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PARTE I. Politiche di genere e trasformazione: dal dominio tecnico-politico a quello

1.7 La formazione di genere in Europa

Come emerso chiaramente dal corpus di letteratura che nell’ambito degli studi politici e sociologici ha indagato sulle politiche di genere negli ultimi trenta

59 anni, specialmente dalla metà degli anni ’90 e dal prendere piede del gender mainstreaming come policy frame prevalente a livello internazionale, si pone enfasi sulla questione delle competenze e professionalità di genere che si rendono necessarie per la sua implementazione e la cosiddetta formazione genere (gender training) è presentata come la modalità prevalente per costruire le capacità (capacity building) di organizzazioni e istituzioni. Paradossalmente, tuttavia, le pratiche predominanti di gender training, non mettono a frutto la ricchezza di spunti e proposte provenienti dagli studi che abbiamo sopra scandagliato, e in particolare riguardo alle condizioni per la trasformatività delle politiche di genere e alla necessità di praticare politiche orientate alla riflessività. Come vedremo nei prossimi paragrafi, si manifesta una tendenza a ridurre la formazione a un piano meramente strumentale: la formazione di genere è privata delle potenzialità di divenire fucina di elaborazione delle complessità implicate nei processi di definizione e implementazione delle policies in modalità dialogica e riflessiva. L’utilizzo ‘simbolico’/strumentale della formazione come modalità, da parte delle istituzioni, per dichiarare e ‘vendere’ sul mercato del consenso politico un impegno sull’uguaglianza di genere senza garantire le condizioni affinché questo si traduca in azioni e cambiamenti reali, è ampiamente documentato anche nelle organizzazioni multilaterali che operano nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo, nel quale il percorso di evoluzione delle politiche di genere nel corso degli anni ha avuto analoghe tendenze alla tecnicizzazione e burocratizzazione (Mukhopadhyay & Appel, 1998; Mukhopadhyay, Wong & Dasgupta, 2007). Secondo Mukhopadhyay, Wong e Dasgupta il fatto stesso che la formazione sia stata identificata, già dagli anni ‘80 come ‘la’ via primaria verso o il mezzo per l’attuazione delle politiche di genere, è già indicativo di un’epistemologia positivista sottostante che guarda alla relazione tra conoscenza e azione e per la quale sarebbe sufficiente riversare su soggetti una conoscenza semplificata sul genere che riduce le complessità teoriche e politiche, gli aspetti conflittuali, le differenze. Riferendosi agli scritti di

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Caroline Moser (1993), i due autori evidenziano contraddizioni che, sottolineano, sono riferibili in buona parte anche al presente.

“True to ‘banking education models’ (Freire 1970), participants are empty vessels to be easily filled with gender knowledge. This is not only evidenced by the little time allowed to internalize ‘simplified’ complex feminist concepts, the assumption of consensus and the dismissal of difference, it is also demonstrated by Moser’s explanation of the training of trainers. She unproblematically describes the three-stage process – introduction to gender planning training,

clarification of the different module, training design – as one that ideally takes two days but can be done in one day with experienced trainers. This assumes that any trainer, the vessel, can be made to transport and convey gender knowledge. It is a matter of filling them, as if they are objective, neutral and devoid on their own context or history, only for this knowledge to be provided to others through the replication of training undertaken by these trainers”. (Mukhopadhyay, Wong & Dasgupta, 2007, pp. 17-18).

In particolare le semplificazioni cui le diverse autrici e i diversi autori che hanno contribuito alla pubblicazione si riferiscono, come si vede, alla compressione dei contenuti in una durata estremamente limitata, in particolare alla diffusione nei contesti di formazione di universalismi e stereotipi sulle donne africane, le donne musulmane o le ‘altre’ donne, ma anche in generale a una sorta di oggettivazione delle questioni legate alle disuguaglianze di genere, privata dell’analisi delle dinamiche di potere e strutturali che sono collegate.

