Centro Sociale
inchieste sociali
servizio sociale di gruppo
educazione degli adulti
Centro Sociale
inchieste sociali - servizio sociale di gruppo educazione degli adultianno II - n. 5-6, 1955 - un numero con tav. alleg. L. 400 - abbonamento annuo (6 fascicoli e 6 tavole 70 X 100 allegate) L. 2.200 abbonamento alle sole 6 tavole L. 900 - spedizione in abbonamento postale gruppo IV — c. c. postale n. 1/20100 — Direzione Redazione Amministrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 — Roma - telefono 593.455
S o m m a r i o
2 La mia contradaL. Quaroni S Le inchieste sociali
L. Benevolo 18 Gli studi d’ ambiente e le difficoltà attuali A. Ardigò 24 Considerazioni e distinzioni a proposito
di inchieste sociali M. Calogero
Comandini 30 La piccola inchiesta non trasmissibile S. Fè d’Ostiani 36 Inchieste ed educazione per gli adulti P. Volponi 40 Inchiesta e lavoro sociale
R. Caligaro 48 L’ Ente Gestione Servizio Sociale Case per Lavoratori e la ricerca ambientale L.B. 51 Fotografie d’ ambiente
57 Documenti 64 Notizie
70 Estratti e Segnalazioni
Abitazione, famiglia, spazio famigliare - Tempo libero e televisione - Il museo mobile.
Allegati
La riforma fondiaria (2 tavole di Albe Steiner commento di G. A . Morselli)
Documentari: C’era una volta (USIS);
Encyclopédie filmée‘ Lettre A (Ambasciata francese)
Periodico bimestrale redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell’ UNRRA CASAS Prima Giunta Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino, Ludovico Quaroni, Giorgio Ceriani Sebregondi, Giovanni Spagnolli, Angela Zucconi - Direttore responsabile: Paolo Volponi - Redattore: Anna Maria Levi copertina di Egidio Bonfante
A I LETTORI DI CENTRO SOCIALE
« Centro Sociale » ha iniziato la pubblicazione nel settembre del 1954. Come
avviene a tutte le riviste, in ispecie a quelle che si rivolgono a un pubblico particolare e delimitato, ha dovuto agli inizi affrontare non poche difficoltà pratiche, non poche incertezze di impostazione.
Possiamo dire, con il fascicolo doppio n. 5-6, che viene ora a conchiudere il 1955, di essere usciti da una prima fase di sperimentazione, che ci ha con sentito di poter saggiare su quale pubblico possiamo contare, di poter constatare che cosa noi siamo in grado di offrire a questo pubblico, con il suo aiuto e con i mezzi modesti di cui disponiamo.
Dopo il numero doppio 5-6 (che porta allegate le tavole n. 8 e n. 9), la Rivista proseguirà a ritmo bimestrale con numerazione progressiva dei fascicoli. Le quote di abbonamento corrisponderanno a 6 fascicoli a partire dalla data del versamento.
Le tavole a colori della serie « Immagini e problemi » verremmo pure pub
blicate bimestralmente anziché ogni mese, poiché il nostro impianto organizzativo non ci consente un ritmo più frequente.
Le nuove condizioni di abbonamento saranno quindi le seguenti:
— abbonamenti a 6 fascicoli e 6 tavole allegate I** 2.200
— abbonamento a 6 tavole e relative pagine di commento L. 900 Il prezzo di un fascicolo più la tavola allegata è fissato a L. 400 (L. 250 più 150),
il prezzo di una sola tavola con pagine di commento a L. 180.
Per mantenere gli impegni con quanti avevano sottoscritto l’abbonamento a 6 fascicoli e 12 tavole, ai vecchi abbonati verrà inviato il fascicolo n. 7 (con allegata tav. n. 10) considerandolo ancora compreso nella quota versata per soli 6 fascicoli.
A quanti già hanno provveduto al rinnovo secondo le vecchie condizioni (L. 2.300 per 6 fascicoli e 12 tavole), considereremo la quota versata come corri spondente a 6 fascicoli a partire dal n. 8 anziché dal n. 7.
Il nostro lavoro procede accompagnato da crescenti consensi — e da critiche
frequenti e costruttive — che ce ne confermano la vitalità.
Ringraziamo quanti ci sostengono, invitiamo tutti coloro che solo saltua riamente si sono avvicinati a noi ad aiutarci con un più stretto impegno di collaborazione.
