PARTE I. Politiche di genere e trasformazione: dal dominio tecnico-politico a quello
1.4 I limiti del gender mainstreaming: verso una visione complessa e stratificata delle
discorsivi soggetti a contestazione
Se è vero che il gender mianstreaming presenta il vantaggio di ampliare la portata e il raggio delle politiche di genere ad ambiti d’intervento fino a oggi impensato (il caso Smart Cities può essere visto come uno di questi) e virtualmente nell’Unione Europea entro ogni Direzione Generale della Commissione, è stato fatto notare di converso come uno dei limiti sia proprio quello di rendere le politiche più vaste e al contempo più superficiali, invece che più specifiche e approfondite (Hoskyns, 1999).
Si è parlato di rischio di smantellamento delle infrastrutture già predisposte, dei fondi specifici e dei programmi dedicati per trattare le questioni di genere e di diluizione delle competenze e in materia, che potrebbero diventare ‘responsabilità di tutti e lavoro di nessuno’ (Lombardo, 2003).
Ricerche comparate hanno mostrato come, a parte il caso isolato della Svezia (Daly, 2005) l’applicazione del gender mainstreaming sia tutt’altro che completa nell’Unione Europea (Rubery, Figueiredo, Smith, Grimshaw & Fagan, 2004; Mosesdottir & Erlingsdottir, 2005). Alla ricerca delle cause della parziale implementazione ci si riferisce a condizioni legislative, politiche o finanziarie, alla difficoltà di rendere sinergica una strategia sostanzialmente orizzontale e trasversale come il gender mainstreaming entro strutture e processi politici che sono comunque strutturati in maniere verticale (Behning and Serrano Pascual
29 2001; Lombardo and Meier 2006; Pollack &Hafner-Burton 2000), a resistenze verso gli obiettivi (Stratigaki 2005). Alcune studiose come Lombardo (2003) hanno espresso critiche rivolte più che altro all’insieme delle politiche di uguaglianza di genere, sostenendo come ognuna delle tre tipologie (pari trattamento/azioni positive/gender mainstreaming) si espone comunque a contro effetti negativi che risiedono nella concezione di uguaglianza di genere che vi fa da sfondo. Lombardo identifica una criticità fondamentale soprattutto in una concezione di eguaglianza troppo formale e ristretta, che “tiene in conto solo in minima parte delle diverse circostanze sociali e materiali di uomini e donne, e non affronta le cause strutturali delle diseguaglianze”, oltre ad essere carente nelle misure di monitoraggio dell’implementazione da parte degli stati membri .
Anche il focus eccessivo sulle sole politiche per l’occupazione è preso di mira, poiché non riesce ad affrontare la questione della condivisione del lavoro di cura tra i sessi, la mancanza di servizi all’infanzia, mentre persiste un approccio che prende a misura come norma quella maschile, per cui anche nelle misure per le pari opportunità il parametro di riferimento è il lavoratore maschio, mobile, a tempo pieno, a confronto del quale standard femminili si pongono come ‘eccezioni’. Per Lombardo “le politiche di genere dell’EU dovrebbero adottare un approccio più olistico che tenga in considerazione come la differenza socialmente costruita tra donne e uomini impatti negativamente le donne in ogni ambito della società”. Tale approccio dovrebbe esplicitamente affrontare ‘il patriarcato’, concentrandosi sulle cause molteplici e interconnesse che creano tale relazione diseguale tra i sessi, a svantaggio delle donne in diverse aree, quali la famiglia, il lavoro retribuito, la politica, la sessualità, la cultura e la violenza maschile. Non dovrebbe limitarsi a inserire misure per le donne ma anche affrontare gli spazi del potere maschile consolidati a diversi livelli, implicando anche cambiamenti negli stili di vita degli uomini (Lombardo, 2003, p.171).
