La società per azioni si caratterizza per la necessaria previsione di un’organizzazione corporativa basata sulla presenza di una pluralità di organi sociali, investiti per legge delle seguenti funzioni:
• funzione deliberativa o decisionale, affidata, di regola, all’assemblea dei soci e costituisce espressione della volontà dell’ente riguardo alle decisioni più importanti della vita sociale.
L’assemblea dei soci esercita le competenze che le sono attribuite dalla legge (artt. 2364-2365c.c.) e adotta le proprie decisioni con metodo collegiale ed in virtù il principio maggioritario;
• funzione amministrativa, affidata all’organo amministrativo e consiste nell’attività di gestione e rappresentanza della società.
• funzione di controllo sull’attività di gestione dell’organo amministrativo.
Per quanto riguarda l’amministrazione ed il controllo della società, il codice civile del 1942 prevedeva un unico sistema organizzativo (c.d. tradizionale) basato sulla presenza di due organi di nomina assembleare: l’organo amministrativo (amministratore unico o consiglio di amministrazione) e il collegio sindacale (anche con funzioni di controllo contabile).
Il sistema tradizionale, destinato a trovare applicazione in difetto di una previsione statutaria, è stato affiancato da due modelli organizzativi alternativi introdotti dalla riforma del diritto societario:
• il c.d. sistema dualistico (art. 2409 octies-2409 quinquiesdecies c.c.), di derivazione teutonica, in cui l’attività di gestione e di controllo sono esercitate rispettivamente dal consiglio di sorveglianza (nominato dall’assemblea dei soci) e da un consiglio di gestione (nominato dal consiglio di sorveglianza). Tale modello organizzativo si caratterizza per il conferimento all’organo di controllo (ovvero il consiglio di sorveglianza) di competenze decisionali (ad es. approvazione del bilancio) che nel sistema tradizionale sono attribuite in via esclusiva all’assemblea dei soci.
• Il c.d. sistema monistico (art. 2409 sexiesdecies – 2409 noviesdecies c.c.) di derivazione anglosassone, in cui l’attività di gestione e di controllo sono affidate rispettivamente al consiglio di amministrazione (nominato dall’assemblea) e a un comitato di controllo sulla gestione costituito da alcuni membri del consiglio di amministrazione stesso, dotati di particolari requisiti di indipendenza e professionale.
In tutti e tre i modelli organizzativi, il controllo contabile, in passato esercitato dal collegio sindacale, è ora affidato ad un organo esterno alla società (revisore o società di revisione).
Le funzioni e cenni storici
La norma dedicata dalla riforma del 2003 al sistema latino è di gran lunga quella preponderante (v. sub art. 2380).
Una rilevante innovazione è costituita dall'esaltazione del momento gestionale, un principio di governance, contenuto nell'art. 2380 bis, 1° co., secondo il quale la gestione della società spetta esclusivamente agli amministratori: ciò significa che all'assemblea compete oltre alla funzione di indirizzo della politica sociale, solo il potere che si concreta nella concessione della fiducia con la nomina e con l'approvazione annuale del bilancio, nonché il potere di revoca ad libitum, o, comunque, nella facoltà della non riconferma nella carica.
In ogni caso, l'assemblea non può in un’ottica totalizzante interferire nell'azione di governo se non nella forma radicale della revoca della fiducia.
Il codice del 1942, per contro, non definiva in via generale le funzioni degli amministratori, ma indicava specifici obblighi in relazione a singole vicende della società e si limitava ad enunciare il principio secondo il quale gli amministratori erano tenuti ad adempiere gli obblighi ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, con la diligenza del mandatario a norma dell'art.
2392, nella sua vecchia formulazione.
Il fatto che le norme dedicate agli amministratori, risalenti ad oltre un cinquantennio, siano potute sopravvivere sino ad oggi con ritocchi relativamente più contenuti rispetto alle altre parti della disciplina della società per azioni, è probabilmente da attribuirsi al carattere non poco
innovativo che le disposizioni avevano rispetto alla codificazione commercialistica precedente. La disciplina dettata dal codice del 1942 si contraddistingueva, infatti, per alcune importanti caratteristiche. La prima e più evidente era l'esplicita connotazione degli amministratori come organo sociale, che superava la precedente concezione degli amministratori come semplici mandatari dei soci.
La disciplina in parola si contraddistingueva per il fatto di riconoscere un fondamento legittimo - quindi originario e non derivato dal mandato assembleare - alle funzioni degli amministratori, dal quale principio discendeva il carattere esclusivo delle funzioni stesse e della non avocabilità da parte dell'assemblea (esempio classico è la redazione del progetto di bilancio ed, in generale, la gestione, fatta salva, ovviamente, l'attenuazione disposta dall'art. 2364, n. 4, nonché da ultimo la materia disciplinata dall'art. 104 t.u.f.).