LA REDAZIONE
La mia contrada
« La mia contrada si chiama contrada Perolla ed è comune di Savoia
di Lucania, Potenza. Questa contrada è costituita di case sparse e trovano
la stabile dimora oltre cinquanta fam iglie di agricoltori, o dire meglio
contadini.. Le case sono form ate una porzione di sottani e soprani ed il
resto anche solo sottani o sottano. Un vano è certamente tenuto per uso
stalla, un altro per cucina, sala da pranzo, camera da letto e magazzinetto
un altro ancora (chi c’è la) tiene qualche altro letto, poiché ho da dire che
le famiglie sono numerose, composte da cinque a dieci persone, di più tiene
qualche altra robba varia. In molte di queste case abitano due famiglie, il
padrone diretto o indiretto ed un suo figlio o figlia, perché essendosi sposati
non ha avuto dove andare ed è naturale che non poteva stare in mezzo ad
una via, ed allora il padre gli ha concesso un vano della sua casa. Le cucine
sono tutte affumigate, dall’abbondante fumo prodotto dalle fascine verdi
e umide che si bruciano per cucinare e per riscaldare. In questa contrada
anche queste fascine per produrre il fumo molto spesso vengono a mancare,
poiché non c’è un immenso bosco, anzi c’è una piccola estensione di zona
boscosa di proprietà del comune, ma il prodotto di questa è di gran lunga
inferiore al bisogno della popolazione ».
« L’acqua potabile per la popolazione e per i loro animali, a varie
famiglie riunite manca pressapoco come la legna da bruciare; difatti sulla
strada mulattiera che parte da Picerno, attraversa la Perolla e va a Savoia
di Lucania, quasi al centro della contrada c’è un po’ di acqua potabile, ma
non è costruita. Qui ci sono due rischi in due 'tempi, per le nostre povere
donne che vanno a prendere l’acqua. In Inverno la grande quantità di fanchi
corre il rischio che qualcuna sprofondi fino alle ginocchia; poiché di sovente
portano i zoccoli di legno così chiamati e non le scarpai e quindi qualche
volta gli succede che non si possono neanche ritirare alle proprie case
avendo perduto nel fango i detti zoccoli, oppure ritirarsi scalze, come
successe a mia moglie l’altra sera. In Estate invece si capisce, i fanchi sono
prosciugati dal sole abbastanza caldo, ma questo gran astro celeste in
questa stagione prosciuga anche l’acqua potabile e per prenderne un barile
ci vuole un po’ di pazienza, ma le nostre donne che nell’Estate anch’esse
lavorano tanto per la campagna, la sera si ritirano di regola un po’ dopo
del tramondo del sole. Arrivati a casa chi ha lasciato i propri figli la mat
tina da qualche zia o nonna che essendo vecchia non va più per la campagna,
se li va a prendere; altre hanno i figli più grandi e la mattina gli hanno
(Ulto da pascolare qualche pecora o capra, o maiale, e la sera prima che
si oscuri la mamma si assicura che il figlio si sta ritirando. Dopo le donne
preparano la cena ai loro congiunti che ancora non sono rientrati dal
lavoro, ma nello stesso tempo non dimenticano di far trovare a questi un
po’ di acqua fresca e prendono un barile e vanno per riempirlo a quella
fontana che poc’anzi ho detto che in Inverno ci sono molti famchi ed in
Estate manca l’acqua in essa; si avvicina il secondo pericolo per le nostre
donne come dicevo perché davanti le f ontane già si sono riunite quasi una
diecina di cliente fisse per prendere l’acqua ma intanto il getto è piccolis
simo e i barili non si riempiono subito. Le donne vogliono riempire una
prima dell’altra; chi perché spetta a lei come turno, chi dice che spetta
a lei perché è più lontana, urialtra dice che ha i bambini che piangono a
casa, urialtra ancora dice che si ritira suo marito e la bastona perché non
ha trovato la cena preparata. Le donne hanno tutte ovvie raggioni da parti
loro ma purtroppo qualche volta vengono alle mani e si tirano fortem ente
i carpelli ».
« La nostra produzione è soprattutto di grano, (patate), orzo, abbiada,
legumi e un po’ di formaggio, il quale non possiamo chiamarlo ne pecorino
ne caprino poiché il latte è mischiato anche con quello delle vacche. Quasi
tutte le f amiglie tengono un paia di vacche per uso di lavoro, un asino per
uso di qualsiasi trasporto e un maiale il quale dopo ingrassato si ammazza
e serve per uso di famiglia, eccetto i prosciutti e qualche poco di salsiccie
perché si vendono senz’altro. Inoltre hanno qualche casa e un po’ di pecore,
il gregge più numeroso può arrivare a trenta pecore, però di questi greggi
ce ne sono solo tre o quattro, altri minori sono form ati anche di un numero
inf eriore a dieci ».
« I cibi di questa popolazione sono: il pome di grano un po’ ordinario
che si conf eziona in casa di ogni f amiglia quasi una volta al mese di Inverno
specialmente: le patate come il più importante companatico. Come generi
di minestra, le lenticchie, i ceci, un po’ di fagioli ed anche di verdura. Nella
settimana delle volte si fanno le tagliatelle in casa e si cucinano inseme a
questi generi esclusa l’ultima. La Domenica ed altre f este si mangiano i
maccheroni di casa fatti dalle nostre donne conditi con lardo salse e
formaggio, piatto unico, ma a sazietà.