Molti studi si sono concentrati sul limite del gender mainstreaming come approccio esclusivamente o principalmente focalizzato su procedure e aspetti tecnici, nel quale le questioni sono molto razionalizzate e di conseguenza de-
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politicizzate (Pialek, 2008), e le politiche si espongono al rischio di essere costrette entro culture ‘manageriali’ (Gurung, Syiem & Gurung, 2010). Il pericolo tecnocratico è richiamato anche da Payne, che pone l’accento su come il focus sui processi, sugli strumenti e sulle specifiche aree tematiche faccia perdere di vista la centralità delle relazioni di genere, provocando un aumento e rafforzamento delle diseguaglianze, e dei discorsi sulle stesse, come risulta anche dagli studi di Bacchi & Eveline (2010) e di Eyben (2010). Quest’aspetto è sicuramente quello su cui converge il maggior consenso delle studiose, essendo il punto di criticità più sentito: quando si enfatizzi l’importanza della formazione di genere (gender training) come mezzo fondamentale o la costruzione delle competenze (capacity building) come prerequisito di attivazione di politiche di gender mainstreaming, si rischia di rimanere entro questa visione restrittiva e limitante, specie se ovviamente i programmi formativi restano centrati attorno agli aspetti più tecnici e all’utilizzo degli strumenti. Il tema è ripreso anche da altre autrici, che evidenziano come la mancanza di competenze di genere interna alle strutture d’implementazione necessariamente conduce a una tendenza, da parte di chi è incaricato di mettere in pratica il gender mainstreaming, a focalizzarsi sull’uso di strumenti per rispettare gli standard minimi richiesti, per cui la questione è sia di transfer di conoscenze e competenze che d’internalizzazione (Meier & Celis, 2011).
Per la sociologa Mary Daly (Daly, 2005) il giudizio è complessivamente negativo e il gender mainstremaing può essere visto come esempio di tecnocratizzazione delle politiche: non un vero e proprio programma quanto piuttosto un modo d’implementazione, caratterizzato da un forte dualismo tra la dimensione dell’analisi della diseguaglianza di genere che permea tutti gli strati e i livelli della società e quella degli strumenti predisposti per affrontarla, spesso ridotti alla triade fatta da statistiche di genere, analisi d’impatto di genere delle politiche, bilancio di genere. Basandosi sui dati di un progetto di ricerca europeo (Europol) che ha compiuto un’analisi comparativa delle politiche di genere in otto paesi. Daly prende atto della co-esistenza delle tipologie di politiche e della
31 complessità che caratterizza il panorama: si tratta spesso, come mostrano i casi Belga e Spagnolo che analizza più in profondità, di ‘mix di policies’, di ibridi
dinamici ai quali si assegna poi l’etichetta di gender mainstreaming che rimane
però una categoria confusa. Anche le studiose come Booth & Bennet (2002) e Squires (2007) che hanno proposto il gender mainstreaming come strategia in grado di includere quelle precedenti, per Daly operano un’estensione impropria di una categoria (conceptual stretching) assunta a simbolo di modernità nel contesto internazionale.
Il gender mainstreaming porrebbe un’enfasi eccessiva sul processo di acquisizione di competenze da parte dei decisori politici e di chi è incaricato di implementare le policies, sulla formazione di genere, basandosi su una
concezione poco realistica di “accumulazione dell’apprendimento” (Daly, 2005,
p. 442). Richiamando anche le analisi di Woodward, in sintesi per Daly il gender mainstreaming mette in campo una gamma di strumenti razionali per affrontare strutture di potere che sono irrazionali, abdica di fronte al compito di sviluppare una critica dello stato e un programma di riforma dello stato.
Inoltre, il peccato principale del gender mainstreaming sarebbe di presumere che il fenomeno della diseguaglianza di genere, di natura e dalla radice prettamente sociale possa essere affrontato solo con strumenti di policies, mentre la sfera delle politiche non esaurisce la dimensione sociale: è da qui che si evidenzia per Daly la mancanza di una teoria del cambiamento a supporto delle strategie e delle politiche di mainstreaming, non essendo possibile ridurre il cambiamento di valori e l’apprendimento tra e da parte dei decisori e degli attuatori di politiche con il cambiamento e l’apprendimento diffuso a livello sociale.
