Capitolo 2: LA PIANIFICAZIONE DI UN PROGRAMMA DI FORMAZIONE
III. Formazione sul luogo di lavoro
III.1. I
LM
ODERNOA
MBIENTE DIL
AVORODI
G
IUDICI EP
UBBLICI MINISTERINei nostri paesi il compito del giudice o del pubblici ministeri è oggi più arduo che mai.
Non solo perché l'insieme delle norme di legge che gli organi giurisdizionali devono applicare diviene tecnicamente sempre più complesso, e perché le relazioni sociali che si sono radicate richiedono sempre più spesso l'intervento della giustizia, ma anche perché nelle nostre società, democratiche e aperte, i diritti e le aspettative, molteplici e spesso confliggenti, che chiedono riconoscimento e garanzie, la crescente influenza pubblica di individui e gruppi sociali, l'esigenza di sicurezza e ordine sociale, le aspettative di non discriminazione e minore disuguaglianza, di equità sociale e redistribuzione, e infine i limiti delle risorse disponibili, possono provocare tensioni rendendo così più difficile e delicato il compito di garantire in pratica l'equilibrio necessario.
Per tale motivo la formazione iniziale dei futuri giudici e pubblico ministero - così come la formazione di base dei giudici e pubblici ministeri appena nominati - è, oggi più che mai, un compito cruciale e arduo che non si può assolvere tramite la mera trasmissione di concetti giuridici, né solo con la ripetizione meccanica di abitudini e pratiche nell'ambito dell'apparato giudiziario. Richiede invece la capacità di comprendere l'ambiente in cui i giudici e i pubblici ministeri operano. Competenza, condotta etica, rispetto per l'indipendenza giudiziaria, imparzialità, riservatezza e lucida comprensione delle realtà umane e sociali con cui il sistema giuridico interagisce: ecco tutti i requisiti di un buon giudice o di un buon pubblico ministero.
Tutto ciò spiega il motivo per cui è preferibile che la formazione iniziale e di base di giudici e pubblici ministeri non sia compito esclusivo delle strutture interne di quello stesso sistema giudiziario, innescando così un processo completamente autoreferenziale. La formazione iniziale e di base degli operatori appena nominati deve porsi, per così dire, all'intersezione tra l'apparato giudiziario e la società "esterna".
È evidente che questa formazione, in tutti i suoi aspetti (e non soltanto in quello strettamente giuridico che riguarda i settori del diritto internazionale ed europeo) può trarre il massimo beneficio da confronti, scambi e cooperazione tra gli istituti di formazione dei diversi paesi d'Europa e del resto del mondo. Le diverse culture giuridiche - e non solo i diversi sistemi giuridici - possono e devono confrontarsi ed arricchirsi a vicenda.
In situazioni appropriate la formazione personalizzata sul luogo di lavoro può costituire un metodo particolarmente concreto ed efficiente rispetto alle risorse per migliorare le competenze e le capacità professionali di giudici e pubblici ministeri. Mentre il tutoraggio o mentoring è un concetto ben noto ormai da tempo, la supervisione e l'intervisione sono rimasti tradizionalmente, per decenni, confinate ad ambienti professionali socio-psicologici e solo di recente sono state introdotte nella magistratura.
III.2. T
UTORAGGIO OM
ENTORINGDefinizione. Questo metodo consiste nell'affiancare una singola persona in formazione a un operatore esperto e didatticamente competente per apprendere i requisiti professionali di uno specifico ambito di conoscenze, capacità e competenze in modo estremamente concreto e in una situazione da pari a pari. Questo metodo di formazione sul luogo di lavoro viene usato soprattutto per la formazione iniziale e di base.
Al mentore spetta la responsabilità principale di assistere i nuovi giudici nel familiarizzarsi con le tematiche pertinenti, tra cui i parametri del programma di mentoring giudiziario, i dettagli del completamento di una pratica giuridica, le procedure e le politiche occupazionali, considerazioni etiche e suggerimenti per l'integrazione nella comunità giudiziaria. L'approccio del mentore deve adeguarsi alle diverse personalità e ai diversi stili di apprendimento dei nuovi giudici.
Un programma di mentoring efficace promuove la fiducia dell'opinione pubblica nell'integrità e nell'imparzialità della magistratura.
III.3. S
UPERVISIONELa supervisione è una forma specifica di consulenza professionale che assume la forma dell'intervento sul luogo di lavoro. Riunisce tre soggetti:
il datore di lavoro;
il supervisore;
il supervisionato (o i supervisionati).
L'obiettivo è di migliorare in modo sostenibile le competenze e le capacità professionali dei supervisionati - intere organizzazioni, gruppi o individui. Dal momento che può rivelarsi piuttosto costosa - i supervisori solitamente sono professionisti che hanno ricevuto una formazione specifica - la supervisione non può estendersi a tutti gli aspetti della professione. È quindi fondamentale che i tre soggetti interessati individuino adeguatamente e accuratamente le esigenze di formazione dei supervisionati, e poi concludano un accordo concreto su portata, frequenza, prezzo e obiettivi dell'intervento.
