PROFESSIONALITÀ E FORMAZIONE
5.2 Formazione universitaria e professionalità: quali prospettive?
La riforma del servizio sociale, come abbiamo visto, ha enfatizzato alcuni compiti dell’assistente sociale, come la partecipazione alle realizzazione delle politiche sociali e il contatto, attraverso il segretariato sociale e il servizio sociale professionale317, con il cittadino in un’ottica di accesso universalistico. La nuova
normativa universitaria, collocando definitivamente la formazione in sede accademica, ha incluso nel corso di studi “la presenza formale di contenuti teorici e prassi formative caratterizzanti”318 e ha previsto due livelli di preparazione (l’attuale
laurea in “Servizio sociale” L 39 e la laurea magistrale in “Servizio sociale e politiche sociali LM 89)319.
Le due riforme, come già evidenziato, incidono entrambe sulla professionalità degli operatori320. Con la L.328/00 e successive modificazioni vengono legittimate
alcune competenze di cui l’Università deve tener conto. Essa adempie ad un compito professionalizzante, quello professionalizzante fino a quel momento di altrui competenza321. Le scuole di servizio sociale, e successivamente i diplomi universitari,
avevano come proprio mandato quello di coniugare “la funzione di definizione e riproduzione di una figura professionale e anche una funzione di riflessione teorica
317 Le due prestazioni menzionate, come previsto dalla L. 328/2000, devo essere fornite in modo
obbligatorio in ogni contesto locale. Rappresentano quindi competenze peculiari e fondamentali da prevedere, nel percorso di studi in Servizio sociale per gli assistenti sociali di base. M. Dal Pra Ponticelli, La professionalità dell’assistente sociale secondo la legge quadro di riforma
dell’assistenza, in EISS, Rapporto sulla situazione del servizio sociale: 1. rapporto, op. cit., p. 159. 318 S. Tonon Giraldo, Voce Formazione al servizio sociale, in M Dal Pra Ponticelli (a cura di), Dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma, 2005, p. 241.
319
La riforma universitaria prevista dal D.M. 2000 istituiva due livelli di formazione: la laurea triennale e la laurea specialistica. Questa è risultata essere un’importante innovazione per l’identità professionale dell’assistente sociale che ha comportato la ristrutturazione degli ordini professionali avvenuto con il decreto 328/2001. Con tale disciplina vengono istituiti due sezioni negli albi professionali che individuano ambiti diversi in relazione al diverso grado di capacità e competenza acquisita mediante il percorso formativo. In corrispondenza al diverso livello del titolo di accesso vengono istituite due sezioni: la sezione A dell’albo denominata “sezione degli assistenti sociali specialisti”, ai cui iscritti spetta il titolo di assistente sociale specialista” e della sezione B denominata “sezione degli assistenti sociali” ai cui iscritti spetta il titolo professionale di “assistente sociale”.
320 In questo paragrafo ci occuperemo in particolar modo dell’assistente sociale che ha acquisito la
laurea triennale. Non andremo ad occuparci delle competenze dell’assistente sociale specialista in quanto l’oggetto di studio di questo lavoro di tesi sono le pratiche professionali utilizzate nel contatto diretto e nella presa in carico della persona.
critica e di continua ricerca sul campo.”322 Il servizio sociale, come disciplina323, si
caratterizza per una attenzione, sia alla pratica che alla teoria, un aspetto, questo, forse in un’ottica tradizionalmente accademica considerato poco nobile e ritenuto marginale.
“L’università italiana sembra ancora scarsamente orientata e poco attrezzata a ospitare funzioni (pur talora proclamate) di formazione teorico-pratica, tutoraggio e supervisione degli studenti e attivazione di laboratori sul campo, di autentica produzione scientifica secondo la sequenza circolare teoria-prassi-teoria (nella punteggiatura degli studiosi) o prassi-teoria-prassi (nella punteggiatura degli operatori.).”324
Anche se la direzione intrapresa già a partire dalla prima riforma universitaria è quella di sperimentarsi e di riflettere su nuove modalità di insegnamento e su contenuti didattici adeguati rispetto ai due livelli di formazione e di preparazione si assiste non di meno ad una difficoltà nel realizzare tali obiettivi325
. Si tratta di un punto critico, perché l’eventuale inadeguatezza della struttura universitaria a recepire un tale mandato a causa di “condizioni organizzative, vincoli normativi, tradizioni accademiche estranee a una formazione teorico-pratica” mette a rischio proprio quella specificità del servizio sociale che é rappresentata dalla vocazione pratica, e operativa della didattica326.
