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Art. 18 bis

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Academic year: 2021

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Estratto dal volume:

CODICE DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA

IILEdizione aLcuraLdi MariaLAlessandraLSandulli

giuffrè editore - 2017

IsbnL9788814205873

NINOLPAOLANTONIO

COMMENTOLAGLILARTT.L2,L18LBIS,L19

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pretesa avanzata. E ciò può senz’altro sostenersi anche se è stata eliminata in sede di approvazione della norma l’espressione, inizialmente presente, che chiudeva l’articolo in esame in questo modo: “indipendentemente dalla spettanza del bene-ficio derivante dal provvedimento richiesto”. La locuzione eliminata avrebbe fu-gato ogni dubbio in proposito, ma anche la sua assenza non consente di interpre-tare l’art. 2-bis cit. nel senso che il risarcimento per l’inosservanza dei termini procedimentali sia dovuto soltanto nel caso di spettanza da parte degli istanti all’ottenimento del “bene della vita”. I giudici amministrativi dovranno pertanto modificare il loro orientamento e riconoscere la risarcibilità del danno da ritardo in modo autonomo, sganciandolo dal conseguimento dell’utilità finale e quindi a prescindere dalla fondatezza o meno dell’istanza (in tal senso si veda già TAR Puglia, Bari, II, 31 agosto 2009, n. 31, FA-TAR, 2009, 1, 232).

Del resto, se il ritardo nel provvedere non costituisse sempre un fatto illecito (come tale generatore di danno meritevole di riparazione) il principio di doverosità dell’agire amministrativo ne uscirebbe gravemente menomato nella sua dimen-sione temporale.

In conclusione, la doverosità dell’azione amministrativa è oggi tutelata dal Giudice amministrativo grazie a due rimedi processuali: a) la verifica sulla doverosità del provvedere entro un termine in uno con l’accertamento della spettanza (o meno) della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio rispetto all’inerzia illegittima; b) l’azione di risarcimento dei danni derivanti dalla violazione di un altro profilo della doverosità amministrativa, quello riconducibile al non aver concluso nel tempo corretto, giusto, determinato dalla legge o dal regolamento, l’attività am-ministrativa e l’esercizio del pubblico potere (controversie queste ultime attribuite alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo dall’art. 133, comma 1, lett. a), n. 1, del Codice del processo amministrativo (così come in precedenza dal-l’abrogato comma 2 dell’art. 2-bis l. n. 241/1990).

La garanzia di tutela alla pretesa all’esercizio espresso del potere e la contestuale garanzia di effettività assicurata alla doverosità dell’azione amministrativa acqui-stano così una dimensione particolarmente significativa e rafforzano in modo sensibile — sul piano dell’effettività — i principi di doverosità e di tempestività nell’esercizio del potere.

Per i profili processuali, si rinvia al Commento di COGLIANI(infra).

II. IL PROVVEDIMENTO IN FORMA SEMPLIFICATA a cura di NINOPAOLANTONIO

BIBLIOGRAFIA

Oltre alle opere citate sub commento all’art. 2 di A. Police, ed allo stesso Commento di Police, si vedano: CANNADABARTOLI, Interesse (diritto amministrativo), EdD, XXII, Milano, 1972, 1 ss.; CAPONIGRO, Il tempo come

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FA TAR, 2011, 1499; CARBONE, L’azione di adempimento nel processo amministrativo, Torino, 2012; CERULLI

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2015, 106-126; MONTEDURO, Sul processo come schema di interpretazione del procedimento: l’obbligo di

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amministrativa: riflessioni su una figura ancipite, FA-CS, 2012, 2978; PAOLANTONIO, Commento all’art. 31, in

Codice della giustizia amministrativa, (a cura di) MORBIDELLI, Milano, 2015, 505 ss.; PAOLANTONIO,

Provve-dimento in forma semplificata, doverosità della funzione ed esigenza di motivazione, Giustamm.it, n. 12/2016;

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n. 241, FA, 2014, 1338; ROMANO TASSONE, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di

legittimità, Milano, 1987; ROMANOTASSONE, A proposito del potere, pubblico e privato, e della sua legittimazione,

DA, 2013, 559 ss.; ROMANOTASSONE, Brevi note sull’autorità degli atti dei pubblici poteri, in Scritti per Mario

Nigro, vol. II, Problemi attuali di diritto amministrativo, Milano, 1991, 419; ROMANOTASSONE, Note sul concetto

di potere giuridico, in Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Messina, Catania, 1981,

432; SAITTAF., Il principio di giustiziabilità dell’azione amministrativa, in Studi sui principi del diritto

ammini-strativo, (a cura di) RENNAM.- SAITTAF.,Milano, 2012, 225 ss.; STELLARICHTER, L’inoppugnabilità, Milano,

1970; VAIANO, L’azione di adempimento nel processo amministrativo: prime incertezze giurisprudenziali, GI,

2012, 714.

SOMMARIO

1. Il c.d. provvedimento in forma semplificata tra disciplina sostanziale e processuale, e tra buon andamento e trasparenza. — 2. L’obbligo di non avviare il procedimento pretestuosamente sollecitato. — 3. Funzione doverosa e sindacato giurisdizionale. — 4. La rilevanza sostanziale della motivazione espressa.

1. Il c.d. provvedimento in forma semplificata tra disciplina sostanziale e processuale, e tra buon andamento e trasparenza. L’introduzione del secondo

alinea al comma 1° dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 nasce dal d.d.l. A.C. 4434-A della Camera dei Deputati, presentato nel corso della XVI Legislatura (art. 5), poi trasfuso nel d.d.l. Senato n. 2156-B, recante “Disposizioni per la preven-zione e la repressione della corrupreven-zione e dell’illegalità nella pubblica amministra-zione”. Lo snello testo originario era articolato in 13 disposizioni, nessuna delle quali recanti la novella di cui ci occupiamo. La relazione non fa cenno ad esigenze di modifica del regime di conclusione del procedimento poiché la previsione è stata inserita nel c.d. maxiemendamento — il richiamato d.d.l. n. 2156-B — all’originario disegno, che ha condotto alla redazione della legge n. 190 del 2012, costituita da due articoli; il primo, di 83 commi, ed il secondo recante la clausola di invarianza.

Il comma 38 dell’art. 1 della c.d. legge anticorruzione ha quindi aggiunto il secondo periodo del vigente art. 2 della legge sul procedimento; la norma recita: “ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di conclu-derlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo” (CLARICH, 695).

