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L A FORTUNA DEL D ECAMERON NEL MONDO ARABO

nella cultura araba

1.3. L A FORTUNA DEL D ECAMERON NEL MONDO ARABO

Come già è stato segnalato, Giovanni Boccaccio è stato introdotto nella cultura araba (se si esclude il frammento della Commedia del 1911) alcuni anni prima di Dante Alighieri, e in particolare negli anni Venti del Novecento. Si trattò di un interessamento che in parte rinnovava, presso i letterati arabi, il ricordo di un antico retaggio narrativo (i racconti arabo-orientali) di cui il mondo letterario arabo si era sempre vantato e da cui derivavano opere straordinarie, come Le mille e una notte لو ةليل فلأةلي , i racconti di Sindbad

أ دابدنسل .

I fattori di un privilegio. Prima di entrare nel merito del vantaggio culturale che ebbe il Decameron negli ambienti letterari arabi, è necessario ritornare negli ambienti più stretti dell’opera ed effettuare un breve quanto rapido excursus sulla sua prima diffusione locale ed europea: tali primissime espansioni furono decisive per l’ulteriore passaggio nella cultura inglese che, a sua volta, favorì, in seguito, l’ingresso del libro nel mondo letterario arabo. Dunque, gli elementi positivi della boccaccesca. “Umana Commedia” la fecero accogliere, subito con molto entusiasmo, sia in ambienti circostanti dell’autore che fuori dai territori italici. A questo proposito basti pensare ai grandi letterati europei colpiti e influenzati dall’opera del Certaldese, come per esempio Geoffrey Chaucer in Inghilterra, Christin de Pizan in Francia, Juan De Mena e il Marchese De Santillana in Spagna. Uno dei primi giudizi sull’opera è testimoniato dal codice Magliabechiano II,II,8 di Francesco Buondelmonti (1359)57, oltre all’anonimo quanto vivace prologo sul Decameron mentre il Boccaccio era ancora in vita. A tale primissima diffusione dell’opera bisogna ricordare anche la pagina del Petrarca con cui volle concludere le seniles (Seniles, XVII 3, 1373). Il poeta rileva la presa di posizione dell’amico in difesa della sua opera nel prologo alla V giornata e nella conclusione, elogiando vivacemente la sua grandiosa Ouverture ed evidenziando la libera materia amorosa, i momenti allegri, le alte novelle elegiache e tragiche e la varietà dei toni58. Le preferenze del Petrarca sono invece ufficialmente espresse nell’ultima delle Senili, nella quale egli loda la novella di Griselda: la sua traduzione latina della Griselda è un caso unico nella storia letteraria petrarchesca ed ebbe

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Per maggiori approfondimenti su questa testimonianza si rimanda a VITTORE BRANCA, La prima diffusione del Decameron, Firenze, Sansoni, 1950, pp. 19-26.

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un ruolo straordinario nella diffusione europea dell’opera, inducendo anche altri ad affrontare il rifacimento latino della novella boccacciana.59

La rivincita del volgare, avvenuta quasi alla metà del Quattrocento in ambiente letterario, reintrodusse l’opera del Boccaccio con una nuova visione culturale. Il Certame Coronario del 1441 costituisce un notevole atto di questa nuova tendenza a favore del volgare, come pure Il Trionfo d’Amore di Francesco Bonanno Malecarni, che propone un chiarimento in rima della novella di Nastagio: si tratta del primo rifacimento in versi volgari dopo diverse parafrasi latine. Anche Lorenzo De Medici lo riporta nel suo Comento, mentre nel 1525 il Bembo con le sue Prose della volgare lingua parla del Decameron come estremo modello della prosa.60

Sull’argomento della stampa del libro di Boccaccio, sempre in ambienti locali dell’autore, si può attribuire la prima edizione dell’opera allo stampatore napoletano Francesco del Tuppo, datata al 147061, mentre al 1492 risale la prima edizione illustrata del Decameron, eseguita a Venezia.62: in seguito a questo momento, cioè dopo la stampa dell’opera, la fortuna delle cento novelle iniziò a diffondersi ancora più efficacemente nei secoli successivi.