Questa popolazione, per vestirsi compra nelle fiere dei paesi citati ed
altri indumenti usati, civili e militare, gli uomini specialmente. Però tutti
tengono un vestito di velluto ben conservato per quando vanno in paese,
sebbene si va solo quando è proprio necessario che non si può fare a meno.
Calzano scarpe da montagna che hanno il peso di oltre due chili; non tutti
ne hanno un paio leggieri per quando vanno in paese. Il materasso su cui
dormono questi individui è pieno di foglie di granturco.
In Inverno le nostre attività sono ferm e nei nostri campi perché il
tempo in genere è sempre cattivo, non si fanno desiderare: l’acqua la neve
e il freddo. L’unico pensiero è di trovare un po’ di fascine per il fuoco e di
custodire qualche animaluccio. La sera si consuma la frugale cena in
famiglia verso le ore 18. Dopo le_ donne con i ferri fanno un po’ di calza
di lana, non tutte le sere certamente e prima delle ore venti si va a dormire.
Difficilm ente si fanno e si hanno visite in queste sere perché di notte le
strade sono impraticabili e quindi è scomodissimo a camminare ed anche
per il fatto che vicino al fuoco non si può stare in molti perché è poco e si
assaggia il freddo; invece si va a dormire, sicuro che si sta caldo sino verso
le sette ».
« In questa contrada quando si celebra il matrimonio si va a Savoia
di Lucania cioè da camminare per oltre tre ore. Si spera sempre che in
questi giorni che si celebrano i matrimoni non sia cattivo tempo, perchè se
piove povera sposa, il suo abito di verginità non lo ritira a destinazione;
ed anche poveri invitati che in queste occasioni ha/nno indossato il migliore
vestito e quindi lo sciupano. Quando nasce un bambino anche di notte
tempo, il povero marito corre subito a chiamare sua madre e la madre della
moglie o qualche vicina di casa per compagnia della parente. Dopo corre
subito a Savoia, o a Picem o per chiamare l’ostetrica, ma quando questa
arriva la donna già ha dato alla luce il suo bambino essendosi messa in
mano di Dio. Non sempre quest’operazione riesce bene parché delle volte per
ritardo dell’ostetrica muoiono mamma e figlio. Quando si fa il Battesimo
di questi bambini si va in genere lo stesso a Savoia oppure a Picem o. Anche
in questo viaggio povere donne che devono portare la culla in testa ed
anche povero neonato che dalla più piccola età incomincia ad avere questi
strapazzi. Lascio immaginare come é questo viaggio se essendo partita da
casa la comitiva del Battesimo si scatena un forte temporale. Quando muoia
qualcuno che non si è fatto in tempo a ricoverarlo nel paese, si uniscono
quasi tutti gli abitanti di questa contrada ed anche di altre contrade, e lo
trasportano su di una branda verso il paese; anche in quest’altro viaggio
si prega Iddio affinché non faccia fare un cattivo tempo perchè se nò si
teme che ne muoia anche qualche altro per strada. Questi righi ho scritto
di sera, dopo il lavoro, ma la mattina mi sono trovato gli occhi, il naso e
tutto il viso affumigato dal fumo di petrolio perchè qui si usano luce a
petrolio ».
(dal quaderno di un allievo dei corsi per adulti istituiti dall’Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo nei suoi Centri di Cultura Popolare).
Le inchieste sociali
di Ludovico Quaroni
I. Noi non sappiamo se l’uomo, nei tempi più remoti, risolvesse
bene, e facilmente, quei pochi ma grandissimi problemi di fronte ai quali
10 poneva la scelta di una vita che aveva accettato, al di sopra quasi delle
leggi naturali dell’istinto, le regole più semplici ma più mutevoli elaborate
dal suo cervello. Quello che conosciamo delle società più primitive, antiche
e moderne, è un intrico di praticissime norme di chiara derivazione
razionale e di dogmi ermetici nei quali non è possibile distinguere facil
mente quanto appartenga alle tradizioni d’un onesto esoterismo e quanto
invece sia dovuto alla calcolata astuzia delle caste detentrici del potere.
E’ certo tuttavia che il progresso che trasformava la società poneva
questa di fronte alla necessità di risolvere sempre problemi nuovi, più
complessi e più diffìcili dei precedenti ; ma la lentezza con la quale questa
trasformazione avveniva era tanto grande, da lasciare ad ognuno tutto
11 tempo necessario per conoscere e comprendere la opportunità del cam
biamento, e da determinare quindi l’automatica, quasi incosciente crea
zione dei mezzi più convenienti al superamento della crisi.
