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13-Manganelli e il teatro

Sembra che Manganelli scrittore si sia mosso con estrema circospezione per affrontare per la prima volta l’ambiente teatrale. Non bisogna certo credere che non lo tenesse in gran conto, ma il suo coinvolgimento attivo a questa forma artistica arrivò piuttosto tardi e solamente a seguito di prime operazioni di avvicinamento; la sua partecipazione, di primo acchito, fu mediata da altre forme artistiche non propriamente intese per la scena. Apparentemente, insomma, era entrato nel mondo teatrale dalla porta di servizio, ossia, dalla radio. Per di più, alla domanda “ami il teatro” posta in un’intervista da Camilla Cederna, Manganelli significativamente risponde: “mi interessa più leggerlo che vederlo. Il teatro inglese lo trovo affascinante anche nella lettura”247. Giustamente quindi Scarlini ha deciso di intitolare il volume da lui curato, e comprendente le opere teatrali di Manganelli, Tragedie da leggere, titolo ripreso dalla definizione che di questi drammi aveva dato Rodolfo Wilcock 248.

Le traduzioni di Manganelli di opere teatrali inglesi come il Manfred di Byron e la Duchess of Malfi di Webster, erano state pensate direttamente per la scena, richieste rispettivamente dai registi Mauro Bolognini249 e Mario Missiroli250 mentre le traduzioni dei drammi celtici di Yeats251 erano pensate per la lettura. Così le Interviste impossibili erano nate per la radio e non per il teatro. Scarlini giustamente pone il dito contro chi, avendole pubblicate, non

247 Camilla Cederna, “C’è anche l’amor scortese”, in Giorgio Manganelli, La penombra mentale, op. cit. p.

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248 Rodolfo J. Wilcock, “Come all’epoca di Seneca”, in Il Mondo, 26/02/1971.

249 Manfredi di Robert Schumann-George Gordon Byron tradotto da Giorgio Manganelli per la regia di

Mauro Bolognini venne messo in scena per la prima volta il 7 dicembre 1966 al teatro dell’opera di Roma. Questa magistrale traduzione è stata edita per la cura di Luca Scarlini da Einaudi nel 2000.

250 La traduzione della Duchessa di Amalfi fu fatta nel 1978 per il Teatro Stabile di Torino. Missiroli la portò

in scena al XXI Festival dei Due Mondi a Spoleto. Questa versione di Manganelli è stata pubblicata da Einaudi, sempre per la curatela di Luca Scarlini, nel 1999.

251 Pubblicate in volume solo nel 1999 per la curatela di Viola Papetti, queste traduzioni dovrebbero datare

lo specifica in alcuna nota. È invece fondamentale distinguere la destinazione di un pezzo, sia esso inteso per la radio, per il teatro o per la stampa. E proprio la radio fornì a Manganelli un primo espediente per poter entrare, successivamente, a lavorare direttamente per progetti specificamente teatrali:

L’attrazione manganelliana per la radio, poi, è di fatto ovvia, anche perché è evidente che proprio in questo spazio di trasmissione ‘astratto’ e svincolato dalla rappresentazione tradizionale, si può dare quella condizione di annullamento della scena canonica, di trasformazione in buio, oscurità attiva e abitata e mutata dal verbo, che lo scrittore teorizzava.252

Le collaborazioni radiofoniche con il Terzo Programma sono molte e variegate. In questo rapporto con la radio troviamo una prima coincidenza biografica proprio con Yeats. Entrambi furono impegnati nella compilazione di alcuni Broadcast talks. Yeats nell’ultima parte della sua vita (dal 1937) alla BBC era stato coinvolto, in veste di curatore e di voce narrante, alla realizzazione di un progetto di letture di poesie irlandesi (tra le quali anche alcune sue) da parte di attori e accompagnate da musica.