Detto ciò, torniamo agli ambienti arabi dove venne introdotto il Decameron nel Novecento. Per quanto attinge al privilegio del libro presso la letteratura araba, è opportuno evidenziare che la ribellione nei confronti delle superstizioni e delle tradizioni negative e il richiamo alla libertà di pensiero a cui invitava qualche novella di Boccaccio furono tra i motivi che stimolarono la diffusione dei primi frammenti del libro presso gli arabi. Causa di una simile fortuna fu anche l’interesse suscitato dall’inclusione nel Decameron del personaggio storico il Saladino يبويلاا نيدلا حلاص, anche se la figura del principe musulmano era comparsa nei testi letterari italiani già prima di Boccaccio: si

59 Si veda V

ITTORE BRANCA, Origini e fortuna europea della Griselda, in ID., Boccaccio Medievale, introduzione di Franco Cardini, Milano, Bur, 2010, pp. 444 - 460.

60 Si veda V

ITTORE BRANCA, Una chiave di lettura per il «Decameron». La vita e le opere di Giovanni Boccaccio, in GIOVANNI BOCCACCIO, Il Decameron, a cura di Vittore Branca, 2 voll., Torino, Einaudi, vol. I, 1992, pp. LXIV- LXV.

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Fu un’edizione priva di ogni indicazione di luogo, di anno e di stampatore. 62 Si veda V

ITTORE BRANCA, Una chiave di lettura per il «Decameron». La vita e le opere di Giovanni Boccaccio,cit., p. LXV.

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vedano, ad esempio, le citazioni dantesche nel Convivio e nella Divina Commedia, e, ancor prima, le cronache delle Crociate 63.

Un altro fattore in grado di giustificare il vantaggio riservato al Decameron è costituito dalla maggiore facilità di comprensione della prosa di Boccaccio rispetto alla poesia dantesca. Per quanto la cultura araba presenti una notevole predisposizione per il genere poetico, le date delle prime traduzioni dei due classici rivelano una chiara preferenza nei confronti della prosa.

Anche le traduzioni delle due opere in inglese e francese hanno fornito, senza dubbio, il loro contributo all’orientamento dell’interesse dei traduttori. Le prime traduzioni arabe dei due classici, infatti, passarono attraverso quelle lingue: soprattutto il Decameron, che, nel XX secolo, venne tradotto quasi sempre dall’inglese, affiancato tuttavia (nei primi casi) anche da un’edizione francese, con l’unica eccezione del tentativo del traduttore egiziano Hussein Mahmoud, eseguito direttamente, nel 1997, sul testo italiano. Infatti, un’ultima nostra indagine al Cairo, presso il fondo privato di Kāmil Kīlānī (il primo traduttore di Boccaccio in arabo), rivela che quest’ultimo usava anche un testo francese del Decameron durante i lavori di traduzione: sull’indice di questo volume francese dell’opera

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– rinvenuto tra i vecchi libri di Kīlānī, ubicati tuttora senza una catalogazione precisa presso la sua biblioteca al Cairo, gestita dalla famiglia – e precisamente sui titoli di alcune novelle boccacciane, è possibile notare dei segni, marcati per mano di Kīlānī stesso, che si possono ricollegare con le stesse novelle inserite da lui nelle due antologie del secolo scorso, quella del 1929 e quella del 1933.

Il ritardo delle traduzioni. A chi non conosce bene la storia della cultura araba e dei suoi processi evolutivi può apparire strano che due opere così cardinali quali la Divina Commedia e il Decameron siano state tradotte in arabo solo nel Novecento.

63 Per ulteriori informazioni sulla presenza del Saladino nei testi italiani prima di Boccaccio si veda GIUSEPPE LIGATO, Sibilla, regina crociata. Guerra, amore e diplomazia per il ritorno di Gerusalemme, Milano, Mondadori, 2005, pp.118-119; FRANCO CARDINI, Immagine e Mito del Saladino in Occidente, cit., p.275; e infine MAHMOUD SALEM ELSHEIKH, Lettura (faziosa) dell’episodio di Muhammad, Inferno XXVIII, cit.

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BOCCACE, Le Decameron, Paris, Ernest Flammarion Editeur (collezione “Les meilleures auteures classiques: français et ètrangers”), s.d.

