, XVII, 313-314) (33) Ch'io non t'incontri, vecchio, appo le navi,
Nè più indugiarti nè tornarvi mai (F, I, 31-32)
Soltanto nel passo foscoliano la presenza del pronome enclitico produce un rafforzamento della minaccia di Agamennone a Crise, accentuando in qualche misura il coinvolgimento del destinatario.
partire: la forma pronominale197 compare in tutti gli autori e non sembra comportare una variazione semantica considerevole rispetto all'uso intransitivo del verbo:
(34) […] colla giustizia offesa Partì Pelide, e si partir con esso
Il coraggio comun, la sorte, e Giove (C, IX, 201-203) (35) […] il re cretese
Da quella tenda si partìa, pur sempre
Desideroso di battaglia […] (M, XIII, 280-282) (36) E ciò detto si parte; e l'abbandona
Pur con tutti i pensieri […] (F, I, 501-502) (37) […] Ma dimmi, o buono,
Chi è quello stranier? Dond'ei partissi? (P, I, 519-520)
197 Il verbo con particella pronominale può rivelare un legame con l'uso transitivo di partire, che significa ‘dividere’, ‘fare in parti’, ma nelle traduzioni si dimostra pleonastico. Cfr. GDLI: «parto; quale risultante ellittica del prevalentemente ant. e letter. partirsi, con particella pronom. che, in funzione di compl. diretto, manifesta la connessione semantica con partire1 a cui si deve anche il ricorrere di forme frequent., e che viene meno quale pleonasmo pronom., attenuandosi la consapevolezza di tale connessione» (XII, p. 685).
restare: anche in questo caso non vi sono consistenti mutamenti di
significato rispetto all'uso intransitivo del verbo:
(38) Senza te si combatta, e che si resti Del tuo soccorso onnipossente ignudo
Questo popol che t’ ama […] (C, I, 402-404) (39) […] Ma non già muto
Si restò Menelao, che doloroso,
Me, pur gridava, me me pure udite (M, III, 123-125)
rimanere: similmente a restare, anche rimanere può essere usato in presenza di particella pronominale:
(40) Pietà del figlio nè di me tu senti, Crudel, di me che vedova infelice
Rimarrommi tra poco […] (M, VI, 528-530) (41) Arse la Diva; e oh misera, le disse,
Guai se in ira mi cadi, e ti rimani
Desolata da me […] (F, III, 465-467) (42) Dal saettar si rimarrà per sempre (P, XXII, 97)
ritornare: in questo caso la forma preposizionale non presenta
consistenti differenze di significato rispetto all'uso intransitivo. È un uso decisamente raro ne ho rinvenuto un esempio nell'Iliade montiana:
(43) E diati il ciel di salvo ritornarti
Al tuo loco natío […] (M, XXIV, 703-704)
rotolare: il verbo è generalmente usato in forma riflessiva quando il
soggetto è animato (“il maiale si rotola nell'aia”), mentre è intransitivo in presenza di corpi inanimati (“la biglia rotolava sul tavolo”). Nei testi in esame l'uso riflessivo può essere esteso anche a oggetti inanimati:
(44) […] coll'acciar gli pota ambe le mani, e poi la testa, e lungi come palèo la scaglia a rotolarsi
fra la turba […] (M, XI, 202-205) (45) Rotolavasi rapida pel chino
Sino alla valle la pesante massa (P, XI, 753-754)
tacere: la forma pronominale è nettamente meno ricorrente rispetto a
quella semplice, di cui riproduce il significato:
(46) […] inorridita
Giuno si tacque, e andar pensosi i Numi (C, VIII, 579-80) (47) Taceasi ogni altro, fuorché il solo Anticlo,
Che risponder voleati […] (P, IV, 365-66)
Il verbo tacere, usato in senso perfettivo, con il significato di “cessare di parlare” è molto diffuso, soprattutto nelle traduzioni di Monti e Pindemonte e assume una specifica funzione all'interno dei passi dialogici e una posizione preferenziale nel verso. Esso segue la battuta di un discorso diretto, indicandone la fine, a cui segue un cambio di battuta o una reazione da parte di parlante e ascoltatori. La posizione privilegiata è a inizio verso, con una perfetta corrispondenza di confine sintattico e metrico. In Monti, su 19 occorrenze della forma tacque, 13 sono a inizio verso; in Pindemonte ciò avviene in ben 18 casi su 19:
(48) […] io non ti curo, poiché d'ogni pudor passasti il segno. Tacque; né Giuno osò pure d'un detto
fargli risposta […] (M, VIII, 664-67) (49) […] ed egli or giace
gittato a terra, e dal dolore oppresso. Tacque; e il mal fermo Dio così rispose: Ti riconforta, o Teti, e questa cura
(50) […] Né la madre Sa, né, fuor che una, il mio pensier le ancelle”. Tacque, e loro entrò innanzi; e quelli dietro
Teneangli […] (P, II, 516-19) (51) “Parti, ma dopo il cibo, e al dì novello
Torna e vittime pingui adduci teco”. Tacque; ed Eumèo sovra il polito scanno
Novamente sedea […] (P, XVII, 719-22)
Il verbo segnala un momento di passaggio, a livello narrativo, con una forte sottolineatura ritmica: esso porta un accento di prima, rinforzato dalle pause sintattiche che lo precedono e seguono, e dall'evidenza sonora della velare geminata.
