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IL CONFLITTO DI INTERESSI E LA RESPONSABILITÀ

A) il conflitto d’interessi

Il legislatore pone dei limiti all’agire degli amministratori, nell’interesse dei soci della società e per la certezza dei rapporti giuridici irrigidendo la disciplina del conflitto di interessi: agli amministratori è fatto assoluto divieto di esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi, essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo che l’assemblea espressamente l’autorizzi. Se l’amministratore non osserva tale divieto, è prevista la revoca dall’ufficio ed eventualmente il risarcimento dei danni (art. 2390 c.c.).

La nuova disciplina si applica anche nelle ipotesi in cui l'amministratore sia portatore di un interesse personale, ma non in conflitto con quello della società.

Ai sensi dell'art. 2391 c.c. primo comma “l'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia interesse in una determinata operazione della società precisando la natura e i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale; se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile”. È stato dunque eliminato dalla disposizione il riferimento all'obbligo di astensione dal voto a carico dei membri del consiglio (permane invece l’obbligo per l'amministratore delegato).

Qualora le deliberazioni del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, possano recare danno alla società, possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro approvazione.

L’impugnazione della delibera, inoltre, può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione, qualora non siano stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti.

In ogni caso, sono salvi i diritti acquisiti in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.

La società può pretendere il risarcimento dei danni dall’amministratore per le sue azioni ovvero per le sue omissioni oppure per l’utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o nell’esercizio del suo incarico (art. 2391 c.c.).

B) La responsabilità

Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato verso la società, i creditori sociali, i singoli soci o i terzi. L’art. 2392 c.c. disciplina il comportamento che gli amministratori devono tenere in adempimento dei doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto, comportandosi con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Con la novella del 2003 è stato eliminato il riferimento alla diligenza del mandatario.

Il grado di diligenza richiesto dipende solo dalle dimensioni della società, dal tipo di attività esercitata e dalle qualità personali e professionali del singolo amministratore.

La responsabilità degli amministratori è solidale e ciascuno può essere obbligato dalla società a risarcire l’intero danno subito.

Essi rispondono, per l’inadempimento dei loro doveri ovvero per la commissione di atti illeciti, nei confronti della società, a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento e nei confronti dei singoli soci e dei terzi, a titolo di responsabilità extracontrattuale, in relazione ai fatti illeciti commessi e, infine, dei creditori, per gli atti lesivi dell’integrità del patrimonio sociale.

Gli amministratori rispondono in via solidale verso la società per i danni eventualmente arrecati alla società stessa (art. 2392, co. 2 c.c.), a meno che si tratti di funzioni e competenze proprie del comitato esecutivo o dell’amministratore delegato e salvo che essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per impedire che fosse posto in essere l’atto, o per eliminare ovvero attenuarne le conseguenze dannose.

La responsabilità per atti od omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.

L’azione di responsabilità è promossa con deliberazione dell’assemblea, anche se la società è in liquidazione. Tale deliberazione, nonostante non sia stata inserita nell’ordine del giorno, può sempre essere assunta in occasione della discussione relativa all’approvazione del bilancio, purché si tratti di fatti di competenza dell’esercizio cui si riferisce il bilancio. L’assemblea può iniziare l’azione di responsabilità verso gli amministratori non oltre cinque anni dalla cessazione dall’ufficio nelle forme, termini e modalità previste dall’art. 2393 c.c.

All’approvazione dell’azione di responsabilità consegue la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta purché la delibera sia presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In tale ultimo caso, l’assemblea stessa deve provvedere alla nomina di nuovi amministratori in sostituzione.

La società può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità e può valutare la possibilità di transigere con gli amministratori, purché la rinunzia o la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell’assemblea e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio almeno un ventesimo del capitale sociale, ovvero la misura prevista nello statuto per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte dei soci ai sensi dell’art.

2393 bis c.c..

L’azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al terzo (art. 2393-bis c.c.) e nelle società quotate, da tanti soci che rappresentino un quarantesimo del capitale sociale ovvero la minore misura prevista dallo statuto.

Di tal guisa vengono tutelati i singoli soci di fronte al pericolo che l’assemblea rimanga inerte e non deliberi l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori.

La società è chiamata in giudizio, in quanto litisconsorte necessario, e in caso di accoglimento della domanda è tenuto al rimborso, nei confronti dei soci attori, delle spese dei giudizi e di quelle sopportate nell’accertamento dei fatti che il giudice non abbia posto a carico dei soccombenti o che non sia possibile recuperare a seguito della loro escussione.

Tale azione ha natura surrogatoria ed e comunque diretta a tutelare il patrimonio della società.

I creditori della società possono promuovere l’azione di responsabilità verso gli amministratori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti per non avere gli amministratori osservato i loro obblighi in ordine alla conservazione del patrimonio (art. 2394 c.c.).

