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Le modalità di presentazione Le modalità di presentazione della

Nel documento Art. 18 bis (pagine 33-39)

3. Ambito applicativo e modalità di presentazione.

3.4. Le modalità di presentazione Le modalità di presentazione della

s.c.i.a. sono disciplinate dal combinato disposto degli artt. 19 e 19-bis (quest’ultimo

introdotto dall’art. 3, co. 1, lett. c) del d.lgs. n. 126/2016) e dal d.lgs. n. 222/2016. L’art. 19-bis, al cui commento si rinvia per i necessari approfondimenti, ha intro- dotto la distinzione tra c.d. s.c.i.a “pura”, ovvero quella relativa ai casi in cui l’attività è subordinata al solo possesso di requisiti predeterminati, e non richiede altre SCIA né altri atti di assenso che ne condizionino l’efficacia (oggetto del comma 1° dell’art. 19), e s.c.i.a unica, ossia quella che emerge dalla concentrazione di regimi amministrativi; s.c.i.a. unica che può a sua volta condurre ad una ulteriore distinzione: l’ipotesi in cui “per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA sono necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche” (art. 19-bis, co. 2), nel qual caso l’interessato presenta la s.c.i.a. unica allo sportello indicato sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione (co. 1), spor- tello “di regola telematico”, abilitato a riceverla “in caso di procedimenti connessi di competenza di altre amministrazioni ovvero di diverse articolazioni interne dell’amministrazione ricevente”; ovvero l’ipotesi in cui “l’attività oggetto di SCIA è condizionata all’acquisizione di atti di assenso comunque denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero all’esecuzione di verifiche preventive” (c.d. s.c.i.a. “non pura”); in tal caso l’interessato presenta allo sportello di cui al comma 1 la relativa “istanza” (non s.c.i.a., quindi), e ne riceve la ricevuta ai sensi dell’ar- ticolo 18-bis.

Il parere n. 839/2016, espresso sullo schema di decreto dal quale è poi scaturito l’art. 19-bis, aveva prospettato tre possibili opzioni, demandando la soluzione alla scelta politica del Governo: limitare espressamente la SCIA ai casi in cui l’attività privata sia subordinata al solo possesso di requisiti predeterminati, e non anche ad altri atti di assenso che ne condizionino l’efficacia (cd. ‘SCIA pura’); considerare come SCIA anche le fattispecie di segnalazione aventi come presupposto un atto di autorizzazione (SCIA ‘non pura’), badando in tal caso a chiarire che l’autorizza- zione andrebbe ottenuta prima della presentazione della SCIA, a cura del privato e senza alcuna responsabilità, se non di verifica, per l’amministrazione ricevente; ovvero « ... inserire il procedimento autorizzatorio sul tronco di quello logica- mente principale, ovvero della SCIA, stabilendo che in questi casi è l’amministra- zione (e non il privato) a raccogliere i vari atti di assenso: ma allora l’efficacia della SCIA deve essere differita al completamento del procedimento di autorizzazione, a differenza di quanto attualmente previsto dal comma 2 dell’art. 3 dello schema ». La soluzione privilegiata dal Governo, con il comma 3° dell’art. 19-bis, è stata quest’ultima, con la conseguenza che, oltre alla s.c.i.a. “pura” di cui al 1° comma dell’art. 19, l’art. 19-bis prevede una s.c.i.a. inserita in un regime di concentra- zione, pur sempre espressione del principio di liberalizzazione dell’attività, ed una terza figura che s.c.i.a. non è ma, per usare le parole del parere del Consiglio di Stato n. 1784/ 2016, configura una « ... ‘richiesta di inizio di attività’ — RIA, che potrebbe anche configurarsi come un modello aggiuntivo e complementare ri- spetto a quello della ‘SCIA pura’ ».

Più semplicemente, si tratta di una “istanza”, come letteralmente conferma il 3° comma dell’art. 19-bis, che presuppone pertanto l’avvio di un procedimento complesso, il cui oggetto è dato dalle risultanze di una conferenza di servizi

decisoria ed al cui esito, costituito da un atto espresso, è condizionata l’abilitazione all’esercizio dell’attività (per approfondimenti si rinvia al commento all’art. 19-bis). Quello che all’atto pratico rileva è la diversità del regime degli effetti.

