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Freud e il femminismo

5. Jessica Benjamin Relazione intersoggettiva

5.3. Freud e il femminismo

Freud e il femminismo

L’analisi freudiana della psicologia della donna si svolge nel campo di una concezione che non è prettamente binaria e dualistica, egli parte dall’analisi del patriarcato piuttosto, termine che riesce ad accogliere in sé aspetti della società e della natura biologica degli esseri umani234.

Con il termine secondo sesso, utilizzato anche dalla studiosa de Beauvoir per rimarcare l’inferiorità, attribuita, della donna, Freud ha voluto riferirsi all’alternativa psicologica femminile rispetto alla psicologia maschile nell’ambito del patriarcato. Le teorie di Freud, infatti, si interessano del modo in cui l’essere umano, da animale, per natura, bisessuale, si trasforma in un animale sociale e sessuato: uomo e donna235.

Nell’inconscio di ogni essere umano si trovano le idee della storia umana che, a loro volta, sono di tutta l’umanità. Si tratta di una storia che non può ripartire da zero con ogni individuo, ma che deve essere acquisita. Capire le leggi dell’inconscio vuol dire cominciare a comprendere come funzionano l’ideologia e la legge che regola l’inquadrarsi della nostra esistenza: una tra                                                                                                                

234 J.Mitchell (1974), Marx e Freud possono servirci, da Psicoanalisi e femminismo, Einaudi, Torino, 1976, pp.469-471.

235 S.Freud (1912-3), Totem e tabù, Newton, 2011, p.156, Id. Mosè e il monoteismo, Newton 2011, p.230.

queste leggi è che dobbiamo vivere secondo la nostra mascolinità o femminilità sempre imperfetta236.

La caratteristica determinante della ricostruzione di Freud della storia umana è il parricidio, l’uccisione del progenitore, avvenuta in un tempo preistorico, ed è proprio questo padre ha costituire l’elemento fondante del patriarcato, verso il quale bisogna conquistare l’autonomia. Questa lotta si rivela come prodotto di un discorso che colloca il soggetto nelle complementarità oppositive: soggetto/oggetto, mene/corpo, attivo/passivo, quindi, razionale/irrazionale, che come già abbiamo stabilito nel corso della storia hanno agito attraverso la scissione del termine svalutato che guarda caso, è riferito proprio alla femminilità. È in questo senso che la psicoanalisi, ci dice la Benjiamin237, ha costantemente riprodotto queste opposizioni come replica delle gerarchie di genere.

In questi termini è utile riproporre la scissione Anna/Bertha perché per la prima volta essa incarna una duplice identità quella che ogni coppia di analista e analizzando deve incarnare, insieme e separatamente238.

Il progetto psicoanalitico partecipa necessariamente all’opposizione gerarchica tra attività e passività con le sue implicazioni di genere. Trattandosi di una condizione patologica, ovviamente la relazione tra analista e analizzato, simbolicamente, compie un balzo, che la studiosa, Jessica, identifica con il termine il termine Ursprung, dove ur significa originario, mentre sprung                                                                                                                

236 Freud, Totem e Tabù, p.158. 237 Benjamin, L’ombra dell’altro, p.29. 238 Ibidem. p.30

balzo. L’unico vero balzo in avanti è stato compiuto, storicamente, da Freud

con la decisione di abbandonare l’ipnosi come cura e proporre un metodo più collaborativo, in un certo senso, per forzare l’uscita dalla passività della paziente, strutturata come resistenza, soggetta ai propri sintomi e quindi prigioniera del proprio corpo. In questo paradosso, appartenete al processo evolutivo della psicoanalisi come disciplina, in cui ogni nuova resistenza del paziente dà impulso allo stesso processo psicoanalitico, ogni tipo di resistenza diventa una rivelazione del transfert erotico239.