La partecipazione di Manganelli a programmi radiofonici è assai interessante: dalle prime “radioconversazioni” sul Gordon Pym di Poe del 1951, dalla trasmissione per il Terzo Programma Rai sul Rinascimento

Celtico in cinque puntate del 1950 a quelle sui Poeti Laghisti del 1953 e sulla

poesia inglese del dopoguerra nel 1959 e ancora fino ad arrivare al programma su Samuel Johnson del 1964253, a quella per il ciclo sempre della Rai Un classico all’anno titolata Il Morgante Maggiore di Luigi Pulci del 1972, l’impegno si era dimostrato, come testimonia questa lunga lista, decisamente assiduo e ricco di risultati. Infine si giunge alle opere più propriamente letterarie, da Teo, o l’acceleratore della storia scritto a quattro mani con Augusto Frassineti nel 1966 alle Interviste impossibili254 del 1974

252 Luca Scarlini, introduzione a Giorgio Manganelli, Tragedie da leggere, op. cit., p. XL.

253 “Samuel Johnson e il suo tempo”, andò in onda tra il 27 luglio e il 17 agosto 1964. Da questo programma

è nato il libro Giorgio Manganelli, Vita di Samuel Johnson, a cura di Viola Papetti, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2002.

fino al coevo In un luogo imprecisato. Tutte erano nate come conversazioni radiofoniche e solo in un secondo momento riconvertite o prestate al teatro.

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Traduzioni di testi teatrali, broadcasts talks, dialoghi radiofonici: si tratta quindi di esperienze limitrofe a quelle teatrali, ma che non sono propriamente drammatiche, nel senso comune del termine. Di conseguenza, la forma che ne deriva non può essere paragonata a quella di qualsiasi altro dramma tradizionale; eppure il fatto si è che anche le altre “tragedie da leggere” di Manganelli appaiano difficilmente identificabili in un quadro squisitamente teatrale. Le forme di queste esperienze artistiche sono a se stanti. Ci troviamo qui di fronte ad una coincidenza ben più sostanziale con Yeats; per entrambi non è possibile far riferimento al teatro tradizionale. Se vogliamo collocarli in una tradizione pensiamo a quella delle avanguardie, dello sperimentalismo, del simbolismo rintracciando come componente rilevante anche un certo sincretismo con esperienze del teatro orientale.

Queste coincidenze si possono individuare innanzitutto nella peculiare struttura della maggior parte dei drammi di Manganelli. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di atti unici, spesso semplicemente dialoghi tra personaggi senza azione, a mo’ di dialogo platonico. A questo proposito un tentativo di definizione è stato proposto da Franco Ruffini in occasione di un piccolo convegno manganelliano del 2005255; i drammi di Manganelli sarebbero, per Ruffini, delle “chiavi di teatro”, ovvero delle situazioni esemplari che potrebbero benissimo comparire come il nodo centrale di un dramma tradizionale, cui bisogna però aggiungere un antefatto e una conclusione affinché presentino una struttura più diluita e in un certo senso

255 Il convegno era stato organizzato da Viola Papetti presso la facoltà di lettere dell’Università di Roma Tre

in occasione della pubblicazione del volume di Giorgio Manganelli Tragedie da leggere (Aragno, Torino, 2005), curato da Luca Scarlini e comprendente la tutta la produzione teatrale di Manganelli.

più ‘teatrabile’256. Visti negativamente, insomma, questi drammi sarebbero delle ottime invenzioni teatrali, ma ad uno stato ancora embrionale, non del tutto sviluppato, come se l’autore avesse voluto proporre appunto il perno centrale su cui far ruotare un intero dramma, ma alla fine l’avesse lasciato tale, in germe, un dramma in potenza. Si può ovviamente non essere d’accordo con quanto proposto da Ruffini, e infatti mi pare che il suo intervento in quella occasione abbia suscitato più di un dissenso (se non scandalo e offesa) tra il pubblico di adepti manganelliani, il cui umore, alle parole del relatore oscillava tra il risentito, l’indignato e lo scettico.

A ben guardare anche per i drammi più maturi di Yeats è necessario riproporre le stesse osservazioni; si tratta di atti unici, il più delle volte, che si concludono o che hanno come passo centrale una danza rituale. Il loro valore, se confrontato con la tradizione teatrale coeva risulta sminuito, se non addirittura di una notevole modestia. Nel suo teatro non ci sono tragedie, commedie, o drammi borghesi del teatro occidentale, e nemmeno si possono paragonare i suoi Plays for Dancers a degli autentici Nō giapponesi (c’è da dubitare che Yeats avesse mai visto un vero Nō, cioè una rappresentazione di quei drammi nelle forme tradizionali che venivano recitate in Giappone). Le rappresentazioni rituali del teatro Nō rappresentavano dei modelli che nelle mani di Yeats venivano trasposti in forme comunque diverse da quelle degli originali. L’operazione di Yeats semplicemente produceva un nuovo genere drammatico originale che traeva spunto da sollecitazioni lontane e diverse257.

