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L A FORTUNA DI D ANTE NELLA CULTURA ARABA

nella cultura araba

1.2. L A FORTUNA DI D ANTE NELLA CULTURA ARABA

In questa rapida rassegna sulla presenza della letteratura italiana nella cultura araba un’attenzione particolare merita la questione della cronologia delle traduzioni dantesche, argomento già analizzato da vari studiosi arabi e italiani. Tuttavia, includere in questa prima parte della nostra tesi – anche se brevemente e attraverso passaggi molto rapidi – alcune informazioni sulla presenza di Dante nella cultura araba e ricostruire la cronologia delle traduzioni, nonché le diverse modalità di trasmissione dell’opera dantesca appare assolutamente necessario per comprendere più approfonditamente le caratteristiche dell’approccio dello stile dei traduttori e dei letterati arabi nei confronti dei classici occidentali, soprattutto italiani.

Dante e Boccaccio. Le prime traduzioni del Decameron dimostrano, senza ombra di dubbio, come, nella cultura araba, Giovanni Boccaccio abbia potuto godere di una fortuna precoce rispetto a Dante Alighieri. La consapevolezza della precedenza del Certaldese è maturata grazie ad un attento confronto tra le date delle traduzioni arabe della Divina Commedia (già note ma ricostruite e aggiornate da noi nel corso di questa indagine) e quelle delle novelle boccacciane.

Come è noto, la cultura araba ha una predilezione per la poesia: di conseguenza, le opere poetiche di Dante avrebbero dovuto occupare uno spazio maggiore rispetto alla novellistica di Boccaccio39. In particolare, per il genere letterario a cui apparteneva, la Divina Commedia avrebbe posseduto, teoricamente, maggior titolo del Decameron per entrare a far parte di quello che, nel secolo scorso, veniva chiamato il “Risorgimento

39 Appare opportuno ricordare, tuttavia, come nella cultura araba la poesia non abbia sottratto importanza al racconto, e in particolare al racconto breve, sebbene quest’ultimo sia stato soggetto ad alterne fortune lungo l’intero percorso storico-letterario arabo. Si veda, a questo proposito, la raccolta de Le mille e una notte; il libro di Sindbad; il libro di Calila wa Dimna (Kalila e Dimna); il racconto de L’ancella Tawaddud e Le storie di Giufa (o, in altre versioni, Rarità di Giufa). Sono queste le maggiori raccolte di racconti che determinarono, nell’antichità, la nascita del genere narrativo arabo: anche se in seguito il genere poetico ottenne un’assoluta prevalenza e vitalità.

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arabo” 40 (Al-Nahda al-cArabia). Per questo motivo la priorità concessa all’opera di Boccaccio appare, nella letteratura araba, ancora più significativa.

La diversa fortuna dei due classici appare giustificata, all’inizio del XX secolo, dalla presenza di due differenti motivazioni culturali. Giovanni Boccaccio, grazie al Decameron, poté godere, per quanto riguarda le traduzioni, di un notevole favore. Lo stimolo alla traduzione della Divina Commedia di Dante, considerato dagli arabi un antagonista sin da quando venne conosciuto, derivò invece in gran parte dalla tesi dell’islamista Miguel Asìn Palacios, che confrontò il poema dantesco con la cosiddetta Risalat al-Ġufran “Epistola del Perdono” نارفغلا ةلاسر , opera del poeta arabo Abu ‘l-cAla’ al-M carrī41 يرعملأ ءلاعلأ وبأ

(m. 1057). Il lavoro del cieco poeta siriano fu considerato da Palacios, come è noto, una possibile fonte di ispirazione di Dante per l’ideazione del suo viaggio nell’Oltretomba: è evidente come una tale contiguità contenutistica abbia incitato notevolmente i traduttori arabi alla trasmissione del poema dantesco nella loro lingua.

Il “Padre ostro” di Giuseppe Sakhur. Occorre rilevare, inoltre, che un brevissimo frammento della Commedia fu tradotto prima delle novelle di Boccaccio: tuttavia esso rimase un minuscolo tentativo letterario, che non fu certo in grado di suscitare un generale e profondo interesse nei riguardi del poeta. Si tratta della traduzione di ventiquattro versi del canto XI del Purgatorio, il canto del Padre Nostro (l’orazione domenicale, come afferma Elsheikh42 خيشلا ملاس دومحم), realizzata nel 1911 dal prete libanese

40 Per informazioni relative a tale periodo e alle traduzioni arabe della cultura occidentale rimandiamo a MARIA AVINO, L’Occidente nella cultura araba dal 1876 al 1935, Roma, Jouvence, 2002. Sullo stesso argomento si veda FRANCESCO GABRIELI, Il Risorgimento arabo: Grandezza, decadenza e rinascita dei popoli arabi, Torino, Einaudi, 1958, che illustra – ma questa volta dal punto di vista storico, i grandi traguardi del mondo arabo, tra cui la rinascita dei paesi arabi, che favorì, a sua volta, la ripresa culturale.

