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Le forme della presentazione e gli effetti L’art 2 del d.lgs n.

Nel documento Art. 18 bis (pagine 39-44)

3. Ambito applicativo e modalità di presentazione.

3.6. Le forme della presentazione e gli effetti L’art 2 del d.lgs n.

222/2016 indica ad un tempo le modalità di presentazione delle varie comunica- zioni o istanze ed i correlati regimi degli effetti; e così:

1) per le attività soggette a comunicazione, essa produce effetto con la presenta- zione all’amministrazione competente o allo sportello unico; da questo momento l’attività privata è legittimamente esercitabile. Se per l’avvio, lo svolgimento o la cessazione dell’attività sono richieste altre comunicazioni o attestazioni, l’interes- sato può presentare un’unica comunicazione allo sportello unico di cui all’art. 19-bis, che provvede alla trasmissione alle altre amministrazioni interessate al fine di consentire il controllo sulla sussistenza dei requisiti e dei presupposti per lo svolgimento dell’attività per quanto di rispettiva competenza e per la presenta- zione, almeno cinque giorni prima della scadenza dei termini delle verifiche di cui all’art. 19, commi 3 e 6-bis (s.c.i.a edilizia), di eventuali proposte motivate per l’adozione di altrettanto eventuali provvedimenti conformativi. Alla comunica- zione vanno allegate asseverazioni o certificazioni ove espressamente previste da disposizioni legislative o regolamentari. Anche in caso di procedura “aggravata” ex art. 19-bis, co. 2, l’effetto abilitativo si produce dal momento della presentazione della comunicazione allo sportello unico;

2) per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A richiede la s.c.i.a. c.d. “pura” si applicano le già viste modalità di presentazione di cui all’art. 19; se la tabella indica il regime della s.c.i.a unica si applica il regime di cui all’art. 19-bis, comma 2°, e l’effetto abilitativo si produce dal momento della presentazione della s.c.i.a. Nei casi di c.d. s.c.i.a. “non pura” (ossia condizionata ad atti di assenso comunque denominati), si applica il regime di cui all’art. 19-bis, comma 3, della stessa legge n. 241 del 1990 e l’effetto abilitativo non si produrrà se non dopo il rilascio degli atti medesimi, di cui lo sportello dà comunicazione all’interessato: comunicazione da intendersi quale atto necessariamente recettizio.

Delicati problemi, di ordine teorico e pratico, emergono dalle scelte del Governo in tema di modulistica da utilizzare, sia per la s.c.i.a. che per le istanze cui faccia seguito l’eventuale silenzio assenso.

La disciplina è indicata all’art. 2 del d.lgs. n. 126/2016. Il primo comma prevede che ciascuna amministrazione statale, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta moduli unificati e standardizzati che definiscono esaustivamente, per tipologia di proce- dimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni di cui alle fattispecie di cui al d.lgs. n. 222/2016, indicando altresì la documentazione da allegare. I moduli debbono prevedere la possibilità del privato di indicare l’eventuale domicilio digitale per le comunica-

zioni con l’amministrazione, domiciliazione, si badi, non obbligatoria: il che fa salve le forme tradizionali di presentazione delle istanze, a tutela delle categorie più deboli che possono incontrare ostacoli nell’utilizzo di mezzi di comunicazione telematici. Il secondo alinea del primo comma prevede invece una seconda cate- goria di modulistica, destinata alla presentazione di istanze, segnalazioni o comu- nicazioni “alle amministrazioni regionali o locali”; questi moduli, se e solo se relativi “all’edilizia e all’avvio di attività produttive”, sono adottati, in attuazione del principio di leale collaborazione mediante accordi conclusi in sede di Confe- renza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281/1997 del decreto legislativo n. 281 del 1997, “tenendo conto delle specifiche normative regionali”. Il legislatore delegato ha quindi suddiviso la fondamentale disposizione sulla predisposizione della modulistica in due gruppi (modulistica delle amministrazioni statali e mo- dulistica di regioni ed enti locali), il che già va in danno delle esigenze di omoge- neizzazione e semplificazione sottese alla riforma; la risposta, scontata, che la diversificazione si giustificherebbe alla stregua del declamato principio di leale collaborazione non regge, giacché per il primo gruppo la norma contempla un mero parere della Conferenza unificata, e non un’intesa, ancorché anche i proce- dimenti che vedono destinatari le amministrazioni statali coinvolgano materie di competenza concorrente o residuale di regioni ed enti locali (da ultimo, C. cost. 25 novembre 2016, n. 251).

