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7-Metodo mitico e metodo rituale

T.S. Eliot riferendosi a Joyce e a se stesso, teorizza l’introduzione in letteratura del così detto “metodo mitico”117.

Nell’usare il mito, nel manipolare un continuo parallelismo fra il mondo contemporaneo e il mondo antico, Joyce sta seguendo un metodo che altri devono seguire dopo di lui […] È semplicemente un modo di controllare, ordinare, dare forma e significato all’immenso panorama di futilità a anarchia che è la storia contemporanea. È un metodo già adombrato da Yeats, e della cui necessità credo Yeats sia stato il primo contemporaneo a rendersi conto. È, lo credo seriamente, un passo verso la possibile resa del mondo moderno in termini artistici […]. Invece del metodo narrativo, noi possiamo ora usare il metodo mitico.118

Già Yeats, dunque, aveva sconfinato in questi spazi, e aveva fondato tutta la sua poesia su un recupero dei miti più disparati. Il fatto che vengano intessute assieme mitologie diverse in un unico “paramento” è un’operazione consapevole:

Dietro a tutta la storia irlandese vi è appeso un grande arazzo, che anche la cristianità ha dovuto accettare ed ha dovuto accettare di esservi rappresentata. Nessuno guardando le sue oscure pieghe può dire dove finisce la cristianità e dove il druidismo119.

Questi recuperi e soprattutto queste commistioni di elementi mitici diversi—dai miti classici di Leda e il cigno, a quelli epici omerici comunque legati alla figura di Elena, dai miti e dalle leggende celtiche, con Cuchulain e Conchubar, alle saghe degli antichi re e alle storie di fantasmi che infestano tanto folklore irlandese—sono sempre presenti in tutta la produzione yeatsiana, tanto nei componimenti in versi e nei drammi teatrali che nelle opere in prosa. A questi esempi si accostano i miti cristiani, con le parabole dei vangeli (cfr. The Resurrection e Calvary) e le storie dei santi, quali, tra i

117 T.S. Eliot, “Ulysses, Order and Myth”, in The Dial, novembre 1923 (traduzione italiana “Ulysses, ordine e

mito”, in Opere 1904-1939, a cura di R. Sanesi, Milano, 1992).

118 T.S. Eliot citato da Alessandro Serpieri nell’introduzione a T.S. Eliot, La terra desolata, Milano, Rizzoli,

1982, p. 10.

119 W.B. Yeats, A General Introduction for My Work, in Essays and Introductions, p. 514: “Behind all Irish

history hangs a great tapestry, even Christianity had to accept it and be itself pictured there. Nobody looking at its dim folds can say where Christianity and Druidism ends”.

tanti, significativamente la figura di San Patrizio. Infine il mito dell’antico testamento condito da una dose piuttosto consistente di influenze blakeane. Insomma, qualsiasi mitologia può fare al caso, e tutte diventano i piccoli e grandi animali del circo che il poeta ha il compito di domare ed organizzare in una grande cosmogonia compiuta, e che infine, proprio come ironico epilogo di tutta l’esperienza artistica sembreranno in procinto di disertare, quasi una beffa contro l’ordine raggiunto120.

“Cosa posso fare se non elencare vecchi temi?”121 si chiede il poeta a chiosa di tutti i versi prodotti nell’arco di una vita. E proprio gli strumenti del mestiere di poeta altro non sono che “un mucchio di rifiuti o spazzatura di strada, vecchi bricchi, bottiglie, un barattolo rotto, vecchi ferri, vecchie ossa, vecchi stracci, e quella pazza scalcinata alla cassa”122. Queste sarebbero le vecchie rovine che debbono puntellare la poesia di Yeats, vero iniziatore del metodo mitico, come lucidamente esposto da Eliot.

Quello che colpì profondamente Eliot nel libro della Weston non fu tanto lo studio antropologico di miti e riti, che aveva trovato con ben più ricca articolazione di notizie e di analisi nel monumentale Ramo d’oro di Frazer, ma piuttosto l’intuizione di un’analogia fra antichità pagana e leggenda cristiana medievale, di uno schema che si trasformava nei secoli conservando una medesima tensione simbolica. La leggenda del Graal era una trasformazione dei riti della fertilità e dei culti misterici. Perché non pensare, allora, che lo schema si fosse successivamente trasformato in altri sistemi più difficilmente leggibili, in una ciclicità che rendeva in qualche modo compresente la storia? Il primo novecento è percorso da questa idea ciclica, da Yeats a Spengler. In tale prospettiva, il metodo mitico era una filosofia della storia prima ancora di un procedimento strettamente letterario123.

È proprio in questo senso che Yeats sa di potersi appropriare del mito; la visione ciclica della storia era stata fatta propria dal poeta irlandese, che a tutta la sua opera sottende una struttura vichiana di corsi e ricorsi, poi compiutamente descritti, nonché rappresentati graficamente, in A Vision. Il

120 Cfr. la penultima poesia delle Last poems di Yeats: “The Circus Animals’ Desertion”.

121 W.B. Yeats, “The Circus Animals’ Desertion”, in Last Poems, v. 9 “what can I but enumerate old

themes?”,

122 “The Circus Animals’ Desertion”, vv. 35-38, traduzione di Ariodante Marianni: “a mound of refuse or the

sweepings of a street,/ old kettles, old bottles, and a broken can,/ old iron, old bones, old rags, that raving slut/ who keeps the till”.

contrasto tra una concezione ciclica del tempo, concezione mitica propria della cultura dell’antica Grecia, con quella lineare giudaico cristiana si risolve a favore della prima. Ma anche per questo il racconto mitico può permettersi delle libertà dalle dimensioni spazio-temporali che in un racconto storico lineare non sarebbero possibili.

