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4-Funzione simbolica e allegorica del rito e del mito nel teatro

Il primo indice ad avvertirci che siamo in presenza di una funzione rituale nei Plays for Dancers è rappresentato dalle didascalie che regolano i movimenti degli attori in scena, in particolare l’apertura e la chiusura del dramma che avviene anziché con l’apertura o la chiusura del classico sipario, con lo srotolare da parte di attori che figurano come musici (e come coro) di un drappo; non si tratta di una danza, ma i movimenti cadenzati e scrupolosamente descritti da Yeats sembrano imporsi con la stessa meticolosa precisione necessaria nell’organizzazione delle figure della danza. Così, la cauta apertura del drappo e la seguente chiusura indicano la soglia entro cui si svolge la funzione assumendo il ruolo del comune sipario72. Questi gesti, il loro essere simboli, il fatto che non siano autoreferenziali ma rimandino all’idea del sipario tradizionale, e che conseguentemente allontanino lo spettatore dalla consuetudine allo stesso tempo complicandola e alludendo ad essa, tutto questo è linguaggio rituale, un linguaggio simbolico, difficile, che richiede un aumento dell’attenzione: il rito implica una scelta per il poetar difficile, del trobar clus sul trobar leu, o per aiutarci con il titolo di una poesia di Yeats manifesta “the fascination of what’s difficult”.

Il rito si esprime attraverso dei simboli. Così come per il linguaggio letterario, il linguaggio in cui si esprimono i rituali non è diretto. Innanzitutto nel rito, così come nel gioco o nell’arte vi è sempre una “cornice psicologica”, ovvero vengono prodotti dei segnali meta-comunicativi che “oppongono le azioni ‘messe in cornice’, messe ‘tra virgolette’, alle azioni ordinarie […] la cornice assume due funzioni contraddittorie: l’una segnala che ciò che essa

72 Cfr. Francesca Gasparini, W.B. Yeats e il teatro dell’Antica Memoria, op. cit. p. 116: “questa trovata, che è

in parte una coreografia in parte un rito, può far pensare all’apertura e alla chiusura del sipario; cioè può sembrare che Yeats, eliminato il sipario che tanto odiava, l’abbia poi voluto recuperare con un escamotage esotizzante. È questo, infatti, un modo come un altro per determinare i limiti della rappresentazione, fornendo i segnali di inizio e di fine; ma la maggiore complessità della costruzione, la presenza del canto, la composizione ritmica fanno di questa sorta di cornice spettacolare un’appendice di suggestione rituale degna del nuovo teatro yeatsiano. E una sua più sicura derivazione è l’immagine del rapsodo o bardo dei tempi antichi, dell’attore-teatro che apre le porte della visione, dispiegando a terra la sua stuoia e richiudendola alla fine dell’opera”.

contiene è fittizio; l’altra fa dimenticare che lo è […]”73. Dunque il rito, e attraverso di esso il mito, nasconde un significato altro rispetto a quello letterale, un significato appunto messo tra virgolette, e gli elementi che lo compongono altro non sono che simboli di una realtà differente. Se per i popoli antichi, nell’ambito della mitologia greca e romana questo discorso è sicuramente valido, non è lo stesso per l’uso consapevole che del rito e della mitologia viene fatto nei periodi più tardi. Possiamo parlare cioè di una distinzione tra mitologia primitiva e mitologia colta:

Nei racconti dei primitivi le parole sono realtà soprannaturali, ciascuna delle quali rappresenta un campo di forza; risvegliano in chi le ascolta le associazioni fornite dall’esperienza; nella nostra concezione, invece, il mito racconta una storia con parole e frasi che ci fanno seguire la trama di un intrigo74.

Paradossalmente, a questo proposito, le parole di un critico letterario quale George Steiner sembrano ancora più significative rispetto a quelle di un antropologo quale Lévy-Bruhl:

Le mitologie incentrate sulle abitudini e sugli usi della civiltà occidentale, che ne hanno organizzato il paesaggio interiore, non erano il prodotto di uno spirito individuale. Una mitologia è una cristallizzazione di sedimenti accumulati durante lunghi periodi di tempo. Raccoglie in una forma tradizionale i ricordi e l’esperienza storica primordiale della razza. I grandi miti, che sono il linguaggio della mente nei momenti di stupore o di percezione, si formano con la medesima lentezza del linguaggio stesso […] il sistema cabalistico rievocato da Blake e la magia lunare di Yeats hanno soltanto una tradizione personale ed occulta75.