322 L. Gui, Le sfide teoriche del servizio sociale, op. cit., p. 15.
323 “Oggi il servizio sociale può essere considerato sotto diversi aspetti fra loro correlati: disciplina, professione, metaistituzione, arte. (…) In quanto disciplina il s.s. è disciplina scientificamente fondata,
da collocarsi all’interno delle scienze sociali”. Il riconoscimento ufficiale in ambito accademico della disciplina è avvenuto, in Italia,, nel 2000 anche se già a partire da metà anni Cinquanta, con le prime scuole a fini speciali, l’ingresso della disciplina, in ambito accademico era già avvenuto. Le basi teoriche del s.s. vengono poste da Richmond, nel 1917. “Da allora lo sviluppo della teoria del s. s. si è accompagnato allo sviluppo delle pratiche professionali degli assistenti sociali, costituendo ciò che, nella ricerca dei fondamenti epistemologici del s.s., è stato recentemente definito “sapere pratico.” Nella sua evoluzione il s.s. “si è trovato, e si trova a dover scegliere, all’interno delle varie discipline con cui entra in rapporto, i metodi e le tecniche congruenti con i suoi principi e valori. (…) Il dibattito è aperto e sta coinvolgendo oggi in Italia anche il mondo accademico (…) sembra opportuno dire che la ricerca, che deve sostanziare ogni scienza, ma anche la ricerca-azione, che potrebbe meglio caratterizzare i contenuti epistemologici del s.s., sono ancora limitate, nonostante le grandi potenzialità offerte dalle pratiche professionali, dalle sperimentazioni di diversi modelli operativi e dalla fondatezza della metodologia.” M. D. Canevini, E. Neve, voce “Servizio sociale”, in M. Dal Pra Ponticelli (a cura di), Dizionario di servizio sociale, op. cit, p. 591-593.
324 Ivi, p. 14.
325 S. Tonon Giraldo, Voce Formazione al servizio sociale, op. cit., p. 242. 326
Ibidem. Ci occuperemo di questo particolare aspetto nel paragrafo successivo, che andrà a fare una breve panoramica sui cambiamenti avvenuti negli anni, in seguito alle diverse riforme.
“Attivare una formazione professionalizzante per l’università dovrebbe significare affrontare in termini globali il rapporto con il mondo del lavoro, delle professioni, per coinvolgerle nell’analisi delle attuali esigenze formative e nella proposizione di nuovi percorsi formativi, dando valore e status alle specifiche, originali, elaborazioni teoriche. In caso contrario, vi è il rischio di utilizzare solo segmenti di esperienza, mettere “a lato” della formazione accademica alcuni saperi professionali, un contributo “tecnicistico” per una formazione aspecifica.”327
La formazione del servizio sociale in ambito universitario costituisce quindi un’opportunità ma presenta anche molti aspetti critici per l’intrecciarsi complesso di molteplici elementi. Da un lato c’è il rapporto con l’Università confrontata a sfide importanti quali i legami con il territorio, l’attività con professionisti e l’esigenza di progettare una formazione per una professionalità costantemente influenzata dai cambiamenti che interessano gli Enti in cui essa si esprime e le strategie di politiche sociali. Dall’altro lato il servizio sociale328 è una disciplina ancora in corso di
completa legittimazione a livello accademico, in un dialogo e in un confronto fra “comunità d’azione”329 e “comunità di pensiero” ancora da realizzare
compiutamente330.
Per quanto riguarda il primo aspetto esiste
“… (un’)interdipendenza tra le Università, chiamate a gettare le fondamenta formative di un aiuto sociale che possa dirsi professionale, gli stessi professionisti chiamati a forgiare la propria specificità identitaria ricercando crescenti livelli di competenza, ed infine la comunità territoriale costituita dai diversi attori sociali e politici che la animano.” 331
Un discorso sulla formazione degli assistenti sociali ha quindi bisogno di
327
Ibidem.