II. Col passare del tempo, però, la velocità di progresso si è fatta
sempre più forte, la realtà dei problemi sempre più difficile a compren
dere — per la loro quantità e la loro complessità — , la loro risoluzione
più ardua.
Il principio della divisione del lavoro, che fino a quel punto era stato
impiegato quasi esclusivamente per diminuire la fatica fisica e sfruttare
meglio le abilità manuali e le esperienze di lavoro del contadino e del
l’artigiano, viene introdotto sistematicamente per risolvere i problemi
tecnici e scientifici d’ordine superiore. Si crea così, dall’università e dalla
bottega, l’istituto di ricerca scientifica e la scuola di specializzazione : è
nato il mondo attuale. Si sono potuti così separare, per una più profonda
analisi, i vari termini del discorso che stava proponendo la civiltà che
progrediva, ed è stato possibile creare una metodologia appropriata per
ogni studio di settore, nel campo della scienza pura come in quello della
tecnica.
III. Il razionalismo aveva dunque fornito contemporaneamente la
chiave per raggiungere i fini e per creare i mezzi, nella moderna ricerca
della verità e nell’appagamento di questo desiderio umano di un possibile
miglioramento verso una felicità irraggiungibile, ma la sostituzione del
l’armonia spontanea con l’armonia cosciente, dell’adeguamento naturale
con l’adeguamento razionale scientifico, non poteva avvenire nel giro di
pochi anni : occorreva una lunga serie di errori, e tutte le tristezze che
ne sono derivate all’umanità, prima che ci si accorgesse che qualche cosa
funzionava male. Quella maniera primitiva di sfruttare in modo intensivo
le capacità del cervello umano conduceva ad una visione sezionale dei
problemi, ed ha praticamente distrutto, almeno fino ad oggi, quella visione
d’insieme che era stata mantenuta nei tempi più antichi e che era con
dizione necessaria perché le risoluzioni parziali si inquadrassero in un
sistema di equilibrio vitale.
Praticamente tutto questo significava per tutti il distacco dalla realtà
dei problemi che non fossero quelli, angusti e particolari, del campo di
ricerca e d’azione specifico d’ognuno ; significava, accanto alla straordinaria
capacità scientifica degli uomini degli ultimi tre secoli, la infantile cul
tura superficiale dell’uomo della strada che era stato privato, in cambio
del saper leggere e scrivere, d’ogni visione spirituale e poetica del mondo,
e d’ogni capacità di concepire l’interesse per la vita della società che non
fosse la pura difesa, attraverso i partiti, dei propri diritti, si trattasse
di privilegi o di speranze; significava, di conseguenza, una direzione
politica delle nazioni quale poteva nascere dai voti, dagli entusiasmi e
dalla sopportazione di quell’uomo della strada; significava, infine, l’inari-
dimento dell’uomo appresso ai soli problemi tecnici del conoscere, e la
confusione totale, nella cultura come nella politica e nella vita d’ogni
giorno, dei mezzi con il fine, e la conseguente perdita d’ogni profondità
meditativa, d’ogni solido carattere morale, d’ogni capacità di discerni
mento fra la verità, la sostanza delle cose, e la loro falsa visione specu
lare : la retorica.
Oggi abbiamo a nostra disposizione, almeno in teoria, un mare di
mezzi particolari, di conoscenze particolareggiate, di possibilità potenziali
di ricerca, di forze materiali soggiogate, che tuttavia non siamo maturi
per sfruttare a quei fini di miglioramento e di felicità di cui si stava
parlando. Incapaci di coordinare le nostre e le loro azioni abbiamo finito
solo per sostituire, all’abbrutimento del passato, una nuova forma d’igno
ranza e di bestialità. Malgrado l’enorme progresso realizzato nella pro
duzione, malgrado le malattie vinte, le distanze annullate o quasi, l’istru
zione diffusa, la fatica fisica teoricamente ridotta a nulla, i due miliardi
di persone che costituiscono l’umanità seguita a soffrire, e non soltanto
per mancanza di speranza e di fiducia. Gli squilibri, la grettezza, la poca
intelligenza nel lavoro e nell’amministrazione, il permanere di leggi e di
regole in contrasto colle attuali concezioni della vita, rendono in gran
parte inoperanti tutti i benefici del progresso tecnico.
IV.