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La disposizione è in accordo con una tesi secondo cui l’amministrazione avrebbe l’obbligo di provvedere in forma espressa e motivata anche su domande inammis-sibili o manifestamente infondate (MONTEDURO, 103); nel sostenersi il potere-dovere di provvedere anche in queste vicende, si richiama il principio di traspa-renza, possibile chiave di lettura della norma, in quanto inserita nella legge anticorruzione che fissa una correlazione assai forte tra trasparenza amministra-tiva ed esigenza di legalità, introducendo la delega al Governo dal cui esercizio è scaturito il d.lgs. n. 33 del 2013.

Come si è avvertito altrove (PAOLANTONIO, Provvedimento in forma semplificata) l’art. 2, primo alinea, fissa l’obbligo di provvedere in forma espressa quando il procedi-mento consegua obbligatoriamente ad un’istanza; il secondo alinea potrebbe allora porsi in relazione di contraddittorietà con questa premessa poiché il provvedere sinteticamente è pur sempre provvedere, laddove vi sono casi — primo alinea — in cui l’obbligo di avviare il procedimento potrebbe non sussistere punto. Sorge inoltre il dubbio se l’amministrazione possa scegliere se motivare in senso ampio o sintetico. E ove al quesito vada data risposta positiva, la scelta della motivazione sintetica po-trebbe essere incoerente con il principio europeo del diritto ad una buona ammi-nistrazione e con l’art. 97 Cost. in punto di buon andamento. Dubbi possono sorgere inoltre sul carattere manifesto o meno di una irricevibilità, inammissibilità o infon-datezza dell’istanza (irricevibile sarebbe l’istanza tardiva; inammissibile quella priva dei requisiti di forma — così MARI, 113 —; improcedibile quella avanzata da soggetto che abbia perso l’interessse al provvedimento; manifestamente infondata quella pa-lesemente inaccoglibile: così POSTERARO, 1346, e MARI, ibidem).

Occorre allora chiedersi se vada ritenuto escluso dall’area della discrezionalità l’aspetto del “se agire”; quesito al quale può darsi risposta positiva salvo che si sia in presenza di “determinati fatti [che] rivelino la esigenza, od anche la semplice possibilità, della instaurazione di un assetto di interessi più confacente agli scopi perseguiti dall’ordinamento” (LEDDA, Il rifiuto di provvedimento amministrativo, 99): fatti di legittimazione degli interessi degli istanti e, ad un tempo, presupposti del sorgere del dovere in capo all’autorità.

2. L’obbligo di non avviare il procedimento pretestuosamente solleci-tato. Secondo la giurisprudenza, a prescindere dall’esistenza di una specifica

disposizione normativa, l’obbligo dell’amministrazione di provvedere sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia ed equità impon-gano l’adozione di un provvedimento, cioè in tutte quelle ipotesi in cui, in rela-zione al dovere di correttezza e di buona amministrarela-zione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) di quest’ultima (Cons. St., IV, 29 maggio 2015, n. 2688).

Se ne trae allora, a contrario, che in tutte le ipotesi di scorrettezza e mala fede del privato, o ancora in tutti i casi in cui l’interessato non possa dirsi tale, perché non titolare di un interesse protetto dall’ordinamento, qualificato, differenziato e, più in generale, fondato su di una relazione giuridica con un bene oggetto di cura

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doverosa da parte dell’amministrazione, l’obbligo di avviare la procedura non sussiste; come afferma la giurisprudenza, ciò si verifica tutte le volte che la strut-tura delle norme regolatrici dell’azione amministrativa fondano obblighi procedi-mentali in relazione a posizioni giuridiche da esse differenziate (Cons. St., V, 6 settembre 2012, n. 4718).

L’obbligo di avvio va correlato a fatti obiettivi, la cui rappresentazione compete all’istante dimostrare e che l’amministrazione è tenuta a valutare al solo fine di accertare, non valutare, se l’interesse oggetto di rappresentazione è protetto dall’ordinamento: non da una norma specifica, come si diceva un tempo e come la stessa giurisprudenza nega, ma proprio da quei principi generali, non escluso quello di giustiziabilità (SAITTAF., 225 ss.), che dovrebbero assicurare la prote-zione.

Laddove sia possibile escludere il ricorrere di questi presupposti, la non-azione è non solo legittima, ma doverosa. A conclusione contraria perveniva la dottrina che invocava la necessità dell’atto espresso (il rifiuto) al fine di garantire il sindacato di legittimità, ritenendo necessario collegare la cessazione del dovere d’ufficio ad un atto giuridico formale (LEDDA, Il rifiuto, 21 ss.). Ma quest’atto deve esistere e produrre effetti per essere sindacato; altrimenti, dell’esigenza di esso non pare avvertirsi la necessità neppure per appagare l’istanza — se tale è — di deflazione del contenzioso.

Si pensi alle cc.dd. risposte di cortesia dell’amministrazione, ossia a quegli atti, resi a seguito di richieste indirizzate allo scopo di acquisire vantaggi, che non integrano la nozione di “atto impugnabile”, né consentono di riaprire i termini processuali per la impugnazione degli atti pregressi rimasti inoppugnati. Così, una nota con la quale viene respinta la reiterazione tal quale di una domanda di inquadramento già respinta, si risolve in una risposta di cortesia, volta a ribadire ad un soggetto dotato di specifica professionalità, su invito di quest’ultimo, le ragioni del diniego già chiarite nella loro essenza (Cons. St., VI, 27 febbraio 2006, n. 826); in tal caso, il diniego non risulta conseguente ad alcuna rinnovata istruttoria, per la quale, del resto, neppure sussistono i presupposti, dal momento che l’istanza non adduce fatti nuovi o ulteriori (Cons. St., IV, 7 gennaio 2013, n. 24).

