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Forma ad substantiam e forma ad probationem ovvero forma dell’atto e forma della prova dell’atto

CLAUSOLE D ’ INTERO ACCORDO

11. Forma ad substantiam e forma ad probationem ovvero forma dell’atto e forma della prova dell’atto

Vale la pena aggiungere qualche considerazione ulteriore, al fine di individuare con maggiore precisione quello che risulta essere – sia consentita l’espressione – lo statuto normativo complessivo delle clausole d’intero accordo.

(167) Il rilievo non è sfuggito ad accorta dottrina: sul punto v. PATTI, Della prova testimoniale. Delle presunzioni, cit., p. 36 e 38; per la giurisprudenza, v. Trib. Palermo, 15 luglio 1966, in Dir. e giur. agr. e ambiente, 1999, p. 243.

(168) Mi riferisco qui a Cass. civ., 4 febbraio 1966, n. 376, cit. La Corte ha espressamente affermato che “secondo l’art. 2722 cod. civ., la prova testimoniale di patti aggiunti o contrari è preclusa da qualsiasi documento contrattuale, che risulti formato con la partecipazione dell’uno e dell’altro contraente, anche se tale documento risulti firmato dalla sola parte che di detti patti intende avvalersi, quando nelle intenzioni dei contraenti esso era, però, destinato a racchiudere la convenzione”.

E’ opportuno in questa sede richiamare le osservazioni di Natalino Irti in tema di forma dei contratti, ed in particolare di forma documentale.

L’autore ha infatti avuto modo in più occasioni (169) di porre in evidenza come la forma dell’atto sia cosa diversa dalla prova dello stesso. La forma attraverso cui le parti esprimono il consenso contrattuale può essere la più varia (il muto gesto, il parlare, lo scrivere), ed a tale diversità di estrinsecazione del consenso si affianca una molteplicità di mezzi per la prova del consenso (testimonianza, confessione, giuramento, documento).

Si tratta di distinzione che vale ovviamente anche quando il consenso venga espresso per iscritto: anche in tale caso, infatti, lo scrivere è la forma del consenso, e il documento scritto è la prova dello scrivere (o meglio, dell’aver scritto) (170).

Nella misura in cui ogni materiale estrinsecazione di consenso riveste inevitabilmente una determinata forma (sia essa il comportamento concludente, la dichirazione verbale, o quella redatta per iscritto), è la forma stessa ad essere successivamente oggetto di prova (171).

Tra le varie forme di espressione del consenso quella scritta possiede una particolarità: nell’atto dello scrivere si genera, contemporaneamente, sia la forma dell’atto (lo scrivere, per l’appunto), sia la prova di tale forma, che è il documento sui cui vengono apposti i segni dello scrivere.

Soltanto il documento scritto possiede tale capacità, di essere esso stesso prova della propria genesi; le dichiarazioni verbali, o i comportamenti muti, necessitano di una prova (ad esempio, la testimonianza di chi ha assitito alle dichiarazioni delle parti), che è al di fuori, distinta e separata dall’atto nel suo materiale estrinsercarsi, e non è causata da quest’ultimo (172).

(169) IRTI, Il contratto tra faciendum e factum (problemi di forma e di prova), in Rass. dir. civ., 1984, p. 938 ss., nonché in Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997, p. 95 ss.

(170) “La prova”, afferma efficacemente IRTI, Il contratto tra faciendum e factum, cit., p. 946, “è strumento di controllo di un giudizio narrativo. La parte racconta ‘come le cose sono andate’; ed ha l’onere di indicare le fonti di prova dei singoli fatti. Il passato non può ricostruirsi che mediante prove”.

(171) V. IRTI, Il contratto tra faciendum e factum, cit.: “Le forme (mi riferisco, insieme, alle semplici esternazioni ed ai vincoli solenni stabiliti dalla legge) non sono strumenti di indagine storiografica e fonti di prova, ma oggetto di prova: non ciò con cui si prova, ma ciò che si prova” (corsivi dell’a.) (p. 946); “La forma non può, come tale, assolvere alcuna funzione probatoria: essa (coincidendo con la realtà fisica del negozio) è tema di prova, frammento del passato che in giudizio viene dissepolto e ricostruito. La prova sta invece nel nostro presente, come «materiale per il lavoro storico» (p. 949).