Infine, della disciplina del codice del 1942 deve essere ricordata una certa duttilità, suscettibile di prestarsi ad una buona flessibilità interpretativa.
La circostanza, comunque, che il potere degli amministratori non trovasse un espresso riconoscimento da parte del legislatore del 1942 aveva sollevato un dibattuto e complesso problema interpretativo incentrato soprattutto sulla fonte legale di attribuzione di tale potere, sulla sua estensione e sul grado di autonomia che avrebbe dovuto accompagnare il suo esercizio.
La soluzione consisteva nel delineare un modello amministrativo legale che attuava una netta separazione delle competenze ed investiva gli amministratori, in via esclusiva, di tutti i poteri di gestione dell'impresa sociale che non fossero espressamente riservati all'assemblea.
Al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 2364, n. 4, si riteneva che quest'ultima non potesse interferire con deliberazioni vincolanti nelle materie di competenza dell'organo amministrativo e, in particolare, non potesse impartire istruzioni o direttive in merito alla gestione della società, né ordinare agli amministratori il compimento di specifici atti di impresa e tanto meno porre il veto all'esecuzione di atti che essi abbiano deliberato di compiere.
Nell'ipotesi di tali ingerenze, gli amministratori dovevano ritenersi autorizzati a respingerle ed a disattendere le decisioni dei soci. Emergeva, in tal modo, un quadro che assegnava all'organo
amministrativo un ruolo prevalente nelle scelte decisionali inerenti all'attuazione dell'oggetto sociale, in piena coerenza con quel processo storico di trasformazione dell'organizzazione interna della società per azioni che ha indotto i moderni ordinamenti societari al progressivo abbandono del principio democratico fondato sulla "sovranità assembleare" in favore di una struttura tendenzialmente autoritaria che privilegiasse la funzione imprenditoriale degli amministratori.
Tale orientamento trovava anche il conforto della giurisprudenza, che mostrava di propendere per una concezione ampia dei poteri gestori degli amministratori, affermando che per effetto del potere di rappresentanza, l'amministratore che ne è munito, può compiere ogni atto che sia per il suo contenuto in rapporto funzionale con le finalità sociali, in quanto il rapporto organico per sua natura opera di regola l'identificazione di volontà fra organo e persona per ogni atto relativo alla gestione sociale (T. Milano 17.10.1996).
Sotto questo profilo, inoltre, è stato statuito che in base al rigido sistema di ripartizione di competenze previsto dalla legge per le società di capitali, in correlazione con il regime di responsabilità adottato per l'organo amministrativo, le decisioni aventi ad oggetto atti amministrativi (quale, ad esempio, il trasferimento della sede sociale) non possono essere assunte da organi diversi da quello amministrativo, potendo tutt'al più accadere che quest'ultimo, senza mai spogliarsi del proprio potere decisionale, richieda di volta in volta all'assemblea un parere non vincolante ex art. 2364, n. 4, ovvero che tale parere venga previsto in via generale da apposita clausola statutaria (T. Torino 10.8.1988).
In questa stessa prospettiva, la riforma del 2003, migliorando la disciplina del funzionamento degli organi di gestione, con l'art. 2380 bis introduce due precetti importanti:
da una parte, nell'attribuire agli amministratori la competenza esclusiva dell'attività di gestione, contribuisce a chiarire definitivamente ed in modo esplicito i rapporti che esistono tra le deliberazioni assembleari in materia di gestione e l'azione degli amministratori. In conseguenza di ciò, questi ultimi diventano l'unico centro motore dell'attività gestionale e le deliberazioni eventualmente assunte dall'assemblea su scelte gestionali, nei casi in cui lo statuto (v. art. 2364, n.
5) o la legge (v. art. 2357) lo preveda, hanno, quindi, una funzione meramente autorizzatoria, inidonea a far venire meno la responsabilità degli amministratori.
Dall'altra parte, l'art. 2380 bis, poi, individua il contenuto dell'attività di gestione, chiarendo che essa si sostanzia nel compimento di tutte le operazioni (per ciò dovendosi intendere atti, fatti o combinazioni degli uni e degli altri) necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. Tra queste rientrano le scelte strategiche che condurranno, auspicabilmente, la società al raggiungimento del suo scopo e, dall'altro, l'adempimento di tutti gli obblighi che la legge impone alla società.
L'esercizio di questa funzione implica naturalmente anche l'esercizio del potere di rappresentanza, inteso come potere di manifestare nei confronti dei terzi le decisioni adottate e di impegnare la società attraverso contratti e negozi giuridici.