Se va allora esclusa un’interpretazione assolutizzante del primo alinea dell’art. 2 — ossia che ad ogni istanza deve corrispondere l’emissione di un atto — ciò pone problemi di coerenza tra il primo ed il secondo alinea; quest’ultimo stabilisce che se l’amministrazione ravvisa l’inammissibilità dell’istanza essa “conclude” il proce-dimento: l’uso dell’indicativo presente evoca un significante di precetto impositivo sia dell’avvio del procedimento che della obbligatorietà dell’adozione dell’atto. Lo stesso discorso vale per la nota giurisprudenza formatasi sull’inesistenza del dovere di provvedere a fronte di istanze di riesame o di autotutela inammissibili (POLICE, Commento sub art. 2) anche se su questa interpretazione, fondata sulla premessa che l’amministrazione non ha l’obbligo giuridico di pronunciarsi in maniera esplicita su una istanza diretta a sollecitare l’esercizio del potere di auto-tutela (poiché questa costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare l’amministrazione per la tutela dell’interesse pubblico) si può dissentire: l’inoppugnabilità, categoria di dubbia fondatezza

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rica, non è d’ostacolo ad una rinnovazione del potere ma, come pure precisa la giurisprudenza, a condizione che siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto, dovendosi escludere tale circostanza in presenza di domande manifestamente assurde o totalmente infondate, ovvero in presenza di domande illegali, non potendosi dare corso alla tutela di interessi cc.dd. illegittimi (Cons. St., V, 8 luglio 2011, n. 4092), secondo una fortunata espressione (CANNADABARTOLI, 23), male interpretata dalle Corti.

Il vocabolario della giurisprudenza evoca il linguaggio impiegato dal novellato art. 2: l’istanza di riesame “totalmente” infondata può, con le dovute accortezze, essere accostata a quella “manifestamente” infondata. Ebbene, in tutti questi casi — si pensi all’istanza di condono edilizio dolosamente travisata, respinta e sulla quale si proponga all’amministrazione un’istanza di riesame — sembrerebbe che, dopo la novella del 2012, l’autorità sia obbligata non solo a prendere in esame l’istanza, ma a “provvedere” su di essa, ossia ad esercitare una funzione doverosa. Tale rischio è stato segnalato (CAPONIGRO, 10), osservandosi peraltro che « la previsione norma-tiva potrebbe essere anche intesa nel senso che l’atto riportante sinteticamente il motivo per il quale l’amministrazione ha ritenuto non sussistere nel caso di specie l’obbligo di procedere e di provvedere debba essere adottato in esito al procedi-mento preliminare, in cui l’amministrazione valuta e decide se procedere o meno e che costituisce di solito un atto interno »; peraltro, se si tratta di atto interno — di là dalla natura sfuggente di tale categoria — non si vede per quale ragione esso debba essere manifestato all’esterno, e sinteticamente motivato, ove sia acclarato che l’obbligo di procedere e provveere non sussiste).

In giurisprudenza è emerso un orientamento secondo cui « ... laddove sussiste l’obbligo di provvedere, l’Amministrazione è tenuta all’adozione di un provvedi-mento espresso, anche se l’istanza s’appalesa manifestamente priva di quei carat-teri che, nella prassi amministrativa, sono spesso ritenuti i soli meritevoli di considerazione e di riscontro » (TAR Friuli Venezia Giulia, I, n. 594/2013); tutta-via, se quei caratteri mancano, manca anche l’obbligo di provvedere.

Tutto questo sembra ricondurci alla matrice comune che impronta di sè gli studi sulla doverosità dell’azione amministrativa: la giustiziabilità dell’istanza; e il di-scorso ci introduce allora nell’arena del diritto processuale.

3. Funzione doverosa e sindacato giurisdizionale. Il pensiero corre

all’azione di adempimento, che al nostro problema pare assai strettamente legata, e che forse potrebbe prospettare una soluzione di compromesso tra i due opposti orientamenti, dottrinale e giurisprudenziale, brevemente tratteggiati.

L’art. 34, lett. c), del codice del processo amministrativo, integrato dal secondo correttivo del 2012, prevede l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto, da proporsi contestualmente all’azione di annullamento del provvedi-mento di diniego o all’azione avverso il silenzio. All’azione avverso il silenzio si affianca, quindi, l’azione di condanna all’adozione di un provvedimento, secondo una efficace espressione coniata dalla dottrina (CERULLIIRELLI, 483). Ma questa condanna può essere chiesta solo nei limiti di cui al 3° comma dell’art. 31, ossia

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quando l’attività amministrativa non prodotta ha natura vincolata, e — il che è importante — quando non residuino “ulteriori margini di esercizio della discre-zionalità”.

La domanda non può estendersi oltre i confini della discrezionalità: non si può cioè chiedere al giudice di sostituirsi all’amministrazione; ma una lettura più ampia è possibile, ove trovino sviluppo le intuizioni della giurisprudenza secondo cui, in sede di azione di adempimento, anche un’attività in limine litis connotata da discrezionalità può, a seguito della progressiva concentrazione in giudizio delle questioni rilevanti, risultare, all’esito dello scrutinio del giudice, ormai segnata nel suo sviluppo (TAR Lombardia, Milano, III, 8 giugno 2011, n. 1428).

Alcune considerazioni, al riguardo, merita il problema dell’ampiezza dell’accerta-mento che il giudice può condurre sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, limite sia dell’azione avverso il silenzio sia dell’azione di condanna al-l’adozione del provvedimento. In questo senso, il comma 3 dell’art. 31 pare, in termini puramente lessicali, pienamente conforme all’esperienza positiva e giuri-sprudenziale tedesca: si esclude l’accertamento della fondatezza della pretesa allorché residuino margini “ulteriori” di discrezionalità, ovvero allorché occor-rano adempimenti istruttori che devono essere compiuti dall’autorità amministra-tiva.

Ciò chiarito, l’esegesi della norma si presta ad una duplice soluzione, a seconda di come s’intenda l’ampiezza del sindacato giudiziario sul potere amministrativo: la prima, più aderente al dato letterale della norma, esclude il controllo del giudice solo allorché si sia in presenza di vera e propria discrezionalità; la seconda, più limitativa dei poteri del giudice, impone che il sindacato si arresti anche in pre-senza di valutazioni tecniche.

Nonostante le ritrosìe della giurisprudenza nostrana, il riferimento al divieto di adottare pronunce di condanna per l’ipotesi in cui residui un margine “ulteriore” di discrezionalità va riferito alla sola discrezionalità amministrativa o “pura”: l’ipotesi in cui si prospetti l’esigenza di eseguire valutazioni tecniche non può, in linea di principio, costituire limitazione all’accertamento della fondatezza della pretesa, poiché l’esigenza sottesa al comma 3° dell’art. 31 è (deve essere considerata) quella di impedire al giudice di pronunciare precetti dei quali egli non è responsabile; le valutazioni tecniche non partecipano della “politicità” della determinazione squi-sitamente discrezionale (e non ne condividono quindi il regime di responsabilità), né la particolare complessità dell’operazione può costituire barriera all’accerta-mento giudiziale. La maggiore o minore complessità di tale valutazione potrà rilevare sul piano squisitamente processuale — in termini, cioè, di disponibilità ed ammissibilità di mezzi istruttori — non certamente sul versante, tutto sostanziale, della natura del giudizio.