Payne (2011) ha più di recente analizzato in particolare il gender mainstreaming nelle politiche per la salute ricordando come sia difficile operare nell’ambito di una strategia di mainstreaming di genere continuando a implementare azioni che si basano sulle politiche di azioni positive: nello
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specifico della salute si opera per lo più attraverso iniziative rivolte alle donne per poi rimanere spiazzati dai conflitti con i sempre più numerosi studi e le relative proposte di policy che riguardano l’ambito della salute maschile (men’s health), (Payne, 2005, p.522). Payne richiama alla necessità di modellizzare gli ostacoli ai quali va incontro il mainstraming di genere dal suo punto di vista tipizzabili in barriere pragmatiche, concettuali e politiche
Figura n°4. Barriere contro le politiche di gender mainstreaming (elaborato da
Payne, 2005).
Sull’ultimo punto in particolare anche Payne ricorda come nei nuovi ambienti di governance multilivello entro cui operano l’Unione Europea e altre istituzioni multilaterali i ponti e i canali di comunicazione tra democrazia e competenze tecniche siano estremamente importanti e influenti, così come centrale è il ruolo di quelle che sono state definite “comunità epistemiche” (Adler & Haas, 1992; Haas, 1992). Si tratta di comunità che sono integrate profondamente nel mondo politico, sociale e culturale e che ‘creano interpretazioni dei problemi e delle soluzioni, influenzando la strutturazione (framing) delle questioni e definendo standard”, e che per Sylvia Walby rappresentano esperti portatori di progetti politici, che possono essere in parte legati a movimenti sociali (Walby 2005).La misura in cui le comunità epistemiche
33 dialogano con i movimenti delle donne è richiamata come discriminante contro la tecnocratizzazione del gender mainstreaming.
Sui presupposti e le concezioni implicite nelle strategie di gender mainstreaming intervengono anche Petra Meier e Karen Celis in uno studio recente che prende ad esempio l’implementazione del GM in Belgio. Le autrici parlano chiaramente di ‘fallimento’, e ipotizzano che la strategia assume come sfondo l’idea di intenzionalità e razionalità del processo politico, dando dunque vita a politiche che si focalizzano su caratteristiche procedurali quali il monitoraggio e la valutazione, e che perdono di vista l’obiettivo sostanziale dell’uguaglianza di genere (Meier & Celis, 2011).
Si danno nella pratica forti elementi di disallineamento e non razionalità nel rapporto tra mezzi e fini, a partire da definizioni errate dei problemi, o della mancanza di legame tra la definizione del problema, l’obiettivo, e il gruppo di beneficiari delle politiche, e una non coerente assegnazione di risorse per raggiungere l’obiettivo prefissato, (Lombardo, Meier, and Verloo, 2009; Verloo 2007). Si fa riferimento alla presenza di elementi non intenzionali nel processo politico, messi in evidenza da approfondite analisi trasversali e comparative quali quella condotta su ventisette paesi nell’ambito del progetto QUING con il metodo dell’analisi critica delle strutture discorsive (critical frame analysis).