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Uno dei più noti classici arabi (973- 1057), di origine siriana, di Ma rrat Al-Nū man ; zona siriana da cui deriva il nome del poeta (Al Ma rrī). l suo nome preciso è Ahmed Bin Abdullah Bin Suleiman Al- Ma rrì, poeta e filosofo. All’età di quattro anni perdette la vista a causa della malattia del vaiolo. Iniziò a comporre poesia all’età di undici anni. Durante la sua vita risiedette per un anno e sette mesi a Baghdad . Compose numerosissime poesie ma tra le sue opere più note è l’Epistola del perdono e l’Epistola degli angeli.

42 M

AHMOUD SALEM ELSHEIKH, Lettura (faziosa) dell’episodio di Muhammad, Inferno, in «Quaderni di filologia romanza», 23, n.s. 2, 2015, pp. 5-34.La maggior parte degli studiosi non ha preso in considerazione la traduzione di tale frammento, anche perché molti di loro non la conoscono affatto. La critica letteraria araba non cita questo breve saggio di traduzione: ciò, molto probabilmente, dovuto al fatto che esso sia stato

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Giuseppe Sakhur. Il lavoro venne commissionato da Marco Besso, che in seguito lo inserì (in una sola pagina) nel suo volume La fortuna di Dante fuori d’Italia, pubblicato a Firenze nel 1912.

Il saggio dantesco di Ṭaha Fawzì. Il primo intellettuale arabo che fece conoscere le opere di Dante nella cultura araba fu, nel 1930, il già citato Ṭāha Fawzì 43 , autore di un volume di 149 pagine, pubblicato al Cairo con il titolo Dante Alighieri, in cui tracciava un profilo biografico del poeta, conduceva un’analisi delle sue opere minori e stilava un riassunto delle tre cantiche della Divina Commedia.

La traduzione di cAbbud Abī Rašid ديشر يبا دوبع . Nello stesso periodo, cAbbud Abi Rašid 44

, libanese, cristiano maronita, insegnante d’italiano a Beirut, ottenuta la cittadinanza italiana dopo il suo trasferimento in Libia e divenuto capo interprete nel Real Ufficio Fondiario di Tripoli, pubblicò a Tripoli (1930-1933) una versione in prosa della Divina Commedia. Questa impegnativa traduzione, tuttavia, non fu in grado di trasmettere in arabo il vero profilo ideologico di Dante. A questo traduttore, tuttavia, spetta il merito di essere stato il primo ad offrire agli arabi una vera e propria traduzione della Divina Commedia, dal momento che il tentativo di Ṭaha Fawzì si limitava a fornire una presentazione biografica con accenni alle opere.

I saggi della rivista «Arrissālah» ةلاسرلا. Tra il 1934 e 1936, nella nota rivista egiziana Arrissālah, uscirono due notevoli e lunghi saggi sul poeta fiorentino messo a confronto con il classico arabo Abu ‘l-cAla’ al-M carrī. Gli articoli vennero elaborati e firmati: il primo da Mahmūd Aḥmad Al-Našwī, diviso in 10 puntate tra aprile e giugno del 193445, il secondo da Durrīn Ḫašbah46, pubblicato in 6 puntate47, tra luglio ed agosto del

effettuato esclusivamente per uno specifico desiderio di Besso, e non per una reale volontà di diffusione dell’opera dantesca da parte degli intellettuali arabi.

43 Taha Fawzì, Dante Alighieri, Il Cairo, 1930. Per molti studiosi arabi il tentativo di Fawzì costituisce la prima traduzione araba di Dante, in quanto più conosciuta e meglio in grado di introdurre Dante Alighieri nella cultura araba.

44cA

BBUD RAŠĪD, ar-Rihlah ad-Dantiyyah fi al Mamalik al Ilahiyyah: al-Gahim, al Mathar, an-Na im, Tarablus al-Ġarb, 1930-1933.