Giusto, allora, che la norma vieti al giudice di pronunciare condanna allorché residuino margini “ulteriori” di discrezionalità (pura). Se quindi la decisione di condanna sarà agevolmente prospettabile nell’ipotesi in cui essa si accompagni all’azione di annullamento, più difficilmente essa sarà pronunciabile nell’ipotesi di contestualità all’azione avverso il silenzio, sempre, sia chiaro, nell’ipotesi in cui la

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fattispecie astratta attribuisca all’amministrazione il potere di esercitare discrezio-nalità amministrativa in senso proprio.

Con questa conclusione è coerente l’esclusione di tale accertamento allorché si tratti di porre in essere adempimenti istruttori che solo l’amministrazione può compiere: in questo caso l’aggettivo “istruttori” va ricondotto, di nuovo, alla dimensione sostanziale, e quindi procedimentale, alludendosi a quegli accerta-menti che costituiscono il presupposto per addivenire ad una valutazione origi-naria dell’interesse pubblico specifico in vista del precetto (della decisione ammi-nistrativa) da porre. Ammettere che il giudice possa stabilire se e quali accerta-menti vadano eseguiti in vista della determinazione del provvedimento discrezio-nale da adottare equivarrebbe a violare il principio di riserva di amministrazione in guisa ancor più dirompente, poiché significherebbe delegare al giudice il potere esclusivo di elaborare un progetto di decisione sulla base di una situazione nep-pure ancora resasi problematica: e che tale potrebbe divenire solo in esito all’opera di selezione dei fatti rilevanti a sua volta espressione del progredire del potere discrezionale verso l’obiettivo di isolare due o più soluzioni alternative al caso (PAOLANTONIO, Commento all’art. 31, 505 ss.).

4. La rilevanza sostanziale della motivazione espressa. Occorre allora

chiedersi se sia razionale, in nome del principio di trasparenza, obbligare l’ammi-nistrazione a rendere un provvedimento sinteticamente motivato, con la necessa-ria conseguenza dell’azione costitutiva di annullamento laddove, anche al cospetto di una inazione, ove illecita, è proponibile un’azione di adempimento nella strut-tura (pur alquanto) audace qui suggerita.

Si può ben obiettare che l’azione di adempimento può essere contestualizzata all’azione di impugnazione; ma in questo secondo caso, nell’ipotesi che stiamo esaminando, occorrerà attendere l’adozione dell’atto sinteticamente motivato: occorrerà cioè tener conto anche dell’elemento tempo, necessario per il dispie-garsi della pur sintetica procedura semplificata, della cui utilità è lecito dubitare. In verità l’amministrazione, secondo l’art. 2 novellato, di fronte a situazioni di manifesta inaccoglibilità dell’istanza, può motivare sinteticamente, riferendosi al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo; in questo caso il principio di traspa-renza ne esce mortificato. Sul dovere di motivazione il Legislatore non può infatti far sconti alla funzione pubblica. Se nella disciplina processuale la figura della sentenza in forma semplificata può trovare una — pur periclitante — giustifica-zione nei principi di concentragiustifica-zione ed immediatezza, strumentali alla velocizza-zione del processo (e a condivelocizza-zione sempre che il processo sia “giusto”), non pare che nella procedura amministrativa — il cui avvio, nel caso in esame, si dà ormai per scontato — possano introdursi profili di analogia; in primo luogo perché, come da fermo ed indimenticato insegnamento, la natura enunciativa del discorso motivazionale non può discostarsi da una inscindibile funzione giustificativa che risponde ad un’esigenza di spessore quanto mai sostanziale, siccome finalizzata alla legittimazione democratica dell’esercizio del potere e della sindacabilità di esso (ROMANOTASSONE, Motivazione dei provvedimenti, 29 ss.). In secondo luogo perché, se

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anche le perplessità sollevate venissero superate con il rinvio al principio di trasparenza, proprio quest’ultimo non consentirebbe alcuna riduzione dell’ob-bligo di esternazione — e, prima, di compiuto esame istruttorio — gravante sull’autorità amministrativa.

Il riferimento al punto di fatto o di diritto risolutivo non sembra davvero appagare questa esigenza; e soprattutto rischia di rafforzare quell’opera di svilimento sem-pre più incalzante che la giurisprudenza nostrana segue con forza dal 2005, dopo l’entrata in vigore dell’art. 21 octies (al cui commento si rinvia). Anche ciò trala-sciando, e sottacendo le molteplici riserve sulla insufficienza della logica (della ricostruzione dell’iter logico) ai fini di un adeguato controllo giudiziario, la così enfatizzata dequotazione di non meglio individuate teorie formali non verrebbe controbilanciata dalla motivazione aliunde. Sennonché, il provvedimento in forma semplificata non è passibile di censura, sul piano della ricostruzione del famigerato iter, se non che per una sola ragione soggetta ad esternazione: ossia il punto di fatto o giuridico ritenuto risolutivo.

Si pensi alla nota giurisprudenza secondo cui l’atto assistito da una pluralità di motivi non è passibile di annullamento qualora anche uno solo di essi sia bastevole a giustificare la decisione (Cons. Stato, V, 3 settembre 2013, n. 4375). Ora, si supponga che l’atto sinteticamente motivato sia annullato per l’unica ragione addotta in motivazione: l’istanza è stata rigettata per manifesta inammissibilità in quanto — ha ritenuto l’amministrazione — l’interessato era sfornito della neces-saria legittimazione sostanziale. Ebbene, dopo l’eventuale annullamento giurisdi-zionale l’autorità dovrà riesaminare l’istanza senza tener conto dell’ormai annul-lato difetto di legittimazione. E ovviamente l’istanza ben potrà essere nuovamente respinta, magari, ancora, per una ulteriore unica ragione ritenuta risolutiva; e così via, senza alcuna coerenza con i principi di trasparenza e giustiziabilità.