Definendo un frame di policy come “un principio organizzatore che trasforma informazioni incidentali o frammentarie in un problema significativo in cui una soluzione sia implicitamente o esplicitamente inclusa” (Verloo 2005, p. 20), una serie di domande sono state usate per identificare la definizione dei problemi e le soluzioni avanzate all’interno di documenti di policy analizzati. In particolare, secondo Meier e Celis, va posta attenzione alla presenza di una diagnosi ben elaborata (identificazione esplicita del problema, delle sue cause, degli attori che lo provocano, e di coloro sui quali impatta negativamente)- e alcuni aspetti della cosiddetta ‘prognosi’ possono essere visti come caratteristiche sostanziali di una policy, mentre gli aspetti della prognosi (chi
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dovrebbe agire, quali passi da intraprendere) sarebbero il marchio di politiche procedurali. (Meier & Celis, 2011, pag. 476). Rimane aperta la questione se sia una caratteristica del processo di policy making in generale quella di essere soggetto necessariamente anche a elementi d’irrazionalità o razionalità limitata, o se tale carattere sia enfatizzato dalla particolare inclinazione e fiducia del gender mainstreaming verso la razionalità procedurale (Lombardo, Meier, and Verloo 2009). Il metodo stesso dell’analisi critica del discorso tuttavia presuppone lo standard della coerenza e del legame logico e consequenziale tra analisi, prognosi e soluzione e necessariamente, focalizzandosi sugli aspetti discorsivi rischia di mettere in secondo piano o intercettare solo indirettamente le norme, i valori, i pregiudizi che spesso sottostanno alle politiche pubbliche e le dinamiche di interazione-conflietto e tensione tra i soggetti in gioco.
Quanto sia ampia la portata del cambiamento al quale i tentativi di integrare una dimensione di genere nelle agende di policy più diverse costituisce il nodo della questione riguardante la trasformatività del gender mainstreaming e delle politiche di genere. Messe in luce alcune dinamiche e i fattori contestuali in cui esse si esprimono si continua a interrogare il senso del cosiddetto ‘strategic framing’cui sopra abbiamo fatto riferimento (Hafner Burton & Pollack, 2002), ovvero “il modo in cui diversi attori adattano policy frames esistenti al fine di perseguire i propri obiettivi”. Per Verloo (2005) si tratta di costruire un ‘fit’ (una forma di adattamento/corrispondenza) e gli esiti sono assolutamente variabili e molto dipendenti dall’abilità degli attori in gioco. Se spesso si utilizzano gli argomenti dell’efficienza e dell’efficacia dell’assunzione di una prospettiva di genere per facilitare il raggiungimento di obiettivi di altre agende politiche, questi rischiano di diventare argomenti per l’integrazione della dimensione di genere più convincenti dell’uguaglianza di genere in sé. La scivolosità del framing
strategico si riferisce al rischio di dar per scontato l’obiettivo, o di sottostimarlo.
Si riesce davvero a dettare l’agenda o si finisce per avere una ‘semplice’ inclusione del tema entro agende altre e a quali spese?
35 Gli strumenti concettuali per l’analisi costruttivista e post strutturalista delle politiche di genere sono ereditati dalla sociologia dei movimenti sociali e dagli studi sui frame dell’azione collettiva come esiti di processi di negoziazione tra membri aderenti a un movimento sulla comprensione condivisa di una situazione problematica che sia necessario cambiare. La dinamica implica attribuzioni sui soggetti responsabili da biasimare per la situazione determinata, l’articolazione di soluzioni alternative, e la chiamata all’azione per produrre cambiamento (Snow & Benford, 1988: Benford & Snow, 2000). I compiti principali attorno ai quali si articola il framing sono quello diagnostico, quello prognostico e quello motivazionale finalizzati il primo alla mobilitazione del consenso e il secondo alla mobilitazione dell’azione.
Riguardo al framing prognostico si è notato come esso avvenga in un campo multi organizzativo, composto di diversi movimenti sociali, i loro oppositori, i soggetti che essi intendono influenzare, i media ed altri osservatori. Solitamente includono pertanto oltre alle proposte di soluzione e azione avanzate, anche il rifiuto di soluzioni proposte da oppositori. E’ importante notare ai nostri fini come si sia definita l’attendibilità di un frame sulla base della coerenza, della credibilità empirica e dei soggetti che l’hanno elaborato. La coerenza è in sostanza valutata come congruenza tra le convinzioni articolate, le rivendicazioni e le azioni, mentre maggiore il livello di contraddizione percepita tra modalità di strutturazione dei problemi in frames e azioni tattiche, minore ‘risonanza’ assume il frame proposto con effetti negativi sulla mobilitazione. (Benford & Snow, 2000, p.620).