Negli Studi sull’isteria Freud strutturò la sua concezione sul superamento della resistenza e della difesa così:

Di quali mezzi si dispone(…) per vincere questa continua resistenza? Pochi, ma pure quasi tutti i mezzi con i quali, anche in altre situazioni, una persona esercita un’influenza psichica su un’altra(…).

Si può contare sull’interesse intellettuale che comincia a destarsi nel paziente dopo un breve lavoro. Illuminandolo, fornendogli spiegazioni sullo strano mondo dei fatti psichici, nei quali si è riusciti a penetrare proprio con queste analisi, si fa di lui un collaboratore, lo s’induce a considerare sé stesso con l’interesse obiettivo del ricercatore, e si respinge in tal modo la resistenza che poggia su una base affettiva (…). Si agisce come meglio si può, come chiaritore (dove l’ignoranza ha dato luogo alla paura), come insegnate, come rappresentante di un modo più libero o superiore di vedere il mondo, come confessore che dà in certo modo l’assoluzione(…). Perché si deve ben tenere presente il seguente punto: benché il paziente si liberi dal sintomo                                                                                                                

isterico soltanto riproducendo le impressioni patogene che lo causano ed esprimendole con tutte le manifestazioni affettive, pure il compito terapeutico consiste soltanto nello spingerlo a questo, e una volta che questo compito sia risolto, al medico non rimane più nulla da correggere o da abolire.240

In questo caso si può notare come il compito dell’analista sia quello del liberatore che nello svolgere il suo compito rende il paziente un collaboratore attivo (anche se Freud nel descrivere entrambe le situazioni, sia quella in cui la paziente è ancora ferma nella sua incapacità espressiva, sia la condizione di guarigione, utilizza l’aggettivo femminile per la prima, mentre quello maschile per la seconda). Rimane che il paziente per guarire deve identificarsi con l’analista per superare la resistenza attraverso una riflessione su stesso, un’indagine condotta insieme al medico. In contrapposizione alle tattiche utilizzate da Bruer, cioè all’ipnosi, principalmente, che racchiude appieno la metafora di una malattia in cui i protagonisti sono ancora attore e agito, Freud fece il primo passo verso una pratica psicoanalitica mirata ad allontanare l’analista dalla posizione di autorità coercitiva, e quindi ad affrancare il paziente dalla totale passività241.

È assiomatico pensare che l’impraticabilità clinica della posizione del conoscitore obiettivo e l’influenza delle sfide post-mordene alle epistemologie obiettiviste abbiano portato ad una rivisitazione del pensiero psicoanalitico,

                                                                                                               

240 Freud, Studi sull’isteria, Vol.I, cit. p. 419. 241 Benjaimin, L’ombra dell’altro, p.45.

pratiche che spesso vengono denominate teoria intersoggettiva242. Per l’analista intersoggettivo, libertà, significa utilizzare deliberatamente le proprie reazioni emozionali.

I tentativi compiuti dai moderni psicoanalisti di decostruire il dominio di un soggetto autoritario e oggettivamente conoscente, con lo scopo di valorizzare la soggettività personale, corrisponde ai recenti tentativi in campo femminista di sgomentare le contrapposizioni convenzionalmente codificate in gerarchie legate al genere. Quindi sia da parte della psicoanalisi, grazie al balzo

originario compiuto da Freud, che da parte delle femministe, si è cercato di

dissolvere le complementarità del binarismo sessuale, con mezzi quali: la rivalutazione della funzione materna che, d’altro canto, si sarebbe potuta limitare alla rivalutazione logica dell’opposizione binaria, restituendo valore a ciò che in precedenza era stato svalutato, invece, oltrepassando il limiti ci ha regalato una rivalutazione più intrinseca dei concetti di attivo e passivo, in riferimento al corpo.