(172) “Lo scrivere (in che risiede la forma del negozio) determina la nascita dello scritto, ossia di una cosa fornita di capacità rappresentativa e, quindi, idonea a provare lo

Quanto precede permette pertanto di affermare come forma e prova siano due entità, non solo concettuali ma anche empiriche, da tenere distinte.

La conseguenza è che la categoria della forma ad probationem risulta, con ciò stesso, inammissibile (173). Possiamo forse dire, in accordo con altra dottrina (174), che l’espressione è più che altro imprecisa. Più che parlare di forma per la prova, si dovrebbe infatti parlare di forma della prova (ovviamente la prima affermazione mantiene tutta la propria consistenza, se si accetta il postulato per cui la parola “forma” è tecnicamente riferibile unicamente alla manifestazione del consenso contrattuale, e non anche alla prova dello stesso) (175).

Si può di conseguenza distinguere tra forma dell’atto e forma della prova, ed affermare che, laddove si parli di forma ad probationem, si vuole intendere ‘forma della prova dell’atto’, e laddove invece si parli di forma ad

substantiam, si voglia intendere ‘forma dell’atto’ (richiesta, come noto, per la

validità dello stesso) (176).

La seconda espressione in realtà racchiude, come noto, anche la prima: la forma ad substantiam è infatti la forma scritta dell’atto, e pertanto, in base alle considerazioni appena viste, nella misura in cui, all’atto dello scrivere, si segue una forma dell’atto e contemporaneamente si crea la prova di tale forma (il documento, per l’appunto), ne consegue che assolvere l’obbligo di forma scritta dell’atto implica, contemporaneamente ed in modo imprescindibile, anche l’assolvimento della forma scritta della prova (177).

Nella misura in cui, quando si parla di forma ad probationem, ci si riferisce alla forma della prova dell’atto, la disciplina che risulta applicabile

stesso atto della propria genesi … Soltanto la forma scritta ha questa straordinaria capacità generatrice. Non il gesto, non il parlare. I segni mimici non lasciano tracce rappresentative del loro accadere: possono essere solo visti”, così IRTI, Il contratto tra faciendum e factum, cit., p. 949 e 950 (corsivi dell’a.)

(173) IRTI, Il contratto tra faciendum e factum, cit., p. 951: “la forma non assolve mai funzione di prova, sicché la categoria delle formae ad probationem è logicamente inammissibile”.

(174) Il riferimento va a SACCO, Il contratto, Tomo I, in Trattato di diritto civile, (diretto da) Sacco, Torino, 2004, p. 713.

(175) La distinzione tra forma dell’atto e forma della prova, sebbene in termini leggermente più approssimativi, non è sfuggita a DE STEFANO, Studi sugli accordi processuali, cit., p. 46, che ne trae argomento dalla lettera dell’art. 2725 c.c.

(176) SACCO, Il contratto, cit., p. 713.

(177) In modo assai efficace SACCO, Il contratto, cit., p. 714: “Quando si parla di forma necessaria per la validità si menziona la parte per il tutto. Si dovrebbe parlare di forma doppiamente necessaria per la validità e per la prova”.

in tali casi si sostanzia in un complesso di norme che regolano fenomeni di natura processuale (178).

A questo proposito, non è mancato chi (179) ha messo in chiara evidenza come la ‘forma ad probationem’ rappresenti più che altro un’espressione riassuntiva, che indica una disciplina della prova più restrittiva di quella ammessa in via generale, dove non viene richiesta alcuna forma specifica della prova dell’atto.

Laddove sia imposto tale requisito di forma, infatti, alle parti è lasciata una scelta discrezionale: munirsi dello scritto, e quindi assolvere l’onere di forma della prova, oppure non munirsene, e pertanto sottostare ad una restrizione delle (tipologie, o forme di) prove costituende, da poter utilizzare per la prova del contratto (180).

L’espressione forma ad probationem è pertanto destinata, a mio modo di vedere, ad assolvere più una funzione di economia di linguaggio, che non una funzione descrittiva di una realtà normativa.

Nel caso in cui si verta in tema di forma ad substantiam, stante il duplice rilievo del requisito della forma, che, come visto, è sia forma dell’atto che forma della prova, la relativa mancanza opera sia con riferimento diretto all’atto (causandone l’invalidità), sia con riferimento alla prova (soggetta all’ulteriore restrizione data dall’impossibilità di avvalersi del giuramento, ex art. 2739, comma 1, c.c.

12. Le entire agreement clauses come ipotesi di accordo sulla forma, ex