In Europa, gli sforzi più sistematici per affrontare i temi connesse alla formazione di genere come argomento di ricerca sono quelli condotti proprio nell’ambito del progetto europeo di ricerca QUING (Quality in Gender Equality Policies) alle cui analisi ho già fatto abbondante riferimento, nelle attività di progetto dedicate al tema e denominate OPERA, nelle quali la formazione è identificata come mezzo primario per il trasferimento dei risultati della ricerca empirica nella pratica dell’implementazione delle politiche.

L’indagine ha riguardato tutti i paesi dell’Unione Europea (allora 27) più Turchia e Croazia ed è stata realizzata attraverso un questionario mirato e rivolto

61 a committenti di formazione di genere per arrivare a una Mappatura delle Buone pratiche identificate, ed un manuale per la formazione dei formatori14; è anche stato creato un database di contatti di formatrici/formatori che è stato poi ceduto allo European Institute for Gender Equality che lo ha aggiornato e reso pubblico. Più di recente, nel 2010, è stata attivata una comunità di pratiche on line con funzioni di formazione dei formatori, e la stessa ha ospitato discussioni sui temi delle resistenze alla formazione di genere, sull’intersezionalità e su apprendimento esperienziale e metodologie partecipative. Il progetto ha tentato di circoscrivere la definizione di Formazione di Genere, vincolandola alle strategie di mainstreaming e/o in una prospettiva che lega la stessa alle strategie di mainstreaming (QUING, 2011).

“Formazione di genere è quella formazione (1) progettata, organizzata e/o commissionata da istituzioni pubbliche; (2) mirata a personale pubblico, e (3) finalizzata a facilitare l’integrazione di una prospettiva di genere in tutte le politiche e a tutti i livelli e fasi del processo di policy-making” (Council of Europe 1998b, p.15)15..

La mappa analitica emergente dall’indagine, pur senza essere basata su un campione statisticamente rappresentativo, fornisce un quadro interessante sull’uso che si fa in Europa della formazione di genere e delle principali criticità.

Committenti

Nella maggior parte dei casi si tratta di organismi esecutivi dello Stato a livello centrale e regionale e locale, mentre più raramente succede che si attivino come committenti branche legislative, giudiziarie, esecutive dello stato (con un’interessante eccezione da parte del Parlamento Europeo nel 2001/2002). Appare quanto meno paradossale che i dipartimenti competenti per la

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European Commission/DG Research, 6th Framework Programme, Quing Project (2007). Questionnaire for

Gender Training Commissioning bodies. Analisys of responses. Authors: Lut Mergaert, Alain Denis.

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Council of Europe (1998b). Conceptual Framework, Methodology and Presentation of Good Practices: Final Report of Activities of the Group of Specialists on Mainstreaming (EG-S-MS), Strasbourg, Section on Equality between Women and Men, Directorate of Human Rights.

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formazione del Personale della Pubblica Amministrazione quasi mai si trovino in questo ruolo, e questo sembra dimostrare un legame debole tra formazione di genere e processi di mainstreaming. Nella maggior parte dei casi committenti sono i cosiddetti Organismi di Parità, all’interno delle ‘machineries’ istituzionali per l’Uguaglianza di Genere. Tuttavia un ruolo importante è giocato da Università, Centri di Ricerca e Formazione, e varie entità che fanno parte del sistema educativo.

Beneficiari

La tendenza generale è quella di rivolgere la formazione di genere ad amministratori e burocrati del settore pubblico, centrale, locale, regionale, anche se anche percorsi formativi rivolti a un pubblico di membri di Organizzazioni Non Governative sono inclusi nel report. In alcuni casi si rileva come i corsi siano rivolti a sole donne, anche in questo caso, un segnale di legame debole tra formazione di genere e mainstreaming. In undici dei paesi mappati, le beneficiarie erano dome da ONG e Sindacati, in molti casi coinvolte nella gestione di servizi in partnership pubblico private.