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I saggi della serie di articoli di AL-NAŠAWĪ portano il titolo aīn Al-Ma rrī a antī (tra il Ma rrī e Dante) e si estendono in «Arrissālah», , 1934, tra i numeri (tra parentesi quadre i riferimenti alle pagine,

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1936. Entrambi rappresentarono importanti tappe di quella grande discussione nata nella cultura araba, intorno ai due poeti, dopo la tesi di Palacios e la teoria delle fonti arabe nella Commedia di Dante.

Ᾱmīn Ab Ša cr رعش وبا نيم . Qualche anno più tardi, nel 1938, un avvocato أ transgiordano, Amin Abu Sa cr 48, arabo cristiano, pubblicò a Gerusalemme, Gahim Danti “l’ nferno di Dante” يتناد ميحج , basandosi su una traduzione inglese di Henry Francis 49

. La vivacità della lingua rese quest’opera, a cui mancavano i canti XXV , XX X e XXX, più comprensibile al lettore arabo, soprattutto nei passi in cui si illustravano alcune delle più belle immagini del poeta italiano.

Il riassunto di Kāmil Kīlānī: Il primo traduttore arabo di Boccaccio fu uno dei più noti commentatori dell’opera del poeta siriano, Al-Ma arrī. In appendice alla sua edizione Epistola del Perdono, che si crede sia stata edita per la prima volta nel 1940, egli aggiunge un riassunto delle tre cantiche della Divina Commedia di Dante: allo scopo di predisporre tale sintesi per eventuali lavori comparati50.

L’edizione di Hasan cUtmān نامثع نسح . La migliore edizione della Commedia è

tuttavia dovuta all’impegno di uno dei più illustri italianisti arabi: l’egiziano Ḥasan cUtmān 51

(nato nel 1909 e scomparso nel 1973), considerato il dantista più illustre per aver

dove sia stato possibile recuperarle): 40; 43, [pp. 740-742]; 44, [pp.777-779]; 45; 46; 47; 48,[ pp. 935-936]; 49; 50; e 53, [ pp. 1139-1140].

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Intellettuale arabo noto, anche, per le sue traduzioni dell’Iliade e dell’Udissea di Omero.

47 I saggi di ḪAŠBAH portano il seguente titolo antī Alighieri wa Al-Kūmīdyia Al-Ilāhyyah a Abū Al- ‘Alaa’ Al-Ma rrī a isālat Al-Ġufrān (Dante Alighieri e La Divina Commedia e Abū Al-‘Alaa’ Al-Ma rrī e l’Epistola del Perdono), e si estendono in «Arrissālah», IV, 1936, tra i numeri (tra parentesi quadre i riferimenti alle pagine, dove sia stato possibile reperirle): 159, [pp. 1182-1185]; 160, [pp. 1220-1223]; 161; 163; 164; e 165, [pp. 1416-1418].

48 AMĪN ABŪ ŠA R, Gahim Danti, Al-Quds, 1938.

49 Per maggiori informazioni sulle traduzioni arabe di Dante si rimanda a Mahmoud Salem ElSheikh, che tratta l’argomento più nel dettaglio, proponendo una riflessione originale sul canto XXV dell’ nferno in Lettura (faziosa) dell’episodio di Muhammad, Inferno, cit.

50 KĀM L KĪLĀNĪ, Epistola del Perdono, l Cairo, 1940 (?), ristampata recentemente da Maktabat Kīlānī (Libreria di Kīlānī), edizione, l Cairo, 2009. l riassunto dell’opera di Dante si estende tra le pp. 611-53 di quest’edizione.

51 H

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dedicato l’intera vita allo studio del poeta e alla diffusione della sua opera nella letteratura araba. La sua traduzione, caratterizzata da uno stile ben diverso da quello dei suoi predecessori, ebbe il merito di ricostruire perfettamente per il lettore arabo, oltre alle vicende della Divina Commedia, anche il ben più complesso mondo di Dante. La sua traduzione appare tuttora l’unica in grado di soddisfare un lettore esigente che desideri conoscere Dante in modo approfondito: a differenza degli altri traduttori, infatti, cUtman comprese appieno il mondo del poeta ed acquisì, dopo un lungo periodo di studi sul personaggio, una buona familiarità con la sua lingua 52.

Nella prefazione del suo libro, Ḥasan cUtman ricorda che sin dal 1934 egli subì il fascino di Dante, iniziando un approfondimento proficuo sul personaggio. Effettuò diversi viaggi in Italia, sulle orme di monumenti e luoghi connessi con il poema dantesco, alla ricerca di echi e tradizioni legate, oltre che all’Alighieri, all’intera cultura italiana. Un simile impegno, giustificato dall’obiettivo di avvicinare l’opera del divino poeta ai suoi lettori, fece di cUtman uno studioso di elevato livello linguistico e culturale, rendendolo l’unico traduttore in grado di restituire alla perfezione il mondo di Dante.

