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4. La visione della Storia e della colonizzazione

4.3. La frase simbolo del discorso

La frase più tristemente famosa dell’intero discorso, considerata attraverso vari media quasi come un sunto dell’intero discorso, è senza dubbio Le drame de

l’Afrique, c’est que l’Homme Africain n’est pas assez entré dans l’Histoire165

(allegato I, righe 155-156). È intorno a essa che si sono scatenate le più feroci polemiche, ed è questa a essere stata invariabilmente citata da ogni articolo dedicato al discorso di Dakar.

Se la consideriamo come l’espressione dell’opinione prevalente in Francia sulla storia africana (se non la fosse, avremmo forse assistito a maggiori proteste nel periodo immediatamente successivo al discorso), essa potrebbe derivare da un sentimento di assenza dell’Africa (e a dire il vero anche dell’Oceania, dell’America e dell’Asia) come soggetto storico: essa appare, è vero, nei libri di scuola, ma tendenzialmente solo in relazione all’Europa, e quindi molto più come oggetto che soggetto.

Malgré l’ouverture relative des deux dernières années, les élèves passant par les cycles d’enseignement du secondaire, de la Sixième à la Terminale, ne consacreront pendant sept ans que moins de dix heures, au mieux, à entrevoir l’histoire du monde au-delà de la France et de l’Europe, mais de toute façon par le biais de cette même aire occidentale. Jamais l’Afrique n’est étudiée pour elle-même…166

(Boilley, 2008 : 140-141)

Il che spiegherebbe anche l’insistenza su schiavismo e colonizzazione, ovvero i due momenti storici in cui gli africani sono ridotti a oggetti da parte degli europei, e il fatto che il discorso invece tenda a glissare sulla storia dell’Africa antecedente al contatto con gli europei, nonché alla fase successiva alla decolonizzazione, riducendo di fatto l’intera visione della storia dei Paesi colonizzati alla colonizzazione stessa:

165

il dramma dell’Africa è che l’Uomo africano non è entrato abbastanza nella Storia (trad. mia)

166

Malgrado la relativa apertura degli ultimi due anni, gli studenti che passano attraverso il ciclo di insegnamento di medie inferiori e superiori, dalla Sixième alla Terminale [rispettivamente prima media e ultimo anno delle superiori, NdT], per sette anni [le scuole medie francesi durano quattro anni, le superiori tre, NdT] consacreranno meno di dieci ore, nel migliore dei casi, a intravedere la storia del mondo oltre la Francia e l’Europa, ma comunque attraverso questa stessa ottica occidentale. L’Africa non è mai studiata per sé stessa… (trad. mia)

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[Il y a] un piège culturel, celui de rabattre toute l’histoire des Africains sur « l’épisode colonial », de faire débuter celle-ci avec la conquête européenne selon le modèle même de « l’histoire coloniale » […] Que « l’œuvre coloniale » soit louangée ou vilipendée, le risque est identique : ce continent va se retrouver réduit à la même vision manichéenne, celle de la « tradition » (africaine) et de la « modernité » (étrangère). Le passé de ces sociétés est alors perçu comme quasi immobile, qu’elles soient décrites comme « sauvages » par les uns ou comme « équilibrés » par les autres.167 (Chrétien, 2008 : 17)

Notiamo quindi che la critica paradossale rivolta agli africani nel discorso è quella di non essere abbastanza entrati nella storia, intesa come storia costruita da europei intorno all’Europa: a questo punto si può essere d’accordo con la logica della critica, ma il destinatario dovrebbe essere l’autore di questa esclusione, non la vittima (riprenderemo meglio il ragionamento nelle due sezioni successive).