In Irlanda poi, il metodo mitico non poteva che essere una naturale conseguenza delle influenze e della sovrapposizione dei substrati celtici e di quelli cristiani, le cui mitologie costituivano le radici culturali profonde del popolo intero. Non si può immaginare una terra in cui il metodo mitico potesse attecchire meglio:

Le nostre mitologie, le nostre leggende, differiscono da quelle degli altri paesi europei perchè fin dalla fine del diciassettesimo secolo avevano l’attenzione, e forse la fede incondizionata, dei contadini così come dei nobili; Omero appartiene agli uomini sedentari, mentre anche oggigiorno, le nostre antiche regine, i nostri soldati medievali e amanti possono far rabbrividire un venditore ambulante.124

Ma ancor più di un metodo mitico sembra che Yeats, almeno per il teatro, proprio come iniziatore delle nuove tendenze, abbia tenuto a battesimo un metodo rituale.

Occorre qui probabilmente rintracciare in cosa consista la distinzione tra mito e rito. Il passo citato in precedenza in cui Steiner (p. 63) parla di “appercezione”, di paura della natura da parte dell’uomo primitivo mescola e confonde rito e mito; entrambi nascono dalla paura, da una incomprensione di base dei fenomeni che circondano l’uomo, e dal conseguente tentativo da parte delle popolazioni primitive di colmare questo gap che intercorre tra ciò che si vede e ciò che si comprende del mondo circostante. I fenomeni naturali (in particolare la paura che essi provocano) sono all’origine della creazione di miti e rituali. Ma mentre il mito ha una funzione descrittiva, è un tentativo di

124 W.B. Yeats, A General Introduction for my Work, in Essays and Introductions, p. 516: “Our mythology,

our legends, differ from those of other European countries because down to the end of the seventeenth century they had the attention, perhaps the unquestioned belief, of peasant and noble alike; Homer belongs to sedentary men, even to-day our ancient queens, our medieval soldiers and lovers, can make a pedlar shudder”.

spiegarsi ciò che desta paura o ammirazione, il rito invece avrebbe un ruolo concreto, dovrebbe costituire un intervento sul fenomeno in sé. Il rito cioè ha sempre una funzione propiziatoria o correttiva, svolge il ruolo di riconciliazione con le potenze nascoste dietro ai fenomeni che non si comprendono125. Il rituale ha una funzione religiosa con un fine pratico. Anche il nuovo teatro di Yeats assume questa funzione, sebbene in questo senso si può forse parlare più propriamente di cerimonia piuttosto che di rito. La distinzione tra i due è molto sottile e nemmeno condivisa da tutti gli antropologi o gli studiosi che se ne sono occupati.

Si può dire che una rappresentazione rituale crea una comunicazione che si intende mediata dal dio, primo ricettore e veicolo del messaggio, mentre una rappresentazione cerimoniale crea una rappresentazione diretta tra attore e spettatore; il cerimoniale si giustifica con la creazione di entità astratte quali l’”onore”, la “vergogna”, la “faccia”, la “tradizione” e l’”opportunità”.126

Parlare di metodo rituale significa rintracciare gli antecedenti primitivi del teatro, i primi rituali antichi, le prime rappresentazioni sacre che hanno dato l’avvio alla storia del teatro come oggi lo conosciamo. Il metodo rituale è dunque un metodo che nasce dall’esperienza religiosa per poi trasformarsi in espressione secolare. Del resto l’etimologia della parola tragedia tradisce questa discendenza, sebbene a proposito vi siano ancora delle controversie. Di certo nella parola trago(i)día (τραγῳδία) si possono distinguere le radici di "capro" (τράγος / trágos) e di "cantare" (ᾄδω / á(i)dô). Sembra che sia rintracciabile come primo antenato della tragedia proprio un rito sacrificale propiziatorio in cui molte popolazioni tribali offrivano animali (di qui la parola capro) agli dei, soprattutto in attesa della messe o di una partita di caccia. Le interpretazioni quindi propongono ‘Canto sul capro’, animale- totem a cui è assimilato Dioniso, oppure ‘Canto per il capro’; come premio per un componimento poetico o ancora ‘Canto dei coreuti mascherati da

125 Cfr. Fritz Graf, “Il mito tra menzogna e «urwahrheit»” in Margherita Rossi Cittadini (a cura di), Presenze

classiche nelle letterature occidentali. Il mito dall’età antica all’età moderna e contemporanea, op. cit.

capri’; questa terza interpretazione ci riporta al dramma satiresco, dal quale, secondo Aristotele, la tragedia discenderebbe. I drammi satireschi sarebbero stati delle rappresentazioni a carattere pastorale discendenti da rituali (sempre di carattere propiziatorio o iniziatico) che si volevano messi in atto dai satiri, creature per metà umane e per metà caprine.

I riti delle origini che Yeats prende come esempio e a cui pensa di potersi rifare sono però, più che i riti dell’antichità descritti dal Frazer con The

Golden Bough, che comunque Yeats ben conosceva, i rituali che sorsero con

la seconda rinascita del teatro, quelli cioè del medioevo. Non i riti pagani, dionisiaci e disordinati, troppo turbolenti e imprevedibili, quanto quelli cristiani, più controllati nelle loro manifestazioni. L’esempio cioè dei misteri, dei miracoli e infine delle moralità. E si veda come nel passaggio dai miracles e dai mysteries alle moralities il fine ultimo della rappresentazione, in un senso vada progressivamente allontanandosi dalla funzione religiosa rivolta verso la divinità, per acquisire carattere laico, ma in un secondo senso mantenga un fine morale o moralizzatore, quindi uno scopo pratico educativo e non solamente descrittivo; alcuni antropologi direbbero che si passa dal rito alla cerimonia.