Assolutamente commendevole è quindi la previsione sulla modulistica standardiz- zata, ma l’esigenza di assicurare la leale collaborazione — evidentemente avvertita anche per i procedimenti che vedono destinatari delle segnalazioni e comunica- zioni le amministrazioni statali — deve attuarsi mercé l’intesa in sede di Confe- renza unificata ogniqualvolta si sia o si posa essere in presenza di “un concorso di competenze, inestricabilmente connesso” (C. cost., n. 251/2016, cit.: si pensi ad esempio all’attività commerciale di vendita di farmaci da banco, di cui al punto 1.10 della tabella A allegata al d.lgs. n. 222/2016; lì è contemplata una s.c.i.a. unica laddove l’art. 5 del d.l. n. 223/2006 (convertito in l. n. 248/2006) prevede una mera comunicazione di avvio dell’attività al Ministero della Salute; la tabella distingue a seconda che si tratti di esercizio di vicinato, media o grande struttura di vendita o attività commerciale già avviata, e stabilisce che l’interessato presenti al SUAP, in caso di esercizio di vicinato, una comunicazione che costituisce allegato della SCIA unica: è quindi evidente che, coinvolgendo l’attività materie — commercio e salute — rispettivamente di competenza regionale e statale, il modulo della s.c.i.a. unica, recante in allegato la comunicazione al Ministero, vada elaborato previa intesa raggiunta in Conferenza unificata).

Di tale esigenza si era fatto portavoce il parere n. 839/2016 del Consiglio di Stato, secondo cui era « ... opportuno prevedere l’approvazione in Conferenza Unificata di accordi aventi ad oggetto modelli uniformi, all’interno di ciascuna ‘categoria’ di livello di governo e per ogni tipologia procedimentale »: di guisa che è ancor più incomprensibile la ragione per la quale per i moduli standardizzati da adottarsi dalle amministrazioni statali debba acquisirsi solo un parere della Conferenza unificata, stante la inevitabile concorrenza, anche per quei procedimenti, di com-

petenze appartenenti ad altri livelli di governo (basti pensare, appunto, al solo commercio: da ultimo, C. cost., 9 luglio 2015, n. 140).

Un ruolo particolarmente rilevante assumono i siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni quali strumenti non solo di trasparenza ma anche di supporto e sostegno ai cittadini: su tali siti (art. 2, comma 2, d.lgs. n. 126/2016) devono essere pubblicati “i moduli di cui al comma 1”, ossia quelli standardizzati che indicano, a loro volta, la “documentazione da allegare”. È nondimeno previsto che, in rela- zione alla tipologia del procedimento, nei casi in cui la documentazione debba essere individuata dall’amministrazione procedente, ovvero fino all’adozione dei moduli di cui al comma 1, le medesime amministrazioni pubblicano sul proprio sito istituzionale “l’elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiara- zione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell’agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione”: un’attività alquanto onerosa e forse antieconomica (non foss’altro perché idonea ad appannare il principio di autoresponsabilità del privato), soprattutto se correlata con altre due norme della medesima disposi- zione: si stabilisce che l’amministrazione possa chiedere all’interessato informa- zioni o documenti “solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto del- l’istanza, segnalazione o comunicazione e dei relativi allegati a quanto indicato nel comma 2”, ossia ai moduli standardizzati ovvero, in caso di mancata pubblicazione di questi, agli atti stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, di attestazione o asseverazione da parte dei dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell’agenzia delle imprese. A tale limite fa da pendant il divieto di richiedere “informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati ai sensi del comma 2, nonché di documenti in possesso di una pubblica amministrazione” (comma 4°).

Inoltre, il comma 5° dell’art. 2 prevede che “la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti ... e la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribu- zione da tre giorni a sei mesi”.

Si tratta di norme che destano seri dubbi di legittimità costituzionale, oltre che di pura opportunità politica, sotto vari profili. Quanto alla prima, essa non era contenuta nella bozza di decreto sottoposta al parere del Consiglio di Stato, che però ha ritenuto opportuna l’integrazione in tal senso « ... con un chiaro divieto di richiesta di documentazione ulteriore rispetto a quella indicata dai moduli unifi- cati. Difatti, in applicazione di tale principio tutta la documentazione necessaria deve essere esaustivamente indicata ‘a monte’, nel modulo unificato: eventuali richieste istruttorie potranno solo evidenziare la mancata corrispondenza degli allegati presentati con quelli previsti in quella sede, non chiedere ulteriori docu- menti non indicati ex ante ... per consentire alla riforma di dispiegare tutti i suoi effetti pratici a vantaggio dei cittadini e delle imprese » (parere n. 839/2016, § 10.1).