Nei tempi più recenti, tuttavia, la speranza sta fugando la triste
visione di un mondo rovinato dallo stesso progresso. Sono state le cate
gorie più sensibili ai problemi economici che hanno compreso le ragioni
dello squilibrio ed hanno risolto, ognuna nel settore di specifica compe
tenza, il loro problema parziale. Per la produzione, artigianale o agricola
che fosse, si era organizzati, all’origine, solo su scala familiare, e fra i
soli componenti la famiglia patriarcale, d’altra parte molto grande, veni
vano divisi il lavoro e i frutti del lavoro, che interessava tutti i prodotti
che necessitavano alla vita della famiglia stessa, e l’equilibrio produttivo
era di conseguenza apparentemente automatico, spontaneo e naturale,
impegnando lo studio delle variazioni opportune, nella quantità e nella
qualità, tutto il lungo tempo nel quale i vari membri della famiglia stessa
si trovavano a conversare insieme : sul lavoro, nel riposo, al desco e nei
lunghi ozi nei quali era costretta gran parte dell’inverno. In un tempo
successivo, diminuito l’isolamento della famiglia ed aumentate le possi
bilità di produzione, la specializzazione aumenta, e si produce anche per
ottenere un certo scambio di merci con altri ; ma si produce quasi sempre
dietro richiesta, o per lo meno si mantiene automatico l’equilibrio fra
produzione e smercio. In un terzo tempo la produzione si rende indipen
dente dai consumi familiari, e si orienta tutta verso l’organizzazione
razionale del lavoro, onde diminuire al massimo tempi e costi, e migliorare
il prodotto : è il tempo del passaggio dall’artigianato moderno alla piccola
industria, e poi via via, in uno slancio di ottimismo, verso forme sempre
più selezionate, specializzate, industrializzate di fabbricazione. Ci si basa
proprio sulla produzione a grande scala e sulla fiducia cieca nel progresso,
nella libertà degli scambi, nell’integrazione a scala mondiale: un paese
dovrà specializzarsi nell’industria pesante, un altro nella meccanica di
precisione, un terzo nei manufatti, un quarto nei prodotti agricoli, e così
via. Ma ogni eccesso d’ottimismo è destinato alle delusioni : la visione
sezionale del problema aveva dimenticato che la produzione deve andar
d’accordo con la richiesta e con gli altri parametri dell’equazione : indi
rizzo politico, materie prime, mano d’opera, concorrenza, benessere o
miseria, propaganda e commercio sono, con tante altre, le forze che, sia
pure indirettamente, determinano le possibilità di produzione. E allora
ecco gli industriali organizzarsi per la integrazione del processo di
richiesta-produzione-vendita : si impiantano i centri di studio che da una
parte studiano le possibilità di mercato e dall’altra le caratteristiche della
produzione futura, sempre guardinghi e attenti ad ogni cenno di stan
chezza, di chiusura, di concorrenza; e accanto alla organizzazione per la
produzione si pone quella per le vendite e per la propaganda.
In questi quattro o cinque tempi si è conclusa l’esperienza produt
tiva, almeno per quanto s’è fatto fino ad oggi : da una economia a scala
familiare, integrata, e cioè organizzata in modo completo in tutto il suo
ciclo, ma ancora spontanea e semplicissima, si è passati, dopo varie espe
rienze, alla integrazione razionale, cosciente, e su scala più grande, ade
guata alle esigenze che variano da un luogo all’altro. La specializzazione
che aveva permesso una maggiore perfezione è stata corretta dalla visione
generale del problema, dalla sua organizzazione scientifica.
V.
Come è stato possibile tutto questo? Evidentemente l’intelligenza
degli industriali, stimolata dall’interesse, è stata condotta a conoscere il
problema, a comprenderlo, a sentirlo, ed infine a risolverlo con una tra
sformazione, con uno sviluppo dell’organizzazione. Evidentemente i mezzi,
per questa coscienza e questa azione, sono gli stessi che avevano prodotto
i guai che la pianificazione voleva eliminare, sono gli stessi che noi
abbiamo a disposizione per risolvere in modo analogo tutti i coordina
menti e tutte le riorganizzazioni di cui abbiamo bisogno, e che non diffe
riscono, nella sostanza di fondo, da quelli che le derivazioni, recenti e
remote, del razionalismo cartesiano ci hanno fornito per distruggere,
attraverso la necessaria divisione del lavoro nel campo tecnico e scien
tifico, l’unità della cultura, la conoscenza e la coscienza dei problemi comuni
a tutti gli uomini, per distruggere le strutture, difettose quanto un tempo
vitali, d’una società che è morta. Gli stessi mezzi sono il male e la medi
cina : è una caratteristica, questa, comune ad ogni cosa umana.
Nel nostro caso questi mezzi polivalenti si chiamano, in generale,
pensiero logico, razionalità, capacità di analizzare i problemi con l’animo
sgombro da preconcetti e da schematismi astratti. In particolare, nel
considerarli lo strumento nuovo che abbiamo per affrontare finalmente
in modo adeguato quei problemi di coordinamento che il mondo ci ha
posto oramai da tempo, si chiamano metodi della tecnologia scientifica,
ma si chiamano anche meglio storicismo e pensiero critico, e vanno
ugualmente applicati in tutte le fasi dell’opera di trasformazione. Si tratti
della ricerca e dell’esame della realtà presente, in un settore qualsiasi, al
fine di individuarne i punti deboli, si tratti della formulazione o della
applicazione delle azioni destinate a trasformare, per l’avvenire, la realtà
stessa verso lo sviluppo, si tratterà sempre dello stesso atteggiamento,
della stessa disposizione di spirito, della stessa filosofia : la filosofia critica,
a qualunque corrente vada applicato questo aggettivo.