Insomma, il potere — il cui esercizio doveroso si assuma a postulato — si deve compiutamente manifestare e rigorosamente giustificare, all’istante come all’in-tera collettività, senza sottendimenti, reticenze o altre riserve e tanto meno in forme sintetiche (si rinvia sul punto al Commento all’art. 3); e, nella situazione che stiamo esaminando, si vede bene come sarebbe impraticabile anche una motiva-zione in accemotiva-zione de-formalizzata, o aliunde, se delle ragioni della decisione in fatto ipoteticamente esistenti l’amministrazione ne può indicare una sola. Anche sotto questo profilo, il principio di doverosità — comunemente accreditato come precipitato del principio di legalità — ne risulta menomato poiché, pure assu-mendo l’obbligo di pronuncia laddove il procedimento potrebbe non conseguire obbligatoriamente ad un’istanza, il postulato del dovere di pronunciarsi non può soffrire limitazioni, sotto il profilo della giustificazione, in nome di una semplifi-cazione argomentativa ingiustificabile.

La previsione di una motivazione sintetica non risponde mai ai canoni costituzio-nali del buon andamento, di cui il principio di trasparenza costituisce declina-zione; si vuol dire che se si accetta la discutibile idea che è conforme al principio di buon andamento obbligare l’amministrazione ad agire in presenza di istanze manifestamente irricevibili o inammissibili, è il medesimo principio costituzionale ad imporre che la funzione, così intesa come doverosa, si manifesti e si giustifichi

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nella sua pienezza, anche allo scopo di evitare un utilizzo distorto di questa norma, indulgendosi alla esaltazione, con una sintetica motivazione, di un profilo di inammissibilità dell’istanza per evitare di svolgere un’istruttoria completa ed ac-curata.

III. IL GIUDIZIO AVVERSO IL SILENZIO DELLA P.A.: I NUOVI POTERI DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO

a cura di SOLVEIGCOGLIANI BIBLIOGRAFIA

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processo di esecuzione — La dissoluzione del concetto di interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 2003, 175; FIGORILLI-FANTINI, Le novità della legge 18 giugno 2009, n. 69, UA, 2009,

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(Spunti tratti da Cons. Stato, sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916), UA, 2005, 3; ORESTANO, Azione, diritti soggettivi,

persone giuridiche, Bologna, 1978; SANDULLIA.M., Questioni recenti in tema di silenzio della pubblica

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problematici del rito sul silenzio dell’amministrazione nella prospettiva dell’effettività e pienezza della tutela,

Federalismi.it, 2016; SCOCAF.G., Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del nuovo trattamento

processuale, DP AMM, 2002; STICCHIDAMIANI, L’accertamento della fondatezza dell’istanza nel giudizio sul

silenzio, FA-TAR, 2005, 10; TARANTINO, Il silenzio e la giustizia procedurale pura, UA, 2003, 10, 1196; TRAVI,

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terzo: dopo l’Adunanza Plenaria interviene nel dibattito il legislatore con il decreto legge 13 agosto 2011, n. 138,

Ambientediritto.it, 2011; VANTAGGIATO, La riconducibilità dell’azione di adempimento nell’ambito dell’azione di

condanna atipica, Iusexplorer.it.

SOMMARIO

1. Il rito avverso il silenzio: i presupposti. — 2. Il processo davanti al giudice del silenzio. — 3. Il giudizio sulla fondatezza dell’istanza. — 4. Alcune questioni specifiche in materia di silenzio inadem-pimento. — 5. Silenzio e risarcimento.

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compia un ulteriore, decisivo, passo interpretativo, ossia dichiari che l’obbligo di acquisizione d’ufficio dei documenti e dei fatti, stati e qualità opera anche nelle procedure concorsuali e ad evidenza pubblica, cassando le tante, troppe ipotesi in cui la lex specialis del concorso/gara prevede espressamente a carico dei parteci-panti gravose (e spesso contorte e irragionevoli) allegazioni documentali e auto-certificative. Infatti, per quanto possano a livello legislativo e regolamentare sta-bilirsi norme generali sui doveri delle amministrazioni di procedere d’ufficio ad accertare i fatti e ad acquisire i documenti necessari per la conduzione dell’istrut-toria, sono poi i bandi pubblici a “filtrare” le corrispondenti regole, spesso scon-fessandole.

Pare, insomma, che la piena applicazione dei commi 2 e 3 dell’art. 18 in com-mento, passi (anche) dall’affermarsi di un nuova stagione interpretativa giurispru-denziale, che sanzioni con l’illegittimità le norme di gara contrarie alla predetta disposizione, perché la lex specialis deve ritenersi sempre integrata dalle suddette norme di legge nonché dall’art. 6, comma 1, lett. b), l. 241/1990, cit. (Cons. St., VI, 25 giugno 2002, n. 3457, FA-CS, 2002, 1507; Id., VI, 10 novembre 2000, n. 6034, FA, 2000, 3635; TAR Lombardia, III, 16 giugno 2000, n. 4425, FA, 2000, 3964; Cons. St., IV, 31 maggio 1999, n. 920, CS, 1999, I, 815; Id., AP, 13 ottobre 1998, n. 7, FA, 1998, 2651; TAR Lombardia, III, ord. 19 maggio 1995, n. 1294, DP AMM, 1995, 811) o, comunque, deve interpretarsi in coerenza con i principi dell’ordinamento. Infatti, la regola dell’acquisizione d’ufficio sembra inevitabil-mente destinata a tribolazioni applicative finché nelle sentenze troveranno ancora seguito i filoni ermeneutici che, in virtù della prevalenza della lex specialis su quella generalis (Cons. St., V, 14 giugno 2004, n. 3796, FA-CS, 2004, I, 1751), della par condicio (TAR Piemonte, I, 4 dicembre 2009, n. 3275) della forza vincolante degli atti di autolimitazione derogatori delle prescrizioni generali di legge (Cons. St., V, 2 aprile 2002, n. 1798, RG ED, 2002, I, 976), ecc., mandano esenti dalla declara-toria di illegittimità i bandi che richiedono ai privati di allegare le dichiarazioni sostitutive, quando non addirittura i certificati o altri documenti e atti già in possesso della pubblica amministrazione.

18

bis

(1)Presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni. — 1.

Dell’avve-nuta presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni è rilasciata immediata-mente, anche in via telematica, una ricevuta, che attesta l’avvenuta presentazione dell’istanza, della segnalazione e della comunicazione e indica i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento dell’istanza. Se la ricevuta contiene le informazioni di cui all’articolo 8, essa costituisce comunicazione di avvio del procedi-mento ai sensi dell’articolo 7. La data di protocollazione dell’istanza, segnalazione o comunicazione non può comunque essere diversa da quella di effettiva presentazione. Le istanze, segnalazioni o comunicazioni producono effetti anche in caso di mancato rilascio della ricevuta, ferma restando la responsabilità del soggetto competente.