328 “…per “servizio sociale” si vuole intendere l’insieme complessivo di una disciplina e pratica
proprio della professione dell’assistente sociale, e che per “servizi sociali” si intende il complesso delle strutture organizzate per interventi e prestazioni socio-assistenziali, entro cui il servizio sociale trova le sue coniugazioni.” Gui L., Servizio sociale tra università, professionisti e comunità locale, in S. Chessa, M.L. Piga, op. cit., p. 231.
329 La “comunità di azione” è “rappresentata dal vasto numero di operatori che forma la categoria dei
professionisti del sociale, cosciente di sé e capace di autorappresentazione”. L. Gui, Le sfide teoriche
del servizio sociale, op. cit., p. 143
330 La “comunità di pensiero” è “potenzialmente espressa da ricercatori e formatori (accademici e
extra-accademici) in dialogo con i professionisti, ma di fatto fortemente attenuata dalla preoccupazione operativa”. Ibidem.
331
L. Gui, Servizio sociale tra università, professionisti e comunità locale, in S. Chessa, M.L. Piga,
problematizzare il rapporto di reciproca influenza tra comunità professionale, università e territorio. L’organizzazione accademica, forte della sua autonomia e orientata alla preparazione di profili adeguati a fabbisogni territoriali, dovrebbe mirare a sviluppare curricula e programmi in grado di contribuire al benessere del luogo di riferimento332. Con la riforma del titolo V della Costituzione, si assiste ad
una regionalizzazione delle politiche sociali. Diviene pertanto essenziale per gli operatori conoscere, grazie alla formazione accademica le caratteristiche delle aree geografiche in cui essi si troveranno ad operare.
“Se manca il ruolo dei saperi professionali, le politiche sociali risultano essere al massimo un atto amministrativo, da inquadrare in un tipo di stato che formalmente può considerarsi sociale, anche se non ha come reale obiettivo quello di incrementare il benessere dei cittadini attraverso le relazioni sociali. Il disegno delle politiche sociali non può ignorare la parte che l'università, chiamata a recenti compiti nei confronti della formazione dell'assistente sociale, gioca nel sostegno al welfare formativo e in particolare nella trasmissione del sapere professionale con le ultime trasformazioni del 3+2.”333
Grazie a questa conoscenza contestualizzata, gli assistenti sociali avrebbero maggior capacità di individuare ad esempio le risorse disponibili al proprio lavoro e a propri obiettivi, e di identificare le difficoltà che ostacolano l’accesso delle persone alle opportunità presenti, così da fornire un servizio basato sulla riflessività come competenza strategica334. L’operatore è posto così in condizione di garantire
prestazioni caratterizzate da abilità relazionali, basate sull’ascolto, sulla comprensione del punto di vista altrui, la valorizzazione delle proprie competenze finalizzate ad accrescere l’autodeterminazione del soggetto ed a consentire l’emancipazione da una logica di dipendenza dal circuito assistenziale. Per giungere ad un cambiamento della cultura presente nei servizi è indispensabile un progetto formativo condiviso da tutti i soggetti coinvolti.
“Il progetto formativo deve essere condiviso perché è necessaria la volontà degli operatori a formarsi e aggiornarsi perché la loro
332 Ibidem.
333 M.L. Piga, Regolazione pubblica delle politiche integrate e formazione al lavoro sociale, op. cit.,,
p. 173.
professionalità non sia solo una competenza tecnica, ma un modo di essere, di percepire, di riconoscere le risorse, soprattutto quelle relazionali. E di reagire con un impianto di preparazione e competenze che possa sostenere una cultura dei servizi, contro l'impostazione emergenziale del servizio sociale, contro le tentazioni di ricadere nell'assistenzialismo, attraverso il fare prestazionistico senza riflessività.”335
Gli assistenti sociali, se opportunamente formati, possono farsi a loro volta veicolo nei servizi di una nuova cultura promozionale, ed incidere attivamente in fase di programmazione e di valutazione, sulle politiche sociali336.