Il termine di prescrizione dell’azione è di cinque anni (art. 2949 comma 2 c.c.) e, secondo prevalente dottrina e giurisprudenza, l’azione di responsabilità ha natura autonoma e non surrogatoria.

Inoltre, possono proseguire nell’esercizio dell’azione di responsabilità anche dopo che sia avvenuta la rinunzia da parte della società, mentre la transazione, può essere oggetto di impugnazione da parte dei creditori sociali solo se ricorrono le condizioni per esercitare un’azione revocatoria.

Quanto poi alla responsabilità degli amministratori verso il socio e il terzo, l’art. 2395 c.c.

stabilisce che l’esercizio delle azioni di responsabilità della società e dei creditori non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno in capo al singolo socio ovvero al terzo direttamente danneggiati dal compimento di atti colposi o dolosi da parte degli amministratori.

Anche in questo caso l’azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

Il tratto peculiare dell’azione individuale di responsabilità nei confronti degli amministratori viene identificato nel carattere diretto del danno lamentato. L'azione non spetta, infatti, per il pregiudizio che derivi al patrimonio sociale, essendo piuttosto necessario che il danno consegua immediatamente al comportamento degli amministratori.

Gli elementi costitutivi della fattispecie, pertanto, sono:

- la condotta degli amministratori in violazione dei loro doveri, sia quelli specifici inerenti alla carica ovvero quelli generali stabiliti dall'ordinamento a tutela dei diritti dei terzi;

- il pregiudizio patrimoniale sofferto dal socio o dal terzo;

- il nesso di causalità materiale fra condotta e danno lamentato dall'attore.

Secondo l'opinione largamente prevalente in dottrina e giurisprudenza, la responsabilità nei confronti del socio e del terzo ha natura aquiliana.

C) La responsabilità dell'amministratore di fatto

Si discute se la responsabilità investa, oltre gli amministratori nominati dall'assemblea, anche i cosiddetti amministratori di fatto: coloro cioè che senza titolo, o senza valido titolo, gestiscono o concorrono nella gestione della società, con un potere di fatto corrispondente a quello che la legge riconosce agli amministratori di diritto.

Il problema ha trovato dapprima soluzione affermativa indiscussa nella giurisprudenza penale (nonostante il principio della tipicità dell'illecito penale) riguardo ai reati previsti dagli artt.

2621 ss. a carico degli amministratori poi esplicitamente affermata dalla nuova formulazione dell'art. 2639 che ha trovato, invece, una risposta articolata nella giurisprudenza civile.

L'azione contrattuale ex artt. 2392-2393 è stata giudicata come esperibile nei confronti degli amministratori irregolarmente nominati, ossia nominati con deliberazione invalida; chi abbia, invece, usurpato i poteri di gestione o li abbia ricevuti da un terzo è sottoposto alla ordinaria azione per danni ex art. 2043.

Si è, poi, ritenuto che l'azione contrattuale di responsabilità può essere esercitata anche nei confronti di coloro che abbiano amministrato in forza di una nomina quanto meno tacita dell'assemblea.

Secondo altra parte della dottrina, dall'esame delle novità introdotte nella disciplina delle società di capitali per effetto della riforma del 2003, risulta palese che, mentre attraverso una nuova formulazione dell'art. 2369, 1° co., viene esplicitamente equiparata sul piano penale la responsabilità dell'amministratore di fatto a quella dell'amministratore di diritto, non esiste una regola analoga sul piano civilistico.

Sebbene, tuttavia, il legislatore non abbia ritenuto di introdurre una norma espressa in materia di responsabilità dell'amministratore di fatto anche sul piano civilistico, non può dirsi che il legislatore delegato abbia del tutto ignorato i problemi legati all'eterogestione.

Nella consapevolezza che una disciplina efficiente delle società di capitali doveva necessariamente essere dettata in maniera da garantire che la mancata assunzione della veste formale di amministratore non divenisse un facile strumento per eludere la responsabilità, che deve incombere su chi effettivamente gestisce l'attività, sono state introdotte nuove significative norme tese a disciplinare le ipotesi di gestione da parte di soggetti diversi da coloro investiti formalmente della carica di amministratore.

La norma in discorso è l'art. 2497 dettata in materia di disciplina dell'attività di direzione e coordinamento, applicabile per la natura trasversale del capo in cui è contenuta, sia alle s.r.l. sia alle s.p.a..

Grazie a tale norma, quindi, è possibile arrivare a sanzionare con la responsabilità anche il comportamento di amministratori di fatto, sia che esso si manifesti in sede di s.r.l., sia che si realizzi all'interno di una s.p.a.

5. Le novità introdotte dalla riforma del risparmio e il

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