sapere: la forma pronominale compare in Monti e Pindemonte:
(52) Nulla hai tu che temer; fa ch’io mi sappia Se fra le Dee son io la più spregiata (M, I, 684-85) (53) Ben io mi so come ti fui campione
Altra fiata […] (F, I, 708-09)
sperare: la ricorrenza della forma sperarsi è molto inferiore a quella del
verbo semplice, e compare soltanto in Monti e Foscolo:
(54) Né così pur si speri Agamennóne La mia mente inchinar prima che tutto
Pagato ei m'abbia dell'offesa il fio (M, IX, 500-502) (55) Ahi più d'ogni altro Iddio, Giove sinistro!
Io da te giusta mi sperai vendetta (F, III, 406-407)
venire: la forma pronominale, decisamente poco frequente rispetto a
(56) […] verrommi io stesso Alle tue tende, onde tu pur conosca
S'io t'avanzo in possanza […] (F, I, 213-15) (57) Gonfiasi il mare, e i padiglioni innonda
e gli argivi navigli, e con immenso
clamor si viene delle schiere al cozzo (M, XIV, 467-69)
Se fino ad ora ho elencato i verbi in cui il pronome riflessivo non determina un evidente mutamento semantico, osserviamo alcuni casi in cui ciò invece avviene. Si tratta di due verbi solitamente transitivi, il cui uso in forma pronominale è raro:
ammirare: in forma pronominale il verbo ha il medesimo significato
proprio dell'uso intransitivo, ovvero “sorprendersi”, indicando un recupero del significato etimologico, dal lat. mirari. Tale uso si ritrova soltanto in Pindemonte: «Stupì chiunque v'era, ed anco il veglio, | Visto il portento, s'ammirava […]». Nel passo si nota l'intento di variazione rispetto al sinonimo stupire, utilizzato al verso precedente.
condurre: il verbo in forma riflessiva con il significato di ‘portarsi’,
‘andare’ è presente in Pindemonte:
(58) [...] o al suol fecondo D'Efira condurrassi e ritrarranne
Fiero velen, che getterà nell'urne (P, II, 410-12)
Molto simile l'uso riflessivo di ricondurre, con il significato di ‘ritornare’, che si ritrova in Monti: «Fe’ Anténore salire, e via con esso | Al ventoso Ilïon si ricondusse» (M, III, 412-413).
Un discorso a parte va fatto per i verbi avere ed essere, vista la notevole ricorrenza delle forme pronominali. Nella maggioranza dei casi il pronome
riflessivo non ha un effettivo peso semantico198:
essere:
(59) […] ma di Tidéo non posso Farmi ricordo, chè bambino io m’era
Quando ei lasciommi […] (M, VI, 275-277) (60) […] Ed or che fiera
Morte lo spense, che furor s’è questo
Di non renderne il corpo alla consorte (M, XXIV, 48-50) (61) Calò sul capo, ma quell’arme infida,
Qual se ne fosse la cagion, si spezza
Tra le sue mani […] (C, III, 481-483) (62) O ch'io 'l piglio di forza, e il tuo si fosse
O d'Ajace o d'Ulisse […] (F, I, 159-60) (63) E la morte de' proci e il nostro io vegga
Liberatore, un uomo ei siasi o un nume (P, XXIII, 107-108)
avere:
(64) […] s’ abbia chi vince
Elena e i suoi tesor: Troia sia salva (C, III, 107-108) (65) Ei col suo superbir cerca la morte,
E la morte si avrà […] (M, I, 275-276)
Esiste il caso in cui il pronome ha un effettivo valore enfatico quando la sua presenza sta a sottolineare la relazione fra parlante e interlocutore:
(66) Oh scelta una crudel morte m’avessi,
Pria che l’orme del tuo figlio seguire (M, III, 227-228)
Qui il pronome riflessivo può apparire pleonastico, ma nelle dolenti parole di Elena a Priamo si può leggere un significato di tipo affettivo “avessi scelta per me”.