“L’autonomia universitaria ed il rapporto con il territorio di cui ogni ateneo deve farsi soggetto vitalizzante, ha imposto ormai da alcuni anni alle Università italiane l’attivazione di relazioni reciprocamente vincolanti con le istituzioni pubbliche locali (in particolare gli Enti Locali), con le organizzazioni del lavoro e con le categorie professionali. L’esito interattivo della composizione di questi sistemi, in altre parole l’output del processo formativo determinato dalla composizione degli interessi, degli obiettivi e delle risorse che ciascuno di questi sistemi sarà capace di intrecciare con gli altri, è rappresentato dalla presenza di professionisti preparati e competenti ad assumere ruoli attivi nella costruzione di comunità locali, a loro volta capaci di affrontare consapevolmente i propri impegni di sviluppo.”337
Oltre alla peculiarità del contesto locale aspetto cruciale per la formazione specifica degli operatori, sono i principi e i valori elaborati nel corso degli anni all’interno della comunità professionale nel quadro della discussione per i piani di studio338.
“Questa auspicabile integrazione sociale in particolare l’obiettivo di formare ad attivare operatori sociali qualificati chiede all’università da un lato sappia coniugare, di comunità locale in comunità locale, le proprie finalità didattiche e di ricerca scientifica, con le urgenze operative in campo sociale recepite ed interpretate dalle organizzazioni erogatrici di servizi sociali ( di primo, secondo, terzo settore), e dall’altro si confronti costruttivamente con gli elementi fondativi, sia sul piano valoriale e deontologico che sul piano disciplinare, della comunità professionale in
335 Ivi, p. 172. 336 Ivi, p. 176. 337
Gui L., Servizio sociale tra università, professionisti e comunità locale, op. cit., p. 244.
cui gli studenti si inseriranno.”339
Le competenze universitarie ritenute indispensabili rimandano da un lato alla ricerca e alla produzione di conoscenza nel e per il servizio sociale, dall’altro alla preparazione di un profilo che possieda e sappia utilizzare strumenti in grado di acquisire e accrescere costantemente il proprio aggiornamento340. Mentre
“la comunità dei professionisti avrà la preoccupazione di cooptare al suo interno persone che condividano la medesima “tonalità emozionale”, il comune “capitale simbolico” di appartenenza, le linee fondamentali di “moralità” per l’inclusione nel gruppo, in fine il profilo della propria identità, consci che non è certo dall’università che tutto ciò potrà essere preteso; su un altro versante saranno le organizzazioni dei servizi sociali ad indicare i più urgenti terreni di approfondimento, a mettere in gioco risorse ed opportunità di sperimentazione e addestramento (spazi di stage o tirocini, supervisioni interne, borse di studio e ricerca sugli obiettivi dell’ente ecc.) in vista delle necessità di ottenere figure professionali sempre più capaci di fronteggiare adeguatamente la domanda sociale emergente.”341
Uno degli elementi che rende difficile il pieno inserimento accademico della disciplina del servizio sociale è che se da una parte il ruolo e i valori di riferimento degli assistenti sociali sono stati oggetto di un importante processo di sviluppo e consolidamento, dall’altro la loro “istituzionalizzazione” ha contribuito ad un loro irrigidimento, poco adatto al bisogno di confronto critico e di rimessa in discussione che caratterizza l’ethos scientifico342 Diviene quindi rilevante un confronto fra
“comunità di azione” e “comunità di pensiero” così da iniziare un percorso per giungere ad una condivisione negoziata delle teorie e dei concetti utilizzati.
“Il costante processo di ridefinizione concettuale del servizio sociale,, implica la capacità di rifarsi criticamente alle differenti teorie che hanno concorso a “sintetizzare” combinazioni congruenti e contingenti, di volta in volta in grado di fronteggiare e risolvere i problemi posti alla concretezza della realtà. La riflessività continua sugli interventi di servizio sociale e la capacità di “fare i conti” con le esperienze di fatto, più che applicare deduttivamente un’astratta disciplina, richiamano la necessità di un serrato dialogo intra ed extra accademico, fra coloro che
339 Gui L., Servizio sociale tra università, professionisti e comunità locale, op. cit., p. 245. 340 Ibidem.
341
Ibidem.
condividono lo stesso cammino di ricerca.”343
Questa collaborazione è anche facilitata dal fatto che è previsto, ormai da alcuni anni, il Dottorato in servizio Sociale a cui, da quando sono presenti i due livelli di formazione, possono partecipare i laureati in servizio sociale. Un aspetto che agevola lo studio e la ricerca di servizio sociale, da parte di persone già formate al servizio sociale e con una già consolidata esperienza di lavoro. Auspicabile è infine una crescente strutturazione dei docenti in servizio sociale344.