Questo motivo viene ripreso da Steiner per evidenziare le cause dell’impossibilità del genere tragico in età moderna, dell’inevitabile morte della tragedia, ed è chiaro che questo tema è strettamente legato proprio alla mitologia e alla ritualità del teatro:

È incontestabile che la tragedia, nel senso stretto del termine, non possa svilupparsi che quando l’universo di riferimento del dramma sia una mitologia, pienamente

73 Vedi la voce Rito nell’Enciclopedia Einaudi.

74 Lévy-Bruhl, 1935, citato nell’Enciclopedia Einaudi, alla voce Mito/Rito. 75 George Steiner, La morte della tragedia, Garzanti, Milano, 1992, p. 279.

assunta fin dall’ultimo degli spettatori. Quando la mitologia diventa un fenomeno culturale, il dramma diviene asintotico alla tragedia76.

Ma esulando da questioni riguardanti la riuscita o meno del teatro di Yeats, della possibilità o dell’impossibilità del genere tragico in epoca moderna, le considerazioni di Steiner e di Lévy-Bruhl paiono invece illuminanti se utilizzate per sottolineare un altro aspetto dell’utilizzo del mito e del rituale nell’opera di Yeats, come del resto anche in quella dei tanti drammaturghi simbolisti, e cioè che il binomio mito-realtà, da Wagner in poi, presenta una strana inversione nella sua funzione originaria di simbolo:

In Wagner c’è la costante presenza dell’elemento mitico. Per la prima volta nell’ambito del teatro musicale è il mito che spiega le vicende del reale e non viceversa. Contrariamente a quello che farebbe un mitologo il quale cercherebbe di spiegare il mito, Wagner intuisce che il mito non è da spiegare ma è, come dire?, lo spiegante77.

Questo è un passo molto significativo, ma forse c’è bisogno di chiarire cosa si intenda dire quando si parla di nascita di mitologie. Infatti non è corretto sostenere genericamente che un mito nasce in epoca antica, perché si tratta di una grossa approssimazione. È giusto collocare la creazione di qualsiasi mito in epoche preistoriche, sottolineando come questa genesi non è mai individuale, ma sempre collettiva, non nasce dall’artista ma dal popolo, non è un prodotto volontario, un’azione voluta; il mito nasce involontariamente e in maniera spontanea, naturale78. Per questo l’uso che ne fa un artista, anche dell’antichità, è già una appropriazione di qualcosa di pre- esistente che non nasce come fenomeno letterario. Con la sua “letterarizzazione” si assiste ad un processo di trasformazione del senso originario del mito:

76 Giuseppe Bartolucci su Lionel Abel, dalla quarta di copertina di Lionel Abel, Metateatro, Milano, Rizzoli,

1963, (traduzione di Luigi Ballerini, prefazione di Giuseppe Bartolucci).

77 Mario Bortolotto, intervistato da Antonio Gnoli, in La Repubblica, venerdi 27 luglio 2007, p. 51.

78 Cfr. Fritz Graf, “Il mito tra menzogna e «urwahrheit»” in Margherita Rossi Cittadini (cura di), Presenze

classiche nelle letterature occidentali. Il mito dall’età antica all’età moderna e contemporanea, Gesp.

[…] il lento processo di desacralizzazione porterà il mito, con il suo patrimonio di metafore e di strutture archetipiche, a trasformarsi in “letteratura”, e a svolgere la funzione sociale di fornire una visione immaginaria della condizione umana. Proprio il venir meno del suo stretto rapporto con il culto e con la fede, che è quanto dire dei suoi elementi culturali specifici, ha consentito al mito di rinascere nell’invenzione letteraria non più come espressione di un’esperienza divina ma come rappresentazione della condizione esistenziale dell’uomo con tutta la validità e l’autorità che gli sono proprie. Una funzione che Margherite Yourcenar ha con molta efficacia espresso nel saggio introduttivo alla sua Elettra, nel quale spiega le ragioni della sua scelta tematica e formale: “compresi presto che conveniva approfittare una volta di più del credito inesauribile che ci offre il dramma greco, di questa specie di straordinario assegno in bianco sul quale ogni poeta a turno può permettersi di scrivere la cifra che preferisce”. 79

E così può valere anche per Yeats e assieme a lui per i poeti simbolisti francesi. Il mito si dispiega come simbolo inatteso, spesso non codificato o precostituito, e diviene il perno su cui ruota questo nuovo movimento letterario; per questo suo carattere non necessariamente convenzionale può essere di difficile comprensione, “può essere alle volte oscuro”80, ma senza il simbolo non esisterebbe nuova poesia. Esso è sì un significante ma è allo stesso tempo foriero del significato, e quindi della ragione d’essere della poesia, capace di farci andare oltre il reale, di avere una percezione completa del mondo. Il mito diviene simbolo, o anche allegoria.

79 Bruno Gentili, “Riflessioni su mito e poesia nella Grecia antica”, in Margherita Rossi Cittadini (a cura di),

Presenze classiche nelle letterature occidentali. Il mito dall’età antica all’età moderna e contemporanea, op.

cit.

80 Yeats, “The symbolism of poetry”, in Ideas of Good and Evil, in Essays and Introductions, Macmillan,