Che i drammi di Manganelli dovessero trovare un loro spazio, differente tanto da quello del teatro tradizionale quanto da quello dei possibili modelli (dal teatro elisabettiano, a Yeats, dal teatro simbolista ad Artaud, dai dialoghi platonici ai monologhi o dialoghi di Beckett) lo riconosceva anche Luigi Squarzina in una lettera a Manganelli datata 1966 a proposito

256 Mi pare che Ruffini contemplasse come eccezione il dramma Cassio governa a Cipro, la cui struttura, più

estesa e dl maggior respiro, lo avvicinerebbe ad una pièce completamente realizzata.

257 Lo sottolinea anche Francesca Gasparini, W.B. Yeats e il teatro dell’ “antica memoria”, op. cit. pp. 98-

dell’intenzione di mettere in scena il dramma radiofonico Teo o l’acceleratore

della storia. Prima di tutto Squarzina (all’epoca direttore del teatro stabile di

Genova) sottolineava che sarebbe stato necessario ovviare all’impostazione radiofonica258. Alla fine notava come il lavoro che ne sarebbe potuto venir fuori fosse sì teatralmente molto interessante, ma sicuramente un progetto nuovo non valutabile secondo i canoni teatrali classici. Scriveva Squarzina:

Questo nuovo teatro di limitate dimensioni, che noi inaugureremo proprio con voi, si presta a forme insolite, seppur ridotte, di teatralità; con un rapporto estremamente diretto tra spettacolo e pubblico, fra attore e spettatore. È per questo che l’aspetto di

conferenza, di radiocronaca, di incontro parlato del testo, costituisce un vantaggio

anziché uno svantaggio.259

Lo spazio scenico che si apprestava ad accogliere questo tipo di dramma era uno spazio “nuovo”; il regista lo sottolinea perché si era reso perfettamente conto del fatto che Teo non avrebbe potuto funzionare se fosse stato rappresentato come un dramma tradizionale. Alla riuscita doveva contribuire anche il nuovo palcoscenico, che si prestava a delle “forme insolite di teatralità”260. Trattandosi quindi di uno spazio ridotto, vien da pensare che la nuova struttura potesse essere paragonata a quella del teatro elisabettiano (così caro a Manganelli) dove l’attore era molto più vicino alla sua audience. Come accadeva con il palco elisabettiano, proiettato tra il pubblico, così anche le forme ridotte del nuovo teatro avrebbero potuto ricreare un rapporto più intimo tra attore e spettatore. Infine, dalle parole di Squarzina risulta evidente che questa nuova forma di dramma veniva riconosciuta come forma ibrida, differente dallo spettacolo teatrale cui siamo abituati ad assistere; si tratta di un nuovo genere, collocabile a metà strada tra teatro, conferenza, radiocronaca e incontro parlato.

258 Parte della lettera di Squarzina a Manganelli è riprodotta nell’introduzione di Luca Scarlini al volume

Giorgio Manganelli, Tragedie da leggere, Aragno, Torino, 2005, p. xxix.

259 Luigi Squarzina, lettera a Giorgio Manganelli del 14/11/1966, citata da Luca Scarlini nell’introduzione a

Giorgio Manganelli, Tragedie da leggere, Aragno, Torino, 2005, p. xxix. Corsivi miei.

Sicuramente Manganelli non si preoccupava troppo di rendere rappresentabili (o come si direbbe in gergo, ‘teatrabili’) i propri drammi. I registi che cerchino, o abbiano cercato, di metterli in scena si trovano tutti in difficoltà. Tra questi Agostino Marfella, che affrontando il Cassio Governa a

Cipro, ha dovuto necessariamente operare dei tagli261. Il suo giusto commento quando mi spiegava gli ostacoli posti da questo testo è stato: “Manganelli ha scritto per Jago un monologo di sei pagine piene, e l’ha fatto apposta. È la dimostrazione che tra letteratura e teatro, vince la letteratura”.

14-Gli artifici teatrali di Giorgio Manganelli: mito, tema