I casi più interessanti nei quali un impatto maggiore era atteso sembrano esser stati quelli nei quali managers in posizioni di leadership o potenziali leaders sono stati coinvolti nelle iniziative di formazione, come nei casi di Austria, Germania, Ungheria, Bulgaria, e Unione Europea. Quest’ultima ha rivolto diverse iniziative di formazione sia a membri del Parlamento Europeo che a Dirigenti e funzionari delle diverse Direzioni Generali, dando priorità a quelli con competenze specifiche nella gestione delle risorse umane, ma anche a donne in posizioni di carriera tali da poter ambire al ruolo di dirigenti di Unità.

Formatrici/Formatori

Sono singole professioniste operanti a livello individuale più che organizzato, e donne nella maggior parte dei casi. Organizzazioni con il ruolo di agenti di formazione hanno avuto spazio nei casi di Belgio, Irlanda, Slovenia e

63 Regno Unito, spesso tra le stesse si trovano Organizzazioni Non governative, Associazioni di donne, Università. In alcuni casi le formatrici provengono da soggetti internazionali (Agenzie delle Nazioni Unite o Agenzie, Fondazioni, Associazioni attive nella Cooperazione allo sviluppo).

E’ stata rilevata come questione aperta quella relativa alla formazione dei formatori: poiché sono spesso ‘autodidatta’ potrebbe essere interessante elaborare procedure di certificazione o curricoli per la formazione dei formatori.

Alcune caratteristiche emergenti dalla mappatura e dalla raccolta di buone pratiche nell’ambito del progetto QUING/OPERA

Da uno sguardo generale sulle informazioni raccolte i paesi nei quali la formazione di genere sembra esser stata maggiormente usata entro processi di mainstreaming a livello nazionale e dunque i cui committenti sono stati principalmente Ministeri in differenti aree di policy, sono: Austria, Francia, Germania, Grecia e Paesi Bassi.

Il formato può variare, dai moduli più lunghi organizzati da SALAR (the Swedish Organization for Regional and Local Authorities) della durata di quattordici giorni articolati nel corso di più di un anno, ad alcune altre esperienze in cui la formazione è stata organizzata in forma di workshop o seminario di poche ore, con una media che si attesta su una o due giornate di aula. La partecipazione il più delle volte è su base volontaria, prevede dai sei ai settanta partecipanti, a seconda dei casi. Una composizione omogenea del gruppo, specie se i partecipanti provengono dalla stessa organizzazione, sembra essere vista come indicatore di qualità.

I contenuti spesso coprono una varietà di temi (dalla legislazione nazionale e sopranazionale sull’uguaglianza di genere, alle teorie sull’uguaglianza di genere, ai metodi per la valutazione dell’impatto di genere delle politiche, il bilancio di genere o la violenza); la formazione sembra essere principalmente concepita come forma di “alfabetizzazione di genere”, sebbene in alcuni casi

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abbia anche un focus sul mainstreaming entro le organizzazioni e miri a provocare cambiamenti e sviluppi entro i contesti lavorativi delle/dei partecipanti.

Le metodologie applicate in molti casi sembrano mostrare una propensione a conferire alla formazione un orientamento di tipo pratico con sessioni iniziali di tipo seminariale seguite da altre condotte con approccio partecipativo. Monitoraggio, valutazione, follow up sono l’eccezione piuttosto che la regola, persino entro quelle esperienze che sono state identificate come buone prassi.

Il Manuale per Formatori e Committenti di Formazione di genere redatto in Opera/QUING pone le basi per un curriculum e per identificare criteri di qualità che cerchino di ottimizzare gli spunti emersi dall’indagine citata e da diversi seminari di discussione organizzati con formatrici nell’ambito del progetto. I problemi evidenziati sono stati formulati soprattutto attorno ai temi seguenti: resistenze alla formazione di genere (o verso alcuni aspetti della stessa) o durante il processo formativo (da parte di committenti, allievi, degli stessi formatori); produttività e trasparenza dei conflitti; tempo, risorse e limiti organizzativi; curricoli e articolazione di contenuti sui temi delle uguaglianze/disuguaglianze e integrazione di un approccio intersezionale al genere; forze trasformative insite nella formazione di genere e bisogno di non trascendere il contesto cui si applica (QUING, 2009c).

1.8 Dalla formazione di genere alla formatività delle politiche di genere.