Il framing strategico già menzionato ha l’obiettivo di “di collegare interessi e frames interpretativi con quelli di potenziali futuri membri e/o attuali o futuri fornitori di risorse” ed è stato inizialmente definito come allineamento
strategico. La tabella qui sotto, elaborata sulla base dello studio di Snow &
Benford, ne sintetizza e descrive quattro tipologie specifiche alle quali anche gli studi sulle politiche di genere hanno fatto ampiamente ricorso e che, nei capitoli successivi, ci serviranno per costruire collegamenti tra analisi delle politiche di
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genere come processi interpretativi e di negoziazione di significato, apprendimento in ambito di policies e teorie dell’apprendimento trasformativo ed espansivo.
Figura n°5: Tipologie di ‘framing strategico’ (elaborato da Benford & Snow,
2000).
Tipologia Definizione Esempi
Collegamento
(bridging)
Collegamento tra due o più frames congruenti ma strutturalmente disconnessi riguardo a un tema o problema particolare.
Mobilitazione di sentimenti o cluster di opinione pubblica: es. attivisti tedeschi contro Banca Mondiale e IMF hanno con successo collegato i propri frames con quelli di movimenti di donne, ecologisti, e sindacali.
Amplificazione Idealizzazione,
abbellimento, chiarimento o
rafforzamento di valori o opinioni già esistenti. Rilevante per
movimenti i cui elettori sono diversi da
beneficiari o per quelli stigmatizzati di
distanziarsi troppo da valori dominanti in una data cultura.
Nuovo movimento razzista/separatista USA che sostituisce supremazia bianca con amore, orgoglio, conservazione dell’identità.
Estensione Raffigurare interessi e
frames discorsivi come estesi oltre gli interessi primari e inclusivi di temi e questioni
importanti per aderenti potenziali.
Causa di tensioni e dispute interne su temi di ‘purezza ideologica’,
‘efficienza’, ‘territorio’ (McCallion & Maines, 1999)
Trasformazione Cambiamento di
vecchie strutture di comprensione e/o generazione di nuove
Poco diffusa. Esempio un collettivo di femministe nere negli USA che cerca di ribaltare miti razzisti e sessisti sullo stupro nella comunità Afro American (White, 1999.)
37 Sulla base dei risultati dell’analisi comparativa del progetto QUING9, Emanuela Lombardo, Mieke Verloo e Petra Meier hanno sintetizzato diverse
tipologie di costruzione di significato dell’uguaglianza di genere, proponendo
una triplice distinzione tra fissaggio o congelamento del significato di eguaglianza di genere (fixing), riduzione o restringimento del significato (shrinking) e ripiegamento (bending). Può essere utile riprendere qui di seguito le definizioni dal volume The Discursive Politics of Gender, del 2009.
Fissaggio: “Il risultato di una lotta discorsiva. Il riconoscimento formale
dell'uguaglianza di genere a livello legislativo è un buon esempio (….) è un conseguimento positivo (achievement) nella battaglia di genere, che significa che il genere è stato incardinato in documenti politici ed è riconosciuto come un obiettivo non più contestabile. (…) Il problema potenziale con tale “fissaggio” è la perdita di riflessività (...) o la perdita di consapevolezza che la definizione di ciò che si può intendere per genere include solo una parziale comprensione” (Lombardo, Meier & Verloo, 2009, pp. 3-4).
Contrazione: “Ridurre il suo significato a qualcosa che è confinato ad una
particolare area di policy o ad una specifica interpretazione di un tema. L'uguaglianza di genere può ad esempio essere ristretta al diritto antidiscriminatorio in un senso strettamente legale” alla dimensione del mercato del lavoro, o al problema della rappresentanza politica.