La cosiddetta pianificazione, dunque, consiste nel prendere in esame
le cose come sono, fino ad acquisirne una chiara, profonda conoscenza,
fino a sentirle, a scoprirne le interazioni, risalendo ai loro perché ultimi,
ad individuarne i punti più importanti ed i lati facilmente aggreditali,
suscettibili, senza conseguenze dannose, d’una trasformazione-, e succes
sivamente nel creare un programma di interventi adatto appunto a realiz
zare, direttamente o indirettamente, la trasformazione voluta, nella con
vinzione che dal progresso ci si deve aspettare appunto un miglioramento,
assoluto o relativo, della situazione, e che tale miglioramento non potrà
mai essere duraturo e concreto fin tanto che non sia stata rimossa la
causa prima dei difetti e dei mali.
VI.
Pianificazione e pianificare sono termini che nell’uso corrente
sono riservati ad alcune soltanto delle azioni del genere, e particolarmente,
per una certa qual priorità, a quelle che si operano o si dovrebbero operare
nel settore tecnico-economico. Ma è chiaro che non esiste differenza
sostanziale fra le necessità di coordinamento delle azioni in questo o in
altri settori della vita dell’uomo. Nell’economia come nella politica, nei
lavori pubblici come nelle trasformazioni sociali, nell’educazione come in
ogni altro campo, è necessario procedere con la mentalità del pianifica
tore. Non basta più a nessuno, oggi, garantirsi dagli errori di giudizio
solo attraverso una massiccia, quanto debolmente fondata, convinzione
personale, come non possono più bastarci la buonafede, la fiducia in noi
stessi e la volontà d’azione a tranquillizzarci sulla riuscita d’una nostra
attività di trasformazione. Ci occorre qualcosa di più, una sicurezza mag
giore, un controllo maggiore del processo logico, delle deduzioni d’analisi,
ed un vaglio a priori degli effetti, diretti e indiretti, di primo di secondo
di terzo grado e così via nella progettazione delle azioni di intervento.
Né possiamo solo dormire tranquilli per il fatto che nell’organizzazione
del nostro lavoro sono entrati, quasi per inerzia, alcuni mezzi moderni
di ricerca, ché matematica e statistica, macchine calcolatrici e selezio
natrici di schede, cibernetica ed altre cose consimili finirebbero per com
portarsi come un fucile carico nelle mani di un bambino, qualora non
fossero usate colla necessaria responsabilità scientifica, e si pretendesse
da loro, in luogo delle prove, delle risoluzioni, delle dimostrazioni, dei
controlli e delle giustificazioni che possono dare per affiancare il lavoro
del nostro cervello, la sostituzione addirittura di quest’ultimo proprio nelle
sue possibilità d’intendere e di volere. Pianificare non significa solo spen
dere le energie necessarie alla esecuzione della trasformazione, ma anche,
e soprattutto, spendere le energie (tempo, intelligenza, organizzazione,
denaro) necessarie allo studio approfondito della pianificazione stessa.
Per arrivare a coordinare tutte le parti di una realtà in modo armonico,
cioè secondo un piano, bisogna sapere cosa si vuole e come sia possibile
arrivare ad ottenerlo; sapere cosa si vuole significa avere un’idea del
mondo quale dovrebbe essere, ed essere disposti a formare, ad usare certi
mezzi politici, amministrativi, civili (leggi, organismi, educazione). Ma
tutto questo non servirà a nulla se non partiremo dalla realtà qual’è,
studiandola e « vivendola » tanto da sentirci noi parte di essa, o sentirla
cosa nostra, che è lo stesso : ogni azione, ogni intervento sarebbe, in questo
caso, il frutto sterile di una posizione distaccata, di una mancata parte
cipazione. La conoscenza della realtà presente, lo studio del terreno nel
quale si dovrà portare l’azione, i metodi e i mezzi relativi, la genialità
nella enucleazione finale sono già essi, nella vera sostanza, la pianifica
zione, e come non ha senso condurre una inchiesta sociale che non sia
collegata, sia pure indirettamente, sentimentalmente, ad una azione di
pianificazione, non può esistere nessun « piano » serio che non contenga,
almeno implicitamente, una analisi ed un giudizio sulla situazione che il
piano si propone appunto di modificare.
VII.