2. Nel caso di istanza, segnalazione o comunicazione presentate ad un ufficio diverso da quello competente, i termini di cui agli articoli 19, comma 3, e 20, comma 1, decorrono Art. 18 bis Capo IV — SEMPLIFICAZIONE DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA

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dal ricevimento dell’istanza, segnalazione o della comunicazione da parte dell’ufficio competente.

(1) Articolo inserito dall’art. 3, comma 1, lett. a), d.ls. 30 giugno 2016, n. 126.

PRESENTAZIONE DI ISTANZE, SEGNALAZIONI O COMUNICAZIONI a cura di NINOPAOLANTONIO

BIBLIOGRAFIA

CARBONEA., Il contraddittorio procedimentale. Ordinamento nazionale e diuritto europeo-convenzionale,

To-rino, 2016; SANDULLIM.A., voce SCIA, LAD Treccani, Roma, 2017; STRAZZA, La s.c.i.a. nei decreti attuativi

della “riforma Madia”, in Le nuove regole della semplificazione amministrativa, (a cura di) SANDULLIM.A.,

Milano, 2016, 74 ss.; TARULLO, Il principio di collaborazione procedimentale. Solidarietà e correttezza nella

dinamica del potere amministrativo, Torino, 2008.

SOMMARIO

1. Contenuto, forma ed effetti della ricevuta delle istanze, segnalazioni e comunicazioni. — 2. Conse-guenze ed effetti della presentazione ad ufficio incompetente.

1. Contenuto, forma ed effetti della ricevuta delle istanze, segnalazioni e comunicazioni. L’art. 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 126/2016, attuativo della

delega di cui all’art. 5, l. n. 124/2015, ha introdotto nella legge generale sul procedimento l’art. 18-bis, il cui primo comma prevede che “dell’avvenuta pre-sentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni è rilasciata immediatamente, anche in via telematica, una ricevuta, che attesta l’avvenuta presentazione del-l’istanza, della segnalazione e della comunicazione e indica i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento dell’istanza. Se la ricevuta contiene le informazioni di cui all’articolo 8, essa costituisce comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’articolo 7. La data di protocollazione del-l’istanza, segnalazione o comunicazione non può comunque essere diversa da quella di effettiva presentazione. Le istanze, segnalazioni o comunicazioni produ-cono effetti anche in caso di mancato rilascio della ricevuta, ferma restando la responsabilità del soggetto competente”.

La delega demandava al Governo di adottare uno o più decreti legislativi anche al fine di introdurre “... la disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa, compresa la definizione delle modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, anche telematica, nonché degli strumenti per documentare o attestare gli effetti prodotti dai predetti atti, e prevedendo altresì l’obbligo di comunicare ai soggetti interessati, all’atto della presentazione di un’istanza, i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda”.

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Il primo comma dell’art. 18-bis attua questa seconda parte della delega, stabilendo in linea generale la necessità che la presentazione di un’istanza (cui può seguire un provvedimento espresso o tacito di assenso), di una segnalazione (la s.c.i.a, “pura” o non “pura”: cfr. al riguardo il commento all’art. 19, § 3) o di una comunicazione (in presenza di un’attività privata tendenzialmente “libera”) fa sorgere nell’ammi-nistrazione ricevente — e quindi nel funzionario addetto all’ufficio ricevente — il dovere giuridico di rilasciare la ricevuta, il cui contenuto minimo è la attestazione della avvenuta presentazione, ovviamente assistita da fede privilegiata, dell’atto. L’indicazione che la data di protocollazione non sia diversa dalla data di effettiva presentazione della segnalazione o comunicazione da parte del privato aveva costituito un auspicio del parere n. 839/2016 del Consiglio di Stato, che ne aveva segnalato l’opportunità « ... ai fini della decorrenza dei termini per l’intervento successivo dell’amministrazione », e quindi per esigenze di certezza sul dies a quo di un termine perentorio per l’amministrazione, quale quello di cui al 3° comma dell’art. 19. Al dovere di provvedere — salvo che non si tratti di presentazione di s.c.i.a. — si aggiunge quindi il dovere generale di rilascio della ricevuta, che concorre alla produzione dell’ulteriore effetto di segnare l’avvio del decorso del termine per la procedura di verifica, nel caso della s.c.i.a., o del termine per provvedere espressamente, che lo stesso comma 1° dell’art. 18 bis impone di indicare nella ricevuta (va da sé che, in assenza di quest’ultima indicazione, troverà applicazione la disciplina di cui all’art. 2 della legge generale) o, ancora, del termine per la produzione dell’effetto legale tipico di assenso. È evidente che l’eventuale errore nella indicazione di tali termini non modifica il regime legale di produzione degli effetti conseguenti (il consolidamento della s.c.i.a., il c.d. silenzio inadempimento o il silenzio assenso), non essendo l’amministrazione legittimata, tanto meno in forza di un’erronea indicazione, a modificare il regime effettuale del tempo (legalmente predeterminato) nel fenomeno della produzione.

Il parere del consiglio di Stato n. 839/2016 (§ 10.3) ha ritenuto incongruo l’inciso « ... che tale ricevuta possa costituire “comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990”, vista la natura dei procedi-menti in questione (a istanza di parte) e la mancata precisazione di un contenuto minimo obbligatorio ». Il suggerimento è stato disatteso e la previsione è rimasta. Al riguardo, la circostanza che si tratti di procedimenti ad istanza di parte — per i quali la giurisprudenza da sempre esclude l’onere di comunicazione dell’avvio del procedimento (cfr. Cons. Stato, IV, 27 ottobre 2016, n. 4508) — non è ovviamente invocabile nel caso della presentazione della s.c.i.a., che non dà avvio ad alcun procedimento: la dottrina ha al riguardo osservato che si tratterebbe di avvio del procedimento di verifica dei presupposti, segnalando l’illogicità della eventualità che la ricevuta contenga o meno le informazioni di cui all’art. 8 della legge n. 241/1990, rimessa alla scelta discrezionale dell’amministrazione (SAN -DULLI, SCIA, 198); probabilmente la norma intende significare che non ogni rice-vuta deve necessariamente costituire comunicazione di avvio di un procedimento (e ciò a discrezione dell’amministrazione: sul punto, STRAZZA, 90): non così per quelli ad istanza di parte, proprio perché la giurisprudenza ne esclude la necessità (ma ovviamente non la vieta) e neppure per quello di verifica ex post nel caso di

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s.c.i.a., posto che il comma 3° dell’art. 19 prescrive l’adozione di un atto confor-mativo o inibitorio solo nell’ipotesi di riscontrata carenza dei presupposti di cui al comma 1°, di guisa che non solo il contraddittorio procedimentale è solo even-tuale, ma è lo stesso procedimento che può in ipotesi non concludersi con un esito esplicito, qualora la verifica acclari la ricorrenza di tutti i presupposti richiesti per l’esercizio dell’attività oggetto di s.c.i.a.