A questo proposito appare interessante citare la dedica con cui cUtman apre il suo Firdaws “Paradiso”

يدلابو يموقو يتريشع ىلا

ilā aširatī a qaūmī a bīlādī

Al mio clan, alla mia gente e al mio Paese

Si tratta di parole profonde, che evidenziano, nello stesso tempo, il desiderio del traduttore di dedicare la sua opera a tutti coloro che fossero in grado di leggerla, l’impegno straordinario da lui profuso nel portare avanti la traduzione del poema nonché il particolare attaccamento alla “sua” Divina Commedia. Le traduzioni delle tre cantiche furono pubblicate, in date successive, con i seguenti titoli: Al-Ǧaḥim “L’ nferno” ميحجلأ 1959, Al- Maṭhar “ l Purgatorio” رهطمل 1964, Al-Firdaws “ l Paradiso” سودرفلأ 1969. Le prime due أ

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cantiche furono oggetto di altre due edizioni, riviste e ampliate (1967 e 1970). Nella prima pubblicazione, dedicata all’Inferno, il traduttore decise di eliminare il canto XXVIII, laddove Dante parla del Profeta Muhammad e del suo cugino, l’ mam cAlì, giustificando tale atteggiamento tramite una nota in cui afferma che Dante non fece altro che trasmettere in quel passo la falsa immagine che il Medioevo si era formato sul Profeta53.

Tutti i volumi della traduzione, realizzata in prosa letteraria araba, sono anticipati da una premessa illustrativa mentre ogni canto è preceduto da un breve commento interpretativo corredato da diverse note correlate. Ciascun volume viene concluso da un ulteriore intervento del traduttore finalizzato a chiarire al lettore i personaggi e gli eventi citati nell’opera, anche attraverso un ampio ventaglio di notizie relative ai viaggi del poeta

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.

All’impegno di Hasan cUtmān, che ottenne a suo tempo un riscontro positivo in vari

ambienti culturali, hanno dedicato lusinghiere parole, anche al di fuori della cultura araba, nomi importanti come Moreno, Gabrieli e Rizzitano. A Umberto Rizzitano, in particolare, da sempre assai favorevole al lavoro degli italianisti arabi, si deve lo sviluppo di lodevoli iniziative, come la concessione al traduttore egiziano, da parte dell’Università di Palermo, della laurea in Lettere honoris causa. Oltre a questo riconoscimento onorario, comunque,

cUtman ricevette, all’epoca, numerosi altri premi e onorificenze internazionali.

Hanna cAbb dدوبع اَنح. Oltre al lavoro di cUtman vanno segnalati altri due tentativi, più recenti, di traduzione del poema dantesco. Nel 2002 il poeta siriano (cristiano) Ḥanna

cAbbūd 55

ha eseguito, in versi arabi, una traduzione non molto fortunata, cercando, forse anche per non offendere la suscettibilità dei musulmani, di mascherare il canto XXVIII dell’ nferno, rendendolo quasi incomprensibile ai lettori.

53 M

AHMOUD SALEM ELSHEIKH, Lettura (faziosa) dell’episodio di Muhammad, Inferno XXVIII, cit., pp. 6- 7. Elsheikh presenta un’abile e chiara traduzione della giustificazione di cUtman relativa alla “sua” Divina Commedia.

54Si rimanda per approfondimenti sull’argomento a A

NDREA BORRUSO, L’Italianistica nei Paesi Arabi,

cit., pp. 146-149. 55

40

Kāzim Gihād داهج مظاك . Nello stesso anno, l’iracheno Kazim Gihad 56ha portato a termine un’altra traduzione, non molto più fortunata di quella del collega siriano, in cui ha deciso di espungere l’episodio del Profeta Muhammad e c

Alì, sostituendolo con puntini di sospensione.

Tutti questi tentativi, sostenuti, come già è stato accennato, dalla tesi dell’islamista Palacios, hanno avuto comunque il merito di dare inizio alla fortuna dantesca nella cultura araba.

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KAZIM GIHAD, Al-Kumidiya al-Ilahyyia lì Dante Alighieri, al-Muassassah al-Arabiya lil-dirasat wa an- našr, Beirut, 2002.

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