Ora, per comprendere l’irragionevolezza di tale “principio”, peraltro irrintraccia- bile nella norma delegante e nell’art. 19, cui quella norma rinvia, occorre ram- mentare che una richiesta istruttoria da parte dell’amministrazione può concre- tizzarsi nell’esercizio dei poteri ex post ai sensi dei commi 3° e 4° dell’art. 19: in sede, cioè, di verifica della possibilità di proseguire l’attività avviata in esito a presenta- zione della s.c.i.a., eventualmente conformandola alla normativa vigente, ovvero in sede di intervento c.d. “postumo” nell’esercizio di atipici poteri di autotutela (sul che v. infra, § 4). De jure condito, se la modulistica adottata dall’amministrazione titolare del potere di conformazione non contempla (magari per colposa omis- sione della stessa amministrazione) un atto — un’autocertificazione, o una rela- zione tecnica asseverata — per quella specifica attività indicata nella tabella A, ebbene l’attività, ancorché in astratto conformabile, andrà inesorabilmente inibita. Si assiste così all’assurda conseguenza prodotta dalle insidie di qualsiasi criterio affidato all’incerto criterio della enumerazione preventiva (“a monte”, come dice il Consiglio di Stato); è sufficiente dimenticare un particolare per rendere imper- fetta l’intera impalcatura normativa e tradirne la ratio semplificatrice, oltre che votata alla promozione della libera attività economica privata; in tal senso violando patentemente i principi di buon andamento, custoditi dall’art. 97 Cost., e di ragionevolezza (art. 3). Ed è evidente che la situazione può emergere anche a contrario: vi può cioè essere il rischio che un’attività — magari insalubre — possa essere conformata senza l’autocertificazione o asseverazione tecnica sulla sua sa- lubrità solo perché nella modulistica quel genere di interesse non è stato preso in considerazione. Il tema è delicato poiché, stando proprio al parere n. 839/2016 del Consiglio di Stato, se nel termine ordinario di sessanta (o trenta per la s.c.i.a. edilizia) giorni l’amministrazione esercita un potere che dicesi anch’esso vincolato, non così è nell’ipotesi in cui l’autorità intervenga nei diciotto mesi successivi ai sensi del comma 4°: in questo caso, il Consiglio di Stato segnala (n. 839/2016, § 8.2.2) che « ... trattandosi ‘a monte’ di attività vincolata da parte dell’amministra- zione, limitata alla sola verifica della sussistenza dei requisiti di legge, anche l’intervento ‘a valle’ deve avere le medesime caratteristiche di attività vincolata. Elementi di discrezionalità potranno, semmai, rinvenirsi solo nella valutazione dei tre elementi del “termine ragionevole” (in ogni caso non superiore a diciotto mesi) per l’adozione del provvedimento, delle “ragioni di interesse pubblico” e degli “interessi dei destinatari e dei controinteressati”. Ma tale valutazione discrezionale si configura, nel meccanismo dell’art. 21-nonies, solo come un limite ulteriore (discrezionalmente applicabile) all’esercizio di un’attività già limitata dalla sua natura squisitamente vincolata ».

Tale avviso non è tuttavia condivisibile poiché la valutazione dell’interesse pub- blico sul “se” intervenire implica già un esercizio notevole di discrezionalità; la scelta, poi, tra inibire o conformare, ed in quale modo conformare, non solo esibisce vieppiù profili di discrezionalità dell’agire postumo, ma se possibile rende ancor più irrazionale la scelta di poter conformare l’attività, magari in essere da tempo, solo se sia possibile ricorrere a moduli ed autoattestazioni presenti nel sito istitu- zionale dell’amministrazione: conclusione a tutta prima inaccettabile sul piano logico, prima che giuridico.