L’ultimo alinea del 1° comma precisa, in verità pleonasticamente, che “le istanze, segnalazioni o comunicazioni producono effetti anche in caso di mancato rilascio della ricevuta, ferma restando la responsabilità del soggetto competente”. È quindi il tempo, e non la ricevuta, a determinare la produzione degli effetti tipici di segnalazioni, comunicazioni ed istanze. La norma non si cura di specificare di qual genere sia la responsabilità del funzionario che ometta il rilascio della ricevuta: se cioè per violazione di un dovere d’ufficio tout court o se invece si tratta di respon-sabilità diretta ex art. 28 Cost. La scontata ricorrenza della responrespon-sabilità concor-rente del funzionario ex art. 28 (qualora cioè il cittadino sia in grado di provare di avere subito un danno ingiusto per omesso rilascio della ricevuta) induce a rite-nere preferibile la prima soluzione.

2. Conseguenze ed effetti della presentazione ad ufficio incompetente. Il

2° comma dell’art. 18 bis dispone che ove l’istanza, la segnalazione o la comunica-zione siano presentate ad un ufficio diverso da quello competente, i termini di cui agli articoli 19, comma 3, e 20, comma 1, decorrono dal ricevimento dell’istanza, segnalazione o della comunicazione da parte dell’ufficio competente.

La norma è importante poiché, seppure indirettamente, consacra esplicitamente un principio da tempo affermato in giurisprudenza, ossia quello che l’amministra-zione, ove non si ritenga competente ad evadere la pratica oggetto d’istanza di un cittadino, è tenuta ad inviarla all’ufficio competente, tenendo informato di ciò il richiedente e, laddove previsto, anche a fornire all’amministrazione competente il proprio contributo istruttorio (TAR Campania, Salerno, II, 22 ottobre 2015, n. 2191; TAR Piemonte, I, 25 ottobre 2013, n. 1136; TAR Marche, I, 4 aprile 2013, n. 269; Cass., sez. trib., 27 febbraio 2009, n. 4773), principio tradizionalmente ricavato dall’art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 1199 del 1971 in materia di ricorsi gerarchici, e ritenuto applicabile ma è applicabile ad ogni istanza presentata alla pubblica amministrazione. Analogo principio è desumibile dall’art. 4, co. 2, d.P.R. n. 160/2010, secondo cui gli uffici comunali diversi dallo sportello unico per le attività produttive e le amministrazioni pubbliche diverse dal comune sono tenute a trasmettere immediatamente al SUAP tutte le denunce, le domande, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati, dandone comunicazione al richiedente.

La giurisprudenza or ora citata afferma che è in ossequio ai canoni di buona amministrazione e di leale collaborazione con il cittadino che l’amministrazione, prima di affermare la propria incompetenza, è tenuta a procedere ad una riqua-lificazione ex officio della domanda, nel caso in cui sia palese che l’interesse sostan-ziale e il bene della vita perseguiti dal cittadino siano tutelabili proprio attraverso

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provvedimenti di competenza dell’amministrazione effettivamente evocata, al di là di eventuali imprecisioni formali dell’istanza presentata dell’interessato che potrebbero indurre a ritenere — ma solo in apparenza e solo in conseguenza di dette imprecisioni formali — la competenza di una diversa Amministrazione o, come nel caso di specie, di un diverso organo della stessa Amministrazione (TAR Piemonte, n. 1136, cit.). Si tratta di istanze già valorizzate dalla dottrina che ha elevato a principio la collaborazione procedimentale (TARULLO, 229 ss. e passim).

19

(1) (2)Segnalazione certificata di inizio attività - Scia(3). — 1. Ogni atto di

autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusiva-mente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti ammini-strativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’ammini-strazione. Nei casi in cui la normativa vigente prevede l’acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni com-petenti(4). La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni

nonché dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell’amministrazione(5).

2. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata, anche nei casi di cui all’ar-ticolo 19-bis, comma 2,(6)dalla data della presentazione della segnalazione

all’ammi-nistrazione competente(7).

3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presup-posti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione Art. 19 Capo IV — SEMPLIFICAZIONE DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA

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provvedimenti di competenza dell’amministrazione effettivamente evocata, al di là di eventuali imprecisioni formali dell’istanza presentata dell’interessato che potrebbero indurre a ritenere — ma solo in apparenza e solo in conseguenza di dette imprecisioni formali — la competenza di una diversa Amministrazione o, come nel caso di specie, di un diverso organo della stessa Amministrazione (TAR Piemonte, n. 1136, cit.). Si tratta di istanze già valorizzate dalla dottrina che ha elevato a principio la collaborazione procedimentale (TARULLO, 229 ss. e passim).

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(1) (2)Segnalazione certificata di inizio attività - Scia(3). — 1. Ogni atto di

autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusiva-mente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti ammini-strativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’ammini-strazione. Nei casi in cui la normativa vigente prevede l’acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni com-petenti(4). La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni

nonché dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell’amministrazione(5).

2. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata, anche nei casi di cui all’ar-ticolo 19-bis, comma 2,(6)dalla data della presentazione della segnalazione

all’ammi-nistrazione competente(7).

3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presup-posti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione Art. 19 Capo IV — SEMPLIFICAZIONE DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA

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dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere(8)prescrivendo le misure

necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l’adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato (9), decorso il

suddetto termine, l’attività si intende vietata. Con lo stesso atto motivato, in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell’interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale, l’am-ministrazione dispone la sospensione dell’attività intrapresa(10). L’atto motivato

inter-rompe il termine di cui al primo periodo, che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato comunica l’adozione delle suddette misure(10). In assenza di ulteriori

provvedi-menti, decorso lo stesso termine, cessano gli effetti della sospensione eventualmente adottata(10) (11).

4. Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione competente adotta comunque i provve-dimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies(12).

4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58(13).

