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II.3 Un nuovo Potere

II.3.3 Il ‘format’ televisivo

Articolando la discussione in termini di egemonia e dissenso, siamo portati ad analizzare la principale dinamica su cui l’intero sistema televisivo viene a costituirsi: la televisione è arbitraria nella sua essenza. Essa mostra all’osservatore solo ciò di cui si pensa l’osservatore abbia bisogno. Tutto è programmato e prestabilito. Anche la priorità

dettata dall’inquadratura della macchina da presa possiede una propria logica: essa sancisce la preminenza e il prestigio degli ospiti all’interno di uno studio televisivo. Se qualcosa di scomodo o scandaloso viene proferito, è sufficiente cambiare inquadratura, sottrarre la parola all’ospite, e successivamente cancellarlo da ogni palinsesto.

La televisione è per Pasolini arbitraria in quanto monopolio di pochi, ed idolo di molti. «È insomma, sempre, una mente ordinatrice dall’alto, che presentando le informazioni, e riassumendo i messaggi, opera la selezione delle notizie» . Per questo motivo è violenta 23

nel suo stesso essere: compiendo una prevaricazione nei confronti dell’osservatore orienta la coscienza delle masse secondo gli interessi di quella dirigenza che, direttamente o indirettamente, è legata agli interessi del potere . 24

Questa violenza prevaricatrice legata alle logiche del potere può essere estesa anche a qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa. Trovo infatti che il procedimento induttivo rimanga il medesimo: sostituendo i termini di un’equazione si otterranno risultati differenti, ma il ragionamento logico permane.

Ciononostante affronteremo unicamente la polemica di Pasolini contro la televisione, e solo ad essa ci atterremo in questa sede.

Passiamo ora all’estratto di un brano del 1966 destinato a rimanere inedito e pubblicato postumo con il titolo Contro la televisione. In esso Pasolini analizza il medium televisivo: quest'ultimo è nella sostanza la riproposizione costante del conformismo borghese, ovvero l’affermazione pedissequa e ricorrente dello Stato piccolo-borghese

PIER PAOLO PASOLINI, Contro la televisione, in S P S, p. 136.

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Pasolini osserva l’esistenza di un’effettiva correlazione fra medium televisivo e classe dirigente: «Che cosa

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vuol coprire la televisione […]? Vuol coprire la vergogna di essere l’espressione concreta attraverso cui si manifesta lo Stato piccolo-borghese italiano» (S P S, p.130).

italiano. I temi trattati e i personaggi proposti sono cliché della borghesia - che detiene il possesso del mezzo televisivo - i quali non conducono alla ricerca dello scandalo o del reale, bensì mascherano la laida natura borghese dietro una rassicurante patina di conformismo. La televisione nella sua efferatezza bandisce il sacro dal proprio dominio, in quanto solamente il sacro saprebbe creare quello scandalo necessario al risveglio delle coscienze dei milioni di telespettatori piccolo borghesi che quotidianamente cercano conferma e giustificazione del loro essere attraverso lo schermo televisivo. «Il sacro è perciò completamente bandito. Perché il sacro, esso sì, e soltanto esso, scandalizzerebbe veramente, le varie decine di milioni di piccoli borghesi che tutte le sere si confermano nella propria stupida ‘idea di sé’ davanti ai video» (S P S, p. 130).

Il Potere si appropria del medium televisivo e lo fa proprio, strumentalizzandolo per fini egemonici. Ricorre dunque la già citata distinzione gramsciana fra politica e arte, dove la prima organizza il proprio operato su criteri votati al pragmatismo e al consenso per garantire l’egemonia politica; l’arte, a contrario, si occupa secondo necessità e verosimiglianza di ciò che potrebbe essere, e dunque dell’universale. La dimensione perduta del ‘sacro’ coinciderebbe con l’ostracismo del fine artistico dal medium televisivo, il quale in sua assenza viene a trovarsi in maniera rassicurante esattamente uguale a se stesso. Se il sacro e lo scandalo vengono banditi dal dominio della televisione permane infatti solo la dimensione politica.

A riprova di come i mezzi di comunicazione di massa rispondano direttamente o meno al potere - nota Pasolini - esiste un vero e proprio muro fra il medium televisivo e coloro i

quali al barbaro silenzio del sacro si oppongono. Alla voce difforme dal pensiero unico, ovvero al sacro, al dissenso, viene preventivamente negato l’accesso al mezzo.

La televisione emana da sé qualcosa di spaventoso. Qualcosa di peggio del terrore che doveva dare, in altri secoli, solo l’idea dei tribunali speciali dell’Inquisizione. C’è, nel profondo della cosiddetta “Tv” qualcosa di simile appunto […]: una divisione netta, radicale, fatta con l’accetta, tra coloro che non possono passare: può passare solo chi è imbecille, ipocrita, capace di dire frasi e parole che sono puro suono; oppure chi sa tacere. […] Chi non è capace di questi silenzi, non passa. (S P S, p. 131)

Dopo aver stabilito la correlazione fra televisione e autorità politica, Pasolini osserva come in un secondo momento la funzione politica della televisione, ovvero la sua capacità di intervento sul consenso e sull’opinione pubblica, si esplicita in maniera direttamente proporzionale all’ignoranza e alla passività riservata ai telespettatori: «La televisione è potente. È potente fino a rappresentare ormai in Italia (paese di analfabeti, e quindi paese dove non si leggono né libri né giornali) l’opinione pubblica» (S P S, p. 135). Il problema sotteso è la totale mancanza di indipendenza o di capacità da parte del cittadino medio di formare con autocoscienza critica una valida interpretazione dei fatti per mancanza di strumenti o di volontà. Il mondo proposto dalla televisione diventa non solo l’unica alternativa possibile, ma anche l’unica verità. La televisione, strumento del Potere, plasma l’opinione pubblica con il beneplacito dei suoi attori, personaggi illustri della politica e dello spettacolo, intellettuali autorevoli e conniventi nella loro accettazione passiva.

In realtà nulla di sostanziale divide i comunicati della televisione da quelli dell’analoga comunicazione fascista. L’importante è una sola cosa: che non trapeli nulla mai di men

che rassicurante. La televisione, della vita pubblica, delle vicende politiche e della elaborazione delle idee, deve - e sente rigidamente tale dovere - operare secondo una selettività di scelta e una serie di norme linguistiche, che assicuri innanzi tutto che «tutto va bene», ed è fatto per il bene. Il bene non deve avere difficoltà: ed ecco che infatti il mondo presentato della televisione è senza difficoltà. (S P S, p. 137)

Pasolini prosegue, analizzando come questo meccanismo releghi i cittadini ad una compartecipazione passiva alla politica, e allo stesso tempo di come instauri un clima di terrore nei presentatori e in chi partecipa al medium televisivo, nella paura di pronunciare o fare qualcosa di sbagliato. Non deve esservi, lo si ripete, alcuna possibilità di scandalo e di interferenza del sacro. Non deve esservi possibilità di dissenso.