Nel caso della s.c.i.a. “pura”, la segnalazione è presentata all’amministrazione titolare della funzione di abilitare o inibire l’attività liberalizzata. L’istanza va corredata delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del d.P.R. n. 445/2000, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiara- zioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’ articolo 38, comma 4, del d.l. 112/2008 convertito in l. 133/2008 (in tema di c.d. “impresa in un giorno”), relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate degli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione. Se la normativa vigente — e quindi la legge o anche fonti sovra o sottordinate — prevede l’acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al 1° comma dell’art. 19, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.

La segnalazione può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell’amministrazione.

Questa disciplina — secondo il modello di riferimento descritto al § 2 — è coerente con il principio di autoresponsabilità del privato segnalante, principio al quale il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha attribuito un rilievo particolare, osser- vando in sostanza che è alla stregua di esso che viene meno la necessità di un atto di consenso a monte da parte dell’amministrazione, il che rende il segnalante « ... titolare di una situazione soggettiva originaria, ... di una posizione di vantaggio immediatamente riconosciuta dall’ordinamento, che gli consente di realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un ‘contatto amministrativo’, mediante l’inoltro della segnalazione certificata. Il privato è, poi, titolare di un interesse oppositivo a contrastare le determinazioni per effetto delle quali l’amministrazione, eserci- tando il potere inibitorio, repressivo o conformativo, incida negativamente sull’a- gere licere oggetto della segnalazione » (si tratta delle stesse parole impiegate da Cons. Stato, ad. plen., 29 luglio 2011, n. 15, § 5.2, replicate dal parere n. 839/2016 al § 3.1). Queste considerazioni sono assai importanti poiché delineano l’esistenza, in capo al segnalante, di un vero e proprio diritto soggettivo perfetto all’esercizio dell’attività, in presenza, s’intende, dei presupposti e requisiti legittimanti stabiliti dalla normativa regolativa della fattispecie (significativo in tal senso il riferimento all’“agere licere” e ad un interesse oppositivo a fronte dell’azione conformativa o inibitoria).

Ciò spiega anche la facoltà legale di sostituire “atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive” mediante “autocertificazioni,

attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente” di cui al terzo alinea del 1° comma dell’art. 19: si tratta di una previsione che dà concretezza all’auto- responsabilità privata mercé attestazione di situazioni che non concernono solo i tradizionali stati, fatti e qualità personali di cui il segnalante sia a diretta cono- scenza, ma anche accertamenti tecnici di regola riservati all’amministrazione, sostituibili da atti di certazione privata asseverata in quanto ad oggetto e contenuto vincolati e concernenti elementi di “sicura acquisizione” (A.M. SANDULLI, Manuale, 594). L’Adunanza plenaria (sentenza n. 15/2011, cit.) ha affermato che « nella stessa prospettiva della sostituzione dell’assenso preventivo con la vigilanza a valle, l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 19 stabilisce che i pareri e le verifiche a carattere preventivo di organi o enti sono sostituiti dalle certificazioni varia- mente denominate presentate dal privato, con salvezza delle verifiche successive da parte delle amministrazioni competenti »; in realtà, più che alla garanzia della vigilanza a valle la sostituibilità, ad avviso di chi scrive, si spiega con la certezza del contenuto dell’attestazione: la non opinabilità del risultato di quanto asseverato o autocertificato giustifica la rinuncia parziale dell’ordinamento alla pur non trascu- rabile garanzia di certezza privilegiata proveniente dall’accertamento eseguito dalla pubblica autorità.

Non si tratta quindi di prescindere da un parere, ma di sostituirlo integralmente con atti di provenienza privata, salvi i poteri di verifica e controllo a valle spettanti all’amministrazione. Non v’è dubbio, ed è stato correttamente notato, che tale lettura possa esibire aspetti di criticità poiché, si è detto, « ... il parere, in quanto tipicamente proveniente da un organo della pubblica amministrazione ed eserci- zio della funzione consultiva, non può, infatti, che rimanere un atto in nessun modo sostituibile dal privato » (GIULIETTI, La segnalazione, 760). Il dubbio, corret- tamente sollevato, può a nostro avviso essere sopito se si accede alla lettura che, più che di sostituzione, si tratta in realtà di una rinuncia dell’ordinamento all’esercizio di un potere tipico in ambiti di attività consultiva riguardo ai quali il contenuto assolutamente univoco delle attività di certazione non impone, ragionevolmente, l’intervento di poteri infraprocedimentali suscettibili di vanificare lo scopo ultimo della semplificazione della (non) procedura, scopo coniugato con il già richiamato principio di autoresponsabilità, sul quale incombe, sempre, il potere di verifica a valle.