Le espressioni indagini sullo stato di fatto, ricerche statistiche,
ornatisi della situazione reale, inchieste sociali, sono altrettanti modi di
indicare con maggiore o minore esattezza, le operazioni relative alla prima
fase, analitica, della pianificazione (1). Evidentemente nessuna di esse è
così generica da poter esser utilizzata ad esprimere in linea teorica e
generale ogni studio o lavoro che intenda realizzare appunto quei fini di
conoscenza d’una realtà che interessi la pianificazione, in qualunque set
tore questa sia voluta ; mancando tuttavia ogni più appropriata ed univer
sale convenzione, noi ci ridurremo, d’ora in poi, ad usare l’ultima citata,
inchieste sociali, come termine generico.
Vogliamo insistere, per quanto possa sembrare strano a qualcuno,
nel richiamare l’attenzione sul fatto che 1’« inchiesta sociale » è termine
legato indissolubilmente all’altro di pianificazione : e la ragione di questo
va cercata, come abbiamo detto, nel fatto che noi non riusciamo a con
cepire l’analisi della realtà al di fuori dell’uso che se ne può fare, diretto
e indiretto, nella trasformazione. Anche nel caso, abbastanza frequente,
di inchieste sociali fatte solo allo scopo di studiare una metodologia di
rilevamento, si deve pensare che si tratta d’un lavoro che tende a fornire
i mezzi scientifici per la conoscenza della realtà, e che quindi finisce per
servire allo scopo. Le stesse attività, del resto, per le quali più spesso
si conducono inchieste sociali, consistono, nella sostanza, in una program
mazione di interventi che possiamo, a buon diritto, considerare una vera
e propria pianificazione; e forse un uso più corrente di questo termine
finirebbe col dare maggiore senso di responsabilità a chi di quelle cose
si occupa.
V ili. E’ un campo nuovo di ricerche, questo, ed è quindi perfetta
mente giustificata la mancanza di qualsiasi letteratura didattica di impo
stazione generale, di vasto respiro, che esca dal microclima d’una ricerca
particolare. La sua stessa origine moderna e critica, del resto, spiega la
mancanza della sistematica relativa, che pure ha segnato nel passato il
primo passo d’ogni scienza; il principio di flessibilità che la caratterizza
è contrario per sua natura ad ogni chiusura, e tanto più alla rigidezza
delle classificazioni.
(l) Saranno ugualmente usati come sinonimi, a tutti gli effetti, i termini di «analisi», «inchiestane «indagine» anche se per certi autori sarebbe opportuna una esatta distinzione nelle singole accezioni.
Negli ideali di questa attività dovrebbero trovare posto l’apertura
senza limiti, il respiro vasto e profondo, lontano da qualsiasi schema,
nella concezione generale, nell’impostazione di questo lavoro che vorrebbe
mantenere sempre giovani e vive certe sue qualità d’intuito creativo; ma
accanto a questi dovrebbero essere gli opposti ideali di rigore scien
tifico, di esattezza matematica, di precisione assoluta nei controlli, da
rispettare invece nel condurre avanti, sul piano concreto della metodo
logia, la ricerca stessa, per ritornare poi alla libertà intuitiva nella fase
conclusiva di giudizio, ma solo per integrare questo nei punti lasciati in
bianco dalla elaborazione scientifica dei dati raccolti.
Proprio per questa « grandezza » di ideali, la realtà delle inchieste
sociali che fino ad oggi ci possono essere cadute sotto gli occhi può facil
mente dare un senso di ingenuità, se non addirittura di superficialità.
Ma occorre distinguere l’ingenuità di certe inchieste che sono superficiali
solo perché non sono ancora provvedute nello sviluppare in modo adeguato
una impostazione seria e tutt’altro che ingenua, dall’ingenuità stupida,
di fondo, di certi altri studi, che viceversa vorrebbero nascondere, proprio
dietro un’opulenza dotta di diagrammi, di grafici, di tabelle e di formule,
la sostanziale mancanza d’ogni impostazione intelligente, la totale assenza
d’immaginazione e d’amore, di senso della poesia del mondo.
Potrà giovare, tuttavia, fare qualche osservazione sulle principali
caratteristiche di questo lavoro delle inchieste sociali, che è, come abbiamo
detto, il modo moderno d’orientare metodologicamente la ricerca sulla
realtà sociale; e queste osservazioni riguarderanno quindi i firn dell’in
chiesta, i suoi limiti, i metodi di rilevamento, i mezzi di espressione e
Yelaborazione dei dati', la fase finale, infine, di giudizio.
IX.
Prima d’ogni altra cosa, occorre che sia precisato con molta chia
rezza il fine che l’inchiesta sociale si propone di raggiungere. Questo
perché l’inchiesta deve essere sempre adeguata al suo fine, e occorre
prevenire il consueto pericolo di confusione fra fine e mezzo : potrà anche
darsi che una stessa metodologia parziale possa servire in più casi, ma
è certo che, cambiando il fine, è anche necessario, il più delle volte, cam
biare il metodo, e che lo stesso fine generale può richiedere, in casi diversi
di applicazione, metodi diversi.