[5. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Ogni controversia relativa all’ap-plicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qua-lunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall’articolo 20](14).

6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attesta-zioni o asseveraattesta-zioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni.

6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e(15)al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla

vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regio-nali(16).

6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104(17).

(1) Articolo da ultimo così sostituito dall’art. 49, comma 4-bis, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv., con modif., in l. 30 luglio 2010, n. 122. Ai sensi del comma 4-ter del suddetto art. 49, il presente articolo

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« attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma »; inoltre le espressioni « segnalazione certificata di inizio attività » e « Scia » sostituiscono, rispettivamente, quelle di « dichiarazione di inizio attività » e « Dia », ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al presente articolo « sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del [citato] decreto [31 luglio 2010], quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale ». Si riporta il testo dell’articolo (già sostituito dall’art. 2, comma 10, l. 24 dicembre 1993, n. 537), come sostituito dall’art. 3, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, e successivamente modificato dall’art. 9, l. l. 18 giugno 2009, n. 69, dall’art. 85, comma 1, d.ls. 26 marzo 2010, n. 59 e dall’art. 4 dell’Allegato 4, d.ls. 2 luglio 2010, n. 104 (per cui v. infra): « Art. 19. (Dichiarazione di inizio attività). — 1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, al-l’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è sostituito da una dichiarazione dell’interes-sato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni norma-tivamente richieste. L’amministrazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministra-zioni. — 2. L’attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente; contestualmente all’inizio del-l’attività, l’interessato ne dà comunicazione all’amministrazione competente. Nel caso in cui la dichiarazione di inizio attività abbia ad oggetto l’esercizio di attività di cui al decreto legislativo di attuazione della direttiva 2006/123/CE, l’attività, ove non diversamente previsto, può essere iniziata dalla data della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente. — 3. L’ammini-strazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, o, nei casi di cui all’ultimo periodo del medesimo comma 2, nel termine di trenta giorni dalla data della presentazione della dichiarazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimo-zione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all’acquisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l’amministrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall’acquisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all’interessato. — 4. Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che preve-dono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti. — [5. Ogni controversia relativa all’applicazione dei commi 1, 2 e 3 è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall’articolo 20] ». Con riferimento a tale previgente formulazione, si precisa quanto segue: nel comma 1, le parole « all’asilo, alla cittadi-nanza, », che figurano dopo le parole « all’immigrazione, », erano state inserite dall’art. 9, comma 3, l. n. 69, cit.; il comma 2 era stato così sostituito dall’art. 85, comma 1, d.ls. n. 59, cit. (il precedente testo del comma 2, di cui l’ultimo periodo aggiunto dall’art. 9, comma 4, l. n. 69, cit., era il seguente: « 2. L’attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente. Contestualmente all’inizio del-l’attività, l’interessato ne dà comunicazione all’amministrazione competente. Nel caso in cui la dichiarazione di inizio attività abbia ad oggetto l’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi di cui alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, compresi gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o registri

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ad efficacia abilitante o comunque a tale fine eventualmente richiesta, l’attività può essere iniziata dalla data della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente »); nel comma 3, le parole « o, nei casi di cui all’ultimo periodo del medesimo comma 2, nel termine di trenta giorni dalla data della presentazione della dichiarazione, » erano state inserite dall’art. 9, comma 5, l. n. 69, cit.; il comma 5, il cui ultimo periodo era stato aggiunto dall’art. 9, comma 6, l. n. 69, cit., era stato abrogato dall’art. 4 dell’Allegato 4, d.ls. 2 luglio 2010, n. 104, con effetto a decorrere dal 16 settembre 2010.

(2) Ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. c), d.l. 13 maggio 2011, n. 70, conv., con modif., in l. 12 luglio 2011, n. 106, le disposizioni di cui al presente articolo si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire; le stesse disposizioni si interpretano altresì nel senso che non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’art. 22, comma 4, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’art. 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

(3) Rubrica sostituita dall’art. 49 comma 4-bis, d.l. n. 78, cit.

(4) Periodo così modificato dall’art. 13, comma 1, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134. Il testo del periodo era il seguente: « Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle auto-certificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti ». (5) Comma modificato dall’art. 2, d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, conv., con modif., in l. 4 aprile 2012, n. 35 e

dall’art. 5, comma 2, lett. b), n. 2), d.l. n. 70, cit.

(6) Le parole «, anche nei casi di cui all’articolo 19-bis, comma 2, » sono state inserite dall’art. 3, comma 1, lett. b), n. 1), d.ls. 30 giugno 2016, n. 126.

(7) L’art. 85, comma 1, d.ls. 26 marzo 2010, n. 59, così modificava il comma 2: « L’attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichia-razione all’amministdichia-razione competente; contestualmente all’inizio dell’attività, l’interessato ne dà comunicazione all’amministrazione competente. Nel caso in cui la dichiarazione di inizio attività abbia ad oggetto l’esercizio di attività di cui al decreto legislativo di attuazione della direttiva 2006/123/CE, l’attività, ove non diversamente previsto, può essere iniziata dalla data della presen-tazione della dichiarazione all’amministrazione competente ». Successivamente, il comma 1 dell’art. 85, cit., è stato abrogato dall’art. 20, comma 1, lett. a), d.ls. 6 agosto 2012, n. 147.

(8) Le parole «, disponendo la sospensione dell’attività intrapresa e » sono state soppresse dall’art. 3, comma 1, lett. b), n. 2), lett. a), d.ls. n. 126, cit.

(9) Le parole « da parte del privato » sono state sostituite alla parola « stesse » dall’art. 3, comma 1, lett. b), n. 2), lett. b), d.ls. n. 126, cit.

(10) Periodo aggiunto dall’art. 3, comma 1, lett. b), n. 2), lett. c), d.ls. n. 126, cit.

(11) Comma così sostituito dall’art. 6, comma 1, lett. a), l. 7 agosto 2015, n. 124. Il testo del comma, come da ultimo modificato dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133, conv., con modif., in l. 11 novembre 2014, n. 164, era il seguente: « L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, nei casi di cui al comma 4 del presente articolo. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo ».

(12) Comma così sostituito dall’art. 6, comma 1, lett. a), l. n. 124, cit. Il testo del comma, come da ultimo modificato dal d.l. 24 giugno 2014, n. 91, conv., con modif., in l. 11 agosto 2014, n. 116, era il seguente: « Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, ovvero nel caso di segnalazione corredata della dichiarazione di conformità di cui all’articolo 2, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 159, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del

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