Allungamento: rappresenta il processo opposto di restrizione del
significato. Un buon esempio può essere quello della definizione di gender mainstreaming data da Booth & Bennet (2002) molto più ampia rispetto a quella proposta nel 1998 dal Consiglio d'Europa, e inclusiva di azioni mirate. L’effetto collaterale è in questo caso una diluizione o offuscamento dei confini e dei
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QUING Project (Quality in Gender Equality Politics). (2008). Framing gender equality in the European Union and its current and future Member States, Deliverable n° 61. European Commission Sixth Framework Programme Integrated Project. (www.quing.eu).
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significati attribuiti in precedenza. Altro caso esemplare al riguardo sono le politiche di genere ispirate alle teorie dell’intersezionalità (si veda anche più avanti, cap.1.5.)
Ripiegamento: mentre negli altri due processi il concetto di genere rimane
centrale, per quanto a volte frammentato, in questo caso l’adattamento del significato di genere al fine di trovare corrispondenza con obiettivi altri avviene ‘a spese’ dell’eguaglianza di genere stessa. Uno degli esempi riportati riguarda lo scivolamento delle politiche di bilanciamento vita lavoro verso il focus su crescita economica o deficit demografico. Le ragioni degli attori per l'uso di strategie di 'ripiegamento' sono identificate con limiti legislativi, mancanza di dati o risorse disponibili, resistenze o preferenze, o addirittura scelte strategiche.
L'intento delle autrici è quello di promuovere autoriflessività e decostruzione/disattivazione degli effetti egemonici che possono derivare dalle “fissazioni” delle definizioni di genere, assieme agli effetti di esclusione che potrebbero prevenire anche il miglioramento delle stesse politiche di genere. Non s’intende, come Butler del resto, negare o dismettere determinati significati quanto piuttosto dischiudere un certo termine a nuovi ri-utilizzi (Butler, 1995, p.49, citato in Lombardo, Meier & Verloo, 2009). Le autrici, specie nei capitoli del volume che direttamente da loro curati, vanno più a fondo nell'esplicitare le premesse epistemologiche delle analisi politiche e affrontano il tema della contraddittorietà delle politiche. Dopo aver rilevato e documentato un ampio grado d’incoerenza (inconsistency) tra diagnosi e prognosi, ad esempio, nei documenti di policy, ipotizzano che ciò possa anche rappresentare opportunità positive e precisando i limiti di un approccio razionalista alla politica che identifica appunto razionalità con coerenza, rifacendosi alle teorie di Simon sulla razionalità vincolata (bounded rationality), concludono:
“definiamo pertanto non contraddittorietà il tentativo di raggiungere un qualche grado di coerenza nella strutturazione (framing) di un tema di policy. Coerenza (…) si dà in un dato momento o contesto. Le politiche sono in realtà una
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Dall’analisi delle politiche di genere in Spagna e Paesi Bassi si conclude che le incoerenze possono trasformarsi in opportunità quando nuovi frames interpretativi introdotti al solo livello di diagnosi riescono gradualmente ad evitare l’incoerenza e influenzare anche le soluzioni proposte.
Se i processi di “fissazione” possono essere visti come inevitabili e costruiti su stereotipi, inevitabilmente essi finiscono con il confermare privilegi e creare esclusioni. Tali processi possono dar vita a effetti progressivi o a ulteriori contestazioni. L'espansione e il ripiegamento delle politiche di genere verso altri discorsi, priorità, forme di disuguaglianza può implicare sviluppi positivi quando questi/e ultimi sono sensibili a o riguardano, potere, uguaglianza, conflitto. Nonostante il quadro interpretativo molto interessante, radicato in un’ampia e consistente base di dati, che riesce a interrogare sulla riproduzione di discorsi egemonici sull'uguaglianza di genere e su taboo interni del femminismo, rimane