Se si eccettua il caso limite d’uno studio scientifico fatto esclusiva-
mente a scopo d’esercitazione metodologica (1), le inchieste sociali sono
programmate, di solito, in funzione di uno scopo concreto, che tuttavia
non sempre è presente con la necessaria limpidezza alla coscienza delle
persone che l’inchiesta stessa debbono condurre : queste hanno il dovere,
quindi, di sforzarsi nel mettere bene a fuoco la situazione, che si potrà
sempre ricondurre ad uno dei casi seguenti :
a) inchiesta che ha per fine quello di schedare, di ordinare sem
plicemente una situazione, per aver pronto in qualsiasi momento un mate
riale statistico già elaborato o da elaborare secondo necessità future ;
b) inchiesta diretta ad individuare, attraverso una analisi generale
della situazione, quali siano i caratteri della realtà esaminata che pos
sono essere ritenuti normali, ai fini della pianificazione prevista, e quali
invece patologici;
(l) Come nel caso delle note opere Paris et /’agglomération parisienne, di Chombart de Lauwe (Parigi, Presses Univer sitaires, 1952) e Une ville française moyenne - Auxerre en 1950, di Ch. Bettelheim e S. Frère (Parigi, ed. Colin, 1950).
c) inchiesta effettuata per misurare la portata di un fenomeno già
individuato qualitativamente ; si basa principalmente sulle moderne disci
pline dell’economefnu e della sociometría (misurazione dei fatti economici
e dei fatti sociali);
d) per verificare una ipotesi, per controllare alcuni dati poco atten
dibili, per integrare una inchiesta già eseguita sommariamente;
e) per possedere i dati necessari alla dimostrazione di una tesi.
X.
Una volta precisato il fine, l’inchiesta dovrà essere definita nei
suoi limiti, che del fine sono la derivazione immediata, se non addirittura
una più esatta e concreta espressione.
Potremo avere bisogno, infatti, a seconda del fine che ci siamo pro
posti, di una analisi solo qualitativa, ovvero dovremo approfondire la
ricerca fino a determinare, come s’è detto prima, la dimensione precisa
dei fenomeni studiati.
Potremo doverci preoccupare solo di rilevare le strutture fisiche e
la realtà materiale di un certo territorio (come nel caso di indagini sulle
abitazioni, sulla delinquenza, o sul reddito), ovvero potremo studiare quella
realtà attraverso gli atteggiamenti ed il comportamento della popolazione,
ovvero ancora potremo doverci spingere più a fondo, fino ad individuare
le cause di quella tale realtà fisica o di quel comportamento.
Essendo caratterizzata l’inchiesta sociale, in qualsiasi forma si pre
senti, dall’idea di rapporto, di rapporto fra due o più dimensioni della
realtà, dovremo far ricorso, sempre o quasi, ad un confronto nel tempo
o ad un confronto nello spazio. Più spesso sarà necessario avere insieme
le due cose : storia e geografia, giacché è raro, rarissimo, il caso d’una
inchiesta che non abbia bisogno di termini di paragone. Anche in un
caso simile, del resto, sarebbe errato parlare di cifre assolute : eviden
temente i termini di riferimento sono già nell’esperienza d’ognuno. Le
dimensioni di un fenomeno (1) non bastano, da loro stesse, a segnalare
la presenza o meno d’una situazione patologica : è solo il confronto con
altre realtà che conferisce loro tale potere essenziale (p. es., il confronto
con la media nazionale, con il massimo ed il minimo nazionali, con le
dimensioni dello stesso fenomeno in località legate con il soggetto della
inchiesta da affinità dimensionali, storiche, o geografiche).
Le realtà di soggetto, di spazio e di tempo, del resto, non sono pre
senti nell’inchiesta solo come elementi di confronto, ma anche, per neces
sità pratiche, come limiti di studio : costruire la curva d’accrescimento
d’una popolazione, e cioè confrontare fra loro le qualità nei diversi anni
ed osservare, con tutti gli artifici d’una statistica raffinata, come si muove
la curva stessa per desumerne constatazioni importanti agli effetti della
prevista pianificazione, è un’operazione che deve essere contenuta, perché
possa essere economicamente giustificata, entro certi limiti di tempo.
Nella definizione dei limiti dell’inchiesta rientra anche, quando sia
il caso, la scelta fra un’inchiesta che prenda in esame, per studiare un
determinato fenomeno, tutte le unità statistiche (persone, abitazioni,
vei-(l) Usiamo il termine « fenomeno » in senso gnoseologico, ad indicare tutto ciò che avviene e che può essere osservato; quindi come sinonimo di « fatto ».