Qualche volta l’immagine fotografica può parlare meglio e più efficacemente di molti di scorsi. Ma nell’ ambiente che interessa la ricerca sociale le cose che non si vedono sono spesso più importanti di quelle che si vedono; il linguaggio fotografico, quindi, è in par tenza inadeguato ed astratto, e deve essere subordinato alla parola.
Ci sono molti modi di fotografare un ambiente sociale, e vari criteri per utiliz zare le immagini fotografiche in uno studio d’ambiente.
La fotografia può essere considerata, anzi tutto, un fatto documentario, cioè un mezzo per presentare al lettore un’immagine ob biettiva dell’ambiente, e per dar conto di quei caratteri che non si possono rappre sentare adeguatamente né con la parola, né con le cifre.
L’obbiettività completa, d’altra parte, è solo un’illusione; chi fotografa, ritaglia in una realtà continua certe immagini, prefe rendole ad altre, e quindi emette un giudi zio; inoltre, ha a disposizione molti espe dienti tecnici per modificare, a suo piaci mento, l’immagine stessa; tempi, diaframmi, filtri, granulosità, bagni di sviluppo, e le altre risorse dell’« arte ». Qui però ci fer miamo, resistendo alla tentazione di ad dentrarci in un argomento così affascinante. Bisogna poi tener conto del tipo d’inte resse per l’ambiente. Un critico d’arte, ad esempio, si occupa di determinate forme fisiche: sculture e pitture, edifici, strade e piazze (sia pure viste con riferimento alla vita, alla società, ecc.); in questo caso il linguaggio fotografico, adoperato con cri terio, ha un valore diretto, documentario e interpretativo. Ma nell’ambiente che inte ressa il lavoro sociale avviene l’inverso: le case, le strade, la fisionomia degli abitanti sono considerati in funzione della vita; le cose che non si vedono, insomma, sono più importanti di quelle che si vedono, e le considerazioni veramente interessanti vanno al di là della lettura delle immagini ; il
linguaggio fotografico, dunque, è in partenza inadeguato ed astratto, e deve restar subor dinato alla parola; se lo si vuol portare in primo piano, o addirittura si pretende di imperniare l’interpretazione sui mezzi visivi, i risultati sono quasi sempre di irritante rozzezza: si ottengono tutt’al più dei fu metti, come accade in quei settimanali a rotocalco che impostano i loro articoli (e li chiamano, appunto, « inchieste ») sul va lore suggestivo di alcune immagini sensa zionali, mentre il testo è poco più che un riempitivo.
Più saggiamente, le fotografie possono es ser usate con funzione secondaria: come alleggerimento del discorso, come pausa, o addirittura come ornamento tipografico; non è escluso, s’intende, che qualche imma gine molto felicemente ripresa parli più e meglio di molti discorsi: ma è bene non fidarsi troppo di queste evocazioni; se qual cuna parla a proposito, la maggior parte parla a sproposito, o con suoni inarticolati, ed è meglio, allora, trattarle come fanno i registi con le comparse non istruite: racco mandando di presentarsi, a tempo e luogo, senza aprire bocca.
Se qualcuno non è persuaso, provi a fare l’esperimento di « lasciar la parola all’ob- biettivo fotografico », come si suol dire.
Ecco, per esempio, alcune immagini di una città meridionale, su cui si sono eser citati in questi anni i più svariati obbiettivi, celebri e non celebri, in una vera orgia fotografica; se le fotografie consumassero gli oggetti, qualche gruppo di case dovrebbe essere, ormai, liscio come il dito di S._Pietro.
Fotografie: pag. 52 USIS, L. Quaroni; pag. SS H. Cartier-Bresson (per cortese concessione della Magnum Foto); pag. 54 arch. Comunità, USIS; pag. 55 ECA (E . Haas), USIS; pag. 56 L. Benevolo, ECA (E . Haas), L . Quaroni.
Qualche fotografo, da lontano, vede que sta città come nella figura a sinistra.
Ha cercato uno dei rarissimi alberi, per mettere in primo piano, e l’abitato, nella inquadratura convenzionale, pare una delle colte e raffinate città toscane o umbre.
Qualcun altro ha abolito tutti i primi piani, e ha lasciato che l’osservatore si sof fermi sul triste e frammentario tessuto edi lizio, sforzandosi di non « abbellirlo » e di conservare una documentaria obiettività (iti
basso).
C’è, poi, il grande fotografo, che ha sa puto vedere il paesaggio — si può dire — in poesia; in questa splendida immagine la città è come rovesciata sotto l’orizzonte, e le case sembrano viste in fondo a un acqua rio (pagina di fronte).
Passiamo alle riprese da vicino: i luoghi riprodotti senza personaggi viventi hanno un’aria lievemente surrealista, carica di sottintesi ; i personaggi, invece, portano una nota di normalità, e specialmente i bambini, che sono invariabilmente « fotogenici ».
Nella fotografia qui sotto a sinistra, poi, compare un altro dei protagonisti obbligati delle fotografie d’ambiente: la corda coi panni stesi.
Non è ben chiaro se l’interesse vivissimo di tutti i fotografi per i panni venga da motivi formali — perché consentono deli catissimi trapassi chiaroscurali — o da ragioni contenutiste, come se le camicie e le mutande fossero le bandiere spiegate della povertà.
E’ certo che le fotografie d’ambiente me ridionale senza panni stesi si contano sulla punta delle dita, e talvolta invadono tutto il fotogramma, come nell’esempio qui in basso.
E le persone, come vanno fotografate? Senza che s’accorgano — « Siete stato sor preso in atteggiamento naturale e disin volto », dicono i fotografi professionisti — con guadagno di naturalezza (in alto a
sinistra), o dietro avvertimento, con gua dagno d’intensità mimica? (in alto a destra) Fino ad arrivare ai « gruppi » in cui cia scuno è in posa, come in quello che si vede qui sotto?
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Ci sono poi le fotografie di scuola roman tica: motivi convenzionali, con luci e inqua drature d’obbligo: il carro che s’awia sulla strada polverosa, sotto un cielo cupo, o il vecchio meditabondo col giornale. Infine, gli oggetti più semplici possono esser ripresi con opportuni accorgimenti, in atmosfera suggestiva ; sono queste le fotografie che diremo « neorealiste ».
La rassegna potrebbe continuare per mol te altre pagine; e ci siamo limitati agli esempi dei fotografi bravi ; ognuno può immaginare da sé quel che accade quando alle intenzioni del fotografo meno bravo si sovrappongono le infinite modificazioni del caso.