Il compito del datore di lavoro solitamente si esaurisce con la conclusione dell'accordo.
Egli può partecipare successivamente alla valutazione della supervisione, ma ciò può presentare qualche difficoltà nell'ambiente giudiziario ove, in primo luogo, la riservatezza è una caratteristica essenziale di una valida supervisione e, in secondo luogo, l'indipendenza giudiziaria dei supervisionati non dovrebbe mai essere messa in discussione.
Quel è il compito del supervisore? Il supervisore accompagna i supervisionati nel quotidiano lavoro professionale, per individuare le dinamiche del ruolo nonché le potenziali disfunzioni tra i supervisionati, da un lato, e nei rapporti tra i supervisionati e terzi dall'altro.
Il punto di partenza è perciò una valutazione della situazione. Da parte del supervisore, un approccio autentico, empatico e orientato alla fiducia contribuirà a rompere il ghiaccio.
Viene garantita la riservatezza e, in particolare, il supervisore non sostituirà mai i supervisionati nei contatti con il mondo esterno (ossia al di fuori del sistema di supervisione).
Dal punto di vista dei supervisionati, il supervisore ha l'obiettivo di aiutarli a scoprire percorsi pratici per migliorare autonomamente le proprie capacità e competenze professionali. Il successo viene verificato costantemente all'interno del sistema di supervisione. Nel lungo periodo, l'obiettivo è quello di indurre cambiamenti comportamentali duraturi nei supervisionati accrescendone così l'autonomia dal supervisore.
Metodi tipici di supervisione sono la riflessione analitica, l'interattività orientata a temi specifici tramite giochi di ruolo o strumenti analoghi, analisi video, compiti domestici, eccetera.
Forme tipiche di supervisione nel contesto giudiziario sono le seguenti:
la supervisione di gruppo o di squadra: un certo numero di supervisionati, provenienti da varie organizzazioni distinte (per esempio polizia, procura e tribunale penale) oppure da diverse unità (nell'ambito del tribunale o della procura) o ancora da una stessa unità (nell'ambito del tribunale o della procura), riflette sulle esperienze e i problemi del proprio comune ambiente professionale.
In questo caso l'obiettivo è molto spesso quello di realizzare miglioramenti duraturi nei processi di gestione dei cambiamenti e nella gestione della qualità organizzativa.
La supervisione dei casi: questo metodo di formazione si dimostra particolarmente utile sul luogo di lavoro allorché un caso specifico o una situazione insolita pongono problemi eccezionali che impegnano un gran numero di addetti di un tribunale o di una procura (giudici, pubblici ministeri e personale) per un certo periodo di tempo.
L'obiettivo è quello di aprire percorsi verso un'efficiente gestione della qualità nel particolare contesto del caso, che potrebbe poi servire come modello per casi futuri comparabili.
Supervisione individuale: questa specifica forma di supervisione faccia a faccia è utile soprattutto quando l'obiettivo è quello di rimettere in pista un giudice o pubblici ministeri in difficoltà (quali che siano le ragioni di tali difficoltà), inducendolo a riscoprire competenze e capacità da lungo tempo sepolte sotto la routine quotidiana. In queste situazioni la supervisione viene spesso definita "coaching", ma poiché questo termine enigmatico non ha un significato scientifico chiaro e uniforme, è preferibile usare il concetto di supervisione individuale.
Un vantaggio significativo di questa forma specifica di supervisione è il grado particolarmente elevato di riservatezza. Un giudice o pubblico ministero può scoprire il proprio animo più facilmente in un confronto individuale che nell'ambito di un gruppo.
III.4. I
NTERVISIONE(S
UPERVISIONET
RAP
ARI)
L'intervisione, denominata anche supervisione tra pari, è essenzialmente una forma di supervisione di gruppo senza supervisore. I "supervisionati" si supervisionano a vicenda.
Per questa forma di guida professionale sul luogo di lavoro l'accordo con il datore di lavoro non costituisce un prerequisito; l'intervisione è quindi assai più informale e anche meno costosa delle forme di supervisione descritte in precedenza. Un vantaggio tangibile per le persone in formazione è il contesto particolarmente riservato. Il gruppo di intervisione è strettamente limitato ai pari.
Un altro vantaggio dell'intervisione - almeno in un contesto giudiziario - è il carattere assolutamente volontario della consulenza. Mentre nel settore privato esistono situazioni in cui l'intervisione viene semplicemente richiesta dal datore di lavoro, il presidente di un tribunale o un procuratore generale possono tutt'al più incoraggiare l'intervisione illustrandone gli effetti benefici.
In pratica, forme di intervisione si registrano soprattutto fra i giudici o i pubblici ministeri più giovani e appena nominati. Ove ciò sia applicabile, forme di intervisione fanno anche parte dei meccanismi di valutazione tra pari usati per le relazioni sulle prestazioni. L'esperienza dimostra però che anche giudici o pubblici ministeri esperti possono trarre ampio vantaggio dalla supervisione tra pari. Osservare, per esempio, il modo in cui un collega esperto conduce un'udienza potrebbe contribuire a eliminare le radicate idiosincrasie personali di cui il giudice osservatore non era consapevole.