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L’impossibilità del costituirsi

II.1 Linguaggio del corpo Omologazione estetica

II.1.2 L’impossibilità del costituirsi

Le cose gradualmente cambiano: alla soglia degli anni Settanta i capelli lunghi sono degradati da codice silenzioso di comunicazione a puro codice identificativo, assorbiti e integrati non solo dalle nuove generazioni di sinistra ma anche dalle nuove generazioni di

BRUNO PISCHEDDA, Scrittori polemisti,Torino, Bollati Boringhieri, 2011, p.31.

destra. Emblematica in proposito è la presa di posizione di Pasolini durante gli scontri fra movimenti studenteschi e forze dell’ordine in favore di questi ultimi: essi sono la vera classe subalterna, nonostante difendano l’ordine costituito posto a salvaguardia del Potere, mentre gli studenti - molti dei quali portano i capelli lunghi - sono i figli viziati della borghesia corrotta.

L’elemento più significativo sul quale occorre riflettere è che all’altezza del ’68 - un anno dopo la sua prima apparizione - il linguaggio dei capelli sia rapidamente diventato un linguaggio equivoco: non esprime più valori di sinistra, ma dei valori non meglio identificabili, né di destra né di sinistra, perdendo quella carica ideologica di dissenso primigenia. Portare i capelli lunghi non è più un sinonimo di ribellione al Potere, bensì di moda in quanto appartenenza al Potere stesso, con tutto ciò che ne consegue.

Occorrerà aspettare il 1972 perché Pasolini comprenda quanto il linguaggio dei capelli lunghi sia stato ormai integrato dalla cultura al potere. È l’anno precedente alla pubblicazione di Il ‘discorso’ dei capelli, e mentre Pasolini passeggia per le vie di Isfahan, nel cuore della Persia, si imbatte in due giovani i quali portano capelli tagliati all’europea. Cosa dicevano questi loro capelli, cinque anni dopo la loro prima comparsa, in una terra così lontana e così diversa dall’Europa? Essi dicevano:

Noi non apparteniamo al numero di questi morti di fame, di questi poveracci sottosviluppati, rimasti indietro all’età barbariche! Noi siamo impiegati di banca, studenti, figli di gente arricchita che lavora nelle società petrolifere; conosciamo l’Europa, abbiamo letto. Noi siamo dei borghesi, ed ecco qui i nostri capelli lunghi che testimoniano la nostra modernità internazionale di privilegiati! […] Il ciclo si è compiuto. La sottocultura al potere ha assorbito la sottocultura all’opposizione e l’ha fatta propria: con diabolica abilità ne ha fatto pazientemente una moda, che, se non si

può dire fascista nel senso classico della parola, è però di una ‘estrema destra’ reale (S

P S, p. 276).

Quanto descritto da Pasolini richiama al fenomeno osservato in India anni addietro: la nascita di una nuova borghesia indiana pallida, grassoccia, e con i baffi, trova ora nuova linfa nei capelloni di Isfahan. La cultura dominante impone il proprio diktat alle sottoculture, inglobandole anche sul piano estetico. Ma non solo: il dissenso in origine manifestato nell’estetico viene sapientemente corrotto e contenuto, rientrando fra i ranghi della cultura egemone come semplice moda.

Il caso specifico dei capelli lunghi possiede infatti una profonda contraddizione che distingue il medesimo da quanto avvenuto per la borghesia indiana: non si tratta dell’adozione incondizionata di un modello estetico appartenente ad una cultura allogena, bensì di un ideale estetico nato da un movimento sottoculturale come atto di dissenso interno alla cultura egemone, e successivamente ricondotto all’interno di quest’ultima mediante il processo di omologazione posto in atto dal Potere.

Avvalendoci degli stessi termini marxisti di cui si avvalse Pasolini è possibile notare come, rintracciando un’omologazione a livello estetico, sia possibile individuare laddove avvenga un’omologazione culturale nonché i rapporti di forza vigenti nella lotta fra classi. Il che, ampliando ulteriormente la prospettiva, consentirebbe di analizzare anche le relazioni presenti fra ‘culture’, con l’accezione più ampia che questo termine consenta: un ipotetico scontro fra culture, e dunque la subordinazione politica o ideologica ad una cultura egemone, troverebbe espressione attraverso l’omologazione estetica.

Dall’analisi di Pasolini i rapporti di forza in causa emergono chiaramente: è la cultura della borghesia europea ad essere dominante, la quale non solo riesce a inglobare il dissenso multiforme, ma estende il proprio modello attraverso il riciclaggio delle forme del dissenso, impendendo allo stesso di costituirsi se non in una libertà di espressione apparente. Nota infatti Pasolini:

La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è più difendibile, perché non è più libertà. È giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante dell’orda (S P S, p.277).

Riducendo ai minimi termini quanto finora analizzato potremmo riassumere dicendo che ad un’approssimazione estetica equivale un’omologazione culturale, effetto di uno scontro fra culture. Il processo sotteso a tale meccanismo determina un rapporto di forza compiuto fra cultura e sottocultura, all’interno del quale l’una ha prevalso sull’altra. Nonostante sia lecito che un tale automatismo si presti ad essere attaccato, Pasolini risolve la questione grazie al sillogismo: la cultura produce codici, i codici producono comportamento, il comportamento è un linguaggio, il linguaggio del corpo è espressione della cultura . 8

Egli sostiene infatti che all’altezza del 1974 «la cultura di una nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto attraverso il linguaggio del comportamento, o

«Sanno che la cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il comportamento

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è un linguaggio». PIER PAOLO PASOLINI, Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo, in S P S, p. 315. Cfr.

linguaggio fisico […]. È a un tale livello di comunicazione linguistica che si manifestano: a) la mutazione antropologica degli italiani; b) la loro completa omologazione ad un unico modello» (S P S, p. 315).

Siamo nel campo della semiologia, la qual materia diventa utile strumento per sancire l’omologazione culturale ad un unico modello: il corpo diventa strumento olistico per spiegare l’appartenenza ideologica e politica ad una cultura.