È necessario, però, ricordare le osservazioni di Freud sulla passività femminile, sperando di giungere ad una conclusione, se non illuminante, quanto meno soddisfacente sulla questione del genere:

Persino nel campo della vita sessuale umano vi accorgerete ben presto quanto sia inadeguato far coincidere il comportamento maschile con l’attività e quello femminile con la passività. La madre è attiva in ogni senso nei riguardi del suo bambino. Si                                                                                                                

potrebbe pensare di caratterizzare psicologicamente la femminilità con la preferenza per mete passive, il che, naturalmente, non è la stessa cosa della passività; per realizzare una meta passiva può essere necessaria una grande dose di attività. Nella donna la repressione dell’aggressività, così come le è prescritto dalla sua costituzione e imposto dalla società, favorisce lo sviluppo di forti impulsi masochistici, i quali, come sappiamo, riescono a legare eroticamente le tendenze distruttive rivolte all’interno. Il masochismo è dunque, come si suol dire, schiettamente femminile243.

E ancora:

Tutti gli esseri umani, in conseguenza della loro disposizione bisessuale, nonché della trasmissione ereditaria incrociata, uniscono in sé caratteri virili e femminili, cosicchè la virilità e la femminilità pure rimangono costruzioni teoriche dal contenuto indeterminato244.

Bisogna ammettere che non si arriverà mai ad una conclusione che sia fine a stessa, che abbia la pretese di definire i limiti epistemologici di cosa sia un uomo e cosa sia una donna, o cosa la mascolinità e cosa la femminilità. Ed, infatti, formulare l’interrogativo è ancora più azzardato rispetto al dare una risposta.

Nei capitoli precedenti l’indagine è stata rivolta nei confronti di alcuni assunti sociali e, soprattutto, storici. Ripercorrendo la strada a ritroso, un po’ come                                                                                                                

243 Freud (1925), Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, in

Opere, Vol. X, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p.222.

fece Virginia Woolf, è rispettabile sostenere che la figura femminile ha subito, negli anni, un’evoluzione strabiliante: passando da oggetto rifiutato anche dalla grazia divina, a fervente idealista che grazie alle sue lotte è riuscita a liberare dalle gabbie degli stereotipi molte personalità, diciamo, caratteristiche della nostra società.

Ma la domanda che in questa sede ci volgiamo porre è se sia possibile risalire ad ogni forma di fobia o disprezzo, a partire dalla considerazione concettuale di passività femminile. Per fare questo ci siamo serviti non solo delle implicazioni teoriche e pratiche che governano i nostri atteggiamenti sociali ma anche di ipotesi e teorie che confinano nel campo della psicoanalisi per provare a individuare quale sia la motivazione psichica interna che spinge l’uomo a rifiutare, a priori, ogni forma di femminilità o passività, riferita ad un corpo maschile e non solo.

La critica alla complementarità di genere produce un paradosso poiché sovverte quelle che sono le categorie di femminile e maschile ma allo stesso tempo afferma che sono proprio queste categorie ad organizzare l’esperienza. Harris sostiene che il genere non è né reificato, né qualcosa di semplicemente evanescente ma, nell’esperienza di ciascuno, può occupare entrambe le posizioni245, mentre Dimen crede che sia proprio questa sua particolare

elusività a livello teorico a caratterizzare ciò che il genere è, ovvero qualcosa di

                                                                                                               

inapprensibile e in continuo mutamento in relazione al mutare della società e del livello culturale di ogni epoca o nazione246.

Oggi la critica più attiva delle ipotesi su ci si basa la teoria psicoanalitica classica del genere e della sessualità viene formulata in grembo al pensiero femminista post-moderno e post-strutturalista. Studiose come Rosi Braidotti, Butler, Donna Haraway si dichiarano influenzate da questa critica. Nel pensiero francese post-strutturalista, infatti, troviamo un forte rifiuto del fondamento biologico e trans-storico della sessualità e del genere che, fino a qualche tempo prima, erano state il fondamentale appiglio per legittimare le rivendicazioni del potere maschile.

                                                                                                               

246 M.Dimen (1991), Deconstructing Difference: Gender, Splitting, and transitional Space, Psicoanalitytic Dialogues, N.3, pp.335-52

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