Tornando un attimo a esaminare gli elementi cha hanno reso la frase del discorso un bersaglio di molte critiche, le prime riguardano già la scelta del soggetto della frase, come fa notare Souleymane Bachir Diagne (2008 : 146-147): …dès qu’un énoncé a

pour sujet « l’Anglais », « le Japonais » ou « l’homme latin », cela va être une sottise, pour dire les choses poliment.168 E in effetti, riferire qualsiasi tipo di considerazione a un intero gruppo di persone come se si trattasse dell’osservazione del comportamento tipico di una specie animale ci rimanda alle considerazioni già espresse nella sezione 4.2 sulle connotazioni da etnologia colonialista dell’uso di espressioni come “l’Uomo africano” come soggetto di una frase.

Notiamo inoltre che la frase non è isolata nel testo, bensì inserita come terza e ultima anafora retorica a tema “dramma dell’Africa”:

167

[Esiste] un trabocchetto culturale, quello di ridurre tutta la storia degli africani all’ “episodio coloniale”, di farla iniziare con la conquista europea secondo il modello proprio alla “storia coloniale” […] Che “l’opera coloniale” sia lodata o vilipesa, il rischio è identico: questo continente si ritroverà ridotto alla stessa visione manichea, quella della “tradizione” (africana) e della “modernità” (straniera). Il passato di queste società è allora percepito come quasi immobile, che siano descritte come “selvagge” dagli uni o come “equilibrate” dagli altri. (trad. mia)

168

…dal momento in cui un enunciato ha per soggetto “l’inglese”, “il giapponese” o “l’uomo latino”, si tratterà di una sciocchezza, per dirla in modo educato. (trad. mia)

103

Je veux vous dire, jeunes d'Afrique, que le drame de l'Afrique n'est pas dans une prétendue infériorité de son art, sa pensée, de sa culture [...] Je veux donc dire à la jeunesse d'Afrique que le drame de l'Afrique ne vient pas de ce que l'âme africaine serait imperméable à la logique et à la raison [...] Le drame de l'Afrique, c'est que l'Homme africain n'est pas assez entré dans l'Histoire.169 (allegato I, righe 118-156)

Notiamo innanzitutto che il presupposto (come lo intende A. Krieg-Planque, e a cui abbiamo già accennato nella sottosezione 4.2.1) della sequenza e della frase è che esista un dramma dell’Africa (e che sia Sarkozy a conoscerlo, mentre i suoi interlocutori ne sono all’oscuro). Tale concetto è quantomeno discutibile in quanto non solo crea l’ennesima particolarità africana (con che diritto esisterebbe un dramma dell’Africa e non uno dell’Europa, dell’America, etc.?) ma anche perché pretendere di attribuire tutte le “disgrazie” di un continente intero a una sola causa è inevitabilmente semplicistico. A proposito di quest’unica causa, oltretutto, essa fa ricadere la responsabilità di tutto ciò che di negativo sia mai avvenuto in Africa sugli stessi africani, e l’aggiunta del “non abbastanza” alla negazione sembra introdurre un giudizio di valore.

Le prime due anafore riguardo al dramma dell’Africa sembrano negare gli stereotipi tipici del discorso colonialista, che tuttavia l’insieme del testo ripropone a livello sia semantico che letterale: infatti, se si negano la mancanza di logica dell’Africa e l’inferiorità dell’arte africana, quest’ultima viene tuttavia paragonata (come abbiamo già visto nella sottosezione 4.3.2) all’arte della grecia antica, e utilizzata per corroborare l’argomentazione dell’Africa come luogo del sentire (e non del ragionare, il che contraddice anche l’argomentazione supportata dalla seconda anafora) nonché tempo dell’infanzia dell’Occidente.

169

Voglio dirvi, giovani d'Africa, che il dramma dell'Africa non è in una pretesa inferiorità della sua arte, del suo pensiero, della sua cultura […] Voglio dire, quindi, alla gioventù d'Africa, che il dramma dell'Africa non viene dal fatto che l'anima africana sarebbe impermeabile alla logica e alla ragione […] Il dramma dell'Africa è che l'Uomo africano non è entrato abbastanza nella Storia. (trad. mia)

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4.4. L’infanzia, l’universale e il tempo immobile: il rapporto tra Storia e