La disciplina si completa con le disposizioni di cui al d.lgs. n. 222/2016, attuativo della delega contenuta all’art. 5 della l. n. 124/2015. Appena un cenno merita la norma delegante, alla quale potrebbe rimproverarsi una certa vaghezza nella individuazione dei criteri e principi direttivi indicati all’art. 5 e qualche dubbio sul carattere sufficientemente “definito” dell’oggetto. Quanto ai criteri, l’art. 5 indica quelli « ... desumibili dagli stessi articoli » 19 e 20 della l. 241, nonché i « ... princìpi del diritto dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività di servizi e [de]i princìpi di ragionevolezza e proporzionalità » (sul punto cfr. STRAZZA, 76 ss.). Circa l’oggetto, si delega il Governo ad introdurre « la disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa », compresa la definizione delle modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, anche telematica, nonché degli strumenti per

documentare o attestare gli effetti prodotti dai predetti atti, prevedendo altresì l’obbligo di comunicare ai soggetti interessati, all’atto della presentazione di un’istanza, i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della do- manda.

A fugare il dubbio sulla apparente genericità della formula normativa soccorre la giurisprudenza costituzionale, secondo cui è legittima la delimitazione dell’area della delega effettuata attraverso “clausole generali”, tecnica non preclusa dall’art. 76, « ... posto che la definizione, costituzionalmente necessaria, dell’oggetto della delega non può non tener conto della natura e dei caratteri dell’oggetto mede- simo » (Corte cost., 14 dicembre 1998, n. 408, Regioni, 1999, 383). Sotto tale aspetto, i principi desumibili dall’art. 19 si riducono a quello della limitazione rigorosa della liberalizzazione alle attività il cui esercizio è subordinato ad una verifica assolutamente vincolata, da parte dell’amministrazione, dei presupposti legittimanti; in tale prospettiva la tabella A, allegata al d.lgs. n. 222/2016, appare rispettosa di tale limite fondamentale, così come la disciplina oggettiva contenuta nel decreto attuativo non si appalesa esorbitante dai confini del pur ampio oggetto della delega.

3.5. (Segue) L’elencazione espressa. Il decreto delegato n. 222 del

2016 reca appunto una tabella (“A”) che elenca le attività private alle quali si applica il regime della comunicazione, della s.c.i.a. “semplice” (art. 19, co. 1), o della s.c.i.a. unica (art. 19-bis), nonché il silenzio assenso, o una combinazione di codesti regimi in caso di concentrazione di ambiti di regolazione. La tabella è divisa in tre sezioni. La più corposa, la prima, comprende le “attività commerciali e assimilabili”, tra cui il commercio su area privata, su area pubblica, l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, le strutture ricettive e gli stabilimenti balneari, le attività di spettacolo o intrattenimento, le sale giochi, le autorimesse, i distributori di carburante, le officine di autoriparazione, gli acconciatori ed este- tisti, i panifici, le tintorie, le lavanderie, le arti tipografiche, litografiche, fotogra- fiche e di stampa, oltre attività quanto mai eterogenee, che il Governo ha aggiunto dopo il parere n. 1784 del Consiglio di Stato (locali di stallaggio, autoscuole, facchinaggio, impresa di pulizie, di disinfezione, di disinfestazione, di derattizza- zione e di sanificazione).

Segue la Sezione “Edilizia”; la sottosezione 1 effettua la ricognizione degli inter- venti edilizi e dei relativi regimi amministrativi, indicando nell’apposita colonna l’eventuale concentrazione di regimi. Nelle sottosezioni successive vengono indi- viduati, per le attività soggette a permesso di costruire, a SCIA, a CILA (Comuni- cazione Inizio Lavori Asseverata) e per le attività libere, i casi in cui è necessario acquisire altri titoli di legittimazione o atti di assenso comunque denominati, e quindi i casi in cui il modello di riferimento è quello della s.c.i.a. unica ai sensi del 2° comma dell’art. 19-bis, ovvero quello dell’istanza prodromica alla conferenza di servizi (o s.c.i.a. “non pura”), ai sensi del 3° comma dell’art. 19-bis.