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Il problema, in realtà, riguarda gli approcci dei dotti arabi nei confronti della cultura italiana è che, quest’ultima, venne conosciuta, inizialmente, soprattutto attraverso le opere di letteratura moderna e contemporanea, sia italiane che europee. I primordi del processo di traduzione in arabo dei fiori della letteratura occidentale videro dunque un interesse orientato, tra la fine del X X secolo e l’inizio del XX, verso gli scrittori contemporanei. Ad un simile retroterra culturale è anche ascrivibile la situazione attuale, che vede disponibili per i lettori arabi un numero maggiore di traduzioni di scrittori italiani moderni che di classici: basti pensare al caso già citato di Alberto Moravia, il quale non beneficia soltanto, nella cultura araba, di complete traduzioni ma anche di ampi studi critici.

Per chiarire un tale ritardo nell’approccio ai classici della letteratura italiana può risultare utile l’esplorazione di un brano del massimo traduttore arabo dell’opera di Dante, Hasan cUtmān (tradotto in italiano da Elsheikh nel suo lavoro sul Profeta Muhammad in Dante) 65. cUtmān, nella prefazione del suo saggio su Savonarola (Il Frate ribelle) del 1947 “Al-Qass ‘l-Mutamarid” درمتملا سقل أ, si rammarica della scarsità d’interesse dei letterati arabi nei confronti della lingua e della cultura italiana, notando come fosse stata assai scarsamente avvertita l’esigenza di approfondire la conoscenza di tale cultura in arabo.

Noi in Egitto e nell’Oriente arabo», scrive cUtman, «non conosciamo quasi nulla che meriti essere ricordato su quel grande secolo che fu il Rinascimento (…). Non so proprio fino a quando continueremo ad ignorare un settore di studi che per molteplici ragioni dobbiamo invece coltivare (…). È doveroso interessarci del patrimonio culturale italiano, con particolare riguardo al Rinascimento, in quanto l’ talia fu la culla in cui si cristallizzarono le culture greca e latina, irradiatesi successivamente in tutta l’Europa. Ritengo, così come lo ritengono alcuni miei colleghi, che diversi siano i sistemi atti a suscitare un interessamento per la cultura italiana in generale e per l’epoca del Rinascimento in particolare, includendo tali studi fra i corsi degli Istituti Superiori egiziani, diversificando la specializzazione dei borsisti egiziani in Italia, sì che comprenda, oltre alle Belle Arti, materie letterarie e scienze storiche e politiche, creando un’Associazione che riunisca gli studiosi di quella imponente cultura e ne coordini l’attività nel campo della scultura, della pittura, delle traduzioni e pubblicazioni in genere, ed infine curando la pubblicazione di un periodico di studi italianistici. Noi non dobbiamo orientare i nostri studi verso una determinata cultura europea ad esclusione delle altre, ma coltivarle tutte, quella italiana in modo particolare, perché rappresenta il saldo pilastro su cui poggia la civiltà moderna.66

65 La traduzione del passo di Ḥasan cUtmān si trova in M. Salem ElSheikh, Lettura (faziosa) dell’episodio di Muhammad, Inferno XXVIII, cit., p. 5.

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È evidente quindi come la scarsità di studi sulla lingua e sulla cultura italiana di cui si rammaricò cUtmān nel 1947 abbia causato a sua volta un rallentamento delle traduzioni dall’italiano all’arabo. È probabile che l’affermazione di Utmān sulla modestia dell’approccio arabo alla cultura italiana, ben avvertita nel 1947, sia stata ancor più sentita all’inizio del secolo, prima cioè che arrivassero i primi traduttori di Boccaccio, come il già noto Kāmil Kīlānī ed altri suoi successori, che avrebbero fatto gustare ai lettori i primi “sapori” della letteratura classica italiana.

Quel rammarico espresso dal massimo dantista arabo e da uno dei più importanti conoscitori arabi della cultura italiana consolida perciò l’ipotesi dell’inesistenza di traduzioni arabe dei due classici italiani prima del Novecento, soprattutto – almeno fino a nuove scoperte – per quanto riguarda le opere di Giovanni Boccaccio.

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