La seconda disposizione — probabilmente adottata in eccesso di delega, posto che dall’art. 5, l. n. 124/2016 non emerge anche un solo vago ambito oggettivo, principio o criterio direttivo che abilitasse il Governo a prevedere una fattispecie di illecito amministrativo — addirittura sanziona con una severa punizione, gra- duabile solo nell’entità della sanzione, la condotta del malcapitato funzionario che non abbia pubblicato informazioni e/o documenti, o ne abbia chiesto all’interessato di difformi da quelli pubblicati. È paradossale che il Consiglio di Stato, sul punto, abbia osservato che, a fronte di un « ... divieto di chiedere documentazione ultro- nea » quale « punto qualificante dell’intervento », sarebbe nondimeno « ... oppor- tuno evitare automatismi e prevenire il rischio che, per evitare un rilevante procedimento disciplinare, si omettano richieste di documenti necessari nella specifica fattispecie ». Il problema, come già si diceva supra, concerne l’errore dell’obbligo di rendere tassativa l’elencazione dei documenti, in vista di un ine- spresso quanto prorompente intento di velocizzazione e pseudo-semplificazione, come se possedere un elenco conferisca di per sé certezza all’azione amministra- tiva, così disconoscendo l’altissimo quanto insostituibile ruolo dell’indagine cono- scitiva.

Tanta è l’importanza attribuita dal Governo (e dal Consiglio di Stato) a questo insolito meccanismo di standardizzazione modulistica da avere previsto meccani- smi di intervento sostitutivo nei confronti degli enti che rimangano inadempienti, legittimando anche in questo caso seri dubbi circa il rispetto della previsione che si va ad illustrare con l’art. 76 Cost. Dispone il 3° comma dell’art. 2, d.lgs. n. 126/2016 che “fermi restando i rimedi previsti dal decreto legislativo n. 33 del 2013” — il c.d. ’decreto trasparenza’, che concerne obblighi di pubblicazione assolutamente di- versi da quelli qui all’esame — “qualora gli enti locali non provvedano alla pub- blicazione dei documenti di cui al presente articolo, le regioni, anche su segnala- zione del cittadino, assegnano agli enti interessati un congruo termine per prov- vedere, decorso inutilmente il quale adottano le misure sostitutive, nel rispetto della disciplina statale e regionale applicabile nella relativa materia. In caso di inadempienza della regione si provvede in via sostitutiva ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 131 del 2003”.

Forse lo si darà per scontato — anche se in tema di garanzie ciò potrebbe rivelarsi improvvido — ma il primo alinea non prevede alcuna forma di specifico ed individuale coinvolgimento nel procedimento sostitutivo tra regione ed enti locali, il che la rende costituzionalmente illegittima (fra le tante, Corte cost., 16 luglio 2015, n. 171). A ciò si aggiunga che una norma del genere — foriera di sterile conflittualità tra ente territoriale ed ente locale (si rammenti che la regione do- vrebbe agire “anche” su segnalazione del cittadino, che potrebbe così indossare le vesti del magari prezzolato o comunque interessato delatore) e di inevitabile contenzioso — poteva essere omessa se si fosse seguito il suggerimento del Consi- glio di Stato: « ... il problema potrebbe considerarsi superato alla stregua dell’au- spicata approvazione di moduli uniformi in sede di Conferenza Unificata ..., e ..., pertanto, l’esercizio del potere sostitutivo potrebbe essere confinato all’eventuale necessità di adottare moduli differenziati rispetto a quelli uniformi approvati, in

relazione ai quali va comunque indicato un termine per l’esercizio del detto potere sostitutivo ».

Opportunamente l’art. 3, comma 1°, lett. b), n. 1) del d.lgs. n. 126/2016 ha modificato il secondo comma dell’art. 19 precisando che l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente “anche nei casi di cui all’articolo 19-bis, comma 2”, ossia nei casi in cui, per lo svolgimento dell’attività oggetto di s.c.i.a. per così dire “principale”, occorrano altre s.c.i.a.; ciò perché « ... anche in questa ipotesi non sono richiesti provvedimenti di tipo autorizzativo, ma soltanto altre SCIA (e quindi altre segnalazioni di avvio di un’attività libera), ovvero “comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche”: è questa la differenza principale tra questa fattispecie e quella del successivo comma 3 dello stesso art. 19-bis; di conseguenza, secondo il nuovo sistema, anche in questo caso, come in quelli di cui all’art. 19, l’attività può essere iniziata immediatamente » (così il parere del Consiglio di Stato n. 1784/2016, § 3.2.1).

4. La funzione di controllo dell’amministrazione ed i limiti al potere di

Nel documento Art. 18 bis (pagine 39-44)