La Sezione “Ambiente” elenca soprattutto provvedimenti autorizzatori (tipizzati dal Codice dell’Ambiente, d.lgs. n. 152/2006) ovviamente espressi, data la com- prensibile natura sensibile degli interessi tutelati e quindi per ciò solo sottratti

all’ambito applicativo della s.c.i.a.: autorizzazione integrata ambientale, valuta- zione di impatto ambientale, autorizzazione unica ambientale, gestione dei rifiuti, inquinamento acustico, scarichi idrici, dighe, altri procedimenti in materia di tutela dei corpi idrici; figura anche qualche comunicazione per procedimenti di rilievo minimale in quanto ad oggetto meramente certativo e sostanzialmente ricognitivo (ad esempio, il rinnovo dell’iscrizione nell’albo dei gestori ambientali). L’art. 1, dopo aver rammentato che il decreto attua la delega di cui all’art. 5 della legge n. 124/2015, prevede, per la materia edilizia (al cui commento si rinvia), l’adozione di un glossario unico, atto ad individuare il titolo giuridico necessario per ciascun tipo di intervento onde omogeneizzare il linguaggio in una materia a contenuti tecnici particolarmente significativi (così il parere n. 1784/2016 del Consiglio di Stato, §§ 5.1.2 e 5.1.3). Il glossario va adottato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da emanarsi entro sessanta giorni (termine ordinatorio) dalla data di entrata in vigore del decreto, previa intesa con la Conferenza unificata ex art. 8, l. n. 281/1997: esso deve individuare la categoria di intervento cui le opere edilizie appartengono ed il conseguente regime giuridico cui sono sottoposte, ai sensi della tabella A. Il comma 3° estende a tutte le attività di cui alla tabella A la consulenza “funzionale” preistruttoria gratuita agli interessati in relazione alle attività elencate nella tabella A, fatto salvo il pagamento dei soli diritti di segreteria previsti dalla legge. Quest’ultimo intento è lodevole in quanto idoneo ad implementare la collaborazione procedimentale tra amministrati ed apparati burocratici; tuttavia, la clausola di invarianza finan- ziaria di cui all’art. 23, comma 1°, l. n. 124/2015 dà adito a più d’un dubbio circa la effettiva disponibilità dei funzionari a gravarsi, in prospettiva, di un carico di lavoro aggiuntivo (la consulenza in questione) senza una corrispondente, propor- zionata remunerazione.

Il comma 4° dell’art. 1 prevede infine che ogni comune, d’intesa con la regione, sentito il competente soprintendente del Ministero dei beni e delle attività cultu- rali e del turismo, può adottare deliberazioni volte a delimitare, sentite le associa- zioni di categoria, zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l’esercizio di una o più attività di cui al decreto, individuate con riferimento al tipo o alla categoria merceologica, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. La disposizione si ispira all’esigenza di evitare che il censimento riportato in tabella prevalga sulla tutela di interessi prioritari costituzionalmente garantiti e prioritari, quale il patrimonio culturale. Il parere n. 1784/2016 del Consiglio di Stato ha criticato la previsione, osservando che « tale esigenza è senz’altro corretta, ma lo strumento tecnico attraverso cui realizzarla non può essere il rinvio a deliberazioni degli enti locali con l’effetto automatico di neutralizzare l’applicazione di una disciplina legislativa. Anche ritenendo che l’effetto sia disposto dalla stessa norma in commento, nella sostanza nulla cambia: la semplificazione operata dal decreto sarebbe derogabile senza limiti per decisione dell’autorità amministrativa » (§ 9.3, lett. B). Ciononostante, la norma è opportunamente rimasta invariata, in ossequio non solo ai principi

costituzionali a tutela dei valori culturali e paesaggistici, ma anche a quello di sussidiarietà verticale, non potendo che provenire dai Comuni l’esercizio di poteri derogatori — quando, come nella specie, tipizzati per legge — volti a porre un argine ad un regime di liberalizzazione che, ove incontrollata, potrebbe arrecare pregiudizi irreversibili ad interessi di rango di gran lunga superiore alla autono- mia economica privata.

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